2009 - Gustolocale
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si “fa l’amore come i conigli”. Insomma sono poche le lodi a questo lepride<br />
comparso sulla terra da oltre 1 milione d’anni, addomesticato di recente,<br />
che dalla sua patria d’origine, l’Africa Settentrionale sarebbe poi passato<br />
in Spagna, moltiplicandosi, come è noto, con sorprendente facilità. Tracce<br />
se ne hanno dagli Egiziani in poi: un papiro rappresenta un uomo che tiene<br />
per le orecchie un coniglio, i Fenici lo usavano normalmente, come i Romani.<br />
Ma la storia moderna inizia nel XIV secolo quando veneziani, genovesi,<br />
portoghesi e spagnoli, organizzate le prime spedizioni al di là delle colonne<br />
d’Ercole tentarono, in diverse occasioni, di diffonderlo nelle terre che andavano<br />
via via incontrando. La domesticazione fu merito dei monaci francesi i<br />
quali ne consentirono, a volte inconsapevolmente, la diffusione con grande<br />
vantaggio delle popolazioni più povere che impararono ad allevarli vicino<br />
alle case.<br />
È stato compagno del contadino da secoli a cui ha dato oltre che la carne<br />
anche la pelle. Chi non ricorda le pellicce di lapin, la lana d’angora?<br />
Era talmente usata la pelle che fi no agli anni ‘50 d’inverno si facevano, sui<br />
manubri delle biciclette, delle manopole, legate col fi l di ferro e con il pelo<br />
dentro, per tener calde le mani mentre si pedalava.<br />
C’era un motivo perché fosse così apprezzato nelle campagne. L’allevamento<br />
non richiedeva molto spazio: solo una gabbia sollevata da terra (per paura<br />
dei topi che mangiavano il mangime ed aggredivano i coniglietti) sotto un<br />
portico o in un angolo della stalla. I conigli stavano separati (solo un giorno o<br />
due si univano conigli di sesso diverso) e poi, dopo 30 giorni nascevano 7 o<br />
8 piccoli. Li crescevano fi no ad 1Kg e mezzo e poi li dividevano per non farli<br />
accoppiare. Li nutrivano di erba fresca, non bagnata e lasciata ad appassire<br />
qualche giorno in modo che le erbe velenose, come il ranuncolo, perdessero<br />
effi cacia. Il coniglio assorbe molto, nel suo sapore, la natura delle erbe che<br />
mangia, fi no a diventare amaro se viene utilizzato, ad esempio, il fi eno greco<br />
e l’erba medica. Andava bene anche il fi eno, si faceva un pastone con semola,<br />
sorgo macinato e pane raffermo bagnato. Chi non aveva campi mandava<br />
i bambini lungo i fossati a raccogliere l’erba. L’Artusi, da sempre critico<br />
feroce per quello che riguarda alcuni tipi di carne (ricordiamo che detestava<br />
il baccalà) è qui più tollerante. Sentite: “È una carne di non molta sostanza<br />
e di poco sapore al che si può supplire con i condimenti; ma è tutt’altro che<br />
cattiva e non ha un odore disgustoso anzi è sana e non indigesta come quella<br />
dell’agnello”. Qualche ragione l’aveva, ai suoi tempi, perché il coniglio,<br />
come dicevo, trasferisce più di qualsiasi altro animale il sapore di ciò che<br />
mangia nel sapore della carne. Ma ora non è più così.<br />
Tempi passati: ora il coniglio è allevato con metodi modernissimi ed è prodotto<br />
di rilevante importanza. In Europa siamo il primo paese per produzione,<br />
con il 44%, seguiti dalla Francia con il 25% e dalla Spagna con il 17%,<br />
tutti gli altri paesi coprono il 14%. E ciò che è ancora più importante è che il<br />
Veneto è il leader italiano, con il 42% della produzione nazionale, il che vuol<br />
dire quasi 20 milioni di capi all’anno. La produzione veneta è certifi cata nella<br />
qualità, tanto che una parte di essa viene commercializzata col marchio di<br />
garanzia. Il coniglio ha bisogno di circa 90 giorni d’allevamento (contro i 38<br />
del pollo) ed è carne ricca di proteine ed aminoacidi, ha un bassissimo tasso<br />
di colesterolo, è povera di sodio ed è facilmente digeribile.<br />
Se è vero che l’alta ristorazione ancora non lo utilizza molto (ma vi sono<br />
stupende ricette della Mirella Cantarelli, dell’Enoteca Pinchiorri, di Nino Bergese,<br />
di qualche anno fa), si ha invece un bella serie di ricette casalinghe in<br />
ogni regione d’Italia. Regina, in questo campo è la Liguria, dove, proprio per<br />
la natura del terreno montano che impedisce i vasti allevamenti, il coniglio è<br />
da sempre molto utilizzato.<br />
Ad Ischia, in Campania, vi è un modo per allevarlo praticamente allo stato<br />
semibrado, permettendo all’animale di vivere in grotte di tufo ed alimentarsi<br />
ad erba. Viene chiamato coniglio di fossa e ne parleremo nel proseguo della<br />
rivista. Anche in Sicilia l’uso del coniglio è frequente ed alcune ricette lo vedono<br />
unito al cioccolato o allo zafferano, in un gusto che trae dagli arabi la<br />
propria storia. Incredibilmente negli Usa il consumo di coniglio è praticamente<br />
a zero: non è un piatto che viene preparato. Il coniglietto è, per loro, l’animale<br />
simbolo della Pasqua.<br />
In compenso sono loro ad aver inventato le “conigliette” di Playboy. Non si<br />
mangiano ma sono, pur sempre, bocconcini godibili!<br />
Alfredo Pelle<br />
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