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Prelibatezza da gustare lentamente - Gustolocale

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Corgnói:<br />

<strong>Prelibatezza</strong> <strong>da</strong> <strong>gustare</strong> <strong>lentamente</strong><br />

12<br />

Un piatto saporito e magro, riservato a palati fini<br />

Al giorno d’oggi la carne costituisce un elemento fon<strong>da</strong>mentale della nostra alimentazione,<br />

che non si limita al “secondo piatto”, ma spesso è protagonista dell’intero<br />

pasto.<br />

Come risaputo, i nostri padri invece mangiavano raramente carne e solo i siùri<br />

potevano permettersela ogni giorno. I piatti preparati erano quasi sempre gli stessi<br />

e per sopperire alla fame si cercava ogni espediente: si ricorreva così a cibi che<br />

non serviva comprare, che Madre Terra donava a coloro che li sapevano scovare.<br />

Per secoli ritenuti alimenti <strong>da</strong> poaréti, “stranamente” oggi sono ambiti <strong>da</strong>i<br />

buongustai.<br />

Nell’alta valle del Chiampo, tra prati verdeggianti e briosi ruscelli, spunta, su uno<br />

sperone di roccia, un grazioso paese: Crespadoro. Qui i corgnói godono di antico e<br />

inalterato prestigio e in loro onore e ogni anno in dicembre viene organizza una<br />

grande festa: la “mostra-mercato dei corgnói”, con manifestazioni ricreative e<br />

culturali, che richiama appassionati anche <strong>da</strong> fuori regione.<br />

Un appuntamento a cui partecipano migliaia di buongustai che qui si sentono in<br />

famiglia. Un borgo, non un feudo. Un luogo dove gente aperta e cordiale accoglie<br />

il visitatore con sorrisi, gentilezze ed attenzioni, trascinando grandi e piccini nella<br />

Festa di questo posto invidiato per la sua straordinaria bellezza naturale. Ma sopra<br />

ad ogni contra<strong>da</strong> e ogni valle, il profumo e il gusto dei corgnói prevale su tutto…<br />

La presenza e il consumo di una particolare specie di lumache (scientificamente:<br />

la helix pomatia opercolata) sono segnalati in loco già <strong>da</strong>l ‘600, ma tutto lascia<br />

supporre che fosse diffusa ben prima. Pertanto questo alimento fa certamente<br />

parte della dieta locale con una caratteristica ricetta ereditata <strong>da</strong> un lontano<br />

passato.<br />

Le lumache vengono raccolte nel territorio, particolarmente a<strong>da</strong>tto al loro habitat,<br />

<strong>da</strong> luglio in poi, quindi dopo il periodo riproduttivo. Sono però quelle raccolte<br />

d’inverno ad essere considerate le migliori: per recuperale si utilizza un utensile, il<br />

“raspacorgni”, <strong>da</strong> cui il nome di corgnói de raspa.


Verso un rilancio degli allevamenti<br />

In occasione della mostra-mercato dei corgnói, si è tenuta una conferenza sull’argomento nella nuova<br />

sala del comune di Crespadoro.<br />

Il Sin<strong>da</strong>co di Crespadoro Alessandro Mecenero ha <strong>da</strong>to il via ai lavori concedendo la parola al dottor<br />

Giovanni Ronzani, specialista nelle scienze dell’alimentazione, che con un’attenta e dettagliata<br />

relazione ha sottolineato quanto sana e importante può essere la carne della lumaca. E proprio grazie<br />

ai notevoli valori nutritivi e ai pochi grassi questo è un alimento ideale per una dieta equilibrata: un<br />

intelligente piatto unico.<br />

È toccato poi a Giuseppe Cenzon, esperto in elicicoltura, soffermarsi sulla loro alimentazione:<br />

mangiano esclusivamente alimenti naturali come il ravizzone o il girasole, e non accettano cibi che non<br />

siano di loro gradimento, a costo di lasciarsi defungere. Una garanzia che assicura un prodotto sano e<br />

naturale anche quando è allevato.<br />

Ma gli interventi più interessanti sono stati quelli della Presidente della Provincia Manuela Dal Lago e<br />

del Consigliere Regionale Giuliana Fontanella: hanno lanciato l’idea di valorizzare quest’importante<br />

risorsa dell’Alta Valle del Chiampo, sviluppando l’allevamento e la gastronomia in loco, possibilmente<br />

con un agriturismo dedito unicamente a questo progetto, assicurando attenzione e, nelle possibilità<br />

delle istituzioni, anche sostentamento.<br />

Un’importante occasione che le amministrazioni del luogo, e perché no, anche i privati sensibili a<br />

questo richiamo, non devono lasciarsi sfuggire. Il sasso è stato tratto…<br />

La conferenza si è conclusa con la premiazione del miglior corgnólo in esposizione, che ha visto<br />

vincitore Luigi Tibaldo per la categoria “residenti” e Teresa Cavaliere per quella dei “non residenti”.<br />

Emozionante è stata la partecipazione al concorso di numerosi bambini, che con la loro semplicità<br />

hanno reso per un giorno questo animaletto il Re del bosco.<br />

Roberto Gasparin<br />

Gli ospiti intervenuti al convegno (in senso orario): Alessandro<br />

Mecenero, Giovanni Ronzani, Manuela Dal Lago, Giuseppe Cenzon


14<br />

Ravioli di lumache<br />

Preparare<br />

Foto di Giuliano Francesconi<br />

La rubrica Arte in Tavola è a cura<br />

del Prof. Piergiorgio Casara “filosofo enogastronomo"<br />

e della prof. Cristina Borin “docente di storia dell'arte”<br />

un brodo vegetale leggermente salato con cinque<br />

litri d’acqua, una cipolla, la carota, il se<strong>da</strong>no e la patata.<br />

Lavorare la farina con cinque uova, fino ad ottenere un<br />

impasto liscio ed elastico, che dovrà riposare per circa<br />

mezz’ora avvolto in un panno. In una terrina di coccio,<br />

mettere a imbiondire nell’olio una cipolla tritata e lo spicchio<br />

d’aglio, sfumando con il vino; quindi aggiungere le lumache e<br />

portarle a cottura per circa due ore irrorandole di tanto in<br />

tanto con il brodo. A cottura ultimata, frullare le lumache,<br />

aggiungere il prezzemolo, un uovo e pane grattugiato<br />

(quanto basta ad ottenere un impasto sodo per il ripieno).<br />

Regolare sale e pepe. Stendere la pasta, tagliare i ravioli (48<br />

dischi di 5 cm circa di diametro oppure 24 quadrati di 8 cm),<br />

collocare al centro una noce di ripieno, inumidire il bordo<br />

(meglio con chiara d’uovo), sovrapporre un secondo pezzo di<br />

pasta e premere leggermente tutto intorno per chiudere. In<br />

una padella, far appassire nell’olio un trito sottile di cipolla,<br />

aggiungere un cucchiaino di curry, stemperare la panna,<br />

eventualmente con un cucchiaio di brodo, regolando il sale.<br />

Cuocere i ravioli nel restante brodo, privato delle verdure, per<br />

un tempo variabile <strong>da</strong> 3 a 6 minuti, secondo lo spessore della<br />

pasta. Condire i ravioli (4 tondi o 2 quadrati per porzione) con<br />

la crema al curry e parmigiano e guarnire ogni piatto con un<br />

ciuffetto di prezzemolo fresco, possibilmente riccio. A piacere,<br />

saltare i ravioli per un minuto circa nella padella di<br />

preparazione del curry.<br />

Ricetta di Santo Altissimo<br />

Vino consigliato Garganega “Pico de’ Laorenti”,<br />

La Biancara - Gambellara


La composizione delle forme<br />

Dopo i più comuni interventi di trasformazione di alimenti, preparati o tagliati secondo una vasta<br />

possibilità di forme diverse, ora dobbiamo collocarli sul piatto per la presentazione in tavola,<br />

costruendo una composizione formale e cromatica elegante e raffinata. Nel costruire tali piatti,<br />

sono stati utilizzati alcuni fon<strong>da</strong>mentali principi desunti <strong>da</strong>lle teorie e <strong>da</strong>lle leggi della percezione<br />

visiva e della configurazione, argomenti al centro delle riflessioni che proponiamo qui di seguito.<br />

Consideriamo allora, per prima cosa, il supporto in se stesso, così come l’artista sceglie la tela<br />

per il proprio quadro. Nella teoria della percezione, la superficie che costituisce il fondo di<br />

un’immagine è definita campo e appare dotata di una forma e di uno scheletro strutturale<br />

interno: quest’ultimo, costituito essenzialmente <strong>da</strong>lle linee mediane verticale orizzontale e<br />

diagonali e <strong>da</strong>l centro, determina qualitativamente le varie zone della superficie, nelle quali<br />

saranno collocati i diversi elementi formali e cromatici che comporranno la configurazione.<br />

Istintivamente, tendiamo a leggere una configurazione secondo due mo<strong>da</strong>lità fon<strong>da</strong>mentali, <strong>da</strong><br />

sinistra verso destra (il nostro abituale verso di lettura e di scrittura) e <strong>da</strong>l centro verso l’esterno.<br />

LA MODALITÀ ORTOGONALE<br />

La prima mo<strong>da</strong>lità tiene conto della suddivisione del campo percettivo in quadranti, suddivisione<br />

ottenibile tracciando virtualmente le mediane perpendicolari. Secondo questo schema,<br />

attribuiamo valori qualitativi diversi e significati specifici ad alcune zone di riferimento, come alto<br />

basso sinistra destra. Per esempio, la mediana orizzontale ci suggerisce sempre la linea<br />

dell’orizzonte ed una suddivisione del campo in alto e basso; a questi due valori associamo l’idea<br />

di “più leggero” e “più pesante”, che corrisponde alla nostra realtà dominata <strong>da</strong>lla forza di<br />

gravità: ciò che si colloca sotto la linea dell’orizzonte viene percepito come più pesante, ciò che<br />

sta sopra appare più leggero. Allo stesso modo, una forma collocata nella parte sinistra del<br />

campo suggerisce la possibilità di un movimento verso destra, mentre ciò che si trova a destra<br />

appare frenato <strong>da</strong>l margine del campo stesso. Disponendo le varie forme nelle diverse zone,<br />

possiamo di volta in volta suggerire, enfatizzare, contraddire i diversi significati, il tutto in una<br />

gamma abbastanza ampia di soluzioni intermedie. Altresì, collocando nella stessa preparazione<br />

due forme simili in posizioni simmetriche, ad esempio una in alto e una in basso oppure una a<br />

sinistra e una a destra, neutralizziamo i significati specifici, perché accostiamo due elementi<br />

equivalenti ma di valore opposto. Si crea allora una situazione di equilibrio, nella quale nessuna<br />

forma emerge sulle altre, come si può vedere nella presentazione dei “Ravioloni di lumache”,<br />

costruita sull’orizzontale e su una diagonale.<br />

Arte in tavola<br />

Tempo di esecuzione 3 ore<br />

Dosi per 6 persone<br />

Ingredienti<br />

40 lumache pulitissime<br />

1 spicchio d’aglio<br />

1 cucchiaio di prezzemolo<br />

tritato<br />

parmigiano grattugiato<br />

olio extravergine d’oliva<br />

1 bicchiere di vino bianco secco<br />

3 cipolle, 1 carota, 1 costa di<br />

se<strong>da</strong>no, 1 patata<br />

una confezione di panna <strong>da</strong><br />

cucina<br />

pane grattugiato<br />

6 uova<br />

500 gr di farina bianca 00<br />

sale, pepe, curry<br />

Attrezzature particolari uno<br />

stampo per tagliare i ravioli, un<br />

frullatore<br />

15


16<br />

Lumache alle erbette e tartufo<br />

Tempo di esecuzione 8 ore<br />

Dosi per 8 persone<br />

Ingredienti<br />

80/100 lumache già purgate, sgusciate<br />

e pulite<br />

1/2 litro di aceto di vino bianco<br />

1 carota, 1 cipolla, 1 costa di se<strong>da</strong>no,1<br />

spicchio d’aglio<br />

un mazzetto di erbette (salvia,<br />

rosmarino, maggiorana, basilico,<br />

origano, menta, prezzemolo)<br />

2 chiodi di garofano<br />

2/3 foglie d’alloro<br />

1/2 bicchiere di olio extravergine di<br />

oliva<br />

30 gr di burro<br />

1 pizzico di bicarbonato<br />

1 bicchiere di vino al melograno o il<br />

succo di 1 melograno (facoltativo)<br />

1/2 di bicchiere di vino bianco secco<br />

1 tartufo<br />

20 gr di pinoli tritati<br />

20 gr di noci tritate<br />

formaggio grana grattugiato<br />

1 bicchiere di brodo<br />

sale e pepe<br />

LUMACHE ALLE ERBETTE E TARTUFO<br />

La presentazione è classica, giocata su un piatto di foggia tradizionale, bianco con una bor<strong>da</strong>tura dentellata,<br />

semplice ma raffinato. La preparazione di lumache occupa la zona centrale, disposta con un leggero<br />

an<strong>da</strong>mento a spirale che assecon<strong>da</strong> la rotondità del supporto e, nello stesso tempo, richiama il guscio del<br />

mollusco. E’ una presentazione che si presta a ricette con ingredienti di piccola pezzatura, come appunto le<br />

lumache, o i funghi o uno spezzatino. La spirale tende verso l’esterno, aprendosi in un leggero disordine che<br />

conferisce naturalezza alla struttura visiva e permette di isolare e valorizzare qualcuno degli ingredienti<br />

principali. In sé, il colore della preparazione è poco variato, prevalentemente bruno, pertanto deve essere<br />

rialzato con il tono chiaro dei pinoli e bilanciato con la guarnizione verde della foglia di ortica. Il guscio di<br />

lumaca consente l’immediata identificazione del cibo.<br />

In un recipiente capiente, mettere a<br />

bagno per due ore le lumache in<br />

abbon<strong>da</strong>nte acqua acidificata con<br />

l’aceto di vino bianco, quindi risciacquarle<br />

accuratamente.<br />

Preparare un trito con cipolla, aglio,<br />

se<strong>da</strong>no, carota, salvia, rosmarino,<br />

maggiorana, basilico, menta,<br />

origano, prezzemolo e chiodi di<br />

garofano; metterlo in un tegame<br />

con l’olio e il burro e lasciarlo<br />

soffriggere dolcemente. Aggiungere<br />

le lumache e le foglie d’alloro intere,<br />

una macinata di pepe e il pizzico di<br />

bicarbonato. Far insaporire per circa<br />

cinque minuti. Salare e aggiungere il<br />

vino bianco ed, eventualmente, il<br />

vino al melograno o il succo di<br />

melograno. Coprire il tegame e far<br />

cuocere a fuoco basso per almeno<br />

sette ore, ammorbidendo di tanto in<br />

tanto con un po’ di brodo. A cottura<br />

ultimata, preparare a parte una<br />

crema con il formaggio grattugiato, i<br />

pinoli e le noci tritate, un po’ di<br />

brodo e il tartufo a scaglie. Versare<br />

la crema sopra le lumache e far<br />

cuocere il tutto per circa 10 minuti,<br />

sempre mescolando.<br />

Ricetta di Zaira Nussio Fietta<br />

Vino consigliato: Colli Berici<br />

Sauvignon Vigneto Fostine –<br />

Piovene Porto Godi


Mondo VINO<br />

Dall’amore per la vite…<br />

il Cìo Bacaro<br />

Del Tocai Rosso è stato detto tutto?<br />

Non di certo, se ci soffermiamo al Cìo Bacaro di Pialli.<br />

Azien<strong>da</strong> agricola<br />

PIALLI ALESSANDRO<br />

Via Fabiani 22 - Barbarano<br />

0444-886788<br />

L’azien<strong>da</strong> agricola Pialli è nata <strong>da</strong>ll’esperienza vitivinicola<br />

di due famiglie storicamente produttrici di vino a<br />

Barbarano Vicentino, cuore dei Colli Berici e patria del<br />

Tocai Rosso. I vecchi vigneti sono stati rimpiazzati con<br />

un clone selezionato di Tocai Rosso, varietà di uva<br />

autoctona scelta <strong>da</strong>ll’azien<strong>da</strong> come specchio<br />

dell’identità Berica. Alessandro e Fiorenzo Pialli<br />

gestiscono questo piccola realtà vitivinicola curando il<br />

vigneto con lavoro certosino come fosse un figlio,<br />

utilizzando metodi biologici, sostenendo ripetuti ed<br />

accurati dira<strong>da</strong>menti, coccolando ogni grappolo scelto<br />

per raggiungere lo scopo… Una produzione di un solo kg<br />

d’uva per vigna: grappoli perfetti, maturi e sani, raccolti<br />

a vendemmia tardiva con elevate concentrazioni di<br />

sostanze fenoliche e zuccheri, vinificati quindi con una<br />

lunga macerazione sulle bucce e con una fermentazione<br />

solo parzialmente controllata che permette<br />

un’estrazione eccezionale. Ne risulta un vino pieno,<br />

carico, sapido, strutturato e di notevole grado alcolico<br />

completamente diverso <strong>da</strong>l classico Tocai Rosso; il<br />

lungo affinamento in botti di rovere <strong>da</strong> 500 litri per un<br />

anno e la permanenza di un minimo di sei mesi in<br />

bottiglia, trasformano la passione e l’amore di ogni<br />

giorno per il vigneto in un vino unico, ricco di emozioni, sicuramente di nicchia.<br />

Profumi originali e carattere forte, colori e sentori del bosco donano un’esperienza unica nella<br />

degustazione meditativa, sposo perfetto di grandi piatti di carne rossa, formaggi invecchiati<br />

e spiedi proibiti. Un percorso di sacrifici in campo che auspichiamo dia grande soddisfazione<br />

all’idea del “Cìo Bacaro”, valorizzazione di una grande varietà che rappresenta la storia e la<br />

tradizione del classico vino di Barbarano.<br />

17


18<br />

Sfumature culinarie<br />

Giannino Marzotto racconta se stesso in un libro di memorie:<br />

ritratto di una vita vissuta con passione.<br />

Anche, e soprattutto, per la buona cucina.<br />

Una di quelle vite che a raccontarle sembrano un romanzo.<br />

Giannino Marzotto, classe 1928, è stato prima pilota d’aereo e di<br />

auto <strong>da</strong> corsa (ha vinto le Mille Miglia del ’50 e del ’53), poi<br />

capitano della grande industria e sperimentatore di nuove<br />

imprese. Sempre: buongustaio e amante del buon vivere.<br />

Il conte Marzotto ha finalmente ceduto alle pressioni di chi lo<br />

invitava a fissare i ricordi in un’autobiografia. Ne è uscito Così è<br />

o mi parve, 300 pagine scritte con penna graffiante, com’è nello<br />

stile dell’uomo. Racconta una vita vissuta “sotto il segno dell’intensità”<br />

tra gare, aziende, amori e passioni. Su tutte, una occupa<br />

il capitolo più voluminoso: quella per la buona tavola.<br />

In realtà il conte Marzotto ripropone un ampio stralcio di un libro<br />

già pubblicato in precedenza e scritto a quattro mani con Isabella<br />

Fucale, <strong>da</strong>l titolo Arte e sfumature culinarie. Non è contenuta<br />

nemmeno una ricetta, ma vi si trova concentrato il Mazottopensiero<br />

sulla cucina.<br />

Parte <strong>da</strong>i dieci coman<strong>da</strong>menti culinari, tra i quali: “non uccidere<br />

il commensale, è la vostra ragione di cucina!”. Con sorprendente<br />

ironia invita all’equilibrio e alla ponderazione; e così se non si<br />

deve ammazzare gli ospiti “con erbe ed odori in misura eccessiva<br />

che travolgono il vero sapore delle pietanze”, il conte rifugge con<br />

decisione le mode e si fa beffa di chi le deve seguire a tutti i costi.<br />

Ne escono spunti interessantissimi per piatti tradizionali e<br />

insieme innovativi, di cui la coppia Marzotto-Fucale fornisce solo<br />

indicazioni di massima, lasciando al lettore la possibilità di<br />

mettersi ai fornelli per sperimentare a modo proprio.<br />

Non mancano istruzioni dettagliate sulle dotazioni della cucina<br />

ideale e il vademecum per la preparazione di una cena in famiglia<br />

o di un grande ricevimento. Infine il conte si toglie qualche<br />

sassolino della scarpa. “…la massima classe consiste nell’avere<br />

sommelier con biberon d’argento nelle loro belle divise <strong>da</strong> pompe<br />

funebri. Essi frenano la libera iniziativa dell’ospite e rallentano il<br />

consumo…”. Evidentemente preferisce la bottiglia in tavola.


A tavola con il Conte<br />

Giannino Marzotto ama incontrare la gente a tavola, nella sua casa di Trissino.<br />

Che siano amici, uomini d’affari o giornalisti interessati ad un’intervista.<br />

“Si accomodi – mi dice – è quasi pronto. Gradisce un aperitivo?” È un Lessini<br />

Durello dei Colli Vicentini “buono e con un ottimo prezzo” sottolinea.<br />

Zoran, il suo cuoco personale, porta in tavola come antipasto un paté di sgombro<br />

e del fegato con radisello. Oggi non ha cucinato, ma quando può il conte si mette<br />

personalmente ai fornelli. “Mi piace sperimentare – spiega – e quando sono <strong>da</strong><br />

solo mi lascio an<strong>da</strong>re con prove ardite, talvolta escono cose immangiabili”.<br />

“Qual è il piatto che le riesce meglio?” chiedo. Il padrone di casa vuole l’opinione<br />

degli ospiti presenti: dopo un breve consulto, l’idea prevalente è che sia “l’Agnello<br />

alla provenzale”, preparato con pane grattugiato, timo e origano.<br />

“Per me la qualità della vita è questa – confessa – stare a tavola con gli amici<br />

<strong>da</strong>vanti ad un caminetto acceso, bere un bicchiere di vino e <strong>gustare</strong> qualche buon<br />

piatto. Amo le parole in libertà, non mi sottraggo mai al confronto: farlo in modo<br />

conviviale lo rende ancor più apprezzabile. Quella che era la passione per la velocità della mia giovinezza, che mi portava a correre in automobile,<br />

oggi è diventata questo: nella convivialità trovo la stessa intensità di vita”.<br />

Arrivano in tavola canederli allo speck, si stappa un Malbech della Santa Margherita. “Adoro i piatti semplici e non cerco le commistioni di sapori<br />

– spiega – purtroppo molti di questi gusti si stanno perdendo per colpa di leggi assurde. Per questo motivo faccio <strong>da</strong> me le sopresse. Ogni anno<br />

in autunno acquisto un maiale, lo allevo per gli ultimi mesi e poi lo faccio<br />

macellare. Così posso far su le sopresse come una volta. Ma bisogna saper<br />

attendere: dice il proverbio che la sopressa deve passare un anno <strong>da</strong> viva<br />

e una <strong>da</strong> morta, quindi maiali di un anno di età e invecchiamento per un<br />

altro anno”.<br />

Per secondo Zoran serve una tagliata di filetto. “Amo la carne, la selvaggina<br />

in particolre, ma anche molto il pesce, perché sono sempre stato un uomo<br />

di mare. I formaggi mi piacciono saporiti, purtroppo se ne trovano ben<br />

pochi in commercio. Mi piace l’Asiago Stravecchio, ma bisogna saperlo<br />

scegliere, oppure compro il puzzone di Moena e lo lascio affinare un altro<br />

anno nella mia cantina, perché altrimenti sa di poco”.<br />

Un gelato al fiordilatte con marasche sotto grappa è il dessert che conclude<br />

la nostra colazione. “Conte Marzotto, riceve quotidianamente ospiti e<br />

spesso personalità importanti. Tutti parlano di lei come di un ottimo cuoco<br />

e un eccellente ospite. Avrà qualche segreto, no?”<br />

“Diciamo di sì, ad esempio non eccedo mai con le dosi: bisogna fare in<br />

modo che il commensale faccia scarpetta. Odio gli eccessi. E poi, così gli<br />

resta un po’ di voglia di tornare”.<br />

Michele Bertuzzo<br />

19


20<br />

I vicentini<br />

magna<br />

la Gata<br />

di Paolo Terragin<br />

Finalmente ora anche il Vicentino ha<br />

il suo dolce, alla pari di Vienna, che<br />

esporta in tutto il Mondo la sua Sacher<br />

Torte, o del pandoro di Verona, il panettone<br />

di Milano, il tiramisù travisano, e via dicendo.<br />

Per la verità nel Vicentino esistono già diversi<br />

prodotti di pasticceria locale: <strong>da</strong>lla torta Ortigara di Asiago,<br />

alla Meringrappa di Bassano, <strong>da</strong>l Gateau di Schio (e anche i pandoli), alla<br />

Treccia di Thiene. Ma un vero dolce <strong>da</strong> “esportazione” tipico Vicentino ancora<br />

non esisteva. Ci hanno pensato i pasticceri artigiani della provincia di Vicenza<br />

dopo anni di idee, lavoro, tentativi e prove. Alla fine è uscito un dolce che<br />

ricor<strong>da</strong> a tratti la classica torta Margherita, a tratti la Sacher, <strong>da</strong>l tono<br />

comunque tutto vicentino. Infatti fra gli ingredienti principali troviamo<br />

la farina di frumento, burro, uova, mandorle, latte, miele, arance<br />

candite, cioccolato fondente, grappa e farina di mais.<br />

Fatta la torta bisognava trovare il nome: un nome Vicentino ma non<br />

troppo sfruttato. Ecco quindi spuntare il dolce Palladio, il Rustego, il<br />

Berico… ma ci voleva qualcosa di più legato alla tradizione, che


ichiamasse in un sol nome il<br />

Vicentino.<br />

L’idea giusta è venuta al<br />

vulcanico Giuliano<br />

Cremasco che ha pensato<br />

bene di accostare al nome<br />

del dolce un detto<br />

conosciuto in tutta Italia:<br />

“Vicentini magna gati”. E<br />

se invece di gati si<br />

mangiasse la Gata?<br />

Detto fatto, e così il<br />

gruppo pasticceri (19<br />

quelli che hanno la<br />

loro disciplinare<br />

depositata in Camera di Commercio)<br />

capitanato <strong>da</strong> Carlo Pozza, ha deciso che il nuovo dolce<br />

vicentino fosse La Gata.<br />

Simpatica la confezione: all’interno uno stencil e una bustina<br />

di zucchero a velo per comporre le orme del gatto sulla torta.<br />

Un dolce che può essere consumato fino ad un mese <strong>da</strong>lla<br />

preparazione, ma ricor<strong>da</strong> Roberto Agosti: “come tutte le cose<br />

buone è consigliabile consumarlo nella sua intera freschezza,<br />

magari accompagnato con uno zabaione o una crema<br />

pasticcera alla vaniglia<br />

leggermente liqui<strong>da</strong>”.<br />

L’accostamento<br />

ideale è con un buon<br />

recioto passito della<br />

vicina Gambellara.


22<br />

Una nuova sfi<strong>da</strong>: RIFUGIO VALDAGNO!<br />

Inaugurata a Recoaro Mille la nuova gestione del locale<br />

All’altezza di 1000 metri sul livello del mare, ai piedi delle Piccole Dolomiti si<br />

trova una nota località turistica: è Recoaro Mille. In questo periodo invernale<br />

è in grado di esibire un paesaggio mozzafiato: neve, sole e montagne fuse<br />

in un’unica indimenticabile armonia. Per sciatori esperti e meno esperti un<br />

autentico paradiso.<br />

Recoaro Mille offre l’ottimale combinazione tra vegetazione, sport invernali<br />

e buone attività ristorative. Tra queste ultime troviamo il “Rifugio Val<strong>da</strong>gno”,<br />

ormai storico bar-albergo-ristorante che recentemente ha riaperto i battenti<br />

in grande stile, grazie alla Cooperativa Sociale “Il Gabbiano”.<br />

La cooperativa, impegnata <strong>da</strong> anni nel recupero sociale dei giovani, dopo il<br />

successo con la gestione dell’attività ristorativa della “Malga Nuova”, lancia<br />

ora una nuova sfi<strong>da</strong> con l’apertura e la gestione di un nuovo locale. Si<br />

focalizza così su un’offerta alternativa, che promette per il prossimo futuro<br />

grande innovazione.<br />

Gli ospiti che si recheranno al “Rifugio Val<strong>da</strong>gno”, non troveranno i soliti<br />

cuochi o camerieri, ma una vera e propria brigata professionale, attenta alle<br />

particolari esigenze della clientela, formata <strong>da</strong> uno staff di persone che<br />

stanno seguendo un programma ergo-terapeutico di reinserimento<br />

sociale.<br />

“Il progetto - spiega l’educatore Daniele Castano - si basa sul ria<strong>da</strong>ttamento<br />

della persona problematica ad una nuova idea di socializzazione.<br />

Vede il soggetto in grado di essere impiegato e reinserito con congrua<br />

professionalità e responsabilità nell’ambiente social-culturale evolutivo.<br />

Niente di meglio, a questo scopo, del settore ristorativo”.<br />

I clienti saranno coccolati<br />

al loro arrivo <strong>da</strong>l maitre di<br />

sala, Giancarlo Cubi, che<br />

li saprà accompagnare<br />

alla scoperta dei gusti<br />

che spazieranno <strong>da</strong>lla<br />

cucina internazionale alle<br />

specialità locali. Una<br />

cucina sempre creativa e<br />

leggera, curata <strong>da</strong>llo chef<br />

Alessandro Tessaro,<br />

sapientemente<br />

selezionata e diretta con<br />

grande maestria.<br />

Ogni mese l’inserto della<br />

La stra<strong>da</strong> del formaggio<br />

<strong>da</strong> staccare e conservare<br />

Vanessa Lovato<br />

a cura di Emilio Nizzero<br />

delegato provinciale O.N.A.F.<br />

Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Formaggio<br />

NEL PROSSIMO NUMERO:<br />

- Marano Vicentino<br />

- Breganze<br />

- Sandrigo


La stra<strong>da</strong> del formaggio<br />

Torrebelvicino<br />

Caseificio Sociale Centro.<br />

Società Cooperativa Agricola Torrebelvicino.<br />

Lasciata Schio in direzioni Valli del Pasubio, appena la stra<strong>da</strong> si inerpica sulla<br />

salita del Cristo si arriva a Torrebelvicino.<br />

Un tempo ai lati della stra<strong>da</strong> si poteva godere di una splendi<strong>da</strong> campagna<br />

rinomata e invidiata per la sua fertilità; ma negli anni ’60 avvenne l’occupazione<br />

del suolo a fine urbanistico che ne determinò la pressoché totale<br />

scomparsa.<br />

Nonostante ciò a Torrebelvicino esiste ancora e forse per poco un piccolo<br />

casello denominato Caseificio Sociale Centro.<br />

Da documenti che certificano l’acquisto del terreno dove esso è tutt’ora<br />

ubicato si può risalire alla <strong>da</strong>ta della sua costituzione.<br />

“Per conto nome e interesse della costituen<strong>da</strong> società denominata Caseificio<br />

Sociale di Torrebelvicino <strong>da</strong> parte di Antonio Fanchin fu Giuseppe e <strong>da</strong>l sig.<br />

Antonio Grotto fu Luigi, su questo terreno sorgerà la latteria… 2 settembre<br />

1903”. Ben presto il caseificio divenne punto di riferimento per gli allevatori<br />

della zona tanto che il numero dei soci superò ben presto il centinaio.<br />

I soci che attualmente conferiscono il latte al Caseificio sono attualmente 14<br />

e provengono quasi esclusivamente <strong>da</strong>lle contrade di Torrebelvicino, <strong>da</strong> Valli<br />

del Pasubio e Staro.<br />

È una piccola realtà ma questa è anche il suo punto di forza visto che si può<br />

lavorare il latte ancora in forma artigianale.<br />

Anche la produzione di latte per unità di bovino è molto ridotta 35 q.li per<br />

vacca contro una media di produzione di 85 q.li.<br />

Questo è senz’altro a favore della qualità.<br />

I formaggi prodotti non hanno una denominazione specifica, essi rispecchiano<br />

la tecnologia di produzione dell’Asiago.<br />

Eccezion fatta per l’utilizzo di latte intero anche per la produzione del<br />

formaggio destinato alla stagionatura che si protrae fino ad oltre i 12 mesi.<br />

Abitanti: 5.471; superficie: 20,81 kmq;<br />

altitudine: 260 metri s.l.m.;<br />

dista <strong>da</strong> Vicenza: 30 km.<br />

Frazioni: Enna, Pievebelvicino.<br />

Gli storici, con sufficiente certezza, hanno<br />

individuato nei Reti gli antichi progenitori<br />

dell’attuale popolazione di Torrebelvicino. I<br />

Reti abitavano le valli ed i monti presenti in<br />

tutte le Alpi centro-orientali ed avevano il loro<br />

centro religioso a Magrè di Schio, dove furono<br />

rinvenuti molti reperti fra i quali delle corna di<br />

cervo con incise interessanti iscrizioni.<br />

Secondo una recente interpretazione, il<br />

suffisso “Belvicino” si potrebbe far risalire alla<br />

lingua retica e significherebbe “il luogo sacro<br />

vicino a conca rigogliosa d’acqua”. Si affi<strong>da</strong> poi<br />

all’origine romanica, quindi in tempi<br />

successivi, l’uso del toponimo “Torre” che<br />

deriverebbe <strong>da</strong> una postazione difensiva<br />

strategica a forma di torrione eretta in<br />

posizione dominante, forse dove ora sorge la<br />

chiesa di S. Lorenzo, per consentire il controllo<br />

della lunga via romana che univa la Postumia<br />

<strong>da</strong> Vicenza alla Vallarsa, attraverso una valle<br />

vigra cioè incolta e selvaggia la “Vallesvogre”<br />

poi Val Leogra.<br />

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