2009 - Gustolocale

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30 di Amedeo Sandri abconsiderazioni Mater Familiae Implicazioni sociali e pedagogiche della fi gura materna nell’ambito familiare. Un ruolo da riconoscere e tutelare Al di là di quello che dicono i media e degli episodi di cronaca nera, continuo ad avere grande fi ducia nei giovani. Lo dico da privilegiato, da persona che lavora tutti i giorni in mezzo agli adolescenti nella scuola e che “raccoglie” continue informazioni sul loro modus vivendi. Presi uno per uno sono splendidi, generosi, altruisti, persino educati e rispettosi. Quando però sono in branco, “armati” di telefonino, si trasformano in bulli capaci di qualsiasi cosa, anche la più efferata. Che cosa manca a questi ragazzi? Quali sono i loro punti di riferimento? Come mai sembrano e sono così svogliati? Queste e, naturalmente, molte altre domande, mi pongo tutti i giorni. Una piccola conclusione credo di averla tratta, la grande funzione sociale della famiglia: padre e madre. Oggi, la fi gura del padre è quasi assente e quella della madre è una fi gura del tutto protettiva e ben poco obiettiva. Viviamo in un’epoca in cui per sopravvivere bisogna lavorare in due, oppure in uno, a patto che questo uno abbia un alto reddito o faccia almeno due lavori. I fi gli vanno prima al nido, poi all’asilo e quindi a scuola. A casa raccontano le loro verità alla
mamma, sapendo in partenza di venire protetti e difesi, anche nel caso in cui il il padre non fosse fosse del tutto d’accordo. Che cosa succedeva, non secoli, ma qualche decennio decennio fa? I bambini bambini sino all’età scolare, per la maggior parte, stavano con la madre, che prima li allattava, allattava, poi poi li li svezzava svezzava a a panà e passati di verdura dell’orto, quindi stava delle ore con con loro, loro, a partire dai dai quattro anni, per per insegnare dapprima a fare fare le “aste”, poi le vocali vocali e da da ultime le consonanti. All’età di di sei anni il bambino iniziava la scuola, andandoci accompagnato dalla madre la prima settimana e poi poi da da solo, a piedi, con la cartella. Spesso, come nel mio caso, aveva già servito Messa, quella delle 6 6 del mattino, mattino, celebrata celebrata in latino dal parroco e, subito dopo, dopo, con con la sporta e il libretto aveva fatto la spesa dal casolin. Alle 8 tutti in fi fi la, tutti uguali nel grembiule nero nero con colletto bianco, preceduti preceduti dal capoclasse e e dalla dalla maestra, anche lei lei di nero nero vestita, anche lei con la cartella. In classe classe niente cancellini cancellini o penne colorate, ma solamente la tavola inclinata, inclinata, inchiostro, pennini e carta assorbente. Ricreazione Ricreazione a metà mattina con panino panino farcito di sopressa o lardo, lardo, qualche volta volta mortadella, il venerdì venerdì fi - letti di sgombro sott’olio o fettina di formaggio “latte intero”. Da bere graspia o vin picolo in bottiglietta da quarto in vetro, piatta, con tappo in ceramica e guarnizione in gomma. La maestra si concentrava sull’insegnamento dell’italiano, dell’aritmetica, della geografi a e della storia, stabilendo giorni fi ssi per ciascuna materia e facendo fare tutti i giorni i compiti a casa. Gli indisciplinati maschi ricevevano qualche scappellotto sulle mani, le femmine sul sedere. Pianti a scuola e poi a casa, quando si raddoppiavano gli scappellotti dopo il racconto di quanto ac- Mater Familiae caduto il mattino. Poi la lezione, con la mamma vicino a fare da insegnante di sostegno, con la stessa rigidità della maestra mattutina. Finalmente merenda e sfogo all’oratorio con infuocate partite a pallone fra lupetti ed aspiranti, con il cappellano giovane a fare da arbitro. La sera, dopo aver lavà la rogna, cena a base di caffellatte o minestra, poi le preghiere, tutti insieme, inginocchiati sulle sedie di paglia e poi al “cinema bianchini”, sotto coperte e cuscini. Mia madre ha allevato allo stesso modo quattro fi gli, seguendoli passo passo nello studio, fi no alla maturità, riferendo ogni sera a mio padre i fatti della giornata, sentendosi realizzata e godendo per un bel voto che sentiva anche suo. Allevava conigli, galline, anatre e piccioni, coltivava l’orto, dal quale ricavava il fabbisogno per la famiglia, sapeva cucinare, cucire e ricamare e cantava benissimo. È morta senza percepire una lira di pensione e senza lamentarsi per questo, felice di aver cresciuto e sposato quattro fi gli e di essere diventata nonna. Io credo che una democrazia vera e lungimirante, dovrebbe far tesoro dell’altissima funzione sociale di una madre, anche e soprattutto oggi, e riconoscerle un compenso per questo suo “servizio”. La donna del terzo millennio deve essere messa nella condizione di poter liberamente scegliere se lavorare fuori casa o fare la madre e la moglie a tempo pieno, sapendo che la grande famiglia, lo Stato, le riconoscerà per questo una ricompensa adeguata per il servizio sociale svolto. E fi nalmente vi sarebbe una vera giustizia sociale, probabilmente si salverebbero anche molti matrimoni e i ragazzi avrebbero punti di riferimento certi ai quali guardare con fi ducia. Amedeo Sandri
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