2009 - Gustolocale
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parola Sultano, sovrano durante l’Impero Ottomano,<br />
dove Izmir è sempre stata vocata alla coltivazione di<br />
una particolare varietà di vite. Oltre alla sultanina, piccola,<br />
senza semi, adatta anche a molti piatti salati, sul<br />
mercato esistono altre tipologie, dal colore più o meno<br />
biondo, dorato o addirittura bluastro. Come quella di<br />
Corinto, esposta ai potenti raggi del sole greco, portata<br />
direttamente dall’Oriente esattamente come l’uvetta<br />
che giunse a Venezia, forse da Smirne, dove le viti<br />
donano ancor oggi grappoli dagli acini grandi che rimangono<br />
tali anche dopo l’essicazione. Restando nel<br />
Mediterraneo, troviamo un’uva passa chiara, di grande<br />
pregio e dimensioni a Malaga, mentre in Cile una varietà<br />
a chicchi grandi, ambrati e dal gustomolto particolare.<br />
Mai però come quello dell’uva abjosh proveniente<br />
da Herat, Afganistan ottenuta da viti coltivate con<br />
coraggio e diffi coltà, divenuta Presidio Slow Food e<br />
recentemente inclusa nell’Arca del Gusto. La Fakhery<br />
è la cultivar base di quest’uva presente solo a Herat e<br />
Kandahar. Le talee di questo tipo di vite vengono coltivate<br />
da 500 anni allo stesso modo in trincee profonde<br />
2 metri, spinte dai contadini nel terreno umido con i<br />
piedi. Prima dell’essicazione i grappoli bianchi o rosati<br />
si immergono in acqua bollente per pochi istanti, affi nché<br />
si formino piccole fessure sulle bucce che tuttavia<br />
non danneggiano il prodotto.<br />
Al contrario, con<br />
questo processo detto<br />
abjosh si accorciano i<br />
tempi di essicazione e<br />
l’uvetta risulta dorata,<br />
morbida al tatto e in bocca.<br />
Grazie al Presidio si<br />
sono garantiti la valorizzazione<br />
dei metodi di<br />
lavorazione tradizionali<br />
e la preservazione delle<br />
varietà locali. Dagli anni<br />
‘70, infatti, l’Afganistan<br />
ha lentamente perso il<br />
suo primato di produt-<br />
Uno scorcio della fortezza di Herat<br />
tore di uvetta di qualità. Prima di allora, la produzione<br />
di questo paese ricopriva il 60% del mercato mondiale<br />
e si caratterizzava in 120 varietà. Di queste oggi ne<br />
restano 72, di cui 7 di qualità superiore. Avviando una<br />
collaborazione con l’Università di Herat, il Presidio ne<br />
ha catalogate 27, diverse per consistenza, colore e utilizzo.<br />
Con il Perennal Horticulture Developent Project<br />
(PHDP) di Kabul sta contribuendo al miglioramento del<br />
reddito agricolo, all’organizzazione di corsi destinati<br />
agli agricoltori, al recupero dei germoplasma e alla<br />
catalogazione di nuove varietà. Nella cucina afgana, a<br />
dire il vero, l’uvetta non è particolarmente presente, ma<br />
trionfa nel quabeli pilau, piatto tradizionale a base di<br />
riso, carne di agnello o pollo, zafferano, cipolla e carote<br />
e nello sher berinj, delicato budino di riso. All’ultimo Salone<br />
del Gusto di Torino la potevate trovare e degustare<br />
ad un minuscolo stand, sorvegliata dagli occhi liquidi<br />
e penetranti di un produttore afgano, che la esponeva<br />
quasi con gelosia in capienti ciotole come se si trattasse<br />
di un tesoro. E forse la sua uvetta lo era per davvero.<br />
Da custodire, ma necessariamente da vendere, in mille<br />
chicchi dorati, morbidi e pieni, pieni anche del dramma<br />
e della disperazione di una terra e dei suoi uomini. Mille<br />
come gli splendidi soli che lo scrittore afgano Khaled<br />
Hosseini nel suo celebre romanzo paragona, con im-<br />
mensa nostalgia, ai luccichii<br />
e ai rifl essi dorati<br />
che, in tempo di pace,<br />
vedeva provenire dalle<br />
cupole della sua città.<br />
E se è vero che il cibo<br />
sa evocare e trasmettere<br />
emozioni, credo non<br />
basterebbero mille parole<br />
per esprimere quello<br />
che si prova mentre<br />
si assapora anche un<br />
singolo chicco dell’uva<br />
passa di Herat.<br />
Sarina Vaccarella