La strada del formaggio - Gustolocale
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Grappa: un nome vicentino<br />
pagina 2<br />
Alla corte <strong>del</strong> Kaiser<br />
pagina 6<br />
Creazzo:<br />
terra <strong>del</strong> Broccolo Fiolaro<br />
pagina 16<br />
Virgilio fra penna e forchetta<br />
pagina 40<br />
Sommario<br />
Grappa: un nome vicentino 2<br />
Quelli che la grappa: solo aromatizzata 4<br />
Alla corte <strong>del</strong> Kaiser 6<br />
Oltre la porta... 8<br />
Agricoltori a tutto tondo 10<br />
Magia e vergogna <strong>del</strong>l’Espresso 12<br />
Arte in tavola 14<br />
Creazzo: terra <strong>del</strong> Broccolo Fiolaro 16<br />
San Valentino, il Santo <strong>del</strong>l’Amore 18<br />
Detti e ridetti 20<br />
A cena col campione... 22<br />
<strong>La</strong> <strong>strada</strong> <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong>: inserto 23 - 26<br />
Le signore dei vigneti e il Gastaldo 27<br />
I Picai <strong>del</strong> recioto di Gambellara 28<br />
ABC di Amedo Sandri 30<br />
Il miglior baccalà? 31<br />
L’esplosione <strong>del</strong> carnevale 32<br />
Carnevale 34<br />
Un nuovo anno di emozioni 35<br />
Il vino <strong>del</strong> mese 36<br />
Il cocktail <strong>del</strong> mese 37<br />
Agricoltori e ristoratori alleati 38<br />
Virgilio fra penna e forchetta 40<br />
Lo sai che... 42<br />
Dalla libreria - Il brolo, l’orto e la corte nel piatto 43<br />
Annunci 44<br />
Appuntamenti <strong>del</strong> mese 45<br />
A tavola con le stelle 46<br />
<strong>La</strong> rubrica <strong>del</strong> Ristor-Attore 48<br />
Da una idea di Roberto Gasparin:<br />
Il mensile www.gustolocale.it di<br />
Vicenza<br />
n° 7 – Febbraio - 2007<br />
Ai soli fini fiscali € 0,10 a copia<br />
Abbonamento singolo Italia € 12,00<br />
Editore:<br />
Paolo Gasparin<br />
Redazione – amministrazione – pubblicità:<br />
Pierregi di Paolo Gasparin<br />
Via Veneto 2b<br />
36015 – Schio (vi)<br />
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Direttore responsabile:<br />
Paolo Terragin<br />
paolo@gustolocale.it<br />
Reg. Tribunale di Vicenza:<br />
n° 1130 <strong>del</strong> 24/03/06<br />
Spedizione:<br />
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D.L. 353/2003 (Convertito in legge 27/02/2004 n°46)<br />
art.1, com.1, Dr VI<br />
Stampa: Industrie Grafiche Vicentine Srl -<br />
Bolzano Vic. (VI)<br />
Redazione e grafica:<br />
Studioimmagine srl - Thiene (VI)<br />
Luca Dal Maso<br />
Alessia Manni<br />
Consuelo Capellari<br />
Michele Zanetello<br />
Ermanno Fabris<br />
Giampiero Pozza<br />
Hanno collaborato:<br />
Roberto Gasparin<br />
Paolo Gasparin<br />
Fra’ Ghiottone<br />
Edy Bieker<br />
Giuliano Francesconi<br />
Piergiorgio Casara<br />
Cristina Borin<br />
Gianni Genovese<br />
Amedeo Sandri<br />
Paolo Terragin<br />
Emilio Nizzero<br />
Mauro Pasquali<br />
Michele Bertuzzo<br />
Filippo Ferreri<br />
Michele Cisco<br />
Daniele Strazzabosco<br />
Slow Food <strong>del</strong> Vicentino<br />
Roberto Agosti<br />
Giorgio Zambon<br />
Tutte le immagini, articoli, contenuti di questo<br />
giornale sono ad uso esclusivo di Pierregi di Paolo<br />
Gasparin - Schio (Vi). Eventuali utilizzi impropri senza<br />
previa autorizzazione scritta da parte nostra saranno<br />
perseguiti a norma di legge. Le Collaborazioni in testi<br />
o foto sono gratuite. L’editore garantisce la massima<br />
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gratuitamente la retifica o cancellazione scrivendo a:<br />
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2<br />
Grappa:<br />
un nome vicentino<br />
Proprio così: la prima volta che il nome “grappa” viene utilizzato nel termine attuale è per merito di Luigi Pajello, che pubblicò, nel 1896,<br />
un vocabolario Vicentino-Italiano, dove parla di graspa, ed anche di graspia. Il che ci fa pensare quanto fosse, da noi, già diffuso<br />
quest’antico rito <strong>del</strong>la distillazione. Già, perché quando si parla di grappa si parla di tradizione, di un’arte, a volte (più nel tempo andato<br />
che ora) di una mania, di una scienza, insomma di tutto questo, miscelato ed amalgamato con amore e pazienza infinita. Amore per la<br />
propria terra, le proprie uve, per la ricerca sempre più mirata a ricavare profumi ed aromi da quelle vinacce che sono, di fatto, un<br />
sottoprodotto <strong>del</strong>la lavorazione <strong>del</strong> vino. Un liquore che, nel corso degli anni, si è fatto ricco e completo con l’esasperata volontà di<br />
selezionare il meglio. Oggi sembra logico seguire la distillazione secondo vitigno, ma non è da molto tempo che le grappe di monovitigno<br />
si sono fatte apprezzare. Ed il posto che ha la grappa fra i distillati <strong>del</strong> mondo è ancora di una piccola fra le grandi: cosa volete che<br />
siano quaranta milioni di bottiglie l’anno se confrontate alle svariate centinaia di milioni di whisky, vodka o rum?<br />
Prodotto unico al mondo, che non ha analogie con altri distillati, prodotto solo in Italia. Ma c’è, dentro alla grappa, un’intensità di profumi<br />
dati dalla stupenda qualità dalle nostre uve, c’è il fatto che, man mano che ci si avvicina alla maturazione, le cellule <strong>del</strong>la buccia<br />
assumono la funzione di un vero forziere d’aromi. C’è la capacità <strong>del</strong>la grappa di mantenere le fragranze per anni, c’è la<br />
mano <strong>del</strong> distillatore, <strong>del</strong> grappaiolo che diventa un artista <strong>del</strong>l’alambicco, vincolato com’è dal dover lavorare le<br />
vinacce immediatamente al loro arrivo in distilleria o, come alternativa, dal dover conservarle in ambiente il<br />
più possibile lontano dal contatto con l’aria. Da qui la necessità che le vinacce vengano lavorate il più<br />
possibile vicino alla vigna ed al vinificatore.<br />
Ciò che caratterizza la grappa, al confronto con gli altri distillati, è che non ha natali nobili, non ha<br />
storia di cavalieri, alchimisti famosi, principi e re che ne attestano la nobiltà: la grappa è nata<br />
povera, fra le campagne, fatta di nascosto in casa, addirittura fuorilegge, era il prodotto <strong>del</strong>la<br />
disperazione, come scrisse Elio Chiodi in un bel libro sull’argomento.<br />
E l’etimologia <strong>del</strong>la parola è ancora incerta. Si pensa che derivi, come dicevamo, da graspo<br />
in Veneto, ma in Piemonte è la branda, in Trentino è cadeviva, grapa in Lombardia, sgnapa<br />
nelle terre vicine all’Austria (da schnaps tedesco).
Dagli alchimisti ai grappaioli<br />
L’origine <strong>del</strong>la distillazione nell’uomo ha<br />
però ben diverse e molto più acculturate<br />
radici: l’alchimia, la ricerca <strong>del</strong>la “pietra<br />
filosofale”, l’intento di esplorare nelle<br />
segrete cose <strong>del</strong>la natura fecero sì che,<br />
già nel ‘400, Vannoccio Biringuccio scrisse<br />
di quella che “...molti per esaltarla la<br />
chiamano acqua di vita. È quella<br />
sustanzia che gli alchimisti chiamano<br />
quinta essenza”. Ma già qualche secolo<br />
prima, con gli Arabi, la distillazione aveva<br />
una sua espressione, ripresa poi dalla<br />
Scuola Medica Salernitana.<br />
Nei secoli ebbe diversissimi nomi: aqua di<br />
vita, aqua ardens, abba ardens, spiritus,<br />
anima vini, spirito forte.<br />
Nella Serenissima era libera la distillazione<br />
e solo durante il far<strong>del</strong>lo<br />
napoleonico e la successiva dominazione<br />
austriaca si pagarono gabelle. Questo<br />
portò alla distillazione clandestina ed il<br />
nome cambiò: si chiamava stellina,<br />
saltafossi, furba.<br />
Qui nel vicentino la grappa ha una<br />
sua profonda dignità e storia: nel<br />
1779 Nardini iniziò a Bassano la<br />
distillazione. I fratelli Brunello, a<br />
Montegalda nel 1840 iniziarono<br />
quell’attività che li vede ancora<br />
presenti. E i Poli, talmente<br />
innamorati <strong>del</strong>la grappa da aprire a<br />
Bassano un Museo, oltre a pubblicare<br />
opere sulla grappa come la stupenda<br />
“De Stillare”, prima <strong>del</strong>l’arrivo <strong>del</strong> ‘900<br />
già operavano a Schiavon. Ed anche<br />
l’editoria ha i suoi meriti: Neri Pozza ha<br />
pubblicato la “Storia <strong>del</strong>l’acquavite” di<br />
Franco Brunello, testo fondamentale<br />
per conoscere la distillazione dalle<br />
origini.<br />
Nel 1870 Attilio Dalla Vecchia apre una<br />
piccola osteria a Malo ed ottiene l’autorizzazione<br />
a distillare in proprio. Gli Schiavo<br />
già nel 1887 avevano una distilleria<br />
“ambulante” ed aggiunsero un alambicco<br />
fisso dopo la Grande Guerra. Sembra<br />
giovane anche l’attività di Dal Toso, a<br />
Ponte di Barbarano, dato che ha iniziato a<br />
lavorare “solo” nel 1920.<br />
Tutti distillatori di elevate capacità, con<br />
meriti riconosciuti ovunque. Così come<br />
Capovilla a Rosà, ricercatore accanito<br />
<strong>del</strong>la materia prima da distillare, tanto da<br />
percorrere non solo l’Italia, ma anche<br />
l’Europa, alla ricerca di profumi ineguagliabili.<br />
E l’altro gran distillatore è<br />
Carlotto, il cui rosolio, liquore nato alla<br />
fine <strong>del</strong>l’Ottocento e bevuto dalle nostre<br />
bisnonne in bicchierini, è entrato negli<br />
annali dei grandi prodotti. È il trionfo <strong>del</strong><br />
dejà vu, dei profumi di un tempo, ricordo<br />
di un piacere indimenticabile.<br />
Nel Vicentino siamo in presenza, in<br />
definitiva, di una “enclave” incredibilmente<br />
importante nel mondo <strong>del</strong>la<br />
distillazione, ove la cultura, l’esperienza,<br />
la capacità di soddisfare le aspettative di<br />
una clientela sempre più numerosa,<br />
cosmopolita, sono al top. Sempre<br />
secondo il modo di operare <strong>del</strong>l’imprenditoria<br />
vicentina: in silenzio, facendo<br />
parlare solo i prodotti.<br />
Interessante appare l’iniziativa dei vinificatori<br />
di far distillare “in proprio” le<br />
vinacce <strong>del</strong>le loro uve, a completamento<br />
di un ciclo totale, che abbina così il vino<br />
alla grappa: è il caso di Fausto Maculan,<br />
nome fra i grandi in campo nazionale.<br />
Fra’ Ghiottone<br />
3
4<br />
Quelli che la grappa:<br />
solo aromatizzata<br />
Sono i sostenitori <strong>del</strong>la vecchia arte di aromatizzare i distillati con erbe<br />
o frutta. Abbiamo visitato il loro tempio, sul Monte Grappa<br />
Divisi e contrapposti. Come Guelfi e Ghibellini, Montecchi e Capuleti,<br />
Prodi e Berlusconi.<br />
Il mondo dei distillati ha una profonda (insanabile?) frattura. Da una<br />
parte i puristi, quelli secondo cui il lavoro va fatto prima <strong>del</strong>la distillazione,<br />
con una selezione accurata <strong>del</strong>le materie prime, che siano<br />
vinacce, frutta o quant’altro. Poi, fuori dall’alambicco, basterà attendere<br />
il tempo necessario all’armonizzazione degli aromi utilizzando, al<br />
massimo, il legno <strong>del</strong>le barrique.<br />
Dall’altra parte invece la fazione degli “aromatizzatori”, l’altra metà <strong>del</strong><br />
popolo dei distillati. Per loro una grappa non è un prodotto finito, ma una<br />
nuova materia prima da lavorare, esplorare, re-inventare. Ecco allora<br />
nascere grappe alle erbe, ai frutti di bosco, alle radici, alle spezie. Ed è<br />
proprio il caso di dire: chi più ne ha, più ne metta.<br />
Leader <strong>del</strong> partito <strong>del</strong>le aromatizzate è Valerio Baron, meglio conosciuto<br />
come El brigante o el Mastro Gasparo. Sua è la trattoria al quarto<br />
tornante <strong>del</strong>la <strong>strada</strong> per il Monte Grappa, all’interno <strong>del</strong>la quale una<br />
fornitissima Grapperia consente di degustare circa 250 varietà. Tra<br />
queste almeno settanta sono prodotte direttamente dal Mastro Gasparo<br />
per infusione di varie sostanze aromatiche.<br />
“Utilizzo i prodotti <strong>del</strong> territorio – spiega Baron – alcuni anziani <strong>del</strong>la zona
mi portano erbe di montagna, le pigne <strong>del</strong> pino mugo, le bacche di ginepro, le<br />
foglie di alloro, le fragoline di bosco. Alcune erbe arrivano dalle terrazze di<br />
Crespano <strong>del</strong> Grappa, utilizzate per produrre i fiori da miele”.<br />
In altri casi a finire nella grappa per l’aromatizzazione sono erbe officinali che si<br />
acquistano in erboristeria, come il rabarbaro o l’assenzio. Praticamente tutti i<br />
frutti, con risultati molto diversi, possono essere utilizzati nell’infusione. “I gusti<br />
più amati – prosegue – sono quelli morbidi e piuttosto amabili come il miele e la<br />
rosa antica. Gli aromi più inconsueti credo siano stati l’aglio e il peperoncino:<br />
gusti piuttosto difficili, ma che hanno trovato comunque un discreto numero di<br />
estimatori”.<br />
Se El brigante Baron è diventato uno dei massimi esperti in grappe aromatizzate,<br />
tanto da essere stato per alcuni anni <strong>del</strong>egato provinciale <strong>del</strong>l’Anag,<br />
l’Associazione Nazionale Assaggiatori Grappe (che rappresenta anche l’altra<br />
fazione, quella dei puristi), è pur vero che da dieci anni non assaggia un sorso<br />
di grappa. A causa di una grave malattia non gli è più consentito bere alcolici.<br />
“Ho cominciato a fare le grappe solo dopo questa diagnosi. – racconta – Mi sono<br />
basato unicamente sull’olfatto: così ho affinato moltissimo le mie capacità e oggi<br />
riesco a gustare le grappe semplicemente odorandole”.<br />
A tutta grappa<br />
Aromatizzare una grappa non è difficile, lo sanno bene le tante massaie o i tanti appassionati che si<br />
avventurano nelle sperimentazioni. Alcuni consigli <strong>del</strong> Mastro Gasparo possono comunque essere<br />
preziosi.<br />
Il principio è quello <strong>del</strong>l’infusione, con la sostanza aromatica (frutta o erba che sia) che rilascia il suo<br />
gusto nella bevanda alcolica e il distillato che si infonde nelle fibre <strong>del</strong> suo ospite.<br />
“Il requisito principale è l’utilizzo di un distillato di buona qualità” spiega Valerio Baron, che svela un<br />
segreto: “deve essere quanto più neutro nel gusto. <strong>La</strong> più adatta è una grappa monovitigno di prosecco<br />
retificata, in modo da togliere ogni sentore aromatico”. <strong>La</strong> base neutra servirà ad assorbire senza alcuna<br />
deviazione le sostanze aromatizzanti.<br />
<strong>La</strong> gradazione ideale è di 45°, abbastanza forte per estrarre le proprietà aromatiche, ma non troppo da<br />
coprire i gusti. “Io – aggiunge – preferisco non abbassare la gradazione con acqua distillata, perché<br />
ritengo alteri il prodotto. L’aggiunta degli aromatizzanti contribuisce comunque a riportare la gradazione<br />
verso i 40°, ritenuti ormai ideali per la degustazione”.<br />
<strong>La</strong> qualità <strong>del</strong>le sostanze aromatizzanti aggiunte è poi altrettanto importante: la selezione dei frutti, <strong>del</strong>le<br />
erbe e <strong>del</strong>le radici migliori influiranno sulla buona riuscita <strong>del</strong> risultato finale, specie per le sue caratteristiche olfattive.<br />
“L’infusione – spiega ancora – deve avvenire in un ambiente fresco, al riparo dei raggi solari e il più lentamente possibile”. <strong>La</strong> durata sarà poi<br />
la variabile finale, affidata all’esperienza (e agli assaggi) <strong>del</strong> produttore: “la grappa all’alloro, ad esempio, non deve restare in infusione più<br />
di 6 mesi, altrimenti acquista un sapore sgradevole. Quella di rabarbaro è meglio che stia a contatto con le radici per un paio d’anni”.<br />
Valerio Baron, a questo punto, è solito non aggiungere zucchero al prodotto ottenuto, a differenza <strong>del</strong>le grappe aromatizzate industriali. “Lo<br />
zucchero copre i veri aromi – dice – i gusti emergono molto più chiaramente in una grappa secca”.<br />
Non resta quindi che passare alla degustazione. Ma anche qui bisogna scegliere il momento giusto: “l’ideale sarebbe lontano dai pasti, quando<br />
le papille gustative sono libere da qualsiasi influenza. È meglio non più di tre o quattro bicchierini, altrimenti si finisce per ubriacare le papille.<br />
E non solo.”<br />
Michele Bertuzzo<br />
5
6<br />
Alla<br />
Kaiser<br />
corte <strong>del</strong><br />
CAPOVILLA<br />
Vittorio Capovilla ha carpito le tecniche germaniche di distillazione per diventarne maestro.<br />
Le bottiglie prodotte nella sua distilleria di Rosà sono riservate ad autentici intenditori<br />
Quella che si racconta su Vittorio Capovilla non è una leggenda, è storia vera. È proprio vero che a metà degli anni<br />
Settanta importò un alambicco a bagnomaria smontato a pezzi, un po’ alla volta, per evitare i controlli alla frontiera<br />
che rendevano impossibile quell’operazione ad un semplice appassionato.<br />
“<strong>La</strong> mia fortuna – ammette sorridendo – è stata quella di non aver ereditato una caldaietta da mio papà o mio nonno.<br />
E così mi sono messo a sperimentare per conto mio; ho avuto solo tanta curiosità e mai paura di chiedere le cose<br />
che non sapevo”.<br />
Con quel primo alambicco Capovilla ha importato anche le tecniche di distillazione di area germanica, che in quel<br />
periodo frequentava come rappresentante di una ditta di impianti per l’enologia. Nelle aziende agricole d’oltralpe ha<br />
appreso i segreti di una tradizione molto più diffusa e per certi versi evoluta <strong>del</strong>la nostra: basti pensare che nella<br />
piccola Austria esistono ancora oltre 9000 distillerie, contro le 120 <strong>del</strong>l’Italia. Aziende che non lavorano vinacce,<br />
come avviene per ricavare la grappa, ma pere, ciliegie, prugne e altri frutti.<br />
Capovilla ha coniugato questo patrimonio di conoscenze con la straordinaria biodiversità che si può rintracciare alle<br />
nostre latitudini, ricavandone risultati <strong>del</strong> tutto inediti. “Nei primi anni Ottanta provai a distillare l’uva – racconta con<br />
un sorriso – nessuno lo aveva mai fatto, eppure era il frutto ideale per la distillazione: grado zuccherino elevato e<br />
un’acidità spiccata che evita fermentazioni non desiderate”.<br />
L’azienda Capovilla attualmente produce una cinquantina di distillati, che variano di anno in anno a seconda <strong>del</strong>la<br />
disponibilità di materia prima. Per metà sono acquaviti di vinacce, ovvero grappe monovitigno. Per il resto la gamma<br />
Vittorio Capovilla comprende distillati d’uva di varietà rare, birra (un’autentica novità per i distillati) e frutta di ogni genere. Per<br />
ciascuna tipologia vengono selezionate le varietà da distillare singolarmente, ottenendo così, ad esempio, una decina<br />
di acquaviti di pera: Williams <strong>del</strong>l’Alto Adige, Buona Luisa <strong>del</strong> Trentino, selvatiche <strong>del</strong>la Maremma e via dicendo. Ma la selezione si spinge al singolo<br />
frutteto da cui ricavare le cru. “Nel distillato noi tutti ricerchiamo la freschezza degli aromi primari - spiega - quelli che ci rimandano direttamente<br />
al profumo <strong>del</strong> frutto. Ma per essere distillata la materia deve prima fermentare e in questo processo gli aromi possono subire una trasformazione:<br />
la resa migliore si ha con i frutti ricchi di terpeni, le sostanze aromatiche che si mantengono più intatte”. Altrettanto importanti sono gli aromi
secondari, prodotti con la fermentazione<br />
e che arricchiscono la<br />
complessità gusto-olfattiva <strong>del</strong><br />
distillato. Successivamente alla distillazione<br />
deve intercorrere un periodo di<br />
esterificazione, in cui si ha una<br />
stabilizzazione <strong>del</strong> prodotto.<br />
Generalmente dura due o tre anni ed<br />
avviene tanto nei contenitori in legno,<br />
quanto (pur in misura diversa) in<br />
quelli di acciaio, vista comunque la<br />
presenza di aria. “Il mio è un atto di<br />
assoluto egoismo - dice con<br />
naturalezza disarmante Vittorio<br />
Capovilla - non produco questi<br />
distillati per guadagnare dei soldi. Se<br />
lo volessi fare dovrei venderli ben più<br />
Flavio Straffella<br />
cari”. Basti pensare che la resa dei<br />
distillati di frutta è all’incirca <strong>del</strong> 3-5%. Per fare un esempio, servono<br />
cinque tonnellate di lamponi per ricavare 150 litri di distillato puro a<br />
75°. “E stiamo parlando di frutta di macchia, raccolta nel bosco: un<br />
lavoro immenso”.<br />
Michele Bertuzzo<br />
DISTILLATI IN CUCINA:<br />
UN CORSO PER IMPARARE AD UTILIZZARLI<br />
I distillati di Vittorio Capovilla incontrano il cioccolato in un incontrolezione<br />
tenuto dal cioccolatiere Flavio Straffella, chef <strong>del</strong> Ristorante al<br />
Ponte di Bassano.<br />
All’evento, in programma per lunedì 5 febbraio alla sala dimostrazione<br />
di via <strong>del</strong>le Arti a Thiene, parteciperà anche lo stesso Capovilla e<br />
Gianluca Franzoni <strong>del</strong>la Domori Cacao.<br />
“Oltre alle praline di cioccolato – spiega Flavio Straffella – prepareremo<br />
un piatto salato e un dessert, tutti utilizzando i distillati”.<br />
Un corso che si rivolge sia agli chef professionisti che a semplici<br />
appassionati di cucina. “Con l’aiuto di Vittorio Capovilla – prosegue<br />
Straffella – cercherò di trasferire le tecniche di utilizzo dei distillati in<br />
cucina. Un ingrediente per niente facile da utilizzare, perché caratterizzato<br />
da una grande volatilità, anche alla temperatura di soli 70° .<br />
Bisogna poi fare un attento utilizzo dei grassi che tendono a coprirne la<br />
ricchezza aromatica”.<br />
Se vengono rispettati tutti gli accorgimenti l’utilizzo dei distillati in<br />
cucina è in grado di regalare straordinarie esperienze sensoriali. Lo sa<br />
bene la tradizione svizzera o austriaca, lo ha appreso Massimiliano<br />
Alajmo de Le Calandre, estimatore ed utilizzatore dei distillati di<br />
Capovilla. E lo ha imparato con successo Flavio Straffella, le cui praline,<br />
a base <strong>del</strong>le confetture realizzate con frutta <strong>del</strong> Kaiser di Rosà e lavorate<br />
con i suoi distillati sono un’autentica esplosione di sensazioni gustative.<br />
Per informazioni e prenotazioni al corso “I distillati di Capovilla secondo<br />
Flavio Straffella” si può contattare il numero 0445-381089.
8<br />
Oltre la porta...<br />
Alla scoperta<br />
di un’atmosfera<br />
unica e<br />
raffinata:<br />
quella che<br />
Bruno Zaupa e<br />
Daniela Pretto<br />
sono riusciti a<br />
creare in<br />
vent’anni<br />
di duro lavoro,<br />
ricerca e<br />
perfezione<br />
dei minimi<br />
particolari al<br />
Wild Turkey<br />
Pub di<br />
Castelgomberto<br />
Nulla è banale, tutto è perfetto e ricercato con<br />
cura maniacale. Pensato per offrire ogni giorno<br />
il meglio che un avventore di qualità possa<br />
cercare. “Il meglio, non il massimo - ci spiega<br />
Bruno Zaupa - la nostra scommessa è quella di<br />
svegliarci ogni mattina un’ora prima <strong>del</strong>la sveglia<br />
con il piacere di crescere, scoprire, provare e<br />
studiare ogni prodotto e ogni particolare.<br />
Affiniamo di continuo la proposta perché gli ospiti<br />
ritrovino il piacere <strong>del</strong>l’eccelso in tutto”. Entrare<br />
nel suo pub è com’essere catapultati in mondo<br />
parallelo: dal primo passo nel giardino antistante<br />
ci si lascia alle spalle il mondo industriale, dove<br />
tutto è frenesia, tempi, numeri, produzione, e<br />
comincia la nostra trasformazione…<br />
Si è colti da una sensazione di calore e rispetto, che<br />
in un’atmosfera paradisiaca ci dona l’unicità di<br />
varcare la soglia e il piacere di sentirsi diversi in<br />
questa quotidianità che a tutti va stretta.<br />
Il locale è unico, dall’arredamento ai complementi,<br />
una personalissima atmosfera raffinata ed elegante,<br />
dove la ricerca <strong>del</strong> bello e <strong>del</strong> buono rispecchiano in<br />
ogni particolare la personalità di Bruno e Daniela.<br />
Tutto è esclusivo. Come accade a pochi ci viene<br />
riservato l’onore di varcare la Porta. <strong>La</strong> porta è<br />
quella <strong>del</strong>la wine cellar: il cuore <strong>del</strong> locale. Ci<br />
ritroviamo in una saletta di raffinatissimo gusto dove<br />
poter degustare oltre 600 etichette di selezionatissimi<br />
whisky single malt, cognac, armagnac, bas<br />
armagnac, calvados, rhum e distillati provenienti da<br />
tutto il mondo, fonte di personale ricerca nei paesi<br />
d’origine. Ma troviamo anche sigari per grandi<br />
estimatori, con la possibilità d’affittare humidor<br />
personali in questo club vittoriano di altissimo<br />
lignaggio, rispettoso <strong>del</strong>la nuova normativa sul<br />
fumo.<br />
Varchiamo un’altra porta. Stiamo entrando sempre<br />
Nelle foto Bruno Zaupa<br />
più nel profondo di Bruno, nella sua anima: non una<br />
cantina, ma un vero caveau con i migliori cru, dove<br />
periodicamente su prenotazione Bruno crea<br />
ricercate cene di degustazione, mettendo in risalto<br />
la sua vocazione di cuoco. Un mondo dove<br />
degustare prelibatezze, abbinamenti ed<br />
accostamenti di ricerca, con porcellane, cristalli ed<br />
argenterie d’antiquariato; perché ogni serata sia<br />
un’esperienza unica nella vita.<br />
<strong>La</strong> coppia di gestori riesce perfettamente, in tutto,<br />
dalla selezione di birre alla spina o in bottiglia, agli<br />
oltre 50 tipi di te bianchi, verdi, neri, aromatizzati e<br />
profumati. Si può averne un’idea sia degustando<br />
una <strong>del</strong>le dieci monoorigini di caffè servite in tazze<br />
Bonne China <strong>del</strong>l’800, che un distillato o un<br />
particolare liquore. Credeteci: è raro trovare tanta<br />
perfezione in tutto. Affidarsi ad un consiglio è<br />
d’obbligo, tanto vasta è la proposta.
Eravamo andati a far visita per parlare di distillati, ma come<br />
potevamo non regalarvi un po’ di quello che abbiamo vissuto<br />
in questo luogo magico?<br />
Durante il nostro “viaggio” Bruno ci racconta con soddisfazione come un numero<br />
sempre maggiore di giovani si avvicinino alla degustazione di grandi e particolari<br />
distillati: “Accogliere qualche piccolo gruppo nel caveau, proponendo alcune <strong>del</strong>le<br />
etichette più rare, illustrare le peculiarità di ogni distillato, creare e trasferire passione<br />
e cultura: questo è ciò che ho più a cuore”.<br />
Poi ci spiega: “Certo questo non è luogo per tutti, ci vuole una preparazione per<br />
accedervi, qui si erge lo spirito al piacere <strong>del</strong> palato, non è certo un posto per una<br />
bevuta o una fumata: vi regna la cultura, l’analisi sensoriale e la ricerca interiore”.<br />
Parole che ci fanno comprendere appieno la sua grande passione e dedizione. “Anche<br />
le donne si stanno appassionando sempre più ai distillati, e colgo con piacere che sono<br />
estimatrici anche <strong>del</strong>le gradazioni intere. <strong>La</strong> mia clientela è eterogenea ed unita da un<br />
unico spirito: l’accrescimento personale nel piacere <strong>del</strong> buon bere”.<br />
Quali sono le basi per una buona degustazione?<br />
“Una degustazione non è solo bere, bisogna partire dalle basi. Un balloon, ad<br />
esempio, non va mai riscaldato. Poi vi è la scelta <strong>del</strong> bicchiere, il modo di sorseggiare<br />
e l’allenamento al gusto. Si deve anche seguire una scaletta nei distillati da<br />
degustare, in base alle gradazioni, l’invecchiamento, la storia, le origini e la<br />
tradizione. Tutte componenti di un percorso che dev’essere fatto in un luogo<br />
consono, con il dovuto rispetto a quello che si sta degustando. Ecco perché è nata<br />
l’idea di questo particolare e riservato locale”.<br />
Cocktails e bere miscelato esistono nel suo locale?<br />
“Certamente, ma come tutti i prodotti anche il bere miscelato ha bisogno <strong>del</strong>le<br />
sue attenzioni, ed il segreto è solo materie prime di qualità. Un superalcolico fa<br />
male quando non ha qualità, quando si ricerca solo il vile denaro: ecco che come<br />
succede in alcune discoteche vediamo i ragazzi che escono in certe condizioni e<br />
poi sulle strade ci lasciano la pelle.”<br />
Ma Lei è titolare anche di un altro locale?<br />
“Si, <strong>del</strong> Jazsbo Cafè di Sovizzo, ma questa è un’altra storia…”<br />
Andremo a trovarli, certi che Bruno e Daniela sapranno<br />
stupirci ancora una volta.<br />
Roberto Gasparin<br />
9
10<br />
Agricoltori a tutto tondo<br />
Non semplici produttori, ma sempre più punto di riferimento per conoscere, scoprire, acquistare.<br />
Nuovo profilo <strong>del</strong> mestiere di agricoltore<br />
Imprenditori agricoli. Ma anche insegnanti di “vita rurale” per scolaresche in visita, agrituristi che danno<br />
ospitalità a viaggiatori di passaggio e, se necessario, venditori diretti dei propri prodotti. Ma per carità, non<br />
chiamiamoli più contadini.<br />
Parla <strong>del</strong> futuro <strong>del</strong>l’agricoltura Diego Meggiolaro, presidente provinciale di Coldiretti, l’associazione che in Italia<br />
rappresenta il maggior numero di imprese <strong>del</strong> settore, con quasi 570.000 iscritti. “<strong>La</strong> figura <strong>del</strong>l’agricoltore<br />
è cambiata molto negli ultimi anni e continuerà ad evolvere – spiega – diventando sempre più<br />
centrale nella società <strong>del</strong> futuro”.<br />
Sono ormai lontani i tempi in cui il mestiere veniva tramandato di padre in figlio<br />
insieme ai campi da coltivare. “Anche solo quindici anni fa – spiega – ci<br />
si vergognava di lavorare in agricoltura. Avevamo troppa fretta di<br />
lasciarci alle spalle la nostra povertà e nel settore primario<br />
restava chi, in effetti, non aveva altre opportunità per un<br />
lavoro migliore”. Oggi in agricoltura aumentano i laureati, “ci<br />
sono giovani preparati e motivati che scelgono questo<br />
mestiere perché preferiscono rapportarsi con campi ed<br />
allevamenti piuttosto che con elettronica o servizi”. Li<br />
attendono sfide non dissimili da quelle <strong>del</strong>l’industria<br />
o <strong>del</strong> settore terziario: le produzione tipiche locali<br />
devono scontrarsi sul mercato con i prodotti<br />
provenienti dall’estero e con le trasformazioni<br />
industriali.
Il Presidente Provinciale <strong>del</strong>la Coldiretti Diego Meggiolaro<br />
Signor Meggiolaro, in futuro dobbiamo immaginare un’agricoltura<br />
diversa da come l’abbiamo conosciuta finora?<br />
“Il mondo cambia e così anche le abitudini alimentari. Dalle nostre<br />
tavole sono spariti i piatti colmi di spaghetti e i fiaschi di vino che<br />
abbiamo visto nei film di Alberto Sordi. Oggi si va alla ricerca <strong>del</strong><br />
gusto, di provare esperienze diverse”.<br />
Noi più di chiunque altro. Ma in cosa si traduce questo per l’agricoltore?<br />
“Nella possibilità di offrire al consumatore un prodotto genuino e<br />
certificato. Sono gli stessi gusti che derivano dalla nostra tradizione.<br />
Erano presenti anche in passato, ma fino a pochi anni fa eravamo più<br />
attenti a riempirci la pancia che ad assaporare con attenzione.<br />
Abbiamo grandissime potenzialità offerte da Madre Natura, una straordinaria<br />
biodiversità che sarebbe un peccato non sfruttare. Purtroppo i<br />
nostri associati sono sempre stati dei bravi produttori, raramente dei<br />
venditori e questo ci limita. Oggi stiamo tenendo corsi per insegnare<br />
loro anche questo, per presentare i nostri prodotti direttamente ai<br />
clienti finali”.<br />
Aziende Agricole aperte<br />
State incentivando la vendita diretta in azienda agricola?<br />
“Recentemente una legge ha semplificato la vendita diretta. Per il<br />
consumatore rappresenta un’occasione per vedere con i propri occhi<br />
come vengono coltivate ciliegie o asparagi, o come viene fatto il vino.<br />
Per l’agricoltore rappresenta una buona occasione di reddito. Ora<br />
vogliamo incentivare in particolare la vendita di carne e di animali da<br />
cortile”.<br />
Il tentativo di riunire i prodotti agricoli vicentini sotto il marchio <strong>del</strong>le<br />
“Terre <strong>del</strong> Palladio” finora non ha avuto molto successo. Come mai?<br />
“Non tutti gli anelli <strong>del</strong>la filiera ci credevano. Siamo stati sostenuti dalla<br />
Camera di Commercio, ma i responsabili <strong>del</strong>la trasformazione e <strong>del</strong>la<br />
distribuzione non hanno spinto su questi prodotti. Noi invece ci<br />
crediamo molto e crediamo di poter camminare con le nostre gambe,<br />
gli altri ci correranno dietro in futuro”.<br />
Insomma l’agricoltura è tutt’altro che al capolino, anche se il nostro è<br />
un territorio molto antropizzato?<br />
“L’agricoltura è indispensabile anche qui. <strong>La</strong> nuova politica agricola<br />
<strong>del</strong>l’Unione Europea lo dice chiaramente: l’agricoltura ha un ruolo<br />
insostituibile di salvaguardia <strong>del</strong>l’ambiente, <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>l’aria e<br />
<strong>del</strong>l’acqua; nella gestione <strong>del</strong>le fonti rinnovabili di energia. Sappiamo<br />
quali sono i risultati quando, specie nelle zone collinari e montane, non<br />
c’è più la presenza <strong>del</strong>l’uomo a mantenere in ordine i corsi d’acqua e i<br />
boschi. E poi è proprio qui che c’è più bisogno <strong>del</strong>le fattorie didattiche:<br />
è l’unico modo per mettere in contatto i bambini con gli animali e la<br />
natura”.<br />
Insomma gli agricoltori ricoprono un ruolo sociale. Vi viene in qualche<br />
modo riconosciuto?<br />
“Oggi si stanno esaurendo i contributi europei per l’allineamento dei<br />
prezzi con i prodotti extracomunitari, ma siamo ancora in attesa di<br />
sapere come l’Europa riconoscerà questo ruolo di tutori <strong>del</strong>l’ambiente”.<br />
È ottimista per il futuro?<br />
“Certo, l’agricoltura diventerà sempre più importante. C’è sempre più<br />
bisogno di tutelare l’ambiente e la biodiversità”.<br />
Michele Bertuzzo<br />
11
12<br />
Magia e vergogna <strong>del</strong>l’Espresso<br />
Chissà quante volte è capitato di assaggiare un pessimo caffè e di<br />
accusare la materia prima…<br />
Credo sia il momento di chiarire questo problema.<br />
Il prodotto usato per fare la tazza di espresso è sicuramente un<br />
elemento di enorme importanza per ottenere la crema, ma<br />
altrettanto vitali sono le altre componenti che vi concorrono. <strong>La</strong> più<br />
importante è rappresentata da chi deve verificare e armonizzare il<br />
tutto, il “Signor Barista”. “Signore” perché, a mio avviso, poche<br />
altre figure devono racchiudere così tanta professionalità nell’esecuzione<br />
dei gesti che portano a realizzare la magia <strong>del</strong>la crema:<br />
l’uso <strong>del</strong> macinino con la granulometria e la sua sapiente correzione<br />
a seconda <strong>del</strong> cambiamento <strong>del</strong> tempo o <strong>del</strong> prodotto utilizzato; la<br />
macinatura più o meno fresca; la dose utilizzata e la corretta<br />
pressione sulla pastiglia di polvere di caffè. Vitali sono la<br />
temperatura <strong>del</strong>l’acqua e la pressione con la quale viene erogata<br />
dalla macchina espresso. <strong>La</strong> mancata pulizia <strong>del</strong> filtro, come <strong>del</strong>la<br />
doccetta, se non curata ogni qualvolta si esegue un’estrazione,<br />
crea sicuri problemi sia nella formazione <strong>del</strong>la crema che nel gusto<br />
<strong>del</strong>la bevanda. Per non parlare <strong>del</strong>la manutenzione in genere.<br />
E la pulizia <strong>del</strong>la campana?<br />
Se non viene periodicamente pulita, il grasso fuoriuscito dai chicchi<br />
e depositatosi sulle pareti, irrancidisce, contaminando, per<br />
contatto, il caffè che vi transita. Vi è infine naturalmente da<br />
considerare il prodotto: la freschezza <strong>del</strong>la tostatura, la corretta<br />
gradazione <strong>del</strong>la stessa, la conservazione <strong>del</strong> pacco in maniera<br />
idonea (quante volte è capitato di vedere le confezioni di caffè<br />
stipate vicino alla macchina espresso, a soffrire per il calore!).<br />
A tutto ciò deve sovrintendere con enorme professionalità il “Signor<br />
Barista”. E come se ciò non bastasse, dovrebbe (qui il condizionale<br />
è veramente d’obbligo) saper riconoscere le caratteristiche organolettiche<br />
presenti nelle varie miscele o nelle singole tipologie usate.<br />
Come succede per esempio per il vino, il whisky, la grappa, gli<br />
aperitivi.<br />
Magari!<br />
Mi è personalmente capitato, invece, di sentire gestori di bar<br />
richiedere un prodotto che possa essere macinato sempre nello<br />
stesso modo, per non perdere tempo! Neanche fosse segatura o<br />
bastasse dire “bibbidi bobbidi boo” per innescare la “magia”.<br />
Forse avrete notato che ho usato il vocabolo “caffè” con estrema<br />
parsimonia. Non per ritrosia, bensì per rispetto al prodotto. Credo<br />
infatti non ne esistano tanti altri così poco identificabili nelle varie<br />
fasi: viene infatti chiamato “caffè” quando è pianta, fiore, ciliegia,<br />
seme crudo, seme tostato in miscela o per tipologia, bevanda <strong>del</strong>la<br />
macchinetta, bevanda a casa, bevanda al bar… l’unica distinzione<br />
possibile è data dalla marca stampata sul pacchetto o sull’insegna<br />
<strong>del</strong> locale. E spesso tale distinzione è fallace o poco identificabile<br />
rispetto alla sua reale qualità.<br />
Così non riusciamo mai a dar significato al valore e al rispetto <strong>del</strong><br />
chicco, donandogli quella dignità che richiede per essere chiamato<br />
“Caffè”, ma con la “C” maiuscola.<br />
E ci troviamo costretti ad assistere non alla “magia”, ma alla sua<br />
“vergogna”. Però cremosa…<br />
Pagina a cura di Edy Bieker<br />
uno dei massimi intenditori di caffè crudi.
14<br />
Risotto Evidentemente,<br />
<strong>La</strong> rubrica Arte in Tavola è a cura<br />
<strong>del</strong> Prof. Piergiorgio Casara “filosofo enogastronomo"<br />
e <strong>del</strong>la prof. Cristina Borin “docente di storia <strong>del</strong>l'arte”<br />
con l’ortica e/o bruscandoli<br />
Foto di Giuliano Francesconi<br />
la presentazione a piramide conferisce un tono<br />
particolarmente raffinato alla preparazione, tuttavia si può<br />
ottenere un risultato egualmente elegante sfruttando stampi con<br />
altre forme, per esempio a timballino, o anche con la tradizionale<br />
mestolata a creare un nido. Data la semplicità <strong>del</strong>la<br />
preparazione, di consistenza soda e di colore pressoché<br />
uniforme, si suggerisce di collocare il risotto lateralmente,<br />
evitando la composizione centrale, molto classica ma un po’<br />
banale. Sul fondo bianco <strong>del</strong> supporto piano, si ricava così uno<br />
spazio vuoto che potrà essere movimentato disponendo disordinatamente<br />
pochi elementi decorativi, che dichiarino gli<br />
ingredienti caratterizzanti. In questo caso, il leggero grafismo<br />
ottenuto con i bruscandoli sbianchiti definisce l’identità <strong>del</strong>la<br />
preparazione e si intona con il decoro <strong>del</strong>icatamente fiorito <strong>del</strong><br />
piatto.<br />
<strong>La</strong> composizione <strong>del</strong>le forme<br />
<strong>La</strong> modalità “a bersaglio”<br />
Nel numero precedente (gennaio 2007) abbiamo visto che, nella<br />
composizione di un piatto, tendiamo a leggere la configurazione<br />
degli elementi che lo compongono secondo una modalità che ci<br />
porta a “percepire” la realtà da sinistra verso destra (modalità<br />
ortogonale). Oggi ci occupiamo di una seconda modalità: dal<br />
centro verso l’esterno (e questa appare forse quella più coerente<br />
ad un campo di forma circolare, come è spesso il piatto). Si basa sul<br />
forte potere di attrazione esercitato dal centro, zona<br />
nettamente dominante rispetto alla superficie periferica: infatti, di
fronte ad un campo visivo circolare (ma, in generale, di fronte a molte configurazioni<br />
di vario tipo), il nostro sguardo tende a raccogliersi nella zona centrale e, da questa,<br />
a espandersi verso l’esterno nelle varie direzioni. Di fronte a questa modalità, che<br />
spesso attiviamo in modo istintivo, abbiamo due scelte possibili: assecondarla o<br />
eluderla. Nella presentazione dei “Maccheroni col deo” (vedi foto e didascalia nel<br />
numerouno - luglio 2006), la forma circolare <strong>del</strong> piatto è ripresa dalla disposizione<br />
centrale <strong>del</strong> condimento, a sua volta centrato dal nido di maccheroni: la ripetizione<br />
<strong>del</strong>la struttura circolare e la sottolineatura <strong>del</strong>la centralità rafforzano l’equilibrio <strong>del</strong>la<br />
configurazione visiva. Invece, nel “Risotto con l’ortica e/o bruscandoli” (vedi<br />
foto e didascalia nella pagina accanto) è evidente lo sforzo di eludere la centralità <strong>del</strong><br />
campo collocando la piramide di riso in una posizione nettamente laterale e<br />
asimmetrica. Ovviamente, non ha senso definire giusta o sbagliata ciascuna<br />
<strong>del</strong>le due scelte, infatti preferire la composizione equilibrata o cercare di spezzare gli<br />
equilibri rappresentano semplicemente due modi diversi di risolvere una situazione.<br />
Ciascuno opterà per la soluzione che ritiene più convincente, più gradevole,<br />
più vicina alla propria personalità. Naturalmente, la scelta dovrà tenere conto<br />
<strong>del</strong>le caratteristiche <strong>del</strong> supporto: in un piatto rotondo con una ricca decorazione,<br />
magari intensamente colorata, sul bordo esterno, è più difficile eludere la centralità,<br />
perché la bordura viene percepita come cornice significativa <strong>del</strong>la configurazione.<br />
D’altro canto, la disposizione centrale <strong>del</strong>la pietanza viene percepita in modo meno<br />
vincolante se la forma <strong>del</strong> piatto non è perfettamente circolare: ad esempio,<br />
nell’Insalata di lingua salmistrata, champignons e acini d’uva” (foto e didascalia nel<br />
numeroquattro - novembre 2006) la superficie ottagonale e l’orlo modulato <strong>del</strong><br />
supporto introducono nella composizione alcuni elementi di distrazione; anche nella<br />
“Zucca caramellata con salsa di pomodori verdi” (foto e didascalia nel numerozero -<br />
giugno 2006) la disposizione <strong>del</strong>l’ingrediente principale è sì in posizione centrale, ma<br />
rispetto a due forme sovrapposte, più o meno irregolari.<br />
Del resto, la modalità a quadranti e quella dal centro verso l’esterno possono anche<br />
convivere nella stessa configurazione, sovrapponendosi e integrandosi. È importante<br />
ricordare che, strutturando una composizione di forme e segni, ci si basa<br />
sempre sul proprio punto di vista, fissando pertanto le direttrici alto basso<br />
sinistra destra e stabilendo il verso di lettura. Tale orientazione dovrà essere<br />
mantenuta anche disponendo il piatto di fronte al commensale, altrimenti, ruotando<br />
anche inavvertitamente il supporto, si otterrà un’alterazione più o meno vistosa nella<br />
struttura percettiva. Tuttavia, può essere utile, in fase di preparazione, verificare<br />
l’efficacia e la coerenza <strong>del</strong>la presentazione osservandola da più punti di vista.<br />
Avendo un po’ di tempo, infatti, conviene sperimentare diversi schemi di<br />
composizione, iniziando da quelli più semplici (centrali, a raggiera, simmetrici) e<br />
procedendo verso tentativi più complessi e meno prevedibili. In questo modo si<br />
educa il proprio gusto estetico e si individua la propria linea stilistica, infatti ciascuno<br />
di noi tende a preferire alcuni tipi di configurazione rispetto ad altri e tende a<br />
ripeterli, se pure con variazioni.<br />
Arte in tavola<br />
FILETTO ALLE ERBETTE<br />
Un piatto moderno ed essenziale per una preparazione<br />
ricca di sapore, definita nella forma, che non richiede<br />
soluzioni barocche, anzi si valorizza nella misura e nella<br />
semplicità. Tuttavia, anche qui sono opportune alcune<br />
accortezze. I fili di erba cipollina, che nello stesso<br />
tempo separano e collegano i due nuclei formali, non<br />
sono solo un elemento decorativo, ma anche un<br />
ingrediente <strong>del</strong>la salsa, che sporca il fondo colorandolo<br />
di una <strong>del</strong>icata trasparenza. Il fuoco cromatico più<br />
acceso, il nido di carotine di un tono arancione<br />
brillante, è bilanciato dalle fettine di carne, di superficie<br />
più estesa e solo parzialmente coperte dal condimento<br />
alle erbette. Le stesse fettine, leggermente<br />
sormontate, mantengono le caratteristiche volumetriche<br />
<strong>del</strong>la presentazione. <strong>La</strong> simmetria <strong>del</strong>la struttura<br />
visiva è variata dalla gamma cromatica e dal leggero<br />
senso di movimento.<br />
15
16<br />
Creazzo: terra <strong>del</strong><br />
Broccolo Fiolaro<br />
Lungo l’antica Strada Postumia (oggi Statale 11), nel vivace comune di<br />
Creazzo, alle porte di Vicenza, si elevano dolci pendii esposti a sud: prendono<br />
il nome di Rivella, Beccodoro, Rampa. Qui, grazie ad un microclima ed un<br />
terreno particolarmente favorevoli, da secoli viene coltivato un broccolo che,<br />
a differenza dei fratelli, non forma il fiore. Questo “Brocco” (germoglio) è<br />
particolarmente apprezzato per i suoi “Fioi” (figli): sono dei germogli<br />
secondari inseriti lungo il fusto <strong>del</strong>la pianta, da cui deriva il nome Broccolo<br />
Fiolaro.<br />
Quella <strong>del</strong> Broccolo Fiolaro è una coltura tipicamente invernale, che pur<br />
resistendo a temperature piuttosto basse (-8/10 °C), trova la forma di<br />
espressione migliore con un clima non troppo freddo ed asciutto, come si può<br />
trovare in collina. Qui il terreno è sabbioso-limoso, calcareo e quindi, se<br />
opportunamente lavorato, facilita le operazioni colturali. Un tempo la disponibilità<br />
d’acqua era un fattore limitante per le produzioni agricole, ma la collina<br />
di Creazzo conta numerose sorgenti, sfruttate negli anni per l’irrigazione. Tutti<br />
questi fattori contribuiscono a plasmare un prodotto di ottima qualità,<br />
superiore a quello dei comuni limitrofi.<br />
Da alcuni anni i produttori <strong>del</strong>la zona collinare stanno ridando vigore alla<br />
coltivazione e distribuzione di questo prodotto “unico” nel proprio genere. In<br />
collaborazione con l’Amministrazione comunale <strong>del</strong> sindaco Gervasio Cortina,<br />
ed in particolare con l’assessore alla cultura Maria Teresa Pizzolato, e alla<br />
proloco guidata da Domenico Bolcato, i coltivatori hanno acquisito il marchio<br />
<strong>del</strong> consorzio “Le terre <strong>del</strong> Palladio” e si sono fregiati <strong>del</strong>la certificazione CSQA.<br />
Il Broccolo Fiolaro di Creazzo viene oggi curato nei minimi particolari dalla<br />
semina al raccolto, con un’attenta selezione e preparazione sino alla<br />
confezione. Viene etichettato singolarmente con i dati di rintracciabilità <strong>del</strong><br />
produttore, <strong>del</strong> mappale seminativo e <strong>del</strong> lotto di raccolta, a garanzia <strong>del</strong>l’autenticità<br />
<strong>del</strong> prodotto.
Produttori certificati<br />
Balestro Paolo - Via Valdiezza Creazzo<br />
Tel. 0445.535110 vendita diretta<br />
Cortese Diego - Via Broggiadoro Creazzo<br />
Tel. 0445.520328 vendita diretta<br />
Gentilin Daniele - Via Sabbioni, 9 Creazzo<br />
Tel. 0445.520827 vendita diretta<br />
Meggiarin Pietro - Via Beccodoro, 14 Creazzo<br />
Tel. 0445.520019 vendita diretta<br />
Pellatiero Lina - Via Fusine, 1 Creazzo<br />
Tel. 0445.340416 vendita diretta<br />
Riva Mario - Via Fusine, 22 Creazzo<br />
Tel. 0445.520037 vendita diretta<br />
DAGLI ANTICHI ALLA RISCOPERTA: STORIA DI UNA RINASCITA<br />
Già lo scrittore latino Catone il Vecchio in epoca romana citava il broccolo,<br />
riconoscendone le qualità e le importanti proprietà medicamentose. Intuizioni<br />
che hanno trovato una conferma scientifica solo nel 1992, quando uno studio<br />
<strong>del</strong>la prestigiosa Johns Hopkins University ha illustrato come il Broccolo Fiolaro<br />
sia ricco di sali minerali (fosforo, potassio, ferro, calcio, ecc.) e di vitamine (C,<br />
B1, B2, PP, A). Innumerevoli le sue proprietà: antiscorbutiche, ricostituenti,<br />
energetiche, antianemiche, antidiabetiche, remineralizzanti, antibatteriche,<br />
cicatrizzanti e, grazie alla grande qualità di sostanze antiossidanti, risulta<br />
particolarmente adatto a chi è soggetto ad ipertensione arteriosa, senza<br />
dimenticare che la presenza di zolfo lo rende anticancerogeno.<br />
Del Broccolo Fiolaro si innamorò Wolfgang Goethe durante la tappa a Vicenza<br />
<strong>del</strong> suo viaggio in Italia <strong>del</strong> 1786, e ne porta testimonianza anche Bartolomeo<br />
Scola nel 1885 nel suo “Creazzo - Ricordi storici”. Nell’Ottocento la produzione<br />
era al suo massimo fervore, tanto che raggiungeva i 150 mila cespi all’anno.<br />
Poi, con l’avvento <strong>del</strong>l’industrializzazione nel dopoguerra, questa pregiata<br />
coltivazione venne quasi completamente abbandonata.<br />
Grazie alla riscoperta <strong>del</strong>la tipicità e <strong>del</strong>la genuinità dei prodotti, il broccolo<br />
fiolaro da una decina d’anni è ritornato, con un’infinità di ricette, principe <strong>del</strong>la<br />
tavola, non solo vicentina. <strong>La</strong> diffusione, infatti, con distributori organizzati,<br />
singoli dettaglianti e vendita diretta, ha raggiunto dimensioni inimmaginabili<br />
fino a qualche anno fa. Oltre ai bravi ristoratori locali viene elaborato anche da<br />
illustri cuochi nelle ricette più svariate e ricercate, come accade all’esclusivo<br />
ristorante CraccoPeck di Milano, gestito dal vicentino Carlo Cracco. Ma a<br />
sorpresa è richiesto anche da abili Chef giapponesi, che per le sue peculiarità<br />
lo propongono nei loro menù nella terra <strong>del</strong> sol levante.<br />
Anche la pizza, il tipico piatto italiano universalmente riconosciuto, ha sposato<br />
il Broccolo Fiolaro, con omogenei e positivi riconoscimenti, ed un enorme<br />
successo da parte dei buongustai. Lo conferma il ristoratore Graziano Cortese,<br />
che ci racconta: “In stagione, nella mia pizzeria Bellavista di Creazzo la<br />
richiesta <strong>del</strong>la pizza al Broccolo Fiolaro supera il 60% <strong>del</strong>le ordinazioni. Non è<br />
solo curiosità, si è affermata ed è apprezzata, tanto da divenire regina su tutte.<br />
Ed è con piacere che noto quanti stanno prendendo la buon’abitudine<br />
d’abbinarla ad un buon Merlot dei Berici, segno che anche il cliente <strong>del</strong>la<br />
pizzeria è attento ed in continua crescita”.<br />
Tanto successo è merito anche <strong>del</strong>la sagra, giunta quest’anno alla sua 8 a<br />
edizione, che vede oltre 15.000 presenze partecipanti alle numerose ed<br />
interessanti manifestazioni: visite guidate ai luoghi di produzione; pranzi e<br />
corsi curati dai ristoratori, capitanati dallo Chef Gianluca Tomasi; mercatini;<br />
rappresentazioni; intrattenimenti musicali ed iniziative, tra cui spicca la<br />
rassegna enogastronomia dei ristoratori locali con interessanti menu a base di<br />
Broccolo Fiolaro. Il coinvolgimento di tanti laboriosi Creatini, assieme alle<br />
scolaresche, le istituzioni, i coltivatori ed i ristoratori, oltre a tutto il mondo<br />
economico e culturale di Creazzo, ha saputo valorizzare questo prodotto<br />
apparentemente semplice, rendendolo l’orgoglio di tutta la popolazione,<br />
confermando il meritato ed indiscusso successo <strong>del</strong> Broccolo Fiolaro.<br />
Roberto Gasparin<br />
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18<br />
San Valentino<br />
il Santo <strong>del</strong>l'Amore<br />
<strong>La</strong> sua fama si estende in tutto<br />
il mondo con storie e leggende<br />
che navigano gli oceani,<br />
ma pochi conoscono<br />
la vera storia<br />
<strong>La</strong> festa degli innamorati ha origini che si perdono nel tempo, e nascono<br />
dal tentativo <strong>del</strong>la Chiesa cattolica di porre termine ad un popolare rito<br />
pagano per la fertilità.<br />
Fin dal quarto secolo a.C. i romani pagani rendevano omaggio al dio<br />
Lupercus con un singolare rito annuale. I nomi <strong>del</strong>le donne e degli uomini<br />
che adoravano questo Dio erano messi in un'urna e opportunamente<br />
mescolati. Quindi un bambino sceglieva a caso alcune coppie che per un<br />
intero anno avrebbero vissuto in intimità affinché il rito <strong>del</strong>la fertilità fosse<br />
concluso, per ricominciare l’anno successivo con altre coppie.<br />
Tutto ciò era inaccettabile e, determinati a metter fine a questa primordiale<br />
pratica, i padri precursori <strong>del</strong>la Chiesa nel quarto secolo cercarono un santo<br />
che potesse essere sostituito alla venerazione <strong>del</strong> <strong>del</strong>eterio Lupercus. <strong>La</strong><br />
scelta cadde su Valentino, un vescovo che era stato martirizzato circa<br />
duecento anni prima.<br />
Correva infatti l’anno 175 d.C. quando a Terni nasceva San Valentino, oggi<br />
patrono <strong>del</strong>la città e <strong>del</strong>l’Amore. In un mondo in cui infuriava la<br />
persecuzione nei confronti dei seguaci di Gesù quest’uomo dedicò la vita<br />
alla comunità cristiana.<br />
Il suo nome è da sempre legato all’amore per un episodio che a quel tempo<br />
sollevò particolare clamore: narra la leggenda, infatti, che Valentino fu il<br />
primo religioso a celebrare l’unione fra un legionario pagano ed una<br />
giovane cristiana. Un giorno sentendo due giovani fidanzati che litigavano<br />
oltre la siepe colse una rosa e gliela porse: tanto bastò a far terminare<br />
all'istante la lite dei due giovani che poco tempo dopo gli chiesero di<br />
celebrare le loro nozze.<br />
Iniziò così una lunga processione al cospetto di San Valentino per invocare<br />
il suo patrocinio sulle future famiglie. Il 14 di ogni mese diventò così il<br />
giorno dedicato alle benedizioni, ma la data è stata poi ristretta al solo<br />
mese di febbraio, giorno in cui nel 273 San Valentino celebrò le sue nozze<br />
in Paradiso.<br />
Questa può sembrare una dolce leggenda per chi non ha mai smesso di<br />
credere nelle favole. È quantomeno curioso però come ben pochi la<br />
conoscano, e come la popolarità <strong>del</strong> Santo sia piuttosto legata agli aspetti<br />
“di consumo” collegati alla ricorrenza.<br />
Certo se due persone si vogliono bene ogni giorno è San Valentino, ma per<br />
lo stesso motivo è bello vi sia un giorno nel quale incoronare il proprio<br />
amore. Una festa che non può concludersi senza una romantica cena a<br />
lume di can<strong>del</strong>a, spesso abbandonandosi alle mani sapienti degli specialisti<br />
<strong>del</strong> romanticismo, tra infallibili cenette, fiori, champagne, dolci peccati di<br />
gola, menù speciali ed atmosfere sognanti.<br />
Paolo Gasparin
Cottura<br />
Freddo<br />
<strong>La</strong>vaggio<br />
Pizzeria<br />
Preparazione<br />
Aspirazione<br />
Bar<br />
<strong>La</strong>vanderia<br />
Accessori
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Proverbi e vecchi consigli<br />
dei nostri nonni<br />
“<strong>La</strong> boca non la xe straca se non la sa da vaca”. È uno dei detti più popolari<br />
<strong>del</strong>la nostra zona, e ricorda che a fine pasto non guasta mai un pezzetto<br />
di <strong>formaggio</strong> per chiudere degnamente il pranzo o la cena.<br />
Spulciando qua e là abbiamo trovato una serie di proverbi in stretto<br />
dialetto veneto che vogliamo proporvi perché rimanga questa tradizione<br />
dei detti popolari che purtroppo, anche nella nostra provincia, sta<br />
scomparendo. Sarà una rubrica fissa, mensile, in cui proponiamo detti,<br />
locuzioni e proverbi attinenti con il mese di pubblicazione di<br />
“<strong>Gustolocale</strong>”. Ovviamente andremo a cercare anche quei detti legati ai<br />
Santi, un’altra vecchia tradizione che vogliamo mantenere e trasmettere<br />
alle nuove generazioni.<br />
Incominciamo con “<strong>La</strong> valeriana da ogni mal la risana” per poi ricordare<br />
che “El mandolàto na volta a l’ano chi non lo magna, so dano” ma bisogna<br />
stare attenti alla “Poenta e puina, pi se ghin magna manco se camina.”<br />
Anche col vino non bisogna scherzare “Un goto ai omeni, mezo ale done,<br />
na lagrima ai putei” e il più conosciuto “Bianco e moro mename a casa”.<br />
Detti<br />
e ridetti
Ed ecco che i nostri nonni insegnavano che “Tera nera fa bon fruto, tera<br />
bianca guasta tuto” e quindi “Dise el campo al vilan, se te me dè merda te<br />
darò el pan”, poi si impara anche che: “magna renghe e sar<strong>del</strong>oni: te<br />
conservarè i polmoni” e sempre in tema di pesce va ricordato che “de pese<br />
scampà non s’ingà mai magnà”.<br />
È proprio vero che “Done, can e bacalà non i xe boni se non i xe pestà” e<br />
ancora sul pesce: “El pese ga da noare tre volte: prima ’nte l’acqua, dopo<br />
’ntel’oio e la terza ’ntel vin”.<br />
Una volta lo si mangiava quasi tutti i giorni, ma non si sapeva che “poenta<br />
e late ingrassa le culate”.<br />
Proverbi di Febbraio<br />
Ed ora ecco qualche proverbio legato a questo mese: “Se l'è fredo anca a Febraro, e gaine e<br />
sta in punaro. Can<strong>del</strong>ora can<strong>del</strong>ora massa volpi ghe xe fora”.<br />
<strong>La</strong> Can<strong>del</strong>ora si festeggia il 2 febbraio in commemorazione <strong>del</strong> rituale di purificazione di<br />
Maria Vergine. I ceri benedetti distribuiti durante la cerimonia venivano custoditi nelle case<br />
e accesi in caso di cattivo tempo, quando minacciava di grandinare, o mentre le donne<br />
stavano partorendo. “Se la çeriola (Can<strong>del</strong>ora) xe solariola, da l'inverno semo fora; se piove o<br />
tira vento, de l'inverno semo ’ncora drento”.<br />
“San Biasio sòra la gola.” Il 3 febbraio, giorno di S.Biagio, il protettore <strong>del</strong>la gola, si benediva<br />
la frutta: una volta mangiata avrebbe protetto dai mali <strong>del</strong>la gola.<br />
“San Biasio da la barba bianca, se no piove a neve non manca”.<br />
<strong>La</strong> festa degli innamorati… un altro punto di riferimento, l’inverno sta giungendo al termine<br />
e: “Per San Valentin, la primavera xe in camin!”, perché “A San Valentin el giasso nol tièn<br />
gnanca un gar<strong>del</strong>in”. E ancora: “Primavera de febraro non inpinissi el granaro” oppure “A San<br />
Valentin la spagna ga el butìn”.<br />
Termina il carnevale ed ecco il mercoledì <strong>del</strong>le ceneri: “Febraieto scortega l'asino e copa el<br />
capreto”. Ma non dimentichiamo che: “Xe corto febraro: meso dolce meso amaro”.<br />
Paolo Terragin<br />
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“A cena col campione.....”<br />
Incontro a tavola con gli sportivi vicentini<br />
ROBERTO LOCATELLI: MOTO ITALIANA, CUCINA ASIATICA<br />
15 ottobre 2000. Una data che Roberto Locatelli sicuramente non dimenticherà facilmente. Nel GP <strong>del</strong> Pacifico si laurea<br />
campione Mondiale <strong>del</strong>la 125 cc.<br />
Roberto Locatelli è oggi ospite <strong>del</strong>la nostra rubrica “A cena col Campione” per due motivi: innanzi tutto<br />
perchè abbiamo avuto la fortuna, grazie agli amici <strong>del</strong> Panathlon, di averlo ospite in una serata al<br />
ristorante ‘Da Riccardo’ assieme al compagno Alex De Angelis (ne sentiremo parlare a breve) e a Gigi<br />
Dall’Igna, il responsabile tecnico <strong>del</strong>l’Aprilia.<br />
Il secondo motivo riguarda la sua anagrafe. Lui è nato a Bergamo, ma suo padre è vicentino doc.<br />
Quindi c’è <strong>del</strong> buon sangue che scorre nelle vene <strong>del</strong> centauro.<br />
“Sì è vero - attacca il campione - io provengo da Bergamo, ma mio padre è nato nel vicentino, nel<br />
basso vicentino. Però io mi sento lombardo perché sono nato e cresciuto a Bergamo.”<br />
Come darle torto, lo si capisce dal quel suo accento tipico bergamasco. Ma parliamo di cibo, di alimentazione,<br />
<strong>del</strong>le sue preferenze...<br />
“Ovviamente quando siamo nei vari circuiti abbiamo il Team (a proposito, Locatelli corre per la Gilera,<br />
ndr) che al suo interno ha un servizio di catering e quindi quando siamo impegnati nelle corse e nelle<br />
prove mangiamo pasti a base di carboidrati, frutta e verdure. Diciamo un’alimentazione che non si<br />
discosta da quella di uno sportivo che fa <strong>del</strong>l’agonismo, seguendo una dieta mediterranea”.<br />
Lei avrà lo stesso la possibilità, visto che gira il mondo, di assaggiare anche la cucina locale. A questo<br />
proposito ha <strong>del</strong>le preferenze?<br />
“Ovviamente quando non abbiamo impegni ufficiali una puntatina al ristorante tipico è quasi d’obbligo,<br />
e quindi direi che preferisco la cucina indiana, sapori forti, decisi e piccanti. Sono cibi che mangio<br />
sempre volentieri. Mi piace provare un po’ di tutto, dico la verità, ma quella orientale è la cucina che<br />
preferisco”.<br />
Sicuramente da buon lombardo avrà i suoi piatti tipici…<br />
“Non possono mancare la ‘cassoula’, le verze, gli insaccati…”<br />
E di vicentino cosa conosce?<br />
“Brutto tasto. Scusate, ma non conosco davvero nulla. Però stasera ho mangiato molto bene, leggero<br />
e appetitoso. E poi mi ha incuriosito questo dolce: la Gata. Buono davvero. Complimenti”.<br />
Se permette i complimenti gli facciamo noi a lei, anzi, se permette le facciamo un sincero “in bocca al<br />
lupo!”<br />
“Crepi”.<br />
Paolo Terragin<br />
Ogni mese l’inserto <strong>del</strong>la<br />
<strong>La</strong> <strong>strada</strong> <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong><br />
da staccare e conservare<br />
a cura di Emilio Nizzero<br />
<strong>del</strong>egato provinciale O.N.A.F.<br />
Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Formaggio<br />
Roberto Locatelli<br />
NEL PROSSIMO NUMERO:<br />
- Bolzano Vicentino<br />
- Cartigliano<br />
- Pozzoleone
Marano Vicentino<br />
Azienda Agricola Aidi<br />
L’azienda agricola AIDI è<br />
situata ai piedi <strong>del</strong>le prealpi<br />
vicentine a nord di Marano,<br />
in un lembo di pianura<br />
ancora fortunatamente<br />
verde; l’azienda è condotta<br />
esclusivamente con metodo<br />
biologico con controllo BIOS<br />
e secondo normative internazionali<br />
CE.<br />
Iniziata l’attività nel 1997<br />
con poche capre e una<br />
struttura provvisoria,<br />
attualmente, nel nuovo<br />
stabile sono presenti 130<br />
capi in lattazione oltre una<br />
50 di caprette da rimonta tutte allevate con stabulazione libera. L’azienda, a gestione<br />
familiare, impegna due persone a tempo pieno e altre due impegnate soprattutto nella<br />
lavorazione e confezionamento <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong>.<br />
<strong>La</strong> trasformazione <strong>del</strong> latte avviene in modo artigianale nei locali annessi all’azienda e<br />
dà origine ad una linea completa di formaggi di altissima qualità, tutti a caglio<br />
vegetale, freschi confezionati ad atmosfera modificata o stagionati in assi di quercia<br />
non trattata per permettere un migliore “respiro” <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong>.<br />
Formaggi prodotti<br />
L’Azienda Agricola “AIDI” produce diversi<br />
prodotti che si possono classificare in due<br />
categorie; prodotti freschi e prodotti<br />
stagionati.<br />
Prodotti freschi:<br />
Ricotta di capra<br />
Caciotta di capra<br />
Delizia di capra<br />
Delizia di capra al basilico, alla menta, alla<br />
melissa, o con erbette miste<br />
Tenerello di capra<br />
Prodotti stagionati:<br />
Cacio di capra<br />
Caciotta stagionata di capra<br />
Caciotta stagionata di capra al basilico o al<br />
peperoncino<br />
<strong>La</strong> <strong>strada</strong> <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong><br />
Abitanti: 8.796; superficie: 12.70 kmq;<br />
distanza da Vicenza: 23 km.; altitudine: 136 m. s.l.m.<br />
Comuni limitrofi: Thiene, Malo, S.Vito di Leguzzano, Schio,<br />
Zanè<br />
A giudizio di storici e studiosi il nome <strong>del</strong> paese<br />
ha origini antichissime, risalenti addirittura al<br />
tempo dei Romani.<br />
L’equivalente in latino <strong>del</strong> volgare Marano<br />
sarebbe “Maranum” o “Marianum”.<br />
<strong>La</strong> data di fondazione viene ipotizzata tra il<br />
103 e il 150 avanti Cristo. In questo periodo i<br />
soldati di Mario, console romano celeberrimo,<br />
ebbero costruito numerosi villaggi in suo nome<br />
in tutto il territorio veneto per celebrare la<br />
clamorosa vittoria sui Cimbri.<br />
A convalidare l’antichità di Marano, sta il<br />
ritrovamento nel secolo scorso, di numerosi<br />
reperti archeologici. Durante l’aratura dei<br />
campi alcuni contadini trovarono due casse<br />
fatte con antichi coppi romani.<br />
Attualmente la posizione geografica di Marano,<br />
tra i due poli produttivi di Schio e Thiene, ha<br />
permesso uno sviluppo economico locale in<br />
senso nettamente industriale: L’agricoltura è<br />
ancora basata sulle tradizionali produzioni di<br />
ortaggi e cereali; il granturco ha rappresentato<br />
una “gloria” maranese: infatti una selezione<br />
ottenuta per incrocio nel 1890 da A. Fioretti,<br />
diede origine alla qualità “marano” che si è<br />
diffusa soprattutto negli anni ’20-’40 in Italia e<br />
in America.<br />
Da visitare<br />
Chiesa di S.Maria (XVIII secolo)<br />
Chiesa di S.Fermo (XVII secolo)<br />
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<strong>La</strong> <strong>strada</strong> <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong><br />
Pastorizzazione o termizzazione <strong>del</strong> latte<br />
Il latte viene messo nella vasca polivalente, addizionato con sale e riscaldato<br />
fino a 68°C per il processo di termizzazione nel caso di formaggi stagionati<br />
oppure ad una temperatura di 72°C per il processo di pastorizzazione nel<br />
caso di formaggi freschi. Il riscaldamento dura circa un’ora e durante questa<br />
fase viene effettuato il rimescolamento tramite l’azionamento di spatole<br />
automatiche in acciaio. Una volta raggiunta la temperatura massima, essa<br />
viene mantenuta per almeno un minuto al fine di rispettare i processi<br />
chimico – fisici che sono alla base di una buona riuscita <strong>del</strong> processo stesso.<br />
Trasformazione <strong>del</strong> latte<br />
Produzione di cacio e caciotte. Dopo il riscaldamento, inizia la fase di raffreddamento;<br />
quando il latte raggiunge i 45°C viene introdotto il fermento, che<br />
ha lo scopo di “attivare” il latte, e successivamente, a 36°C, prima si arresta<br />
il processo di raffreddamento e poi si aggiunge il caglio. A questo punto si<br />
disattivano le spatole e si lascia riposare il latte per circa 15 minuti. Quando<br />
la cagliata raggiunge una certa consistenza, verificabile manualmente,<br />
vengono sostituite le spatole con <strong>del</strong>le pale dotate di filamenti in acciaio e<br />
vengono attivate elettricamente per effettuare la “spinatura” <strong>del</strong>la cagliata.<br />
In un minuto la cagliata è tagliata e si procede alla “cottura” <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong><br />
portandolo, in circa 3-5 minuti, alla temperatura di 42°C. Raggiunta questa<br />
temperatura, inizia lo scarico <strong>del</strong>la cagliata sui banchi di lavoro.<br />
Nel caso <strong>del</strong> cacio la cagliata viene scaricata direttamente sullo stampo.<br />
Riempito lo stampo, si lascia scolare per bene il siero per poi girare la forma<br />
all’interno <strong>del</strong>lo stampo stesso in modo da fargli assumere la sagoma voluta.<br />
Nel caso <strong>del</strong>la caciotta la scarico avviene su un’apposita griglia (stampiera)<br />
dotata di fori in modo tale da scaricare negli stampi, posati uno di fianco<br />
all’altro nel banco, la cagliata. Anche in questo caso si attende che il siero<br />
scoli prima di aggiungere eventuale cagliata e poi si girano le caciotte<br />
all’interno degli stampi. Per realizzare le caciotte stagionate è sufficiente<br />
passare le caciotte fresche appena girate negli stampi con acqua calda a<br />
50°C. Nel caso <strong>del</strong>le caciotte stagionate al basilico o al peperoncino, questi<br />
vanno tritati e mescolati alla cagliata prima di metterla negli stampi.<br />
Produzione <strong>del</strong>la <strong>del</strong>izia. Pastorizzato il latte a 72°C e addizionato con sale<br />
si prosegue con il raffreddamento fino a 32°C, ma prima, a 45°C, viene<br />
aggiunto il fermento per “attivare” il latte. Il caglio viene addizionato a 32°C<br />
in dosi infinitesime, dopodichè si lascia coagulare la cagliata per 16-18 ore.<br />
L’estrazione <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong> viene effettuata manualmente con l’aiuto di<br />
appositi attrezzi che permettono di riempire gli stampi. Per realizzare le<br />
<strong>del</strong>izie alle erbe aromatiche (rigorosamente biologiche), queste vengono<br />
aggiunte alla cagliata prima di metterla negli stampi.<br />
Produzione <strong>del</strong> tenerello. Pastorizzato il latte a 72°C e addizionato con sale<br />
in quantità maggiore agli altri formaggi, si prosegue con il raffreddamento<br />
fino a 40°C, ma prima, a 45°C, viene aggiunto il fermento per “attivare” la<br />
cagliata. A 40°C viene aggiunto il caglio, la cagliata va lasciata riposare circa<br />
20 minuti per poi muoverla appena col “piatto” prima di lasciarla riposare<br />
per un’altra mezz’ora. Il prodotto cagliato viene versato negli appositi<br />
stampi sistemati nel banco di lavoro e viene lasciato scolare il siero per poi<br />
riempire il banco con acqua a 60°C fino a coprire il <strong>formaggio</strong>. L’acqua viene<br />
lasciata per 10-15 minuti in modo che il <strong>formaggio</strong> formi una leggera<br />
crosticina.<br />
Produzione <strong>del</strong>le ricotte. Recuperato il siero <strong>del</strong>le lavorazioni precedenti,<br />
questo viene riscaldato fino a 60°C, sempre col movimento <strong>del</strong>le spatole, e<br />
poi, si aggiunge il latte (3 litri per hl di siero) e sale dopodichè si arrestano<br />
le spatole e si continua a riscaldare fino a raggiungere la temperatura di<br />
92°C, raggiunta la quale si preleva manualmente con lo stampo la ricotta.<br />
<strong>La</strong>vorazioni successive<br />
Cacio. Dopo averlo lasciato negli stampi per due giorni circa, esso viene<br />
introdotto nella salina per 6-7 ore e poi immagazzinato per almeno 60 giorni<br />
prima <strong>del</strong>la commercializzazione.<br />
Delizia e caciotta. Rimaste nello stampo per circa un giorno, durante il quale<br />
le forme vengono salate due volte a secco, vengono immagazzinate nella<br />
cella refrigerante dei formaggi freschi e lasciate lì un altro giorno per farle<br />
asciugare prima di essere confezionate.<br />
Caciotta stagionata. Rimaste negli stampi per due giorni circa nella cella,<br />
vengono introdotte nella salina per un’ora e poi immagazzinate prima <strong>del</strong>la<br />
vendita per circa un mese.<br />
Ricotta. Rimane negli stampi per un giorno all’interno <strong>del</strong>la cella per poi<br />
essere, a loro volta, confezionate.<br />
Tenerello. Opportunamente rigirato e salato il <strong>formaggio</strong> viene messo nella<br />
cella per circa 8 giorni per la maturazione e successivamente viene<br />
confezionato
Breganze Abitanti: 7.764; superficie: Kmq. 21,78;<br />
distanza da Vicenza:19 Km; altitudine: 110 m. s.l.m.<br />
Comuni limitrofi: Sarcedo, Fara, Mason Vicentino, Schiavon, Sandrigo, Montecchio Precalcino<br />
Tra la pianura vicentina e l’altopiano di Asiago, tra l’Astico e il Brenta si estende il territorio<br />
<strong>del</strong> comune di Breganze.<br />
Il territorio non è più pianura e non è ancora collina.<br />
Porta di accesso ad Asiago e situata in un punto strategico e importante, Breganze esisteva<br />
già prima <strong>del</strong> Mille in funzione di luogo fortificato, come indica il nome “Castrum<br />
Breganeis”, con cui è ricordata nei documenti.<br />
Conteso tra famiglie di feudatari locali, il “castrum” passò alla famiglia che ne trasse il<br />
nome, i “da Breganze” e poi agli Ezzelini.<br />
<strong>La</strong> Canizza da Romano che Dante pone nel Paradiso apparteneva appunto ai da Breganze.<br />
Questa nobile famiglia bregantina imparentata con i da Romano seguì le loro sorti: dopo<br />
la morte di Ezzelino ebbe i propri feudi molto ridotti, ma continuò a tenere Breganze finché<br />
questo non passò al comune di Vicenza.<br />
Nel XIX secolo tornò alla ribalta per un movimento cattolico integralista che ebbe in<br />
Breganze il suo centro e i suoi animatori.<br />
Andrea Scotton fondò insieme ai fratelli, uno dei quali arciprete, un giornale di propaganda,<br />
“<strong>La</strong> riscossa” sui cui fogli combatté un’anacronistica battaglia contro cattolici moderati e<br />
liberali.<br />
Dal punto di vista economico, Breganze, è riuscita a saldare in armonico connubio la<br />
tradizione agricola ad un buon sviluppo industriale.<br />
L’industria è basata essenzialmente nel settore meccanico; l’agricoltura accanto alle colture<br />
tradizionali annovera una fiorente e ben consolidata tradizione vitivinicola, che trova i suoi punti di forza nel Vespaiolo e nel Cabernet.<br />
Da visitare: Chiesa di Santa Maria Assunta (XIX secolo), Oratorio SS. Vito e Modesto, Villa Diedo (XII secolo), Villa Maresciallo–Noventa (XV<br />
secolo) Villa Monza-Savadro (XVIII secolo).<br />
<strong>La</strong>tteria Sociale Cattolica<br />
<strong>La</strong> <strong>strada</strong> <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong><br />
<strong>La</strong> <strong>La</strong>tteria Sociale Cattolica, con sede in Breganze Strada <strong>del</strong>le Miliane 3, fu avviata nel 1911 ad opera dei monsignori<br />
Scotton, istruiti e perspicaci religiosi che hanno saputo cogliere e preservare, affinando nel tempo, le caratteristiche di<br />
bontà dei prodotti <strong>del</strong>la zona di Breganze, ottenendo così numerosi riconoscimenti che ne hanno fatto un marchio di<br />
prestigio riconosciuto anche fuori dei confini regionali.<br />
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<strong>La</strong> <strong>strada</strong> <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong><br />
Sandrigo<br />
Azienda Agricola Pigato<br />
<strong>La</strong> razza Burlina, grazie ad alcune caratteristiche che le sono proprie, rappresenta un patrimonio<br />
genetico unico al Mondo. Proviene dal nord Europa, portata dal popolo Cimbro, e per secoli ha<br />
popolato le Prealpi Venete e in particolare i Monti Lessini, le zone <strong>del</strong> Grappa e <strong>del</strong>l’Altopiano di<br />
Asiago. Dichiarata dalla Fao razza in via di estinzione, attualmente ne sono rimasti solo pochi<br />
esemplari.<br />
Morlacco canestrato<br />
Questo <strong>formaggio</strong> è prodotto con latte di vacca Burlina, alimentata in modo naturale con foraggi e<br />
cereali senza l’uso di mangime ed insilati. Il latte intero appena munto, viene cagliato e posto in<br />
canestri di giunco, nonché salato, lavato quotidianamente con siero e stagionato.<br />
Morlacco affumicato canestraio<br />
Il <strong>formaggio</strong> viene affumicato con legna di conifere verdi e ginepro. Il fumo si deposita sul Morlacco<br />
tramite un processo di assorbimento dei vapori che ne esalta il sapore.<br />
Ricotta affumicata<br />
Il siero di latte di vacca Burlina viene coagulato con sale inglese. <strong>La</strong> ricotta viene raccolta con un<br />
mestolo forato, trasferita in piccoli canestri di giunco e lasciata asciugare per 24 ore. Il giorno<br />
seguente viene affumicata con legna di conifere verdi e ginepro.<br />
Il Bastardo<br />
Prodotto con latte vaccino fresco (né refrigerato né pastorizzato). Il latte è portato a temperatura<br />
di 35° C e coagulato con caglio di vitello. Trascorsi dai 30 ai 60 minuti si esegue una rottura a croce<br />
con la rodea e dopo circa 10 minuti, una rottura più energica con lo spino. Circa 30 minuti dopo la<br />
rottura a croce, si esegue la cottura <strong>del</strong> coagulo, sotto agitazione, fino a quando la massa non ha<br />
raggiunto una temperatura di 45-46° C. Spento il fuoco, si lascia sedimentare la cagliata, e dopo<br />
circa 20 minuti, questa ultima viene raccolta con un telo di iuta (in passato di canapa) e depositata<br />
nelle fasciere. Trascorse 2-3 ore, si toglie il telo e si sala prima una faccia <strong>del</strong> <strong>formaggio</strong> e, dopo<br />
altre 12 ore, l’altra faccia. Dopo 2 giorni il <strong>formaggio</strong> viene portato in magazzino e posto su tavole<br />
in legno di abete rosso. Qui resta un minimo di 60 giorni (Bastardo fresco) fino ad un anno<br />
(tipologia stagionata). Durante questa permanenza il <strong>formaggio</strong> viene rivoltato frequentemente per<br />
favorire l’asciugatura e viene sottoposto a raschiatura ed oliatura per eliminare le eventuali muffe<br />
presenti.<br />
Origini<br />
Il <strong>formaggio</strong> Bastardo è così denominato perché è un ibrido di lavorazione tra Asiago pressato e<br />
l’Asiago d’allevo. Originario <strong>del</strong>l’800, il Bastardo viene prodotto prima nelle malghe, e successivamente<br />
nelle latterie turnarie <strong>del</strong>le Prealpi Venete e <strong>del</strong>la pianura adiacente. L’area di produzione<br />
comprende le malghe prealpine venete, principalmente in quelle <strong>del</strong> bellunese e di una parte <strong>del</strong><br />
trevigiano. In particolare la sua produzione è concentrata sul Massiccio <strong>del</strong> Monte Grappa.<br />
Gastronomia<br />
Formaggio dal sapore deciso, il Bastardo fresco viene consumato tal quale abbinato con vini rossi<br />
locali. <strong>La</strong> tipologia stagionata viene usata per la preparazioni di piatti particolari; viene usato per il<br />
ripieno di agnolotti dove esprime il meglio <strong>del</strong>la sua aromaticità.<br />
Abitanti: 7.871; superficie: 27.95 kmq;<br />
distanza da Vicenza: 15 km, altitudine: 68 m. s.l.m.<br />
Comuni limitrofi: Breganze, Schiavon, Pozzoleone, Bressanvido, Bolzano Vicentino,<br />
Monticello Conte Otto, Dueville, Montecchio Precalcino<br />
L’origine <strong>del</strong> nome potrebbe risalire a<br />
Ulrico (o Ulderico) vescovo di Augusta<br />
<strong>del</strong> IX secolo; nello scorrere dei secoli il<br />
nome di Sandrigo ricorre spesso nelle<br />
pagine di storia locale.<br />
Nel suo territorio vennero rinvenute due<br />
lapidi romane, e un sarcofago di una<br />
giovinetta testimonia le remote origini di<br />
una comunità cristiana.<br />
Nel 1920 venne alla luce una necropoli<br />
longobarda durante uno scavo in una<br />
campagna. Nel Seicento Sandrigo era<br />
noto per un importante mercato che si<br />
teneva ogni venerdì e richiamava<br />
acquirenti e venditori da tutte le zone<br />
vicine.<br />
L’economia di Sandrigo è di tipo misto<br />
agricolo-industriale, e ben organizzato è<br />
anche l’allevamento zootecnico.<br />
Da visitare:<br />
la Chiesa Parrocchiale, Palazzo<br />
Mocenigo, Villa Tecchio, Villa Chiericati.
Le signore dei vigneti e il Gastaldo<br />
Radici nella storia con lo sguardo al futuro<br />
Non vi è settore economico che abbia radici più<br />
antiche e una portata globale superiore a quello <strong>del</strong><br />
vino e, probabilmente, nessuno ha escluso in modo<br />
così risoluto e così a lungo le donne da posizioni<br />
importanti. Ciononostante ci sono state singole<br />
donne che già secoli fa hanno rifiutato pregiudizi<br />
culturali ed ostacoli imprenditoriali, donne pioniere<br />
che hanno lasciato le loro impronte in<strong>del</strong>ebili sul<br />
mercato <strong>del</strong> vino e il loro nome a firma dei grandi<br />
vini <strong>del</strong> mondo. Oggi non parliamo più di singole<br />
donne, ma di un notevole<br />
e crescente numero che<br />
influisce sull’industria <strong>del</strong><br />
vino e occupa <strong>del</strong>le<br />
posizioni considerate di<br />
potere. Oggi le ritroviamo<br />
tra i produttori e gli<br />
enologi più importanti <strong>del</strong><br />
mondo e sono presenti<br />
nelle strutture di potere<br />
<strong>del</strong> Vecchio e <strong>del</strong> Nuovo<br />
Mondo.<br />
A proposito di donne e<br />
vino, da una recente<br />
elaborazione <strong>del</strong>la camera<br />
di commercio di Milano sui dati <strong>del</strong> Registro<br />
Imprese 2001-2006 emerge che in Italia il 40%<br />
<strong>del</strong>le imprese vitivinicole è gestito da donne<br />
mentre il 30% ne è titolare; un trend i continua<br />
ascesa.<br />
Anche nel nostro territorio troviamo degli esempi<br />
<strong>del</strong>l’imprenditoria femminile nell’ambito <strong>del</strong>la<br />
produzione <strong>del</strong> vino, è il caso di Enrica Novello e<br />
Michela Fortunato, che dal 2001 hanno deciso di<br />
riunire i loro terreni e vigneti, dando vita<br />
all’azienda vitivinicola Gastaldìa.<br />
Regio amministratore giuridico durante l’epoca dei<br />
Longobardi e, nei secoli successivi antico ammini-<br />
stratore <strong>del</strong>la terre nobili, il gastaldo teneva in<br />
mano la chiave <strong>del</strong>le ricchezze <strong>del</strong> territorio.<br />
Ma il moderno gastaldo, l’agronomo vicentino<br />
Pierluigi Pozzan, ha un’altra chiave in mano. A lui,<br />
infatti, va il compito di integrare queste due<br />
aziende vitinicole <strong>del</strong>la zona D.o.c. di Breganze,<br />
seguendo un comune filo conduttore.<br />
Una nuova cantina senza alcun tipo di impatto<br />
ambientale, dal progetto innovativo e rispettoso<br />
<strong>del</strong>l'ambiente, con vigneti<br />
in posizioni di pregio.<br />
Nella tenuta spiccano ben<br />
due ville palladiane, ed è<br />
destinata a dare un<br />
importante contributo<br />
all'economia <strong>del</strong> territorio.<br />
Un luogo ove vinificare<br />
cercando di valorizzare il<br />
territorio all'interno di un<br />
percorso di turismo<br />
enogastronomico che dia<br />
rilievo ai tesori architettonici<br />
e ai prodotti locali.<br />
Che le donne abbiano<br />
sempre avuto un occhio di riguardo verso la qualità<br />
rispetto alla quantità è una cosa oramai assodata,<br />
dimostrazione ne è la nascita <strong>del</strong> principe dei vini<br />
vicentini. Da quest’anno infatti la cantina può<br />
fregiare la sua collezione con la sua prima<br />
produzione di Torcolato d.o.c, prodotto seguendo<br />
una “ricetta” di famiglia, applicando quei segreti<br />
<strong>del</strong>la vinificazione custoditi gelosamente nei<br />
conventi <strong>del</strong> Vicentino e <strong>del</strong>la <strong>La</strong>guna di Venezia sin<br />
dai tempi <strong>del</strong>la Serenissima Repubblica.<br />
Una vocazione, quella femminile, legata alla<br />
comunicazione, all'estetica ed alle pubbliche<br />
relazioni, ma ancor di più rivolta ai territori ed al<br />
paesaggio, difendendo i vitigni autoctoni e le<br />
esigenze <strong>del</strong>la terra.<br />
Paolo Gasparin<br />
Le donne lavorano da sempre<br />
nelle aziende vinicole, dalla vigna<br />
alla cantina, quasi<br />
“oscuramente”. In un settore,<br />
quello vinicolo, di impronta<br />
storicamente maschile, in cui<br />
aiutavano ma non decidevano...<br />
27
28<br />
i Picai<br />
<strong>del</strong> recioto di Gambellara<br />
Domenica 14 gennaio: la <strong>strada</strong> corre verso Zermeghedo, e si vedono, nella<br />
nebbia <strong>del</strong> mattino, qui non comune, i filari ben ordinati.<br />
Oggi si fa, in piazza, la spremitura pubblica, un rito ormai, <strong>del</strong>le uve<br />
garganeghe che, raccolte in “picai”, sono state appiccate in granaio, con i<br />
grappoli rovesciati a due a due. Si è potuto fare, sebbene con molta cura ed<br />
attenzione, perché queste uve sono di relativamente facile conservabilità e<br />
si prestano all’appassimento per ottenere vini liquorosi, da sempre<br />
apprezzati.<br />
Fatta appassire quest’uva <strong>del</strong>icata e tolta tutta l’acqua possibile per rendere<br />
il succo un vero nettare, la si è fatta riposare mentre, nel frattempo,<br />
prendeva maggior profumo da trasferire al vino. Diventerà di colore giallo<br />
“ambrato” ed avrà un sapore pieno, lungo, che ricorda il miele, le<br />
mandorle.<br />
Strano vino questo Recioto DOCG (sta per concludersi proprio in<br />
questi giorni l’ottenimento <strong>del</strong>la denominazione d’origine<br />
controllata e garantita) che, si diceva, era fatto per le donne, ma<br />
in realtà lo bevevano gli uomini con l’orgoglio di chi aveva fatto<br />
qualcosa di gran pregio.<br />
Lo accompagnavano (e lo si fa ancora) a “pinze”, “zalèti”, e all’immancabile<br />
“brasadèlo”; è compagno eccellente per frutta secca e<br />
fresca, quella autunnale (Amedeo Sandri, cuoco e gastronomo di<br />
vaglia, la chiama frutta “brumale”). Un vino che, morbido e caldo, lo<br />
si beve con un sorriso.<br />
È stato il Consorzio di Tutela e <strong>del</strong>la Strada <strong>del</strong> recioto e quello dei vini<br />
Gambellara Doc ad organizzare questa festa che, da qualche anno, si<br />
sposta nei soli quattro Comuni che ne fanno parte. Del percorso <strong>del</strong>le<br />
due iniziative se ne è parlato nella conferenza stampa, affollata, tenuta<br />
nel Municipio di Zermeghedo. È una realtà, quella <strong>del</strong> Consorzio, sorta<br />
nel 1970, che conta circa 400 soci che producono o commercializzano<br />
l’unico vino <strong>del</strong>la zona: il Gambellara, appunto. Sono poco meno di mille<br />
ettari quelli vitati per le tipologie <strong>del</strong> solo Gambellara, in altre parole il<br />
DOC ed il Classico, il Recioto classico e spumante, ed il Vin Santo di<br />
Gambellara, unico Vin Santo <strong>del</strong>la regione Veneto.<br />
Ben più giovane la Strada, nata nel 2000, con 45 soci di cui 33 vitivinicoli e<br />
gli altri nel settore <strong>del</strong>la ristorazione, <strong>del</strong>l’ospitalità e <strong>del</strong>le produzioni tipiche.
Il Consorzio certifica la qualità di questi vini, vigila sulla<br />
produzione ed effettua sperimentazioni, porta assistenza e<br />
consulenza, organizza corsi di formazione. Lo ha precisato il<br />
Presidente <strong>del</strong> Consorzio, il dott. Conte Silvano, riferendo<br />
anche <strong>del</strong> nuovo progetto di zonazione <strong>del</strong> territorio, per<br />
individuare le zone a maggior resa, dai maggiori sapori,<br />
insomma per ottenere una migliore valorizzazione <strong>del</strong>la zona<br />
DOC. Accanto vi è anche il piano di caratterizzazione <strong>del</strong> Vin<br />
Santo, con un protocollo d’intesa fra i soci per ritornare<br />
all’antico. Il che vuol dire adempimenti nuovi su vigneti,<br />
sull’appassimento <strong>del</strong>le uve, sul metodo di conservazione ed<br />
affinamento.<br />
Il dott. Giuseppe Zonin, presidente <strong>del</strong>la Strada <strong>del</strong> Recioto,<br />
ha illustrato le manifestazioni <strong>del</strong> 2007: la nomina <strong>del</strong> ciclista<br />
Davide Rebellin quale Ambasciatore nel mondo <strong>del</strong> Recioto<br />
Gambellara DOC, la riunione <strong>del</strong> Lunedì di Pasqua a Selva di<br />
Montebello per la Festa <strong>del</strong> Vino, il premio al miglior<br />
giornalista che avrà contribuito a valorizzare la conoscenza<br />
<strong>del</strong> territorio, la bella passeggiata sulle colline <strong>del</strong>la <strong>strada</strong> <strong>del</strong><br />
Recioto in maggio ed il famoso, settembrino, Gambellara<br />
Wine Festival con cena di gala di piatti a base di questo vino.<br />
<strong>La</strong> villa palladiana di Montorso ospiterà questa cena, dando<br />
un tocco di classicismo che accresce la suggestione<br />
<strong>del</strong>l’insieme.<br />
È intervenuto anche il Presidente <strong>del</strong> Consorzio <strong>del</strong>la Strada<br />
<strong>del</strong> Soave che ha parlato <strong>del</strong>la similitudine fra Gambellara e<br />
Soave, e di dove tutto ha inizio: la vigna. “Ci vuole una<br />
specifica cultura <strong>del</strong>la vigna, ci vuole amore per ottenere<br />
qualità, dato che ogni altitudine, ogni esposizione al sole dà<br />
profumi diversi alle uve e perciò la cura <strong>del</strong> vigneto deve<br />
essere fatta da chi lo conosce”.<br />
Amedeo Sandri ha portato l’amore per la gastronomia nel suo<br />
intervento, parlando di “emozione”, “memoria”, “serenità” e<br />
“dolcezza”, come componenti imprescindibili di questo<br />
“serenissimo” vino di Gambellara.<br />
Pranzo ai “Broli” di Zermeghedo con la cucina di casa:<br />
sopressa, tagliatelle in brodo coi fegatini, capretto al forno e<br />
brasadèlo, prima <strong>del</strong>la spremitura in piazza, in un’aria di festa<br />
che è propria di una manifestazione dal cuore antico.<br />
Fra’ Ghiottone<br />
29
30<br />
abc<br />
Cosa piace<br />
ai bambini?<br />
I genitori, quasi tutti, ripetono lo stesso ritornello: ai bambini piacciono<br />
solo i farinacei (pasta, riso, patate), i formaggi più sapidi e le carni più<br />
insipide, come il petto di pollo. Perché i bambini cominciano la loro vita<br />
alimentare con questi alimenti insipidi? Come metterli nella giusta<br />
<strong>strada</strong>?<br />
L’intuizione dei genitori è giusta: i bambini scelgono soprattutto i<br />
farinacei e la carne; i formaggi scelti hanno poco gusto e una consistenza<br />
molle. Al pane - segno dei tempi - i bambini preferiscono gli altri<br />
farinacei: pasta, riso e patate fritte. I piatti più consumati sono per<br />
l’appunto le patate fritte, la pasta, il pesce impanato e fritto, il riso, il<br />
purè, il prosciutto e la bistecca. Per quanto riguarda la scelta <strong>del</strong>le carni,<br />
i bambini non hanno <strong>del</strong>le vere preferenze, mentre, per quanto riguarda<br />
le verdure (scelte meno frequentemente <strong>del</strong>la carne) le preferenze sono<br />
precise: il tipo di verdura e il tipo di preparazione culinaria determinano<br />
le scelte dei bambini. Gli spinaci, ad esempio, che hanno una così cattiva<br />
reputazione tra i bambini, sono invece la verdura più consumata quando<br />
preparati con la besciamella. Le verdure come il radicchio, le verze, i<br />
pomodori e i fagiolini verdi attirano poco; apparentemente i prodotti dalla<br />
consistenza dura e fibrosa (difficili da masticare) non sono graditi, come<br />
anche quelli dall’amarezza pronunciata.<br />
Che cosa dunque spiega le preferenze dei bambini?<br />
Si è cercato di mettere in relazione queste scelte con il loro valore<br />
nutrizionale e si è scoperto che più gli alimenti hanno un valore<br />
energetico importante e più sono scelti (tranne i formaggi a pasta dura<br />
e compatta, stagionati). È il segno <strong>del</strong>l’influenza ancora forte <strong>del</strong>l’innato<br />
dei bambini?<br />
Si sa da tempo che i neonati che assaggiano <strong>del</strong>le soluzioni salate, dolci,<br />
acide o amare fanno una smorfia di disgusto per l’acido e l’amaro e una<br />
mimica di piacere per le soluzioni zuccherate: sono simili alle scimmie<br />
frugivore che associano il sapore dolce alla presenza di zuccheri,<br />
molecole a forte densità energetica, e l’amaro ai vegetali che contengono<br />
di Amedeo Sandri<br />
degli alcaloidi tossici.<br />
È solo progressivamente che il bambino impara, per condizionamento e<br />
cultura, a diversificare la sua alimentazione: il condizionamento permette<br />
ad esempio al cervello di associare sazietà e consumo preliminare di<br />
molecole energetiche ma non zuccherate, come i grassi; la cultura,<br />
invece, spiega perché alcuni bambini, anche in tenerissima età, si<br />
dilettano di piatti dal gusto intenso, che le spiegazioni biologiche non<br />
riescono a giustificare. <strong>La</strong> seconda conclusione importante riguarda la<br />
grande variabilità nella scelta dei prodotti dal gusto intenso. A tutt’oggi,<br />
nessuno dei fattori analizzati è riuscito a spiegare tale variabilità: né il<br />
sesso, né l’allattamento materno, né il rango <strong>del</strong> bambino nella famiglia,<br />
né il suo indice di massa corporea. Non si sanno quindi ancora spiegare<br />
le variazioni importanti che esistono tra un bambino e l’altro, ma le scelte<br />
alimentari dei bambini in tenera età sono state finora poco esplorate, ed<br />
è normale che questi primi studi lascino <strong>del</strong>le zone d’ombra incomprese.<br />
Ecco dunque alcune semplici regole da tenere presenti quando si tratta<br />
di far mangiare i bambini in tenera età:<br />
- varietà in tavola: di tutto un po’;<br />
- più cereali, legumi, ortaggi e frutta;<br />
- meno carne rossa e, possibilmente, più pesce;<br />
- cotture semplici, con pochi grassi;<br />
- più olio extravergine di oliva;<br />
- meno burro e grassi animali;<br />
- l’acqua fresca è tutta salute;<br />
- le bibite gassate vanno date con giudizio;<br />
- usando meno sale, si fa si che il bambino scopra il gusto naturale<br />
<strong>del</strong>l’alimento;<br />
- lo zucchero e i dolci si possono dare, ma senza esagerare, e poi…<br />
Amicizie, interessi, vita attiva e soprattutto sport, tanto sport. Così si<br />
crescono bambini sani e felici che vivranno d’aria e d’amore, perché i loro<br />
genitori l’hanno insegnato loro prima e tradotto in pratica poi!<br />
Amedeo Sandri
Il miglior baccalà?<br />
Quello alla Vicentina<br />
Sono trascorsi ormai sei secoli da quando il comandante veneziano Piero<br />
Querini naufragò sulle Isole Lofoten in Norvegia, portando sulle nostre<br />
tavole il pesce bastone. Eppure oggi, più che mai, ci si contende il merito<br />
per la sua migliore interpretazione.<br />
Da un’idea <strong>del</strong> Cenacolo Roveretano, si è svolta presso la Scuola<br />
Alberghiera di Rovereto la 6 a edizione <strong>del</strong> trofeo Querini; un nuovo duello<br />
a colpi di stoccafisso, a cui hanno partecipato tre ricette tipiche per lo<br />
stoccafisso. All’appuntamento per il premio “Pietro Querini 2006” sono<br />
giunte le gustose e prelibate “interpretazioni” <strong>del</strong>la Sardegna, <strong>del</strong><br />
Trentino e <strong>del</strong> Veneto, rappresentato dalla ricetta <strong>del</strong>la Venerabile<br />
Confraternita <strong>del</strong> Baccalà alla Vicentina. <strong>La</strong> preparazione è stata affidata<br />
al ristorante “Al torcio” di Chiampo.<br />
L’obiettivo è quello di valorizzare i piatti illustrandone a fondo le tecniche<br />
d’esecuzione, gli ingredienti e il legame con il territorio, per passare poi<br />
la parola alla forchetta.<br />
“Il livello qualitativo è molto cresciuto quest’anno - riporta il presidente<br />
<strong>del</strong>la giuria Paolo Bellini - ed è stato veramente difficile stabilire chi<br />
decretare come vincitore.”<br />
Alla fine l’ha spuntata la Venerabile Confraternita con la ricetta <strong>del</strong><br />
Baccalà alla Vicentina. <strong>La</strong> notizia ci riempie d’orgoglio.<br />
Cari Clienti presenti e futuri,<br />
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Libera nos a malo) detta, la “Soppressa di Antonio”.
32<br />
L 'esplosione <strong>del</strong> carnevale<br />
come reazione a due lunghi periodi di astinenza e preghiera<br />
E così, quasi in punta di piedi siamo passati dalle rituali festività religiose <strong>del</strong> Natale e<br />
<strong>del</strong>l’Epifania (che tutte le feste si porta via) a quelle più eminentemente laiche <strong>del</strong> carnevale il<br />
cui nome molto probabilmente deriva dal volgare, carne levare, in relazione al giorno precedente<br />
l'inizio <strong>del</strong>la Quaresima. Giorni in cui cessava il consumo <strong>del</strong>la carne, e che, soprattutto negli<br />
anni passati, dovevano servire da contrappeso al lauto periodo pasquale.<br />
Sia il Natale che la Pasqua erano precedute, una volta, da un lungo periodo di pesante astinenza<br />
e digiuno, ed ambedue vengono pure introdotte da una quarantena di preghiere e di penitenze<br />
nell'attesa di un portentoso evento che la Chiesa ci ricorda annualmente e propone a purificazione<br />
<strong>del</strong>lo spirito oltre che <strong>del</strong> corpo. Il digiuno era costituito da due unici pasti giornalieri,<br />
con l'astinenza dei cibi carnacei. Vogliamo rammentare queste regole ecclesiastiche solo<br />
perché, pur esistendo ancora in parte, sono ormai da ritenersi quasi dismesse.<br />
Il digiuno <strong>del</strong>l'Avvento si concludeva con i pranzi natalizi e successivamente, dopo<br />
l'altra lunga parentesi quaresimale, con i ricchi e lauti pranzi pasquali. È risaputo come<br />
e quanto queste contrapposizioni sviluppino ed ingigantiscano le feste!<br />
Il tempo intercorrente tra Natale e Pasqua assumerà quindi una naturale forma per<br />
così dire orgiastica, più propriamente a base di danze, intrattenimenti, spettacoli,<br />
arte culinaria atta a ritemprare le membra ed il morale dalle trascorse privazioni,<br />
a dare uno sfogo all'animo indebolito da lunghi giorni di digiuno e di astinenza.<br />
Così nacque e s'affermò il moderno Carnevale, dall'incerto nome, ma dal sicuro<br />
significato festoso, spensieratamente allegro, gaudente, immancabilmente<br />
accoppiato a dolci e cibi grassi, che ne punteggiano non solo il cammino<br />
cronologico, ma anche la motivazione, la socialità, la derivazione<br />
geografica nonché il periodo che richiedeva un maggior apporto calorico<br />
per affrontare il gelido inverno.<br />
Gli antichi romani si abbandonavano a festeggiamenti che<br />
richiamano il carnevale odierno, durante i "Saturnali", feste<br />
dedicate al dio Saturno (divinità italica <strong>del</strong>le sementi). <strong>La</strong> festa<br />
veniva inaugurata a Roma, con un sacrificio solenne, seguito<br />
da un generoso banchetto pubblico. Seguivano poi festeggiamenti<br />
di vario genere (gioco d'azzardo, allegre bevute,<br />
scambio di doni più o meno simbolici) che spesso sfociavano<br />
in eccessi. Durante i Saturnali tutto era consentito, in<br />
particolare era in uso lo scambio dei ruoli, indossando gli
abiti altrui; gli schiavi venivano, ad esempio, serviti dai liberti o dai padroni<br />
e potevano concedersi ogni libertà! Si estraeva a sorte una specie di re <strong>del</strong>la<br />
festa, che aveva ogni potere. “Una festa che il popolo offre a se stesso”<br />
scrive nel 1829 Goethe nel suo Viaggio in Italia, sottolineando il carattere<br />
eccezionale di questa ricorrenza religiosa. Dell’euforia <strong>del</strong>la festa erano<br />
partecipi un po’ tutti. Giovani e meno giovani si riunivano in casa o<br />
all’osteria per ballare e fare un po’ di festa rumorosa; mentre in casa, nel<br />
primo pomeriggio le donne si davano un gran daffare per preparare grùstuli<br />
e frìtole varie, senza i quali il Carnevale pare addirittura non esistere. Se ne<br />
preparavano e se ne mangiavano fino ad essere satolli, dando fondo per<br />
friggerli alla recente riserva di colà (strutto), utilizzato quasi esclusivamente<br />
a questo scopo. <strong>La</strong> settimana grassa aveva i suoi cibi fissi, come il vènare<br />
gnocolàro e il sabo bigolàro, e, rompendo la pratica quasi ferrea <strong>del</strong> lavoro<br />
a cui ci si sentiva legati nelle giornate feriali, si faceva festa nel pomeriggio<br />
<strong>del</strong> sòbia e <strong>del</strong> marti grasso fino a tarda notte, e anche più in là. Si giungeva<br />
così all’ultimo giorno di carnevale in un’atmosfera di crescente volontà di<br />
godere, sfruttando a fondo il tempo che ancora restava prima <strong>del</strong> mercoledì<br />
<strong>del</strong>le Ceneri (Carnevaléto).<br />
Oggi i festeggiamenti hanno in gran parte perduto questo valore eversivo e<br />
liberatorio, e anche le antiche maschere come Arlecchino, Pulcinella e<br />
Colombina (in auge nel Cinquecento e Seicento nella Commedia <strong>del</strong>l'Arte)<br />
devono lottare contro i nuovi travestimenti, legati all'influenza televisiva e<br />
che fanno popolare le<br />
sfilate dei vari Dragon<br />
Ball, Teletubbies e le<br />
Winx. Ma ancora oggi il<br />
carnevale con la sua<br />
allegria e spensieratezza<br />
resta una rappresentazione<br />
teatrale<br />
coinvolgente, in cui lo<br />
spettatore è a sua volta<br />
attore, perché “a<br />
Carnevale ogni scherzo<br />
vale!”.<br />
Roberto Agosti
Carnevale<br />
34<br />
Ze ciara l'aria,<br />
rasserenà,<br />
e mi sul tàcito<br />
balcon sentà<br />
vardo le màscare<br />
che sul viale<br />
bala cantando<br />
al carnevale.<br />
Ciamo na màscara<br />
inboressà.<br />
"Ciò, mascareta,<br />
come la va?"<br />
"<strong>La</strong> festa infuria,<br />
el vin no 'l manca,<br />
balo e me àgito<br />
a drita e a sanca.<br />
A go coriàndoli,<br />
stele filanti,<br />
voja de vìvare<br />
par tuti quanti,<br />
se ghe ze grùstoli<br />
e bussolai<br />
qua l'alegressa<br />
no manca mai.<br />
A magno frìtole<br />
in abondansa<br />
fin a ris-ciare<br />
el mal de pansa;<br />
ma un bon giosseto<br />
de vin novelo<br />
fa desgropare<br />
ogni buelo.<br />
Balo e desméntego,<br />
mi mascareta,<br />
che la quarésema<br />
vien vanti in freta.<br />
Anca ti, dài,<br />
vien zo a balare,<br />
la to quarésema<br />
la pol spetare".<br />
Cusì la màscara<br />
con alegria<br />
la fa l'inchin<br />
e la va via.<br />
E mi sul tàcito<br />
balcon sentà<br />
resto pa un àtimo<br />
inpapinà.<br />
Ma vuto propio,<br />
santa passiensa,<br />
che sia za ora<br />
de penitensa?<br />
E che par mi<br />
sia za finia<br />
l'ora gioiosa<br />
<strong>del</strong>'alegria?<br />
A vo de corsa<br />
zo par le scale,<br />
vojo cantare<br />
al carnevale;<br />
la festa infuria<br />
el vin no 'l manca,<br />
balo e me àgito<br />
a drita e a sanca.<br />
Capisso alora<br />
che me incantésema<br />
pi el carnevale<br />
che la quarésema,<br />
a me desméntego<br />
de la me età,<br />
rido e sganasso<br />
come un danà.<br />
Eviva i grùstoli<br />
e i bussolai:<br />
ch'el carnevale<br />
no more mai;<br />
viva le frìtole<br />
d'istà e d'inverno:<br />
ch'el carnevale<br />
dure in eterno.<br />
Balo coi tosi<br />
alsando al celo<br />
el me bicere<br />
de vin novelo,<br />
e po me giro<br />
con derision<br />
verso el me tàcito<br />
scuro balcon.<br />
Alora el tàcito<br />
ride e el me frusta:<br />
"Ciò, mascareta,<br />
cóntala giusta!"<br />
Ma 'l balo infuria,<br />
el vin no 'l manca,<br />
e mi me àgito<br />
a drita e a sanca.<br />
Giorgio Zambon<br />
de "<strong>La</strong> Panocia"<br />
di Schio
Vicenza<br />
Un nuovo anno<br />
di emozioni<br />
Cari amici, eccoci al nuovo anno con tante belle iniziative che sicuramente solleticheranno i vostri sensi e ci permetteranno di<br />
condurvi nel magico mondo <strong>del</strong> gusto, ma anche in quello, meno scontato, <strong>del</strong>l’udito, <strong>del</strong>la vista, <strong>del</strong>l’olfatto e <strong>del</strong> tatto.<br />
Abbiamo in serbo grandi cose per voi e la bozza di programma che vi presentiamo non è che una piccola anteprima.<br />
Programma di febbraio<br />
GIOVEDÌ 15 alle ore 21.00<br />
la Dolciaria Loison, SS Pasubio 6 a Motta di Costabissara ci aspetta per<br />
il più zuccherino degli appuntamenti con “I dolci di carnevale” un<br />
dopocena a tema nel quale fritoe, crostoli, zeppole e le loro varianti ci<br />
prenderanno per la gola e ci faranno <strong>del</strong>iziare.<br />
I posti sono limitati a 30 e la prenotazione è obbligatoria e da farsi<br />
entro il giorno 9 febbraio ai numeri riportati in calce. Il costo <strong>del</strong>la<br />
serata è stato contenuto in euro 15,00 per i soci.<br />
MERCOLEDÌ 21 alle ore 20.00<br />
daremo il benvenuto ad una osteria entrata quest’anno nella nostra<br />
guida: L’Antico Guelfo, in Contrà Pedemuro S. Biagio 90 a Vicenza.<br />
I posti sono limitati a 40 e la prenotazione è obbligatoria e da farsi<br />
entro il giorno 16 febbraio ai numeri riportati in calce. Il costo <strong>del</strong>la<br />
serata è stato contenuto in euro 35,00 per i soci e euro 40,00 per i non<br />
soci.<br />
A marzo la prima di una serie di collaborazioni con altre associazioni:<br />
una serata dedicata agli aromi e al loro riconoscimento. In collaborazione<br />
con Associazione Italiana Sommelier. Quindi una gita culturalgastronomica<br />
ci condurrà prima a Pedavena, presso la locale storica<br />
birreria, recentemente salvata dalla chiusura anche grazie all’impegno<br />
di tutti i soci Slow Food e poi in Alpago a gustare il famoso agnello<br />
presidio <strong>del</strong>l’associazione. Infine, poiché non può mancare la classica<br />
cena, ecco in programma una cena <strong>del</strong>la quale non vogliamo svelarvi<br />
nulla per non rovinarvi la sorpresa.<br />
Per aprile, a grande richiesta, stiamo organizzando una cena a base di<br />
pesce.<br />
A maggio un classico <strong>del</strong>la cucina italiana: “<strong>La</strong> pasta”. Una cena dove<br />
il più celebre dei piatti italiani, magistralmente interpretato da un<br />
valente artigiano toscano, ci porterà a scoprire insospettati<br />
abbinamenti e formati.<br />
In giugno, con l’arrivo (speriamo) <strong>del</strong>la bella stagione e <strong>del</strong> caldo ci<br />
avventureremo in una serata interamente dedicata al gelato, alimento<br />
spesso relegato al ruolo di comprimario o intermezzo fra un pasto e<br />
l’altro ma che, con buon diritto, può essere un vero e proprio pasto<br />
completo. Ma prima l’immancabile e storica “Magnalonga”: quest’anno<br />
grandi sorprese in serbo.<br />
Luglio e agosto ci vedranno in ferie. Ma poiché non tutti di noi se ne<br />
andranno al mare o ai monti, cercheremo di stupirvi con qualche<br />
sorpresa.<br />
Settembre ci vedrà riprendere l’attività in modo molto “slow” con una<br />
cena trentina, mentre il 7 ottobre il classico dei classici: la “Disfida<br />
<strong>del</strong>lo Stoccafisso”, giunta alla quinta edizione con la “Disfida <strong>del</strong>le<br />
disfide” dove si cimenteranno i vincitori <strong>del</strong>le prime quattro edizioni.<br />
Per novembre stiamo allestendo una cena piemontese, mentre a<br />
dicembre torneremo a farci gli auguri, come da tradizione, con “<strong>La</strong><br />
cena degli auguri”.<br />
I dettagli <strong>del</strong>le iniziative da marzo a dicembre verranno comunicati con<br />
successivi notiziari.<br />
Poiché stiamo ancora lavorando ad altri eventi, il programma potrà<br />
subire variazioni rispetto a quanto esposto.<br />
Condotta Slow Food <strong>del</strong> Vicentino<br />
Contrà Porta S. Croce, 46 – 36100 Vicenza<br />
Tel. 347.3065710 – Fax 178.2710857<br />
info@slowfoodvi.it - www.slowfoodvi.it<br />
35
36<br />
Il Vino<br />
<strong>del</strong> mese<br />
a cura di Gianni Genovese - ENOGAMMA - Via S.Simeone, 32 - 36016 THIENE<br />
II Barolo Chinato nasce sul finire <strong>del</strong><br />
secolo scorso nella farmacia <strong>del</strong> Dott.<br />
Cappellano in Serralunga e i primi<br />
produttori furono proprio i farmacisti<br />
dei vari paesi <strong>del</strong>la zona <strong>del</strong> Barolo. In<br />
breve tempo divenne un mitico elisir<br />
dalle straordinarie proprietà,<br />
circondato dal giusto alone <strong>del</strong> mistero<br />
che ricopriva le segrete formule con<br />
cui era prodotto, ma aiutato nella sua<br />
ascesa dal fatto che traeva la sua<br />
origine dal Barolo, il "vino dei Re". Con<br />
queste premesse si diffuse dapprima<br />
come elisir medicinale tra le famiglie<br />
contadine <strong>del</strong>le <strong>La</strong>nghe, poi piano<br />
piano come vino aromatizzato,<br />
ottenendo consensi un po' ovunque e<br />
divenendo anche bandiera di case<br />
Un mitico “elisir”, di autentica civiltà contadina<br />
vinicole di primo piano. Dopo un<br />
periodo di massimo splendore questo<br />
prodotto iniziò la sua parabola discendente, ed oggi restano sul mercato (peraltro molto<br />
limitato e per fortuna... diciamo noi) poche etichette, quelle valide che lo rendono ricercato<br />
e raro.<br />
Il Vino<br />
Barolo Chinato<br />
SCHEDA TECNICA<br />
-Vitigno-<br />
Nebbiolo<br />
-Colorerosso<br />
ambrato carico<br />
-Profumointenso,<br />
speziato e gli aromi <strong>del</strong>le essenzie<br />
impiegate sono fusi con il bouquet <strong>del</strong> vino che è<br />
ancora presente e riconoscibile<br />
-Saporel’impatto<br />
amaro <strong>del</strong>la china è ben bilanciato dallo<br />
zucchero e dall’alcool e il prodotto è un continuo<br />
susseguirsi di sapori con una lunga persistenza<br />
che si chiude con una nota piacevole amarognola<br />
-Alcool-<br />
17 % + zuccheri 16%<br />
-Abbinamento Gastronomico-<br />
È un ottimo fine pasto, ma può accompagnare<br />
egregiamente anche dessert a base di cioccolato.<br />
Tradizionalmente nelle famiglie langarole era usato<br />
per preparare “punch” caldi ed offerto in qualsiasi<br />
momento <strong>del</strong>la giornata all’ospite in segno di<br />
rispetto.<br />
Occorre innanzitutto premettere che per produrre Barolo Chinato occorre impiegare un Barolo che abbia ottenuto il riconoscimento <strong>del</strong>la<br />
D.O.C.G., come previsto dal disciplinare di produzione. Questo vino è nato dopo circa due anni di prove, con infusioni diverse, ottenute<br />
basandosi spesso su ricette gelosamente custodite da anziani contadini che ogni anno ne producono pochi litri per la propria famiglia. Da<br />
queste esperienze è scaturita una ricetta che prevede, oltre naturalmente alla china ed ad alcune spezie, una decina di erbe che crescono<br />
spontaneamente nelle <strong>La</strong>nghe. Si è voluto in questo modo rafforzare il legame che ha questo prodotto con la terra che offre le materie<br />
prime per ottenerlo. Le erbe e la china sono state infuse separatamente in alcool e gli estratti ottenuti sono stati aggiunti al Barolo. Il tutto<br />
è stato zuccherato e posto in piccoli fusti usati a maturare per un periodo di circa sei mesi.
Il Cocktail<br />
<strong>del</strong> mese<br />
Associazione Italiana Barman e Sostenitori Sez. di Ve.<br />
Cienfuegos<br />
Composto da:<br />
4 cl Vodka Skyy<br />
1 cl Raspberry Bols<br />
2 cl Cointreau<br />
7 cl Succo Ananas<br />
6 cl Breezer Peach<br />
Preparazione:<br />
Shaker Tumbler<br />
decorare con fragola - ribes -<br />
ravanello - foglie di ananas<br />
A cura di: Daniele Strazzabosco<br />
A.S. Barman A.I.B.E.S. Discopub Macrillo - Gallio
38<br />
AGRICOLTORI E RISTORATORI ALLEATI.<br />
INSIEME PER PROMUOVERE I PRODOTTI DELLA VAL LEOGRA<br />
Al ristorante Da Beppino di Schio una serata organizzata dalla<br />
Comunità Montana per degustare i prodotti tipici <strong>del</strong>la Val Leogra<br />
Nella foto, gentilmente concessa dalla Comunità Montana, i produttori e i prodotti <strong>del</strong>l’Altovicentino.<br />
Pietro Collareda, presidente <strong>del</strong>la Comunità Montana Leogra-<br />
Timonchio, ci illustra i contenuti <strong>del</strong>la serata che la stessa Comunità ha<br />
organizzato presso il ristorante Da Beppino di Schio al termine di un<br />
primo ciclo di lavoro su un progetto per valorizzare i prodotti <strong>del</strong>la<br />
nostra terra. “Con questa iniziativa la Comunità Montana Leogra<br />
Timonchio - ha spiegato il presidente Collareda - ha voluto mettere<br />
attorno ad un tavolo i suoi produttori agricoli locali con i ristoratori.<br />
Abbiamo iniziato nel 2005 dialogando con i cuochi <strong>del</strong> Tretto, magnifico<br />
altopiano che sovrasta Schio, collaborando con il Consiglio di Quartiere.<br />
Ne è nato un rapporto importante che ha consentito ai nostri produttori<br />
di allargare il progetto anche ai cuochi <strong>del</strong> gruppo scledense; una<br />
decina di professionisti che lavorano ad alto livello da molti anni.”<br />
Un primo passo a cui seguiranno altre iniziative. “L'incontro è stato<br />
assai fruttuoso per entrambe le categorie - prosegue il presidente - ed<br />
i primi risultati si cominciano a vedere anche se la <strong>strada</strong> da fare è<br />
certamente lunga e non sempre facile. Bisogna insistere perché la<br />
nostra produzione è di ottima qualità, ma pur sempre di nicchia e<br />
ancora poco conosciuta. Per questo crediamo nella sinergia nata fra<br />
agricoltori e ristoratori, sicuri che anche i consumatori ne trarranno<br />
vantaggi.”
VOILA’, IL TIPICO È SERVITO:<br />
il menù <strong>del</strong>la serata<br />
Un’occasione per riunire attorno ai fornelli <strong>del</strong> ristorante ‘Da Beppino’<br />
di Schio i cuochi scledensi, quelli <strong>del</strong> gruppo Valleogra di Torre e Valli<br />
capitanati da Cristina Fin con i colleghi <strong>del</strong> Tretto guidati da Mauro<br />
Regazzini, in un’ottica di una maggior collaborazione nel campo <strong>del</strong>la<br />
ristorazione tipica <strong>del</strong>l’Altovicentino. Ovviamente le attenzioni maggiori<br />
sono state rivolte al menù proposto, che ha ricevuto ampi consensi da<br />
parte dei commensali.<br />
L’aperitivo di benvenuto, un Durello Brut <strong>del</strong>la cantina Valleogra di<br />
Malo, è stato accompagnato da stuzzichini di sopressa vicentina dop,<br />
quindi un lombo di scottona (sorana) allevata allo stato brado dalla<br />
piccola Cooperativa Oberslait <strong>del</strong> Tretto, adagiata in una foglia di<br />
verza sbollentata in acqua leggermente acetata, con le tipiche<br />
fagiole nere sempre <strong>del</strong> Tretto dette anche “<strong>del</strong> Diavolo”, per il loro<br />
colore violaceo, profumate con una soave salsa di sarda.<br />
Il Piccolin rosso, un merlot autoctono <strong>del</strong>la Val Leogra riscoperto dai<br />
vignaioli di Gianni Pinton, ha accompagnato un raviolo di patate di<br />
Tretto ripieno di caprino maranese di Flavio Sartore e ricco <strong>del</strong><br />
tartufo <strong>del</strong> Novegno. E ancora una morbida colata di “poenta de<br />
palo” sulla zuppa di fagioli e radicchio nostrano invernale di S.<br />
Antonio <strong>del</strong> Pasubio. Piatto forte, con un Cabernet Sauvignon Igt ’05<br />
<strong>del</strong>l’azienda Ruaro di Marano, il colombino nostrano e maiale allo<br />
spiedo con croccante poenta onta, ovviamente maranelo.<br />
Dalla latteria sociale di Torrebelvicino, l’ultima rimasta in valle, è<br />
giunto in tavola un <strong>formaggio</strong> di tre anni, accostato al miele di<br />
castagno, e infine, col Recioto Fontana d’Oro ecco un’altra ricetta<br />
antica, le pere cotte con vin brulè in pasta frolla rustica. Tutti<br />
prodotti <strong>del</strong>la terra altovicentina, presentati da piccole aziende che<br />
hanno saputo mantenere la tradizione e la particolarità di certe<br />
coltivazioni che rischiano di scomparire per sempre. Il resto lo<br />
hanno fatti i cuochi guidati per l’occasione dal loro presidente<br />
provinciale Claudio Ballardin, valorizzando questi prodotti con ricette di<br />
grande effetto, originalità e naturalmente bontà. Accettando e<br />
condividendo stimoli, progettualità e risorse che la Comunità Montana<br />
profonde con entusiasmo per realizzare e consolidare un’economia<br />
montana di nicchia che nulla ha da invidiare ad altri territori.<br />
Paolo Terragin
Virgilio<br />
fra penna e forchetta<br />
40<br />
Acquerello di L. Vighy “Ciacco, l’Auriga”<br />
ritrae Virgilio come Priore ed Alfredo Pelle come<br />
Auriga in un mare di baccalà norvegesi.<br />
È venuto meno un mio amico, un mentore, un<br />
maestro. È venuto a mancare chi mi aveva<br />
insegnato un mare di cose nel mondo <strong>del</strong>la<br />
gastronomia. Altri, con grandi capacità e con<br />
verità di sentimenti, lo hanno onorato quale<br />
scrittore, quale fe<strong>del</strong>e testimone di un sentire che<br />
lo ha reso giustamente celebre, quale cittadino<br />
importante per la sua capacità artistica.<br />
Io posso ricordarlo come amico e con quanto mi<br />
confidò in un periodo che mi vide suo Auriga. Così<br />
mi definì, poiché Virgilio, Priore <strong>del</strong>la Venerabile<br />
Confraternita <strong>del</strong> Bacalà alla Vicentina, girava per<br />
ristoranti per costruire personaggi <strong>del</strong> suo ultimo<br />
libro “I magnagati”. Privo di auto e di patente mi<br />
dette questa grande opportunità di “frequentarlo”<br />
come gastronomo, in giro per le trattorie <strong>del</strong><br />
vicentino (e non solo) in questi suoi viaggi<br />
“pastorali”. Questi sono i suoi pensieri che, come<br />
scrissi a suo tempo, ripropongo fe<strong>del</strong>mente.<br />
Ho avuto lunghissime frequentazioni con Virgilio, tranquillamente<br />
accomodato nella bassa poltrona rossa che aveva in negozio, quella specie di<br />
teatro nel quale viveva. Stavo seduto “in una immobilità da erme” (scrisse Marco<br />
Cavalli sul Giornale di Vicenza quando chiuse definitivamente il negozio alla fine <strong>del</strong><br />
2003) per lungo tempo senza aprir bocca, finché si riprendeva un discorso prima<br />
intrapreso e presto bloccato. Qui l’ho conosciuto come gastronomo, come gourmet ed<br />
ancor più come gourmand.<br />
“Non sono un gastronomo – mi diceva Virgilio – tu lo sei. Io mi sono interessato alla
Virgilio e l’amico Firminio Miotti<br />
gastronomia pensando alla mia<br />
infanzia. Mia nonna aveva un bel pollaio<br />
e quando copava un pollo ne dava un<br />
pezzo a mio padre e uno agli zii Mario e<br />
Bortolo. Era fatica far quadrare il<br />
cerchio di un pollo in tre pezzi... Nella<br />
spartizione di questi polli avevamo<br />
anche noi nipoti il nostro buono: ci<br />
faceva le trippette di pollo. Prendeva le<br />
bu<strong>del</strong>la e le puliva per bene usando un<br />
ago da calza, poi le cuoceva con cipolla,<br />
pomodoro e spezie. Mi è rimasto<br />
sempre dentro questo dono, non ho mai<br />
pensato che fosse un piatto banale. Era<br />
un piatto vero che mi aiutava a<br />
guardare nelle cose vere. Così sono un amante <strong>del</strong>la tradizione ed amo<br />
i piatti <strong>del</strong>la nostra gastronomia che sono sbucati, ad un tratto, nella<br />
mia vita, di soppiatto, come una riscoperta.<br />
Mia madre, quando tornavo dal collegio preparava dodici uova ed era<br />
un tripudio. Amo ancora le taja<strong>del</strong>e, la minestra maridà (risi e<br />
taja<strong>del</strong>e), i risi e bisi, i bigoli, il polastro in tecia, la faraona, le erbe<br />
spontanee. C’è un filo diretto fra il cibo ed il crescere <strong>del</strong>la mia fama<br />
come scrittore: sono iniziati gli inviti in tutta la città ed il cibo è<br />
divenuto un legante, una scusa, un’occasione per avermi ospite. Sono<br />
andato ovunque: il prosciutto di Parma e la spalla cotta di San Secondo<br />
li ho mangiati in loco e con Beppe Maffioli, che ho molto amato e <strong>del</strong><br />
quale ero grandissimo amico, ero compagno di scorrerie per trattorie.<br />
Era straordinario anche come cuoco. Un vero ras che ha sostenuto e<br />
rilanciato la gastronomia trevigiana. Ho girato tutte le trattorie <strong>del</strong>la<br />
provincia con Tognazzi, con Germi, andavamo spesso da Alfredo<br />
Beltrame <strong>del</strong> Toulà.<br />
Così non molti anni or sono da Zanatta sono stato eletto “Santo<br />
mangiatore”. Nella mia vita non ho mai accettato nessun modernismo<br />
gastronomico, di nessun tipo. Prendi la polenta: sia maledetto chi non<br />
la sa fare. Deve essere soda, deve essere un sole. Una volta c’erano<br />
questi “soli” in campagna: ci si avvicinava in silenzio a questi enormi<br />
“panari”. In silenzio perché tutti avevano fame e con la fame non si<br />
parla.<br />
Ora fanno la “polenta diarrea”, morbida, da cucchiaio, non vale niente.<br />
Ho visto su una rivista una polenta che sembrava un’enorme “boassa”<br />
pettinata: l’avevano incisa con i rebbi di una forchetta. Un disastro!<br />
Da giovane ho assistito più volte alla demolizione scientifica di una<br />
fetta di salame. Si scaldava la fetta in una pa<strong>del</strong>la di ferro, mai lavata,<br />
e quando era scaldata s’impugnava una fetta di polenta e la s’intingeva<br />
in questo salame straordinario, caldo ed untuoso. Si mangiavano<br />
quattro o cinque fette di polenta con questa fetta di salame, sostituita,<br />
nei tempi tristi, con fette di sucoi enormi, che si distruggevano<br />
intingendo nello stesso modo.<br />
Vado matto per i salumi: la sopressa è una divinità. Culatello, spalla<br />
cotta, prosciutti e speck vari stanno alla base di un altare su cui vedo<br />
la santità <strong>del</strong>la sopressa. E c’è su di me una vendetta (non so chi si<br />
diverte a prendermi per i fon<strong>del</strong>li): non amo i formaggi. Mangio solo,<br />
“obtorto collo” la casatella ed il mascarpone.<br />
Mio nonno aveva un orto in città, ora vi hanno costruito sopra un<br />
condominio. Coltivava di tutto, aveva una vite marzemina dal profumo<br />
e dal sapore straordinari, come avevamo il clinto ed il frambuo.<br />
Avevamo galline, conigli, api e là in fondo c’era l’uva spina. Quando<br />
passo lì davanti mi sembra che la terra mi dica: demoliscilo questo
42<br />
maledetto condominio, voglio tornare ad essere orto.<br />
Insomma non conoscevo altro che la tradizione: come potevo non<br />
amarla? Ho, fra l’altro, un record personale di 54 fiste (pispole) allo<br />
spiedo, quando gli uccelli dal becco gentile erano permessi. Ora in una<br />
specie di nemesi storica, in una legge <strong>del</strong> contrappasso vivo di poco e<br />
n’escono dalla mia mente rinforzati i ricordi ed i desideri.<br />
E così è anche il mio rapporto con il baccalà. Io sono nato Priore<br />
(Scapin è Priore <strong>del</strong>la Venerabile Confraternita <strong>del</strong> Bacalà alla<br />
Vicentina, ndr) ed il priorato è importantissimo. Quando andai al<br />
Campiello mi chiesero cosa preferivo fra l’essere Priore e il vincere il<br />
Campiello. Non ho avuto dubbi a rispondere: il Campiello lo si fa una<br />
volta l’anno, il Priore lo si fa per la vita.<br />
È indubbio che io ho dato visibilità alla Confraternita, <strong>del</strong>la quale,<br />
indegnamente anche tu fai parte, e da essa ho ricevuto fama di<br />
gastronomo. Tutti sanno <strong>del</strong> mio amore per il bacalà, le battaglie che<br />
ho sostenuto contro i demoni <strong>del</strong> modernismo (Vissani in testa che<br />
voleva cuocere il bacalà in un quarto d’ora), tutti conoscono i miei<br />
anatemi contro un mondo che tutto vuole attualizzare, omologare. Ve<br />
l’immaginate le trippette de polastro surgelate?<br />
Ogni anno nel settembre sandricense il mio discorso, rivolto da Capo<br />
carismatico ai Confratelli, è un chiaro riferimento allo sfascio al quale<br />
ci stiamo sempre più avvicinando: una cucina che non ha più una<br />
direzione, che si rivolge ad ogni materia come fosse la propria, che sta<br />
distruggendo la tradizione ed i ricordi, che sta mutando i sapori in<br />
un’omologazione impersonale e dannosa.”<br />
Ha terminato questa conversazione dicendomi:<br />
“E poi, mona, cosa mi domandi? Abbiamo, insieme, provato oltre venti<br />
trattorie e ne ho fatto testi per il mio ultimo libro “I magnagati”. Eri con<br />
me ed hai visto cosa e come mangio. Non ti basta per conoscermi<br />
come gastronomo?”<br />
Virgilio e Firminio<br />
In effetti, questo libro è così dedicato:<br />
“Non ho la macchina.”<br />
“Non so guidare.”<br />
“Alfredo Pelle mi ha tolto<br />
dall’imbarazzo”<br />
“Gli dedico questo libro.”<br />
Ha ragione, una volta ancora, Virgilio!<br />
Alfredo Pelle<br />
Lo sai che...<br />
<strong>La</strong> vaniglia<br />
prodotta da Madre Natura è<br />
insufficiente all’uomo?<br />
Proprio così, l’uso <strong>del</strong>la vaniglia è talmente generalizzato che<br />
non basta la produzione naturale. Viene usata in chimica<br />
(pensate ai profumi per auto o ambiente), in cosmetica, nelle<br />
can<strong>del</strong>e, in profumeria, oltre che nell’alimentazione. Se ne<br />
producono, nel mondo, circa duemila tonnellate l’anno e le<br />
fabbriche chimiche ne producono ben dodicimila tonnellate ad<br />
integrazione. È vanillina di sintesi e viene estratta dalla resina<br />
<strong>del</strong>l’abete rosso, dalla lignina contenuta negli scarti di legname<br />
o utilizzando l’eugenolo che è estratto dai chiodi di garofano.<br />
<strong>La</strong> vaniglia la si estrae da un’orchidea dal bellissimo fiore bianco<br />
che vive nel sottobosco <strong>del</strong>le foreste tropicali. Fà dei frutti che<br />
sembrano dei fagiolini, anneriti durante il processo di<br />
lavorazione. Attualmente il paese primo produttore di vaniglia è<br />
il Madagascar.<br />
Fra’ Ghiottone
Dalla libreria:<br />
Il brolo, l’orto e la corte nel piatto<br />
la frutta, gli ortaggi e gli animali da cortile nella tradizione gastronomica vicentina<br />
Già nel titolo questo volume-ricettario evoca la ricchezza di prodotti<br />
di cui il territorio vicentino può a ragione vantarsi. <strong>La</strong> fortuna dei<br />
cuochi e dei ristoratori di questo territorio, che in questo libro hanno<br />
davvero dato il meglio di sé, pur nel rispetto <strong>del</strong>la tradizione, è<br />
proprio quella di avere a disposizione un ricchissimo “paniere”<br />
colmo di prodotti di eccellenza, tra cui spiccano le patate di<br />
montagna e di pedemontana, i radicchi (di Asigliano e di Grumolo<br />
<strong>del</strong>le Abbadesse), gli asparagi di Bassano <strong>del</strong> Grappa, ma anche gli<br />
animali da cortile (in primis la gallina dorata di Lonigo) e i prodotti<br />
<strong>del</strong> frutteto: ciliegie, fichi, mele a tanto altro.<br />
Il ricettario, riccamente illustrato, contiene testi introduttivi che lo<br />
rendono ancora più interessante: Amedeo Sandri e Vladimiro Riva<br />
vanno con la memoria ai propri ricordi di infanzia legati alla<br />
campagna e al marcà, Francesco Soletti guida il lettore in un<br />
entusiasmante viaggio tra i prodotti <strong>del</strong>l'intera provincia vicentina,<br />
mentre Antonio Di Lorenzo ricrea l'atmosfera di una villa di un<br />
tempo da un punto di vista un po’... particolare.<br />
IL BROLO, L'ORTO E LA CORTE NEL PIATTO<br />
<strong>La</strong> frutta, gli ortaggi e gli animali da cortile<br />
nella tradizione gastronomica vicentina<br />
Terraferma<br />
88 pagine<br />
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Il libro si può acquistare nelle librerie e negli uffici Iat <strong>del</strong>la nostra provincia<br />
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Appuntamenti <strong>del</strong> mese<br />
FEBBRAIO 2007<br />
- Lunedì 5 febbraio 2007 ore<br />
15.00 sala dimostrazione in Via <strong>del</strong>le<br />
Arti, 7 Thiene (VI) I Distillati di<br />
Capovilla il Cioccolatiere Flavio<br />
Strafella <strong>del</strong> Ristorante Al Ponte di<br />
Bassano <strong>del</strong> Grappa presenta l’abbinamento<br />
CIOCCOLATO - DISTILLATI<br />
DI CAPOVILLA<br />
Interverranno all’ evento:<br />
- Vittorio Gianni Capovilla<br />
- Gianluca Franzoni (Domori)<br />
- Gami, macchine temperatrici.<br />
Quota individuale di partecipazione<br />
comprensiva di dispensa con ricette e<br />
degustazione:<br />
euro 90,00 + iva 20% per tesserati<br />
F.I.C/ euro 110,00 + iva 20% per non<br />
tesserati / Prenotazione obbligatoria<br />
Info e Prenotazioni: tel. 0445.381089<br />
Organizzazione: Extra Cooking<br />
Systems in collaborazione con Domori<br />
e Gami S.r.l.<br />
- Da Martedì 6 febbraio 2007 ore<br />
20.30 Casa <strong>del</strong> Vino, vicolo Mattielli<br />
11 - Soave (VR) Corso Onav<br />
Si rinnova l’appuntamento per gli<br />
appassionati <strong>del</strong> vino che desiderano<br />
saperne un po’ di più. Un ciclo di 6<br />
lezioni <strong>del</strong>la durata di circa due ore,<br />
alle quali si aggiungerà una serata<br />
Vicenza<br />
speciale, a fine corso, tutta dedicata<br />
all’abbinamento dei vini coi formaggi.<br />
Le lezioni si terranno il martedì e il<br />
giovedì.<br />
<strong>La</strong> quota di partecipazione è di 100<br />
euro per tutte le lezioni previste e<br />
comprende il libro “Il piacere <strong>del</strong> vino”<br />
e la valigetta O.N.A.V, contenente 4<br />
bicchieri per l’assaggio. A coloro che<br />
fossero intenzionati a partecipare<br />
ricordiamo che le iscrizioni saranno<br />
accettate fino ad esaurimento posti.<br />
Per informazioni ed iscrizioni<br />
contattare il Consorzio di Tutela Vini<br />
Soave e Recioto di Soave - Casa <strong>del</strong><br />
Vino, tel 045/7681578, e-mail:<br />
consorzio@ilsoave.com e chiedere di<br />
Alessia. Ufficio Stampa:<br />
press@ilsoave.com<br />
tel. 045.7681578<br />
- 11 febbraio: Caffè e Cioccolato -<br />
Centro Storico, Thiene. Più di venti<br />
espositori saranno presenti in piazza e<br />
nelle vie <strong>del</strong> centro storico per tutta la<br />
giornata di domenica. Sono previste<br />
moltissime attività collaterali quali<br />
CAFFE' CONCERTO, LA FABBRICA DEL<br />
CIOCCOLATO e CACAO<br />
MERAVIGLIAO!<br />
Organizzazione: associazione<br />
PEDEMONTANA.VI TURISMO con il<br />
Comune di Thiene, Associazione<br />
Commercianti e l'Associazione<br />
Desidero ricevere gratuitamente la rivista <strong>Gustolocale</strong> al seguente indirizzo<br />
Barrare la casella Privato Attività<br />
Ragione Sociale, insegna<br />
I dati personali saranno trattati nel rispetto <strong>del</strong>la legge sulla privacy n. 675/96<br />
Riservato ai Gourmet<br />
Nome Cognome Via n.<br />
Cap. Città Prov.<br />
Tel. E-mail<br />
Inviare via fax al n. 0445.500201 - e-mail: info@pierregi.it - Oppure in busta chiusa a: Pierregi Via Veneto, 2b - 36015 Schio (VI)<br />
Firma<br />
Artigiani.<br />
- 15 febbraio ore 21.00: I Dolci di<br />
Carnevale - Dolciaria Loison, SS<br />
Pasubio 6 a Motta di Costabissara.<br />
Slow Food e la Dolciaria Loison, ci<br />
aspettano per il più zuccherino degli<br />
appuntamenti: un dopocena a tema<br />
nel quale fritoe, crostoli, zeppole e le<br />
loro varianti ci prenderanno per la<br />
gola e ci faranno <strong>del</strong>iziare. I posti<br />
sono limitati a 30 e la prenotazione è<br />
obbligatoria e da farsi entro il giorno 9<br />
febbraio ai numeri riportati in calce. Il<br />
costo <strong>del</strong>la serata è stato contenuto in<br />
euro 15,00 per i soci.<br />
Org. Condotta Slow Food <strong>del</strong><br />
Vicentino, Contrà Porta S. Croce, 46 –<br />
36100 Vicenza<br />
Tel. 347.3065710<br />
Fax 178.2710857<br />
info@slowfoodvi.it<br />
www.slowfoodvi.it<br />
- 21 febbraio ore 20.00: Osteria<br />
L'Antico Guelfo - Contrà Pedemuro, S.<br />
Biagio 90 a Vicenza. Slow Food dà il<br />
benvenuto all'osteria entrata<br />
quest’anno nella nostra guida. I posti<br />
sono limitati a 40 e la prenotazione è<br />
obbligatoria e da farsi entro il giorno<br />
16 febbraio ai numeri riportati in<br />
calce. Il costo <strong>del</strong>la serata è stato<br />
contenuto in euro 35,00 per i soci e<br />
euro 40,00 per i non soci.<br />
Org. Condotta Slow Food <strong>del</strong><br />
Vicentino, Contrà Porta S. Croce, 46 –<br />
36100 Vicenza<br />
Tel. 347.3065710<br />
Fax 178.2710857<br />
info@slowfoodvi.it<br />
www.slowfoodvi.it<br />
- 23 febbraio ore 20.30: A Cena con<br />
i Cimbri - Crespadoro, loc. Durlo.<br />
Serata gastronomica a tema.<br />
Organizzazione:<br />
Associazione DURLO<br />
e.mail: durlo86@tiscali.it
Tempo di diete<br />
46<br />
A tavola con<br />
le Stelle<br />
Carnevale o Quaresima? Febbraio ha l'anima divisa in due. Sia che in questo medioevo postmoderno sempre più<br />
propendiamo a farci travolgere nel baccanale pagano, o sia che siamo sensibili ad un nobile ritorno <strong>del</strong>la religiosità<br />
e <strong>del</strong>le sue liturgie, fatto sta che verosimilmente questo sarà un mese da mister Hyde e dottor Jeckyll: ingordigia<br />
e stravizi dapprima, penitenza e rinunce poi. Il clima festoso dei giorni grassi non ci lascerà insensibili, cadremo<br />
più volte in tentazione a causa di crostoli e frittelle; e ci troveremo poi a far i conti con la triste coscienza degli<br />
etti o dei chili in sovrappiù, che sarà d'uopo far sparire al più presto. Compiendo il fatidico passo: pentirsi,<br />
abbandonare le vanità mondane e i piaceri <strong>del</strong>la carne, insomma mettersi a dieta.<br />
Questa dicotomia tra eccesso e misura, trasgressione e disciplina è retropensiero ricorrente ogni qual volta,<br />
sedendoci a tavola, sentiamo scatenarsi voglie e desideri gastronomici, e al contempo il preventivo rimorso per il<br />
sovraccarico calorico che quasi tutte le prelibatezze purtroppo recano con sé. Ed è, questa ambivalenza, uno degli<br />
aspetti più peculiari e complessi <strong>del</strong> nostro rapporto con il cibo: che dovrebbe in teoria aver mera funzione di<br />
nutrirci, ma che di fatto s'intreccia a innumerevoli implicazioni psicologiche.<br />
Qual è dunque l'atteggiamento dei dodici tipi zodiacali di fronte alla <strong>del</strong>icata tematica? A quali tentazioni non<br />
sappiamo dir di no? Qual è la dieta su misura per noi? E quali le strategie da mettere in atto perché essa risulti<br />
efficace e non rimanga nel novero dei buoni propositi? Dei quali, si sa, è lastricato il cammino che conduce<br />
all'inferno - inferno <strong>del</strong> sovrappeso e <strong>del</strong>le taglie forti, in questo caso.<br />
Usuale avvertenza: non limitatevi a controllare il vostro segno, ma cercate tra tutte la descrizione che più vi si<br />
attaglia, poiché in fatto di alimentazione, come già detto altre volte in questa sede, più che al solo segno di nascita<br />
si risponde alle sollecitazioni di un cocktail variegato di pianeti, che solo l'analisi <strong>del</strong> tema natale individuale<br />
consente di identificare precisamente.<br />
FILIPPO FERRERI studia e pratica l'Astrologia da molti anni a Schio,<br />
dove tiene regolarmente corsi presso l'associazione culturale <strong>La</strong> Corte.<br />
Ha collaborato in passato con varie testate<br />
e partecipato come relatore a conferenze e convegni
Il tipo Ariete è capace di pantagrueliche<br />
mangiate come di saltar pasti senza batter ciglio;<br />
prova tutte le diete, ma quel che gli manca è la<br />
costanza di perseverare, rimane un incorreggibile<br />
irregolare <strong>del</strong>l'alimentazione.<br />
Il Toro, proverbiale buona forchetta, di<br />
moderarsi non vede alcuna necessità, è spesso<br />
ben paffuto e felice di esserlo. Un regime a base<br />
di cibi naturali e pasti regolari lo aiuta a<br />
mantenere il suo florido equilibrio.<br />
Al Gemelli, che non regge lo star seduto a tavola<br />
a lungo, può al massimo capitare di eccedere in<br />
spuntini, nel giro dei bar o in occasioni conviviali;<br />
ma brucia in fretta e non va certo incontro a<br />
problemi di linea.<br />
Il Cancro soffre talvolta di ansia alimentare:<br />
sopperisce con pasti frequenti e inframmezzando<br />
le ore di digiuno con un dolcetto gratificante o un<br />
latte consolatorio; la pigrizia ne fa un soggetto<br />
istintivamente renitente alle diete.<br />
Il Leone, che rifugge per indole dal<br />
programmarsi la vita, a impegnarsi in diete non<br />
ci pensa: perché rinunciare ai piaceri <strong>del</strong>la gola?<br />
Potrebbe però accettare la sfida di un digiuno<br />
drastico, per il gusto di stupire.<br />
I Vergine, al contrario, sono dietologi per<br />
vocazione: sai che divertimento pesare gli alimenti<br />
uno ad uno, calcolar le calorie, pianificare calibrati<br />
menù, insomma trasformare ogni pasto in un<br />
sottile problema di aritmetica!<br />
<strong>La</strong> Bilancia è sensibile ai responsi <strong>del</strong>l'omonimo<br />
strumento, e ansiosa di ottenerne, come dallo<br />
specchio di Brunilde, il certificato di perfezione;<br />
tende ad una piacevole rotondità, ma la<br />
moderazione le viene naturale.<br />
Lo Scorpione è il re <strong>del</strong> fuoripasto: a tavola sta sulle<br />
spine, ma poi spazzola gli avanzi, e nottetempo<br />
assalta il frigo; sa imporsi diete autoflagellanti, o<br />
digiuni ideologici, lo sciopero <strong>del</strong>la fame è nelle sue<br />
corde.<br />
Il Sagittario, verace gaudente <strong>del</strong>la buona<br />
tavola, mangia di gusto e accresce la stazza<br />
senza rimorsi; il grasso superfluo lo smaltisce<br />
semmai con una vigorosa camminata all'aria<br />
aperta, o un'oretta di sport.<br />
Il Capricorno che <strong>del</strong>la sobrietà fa il proprio<br />
credo, sa essere fachiro nell'autoimporsi diete<br />
ferree e nel resistere a qualsiasi tentazione; il suo<br />
fisico asciutto non conoscerà mai le angustie <strong>del</strong><br />
sovrappeso.<br />
L'Acquario vuol sperimentare tutte le diete, più che<br />
altro per curiosità, o perché è alla incessante ricerca<br />
di una nuova immagine di sé; lo tentano gli assaggi<br />
inusuali, ma in piccole quantità, più per cultura che<br />
per gola.<br />
I Pesci hanno la trasgressione nell'anima: più in<br />
senso spirituale che prosaicamente corporeo, ma<br />
lo spirito può anche esser quello alcolico; diete<br />
regolari proprio no, ma covano la vocazione al<br />
digiuno ascetico.<br />
47
Quando hai uno di quei giorni in cui il tuo lavoro ti pesa, prova questo metodo: tornando a casa la<br />
sera, entra in farmacia e compera un termometro rettale fatto da Johnson and Johnson, ma<br />
assicurati di prendere questa marca.<br />
Quando sei a casa, chiudi la porta, spogliati, stacca il telefono così non sei disturbato durante la<br />
terapia.<br />
Mettiti in abiti comodi e sdraiati sul letto, apri la scatola <strong>del</strong> termometro, posalo sul comodino con<br />
cura perché non si rompa, prendi il foglietto che lo accompagna e leggilo; noterai che riporta la<br />
seguente dichiarazione:<br />
“Ogni termometro rettale prodotto da Johnson and Johnson è testato personalmente”.<br />
Adesso chiudi gli occhi e per cinque volte ripeti ad alta voce: “Sono così felice di non lavorare per<br />
il controllo qualità <strong>del</strong>la Johnson and Johnson...” E ricorda, c'è sempre qualcuno che ha un lavoro<br />
più schifoso <strong>del</strong> tuo.<br />
Il giovane appuntato ha distrutto diverse macchine di servizio a causa <strong>del</strong>la sua guida spericolata e viene<br />
chiamato a rapporto.<br />
-Appuntato, ma com'è che da quando sei qui da noi hai distrutto tutte ste macchine di servizio?<br />
L’appuntato risponde:<br />
-Vice brigadiere, il problema è che ogni giorno alla stessa ora quando faccio il giro di servizio passo<br />
davanti ad un bar e ci sono alcune persone fuori dal locale, che dicono: “Guarda, un asino che vola!”, ed<br />
io alzo la testa, perdo il controllo, non vedo l'albero e vado a sbattere!<br />
Vice brigadiere:<br />
- Un asino che vola? Tutti i giorni? Alla stessa ora? Ci deve essere un nido allora...<br />
Due amici si incontrano e uno magnifica all'altro un ristorante in cui va spesso.<br />
"Si mangia benissimo, servizio impeccabile e abbiamo pagato, io e mia moglie, 20 euro a testa".<br />
"Ma và?" fa l'amico "incredibile..."<br />
"Inoltre" fa il primo "dopo che hai pranzato ti portano una minuscola cassettiera con 50 minuscoli<br />
cassettini...<br />
Tu ne scegli uno e lo apri, se trovi il numero fortunato puoi<br />
andare nelle stanze di sopra dove ci sono bellissime ragazze<br />
disponibili gratuitamente..."<br />
L'amico sempre più interessato chiede:<br />
"Ma tu hai mai vinto a queste estrazioni?"<br />
e l'altro:<br />
"Io no, ma mia moglie tutte le volte che ci andiamo... vince<br />
sempre..."<br />
Un esploratore parte per l'Africa a bordo di un aereo e questo, per una causa<br />
inspiegabile, precipita in mezzo alla foresta. Dopo tre mesi viene ritrovato in<br />
condizioni pietose ed un amico lo va a visitare all’ospedale.<br />
-Allora... cosa ti è successo durante questi mesi nella foresta?<br />
- Guarda questo non l'ho detto a nessuno, ma lo dico a te perché sei il mio<br />
migliore amico...<br />
- Che c'è? Parla!<br />
- Eh, vedi... nella foresta c'era un gorilla che... mi ha... beh... non so come<br />
spiegartelo... mi ha... violentato!<br />
- Caspita! E lo dici così? Beh, stai sicuro che non lo dirò a nessuno, rimarrà un<br />
segreto fra noi due!<br />
- Grazie... sei proprio un amico...<br />
Alcuni mesi dopo i due si rivedono:<br />
- Ciao, allora come va?<br />
- Eh, sai... ripenso ancora al gorilla...<br />
-Ancora con sta storia? Ma dai, te l'ho detto l'altra volta: di me ti puoi fidare,<br />
che non lo dico a nessuno... il gorilla non parla...<br />
E l’esploratore con voce sdolcinata:<br />
- Eh, appunto! Non parla, non scrive, non telefona... manco una cartolina!<br />
"Oh sì signore, lo abbiamo il fagiano in salmì, ma<br />
dovrete avere un po' di pazienza…"!