Il caffè dei monsoni: Monsooned Malabar AA Dall ... - Gustolocale
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Caffè Indiani<br />
<strong>Il</strong> <strong>caffè</strong> <strong>dei</strong> <strong>monsoni</strong>: <strong>Monsooned</strong> <strong>Malabar</strong> <strong>AA</strong><br />
<strong>Dall</strong>’India un trattamento per ammorbidire i toni più aspri<br />
Secoli fa, quando i chicchi di <strong>caffè</strong> venivano trasportati in Europa sulle navi, accadde un fantastico incidente. I Monsoni fecero gonfiare i chicchi di <strong>caffè</strong>,<br />
che cambiarono colore ed acquisirono un aroma intensamente invecchiato che conquistò gli intenditori. Oggi questa magia viene ricreata provocando<br />
studiatamente l’effetto del monsone sui chicchi dell’Arabica migliore per produrre un <strong>caffè</strong> specialità famosa nel mondo.<br />
<strong>Il</strong> <strong>caffè</strong> sottoposto a trattamento <strong>monsoni</strong>co o chicchi di <strong>caffè</strong> “imbevuti” di umidità dall’aria, sono preparati in coltivazioni situate sulla costa occidentale<br />
dell’India del sud. Vengono stoccati in magazzini speciali, dove i venti <strong>monsoni</strong>ci umidi circolano intorno ai chicchi di <strong>caffè</strong>, facendoli gonfiare ed<br />
assumere un passito, invecchiato, ma aggressivo. Questo processo ingiallisce i chicchi e riduce<br />
l’acidità, provocando un’omogeneità pesante, sciroppata, che ricorda i <strong>caffè</strong> stagionati. Per<br />
preparare i <strong>caffè</strong> sottoposti a trattamento <strong>monsoni</strong>co vengono utilizzati esclusivamente<br />
chicchi asciutti delle varietà Arabica e Robusta. Questi <strong>caffè</strong> sono usati principalmente<br />
miscelati per ammorbidire e conferire ricchezza a <strong>caffè</strong> più aspri e<br />
con maggiore acidità. La miglior qualità di <strong>caffè</strong> sottoposto a trattamento<br />
<strong>monsoni</strong>co è il <strong>Malabar</strong> <strong>AA</strong>.<br />
Mysore Nuggets Extra Bold<br />
Questi <strong>caffè</strong> stupendi ed esotici sono preparati con varietà<br />
Arabica bagnata coltivata nelle regioni di Chikmagalur, Coorg,<br />
Biligiris, Bababudangiris e Shevaroys. I chicchi sono molto<br />
grandi, di colore verde-blu uniforme, con un aspetto levigato.<br />
Nella tazza il <strong>caffè</strong> rivela un aroma pieno, una buona<br />
corposità media, una buona acidità e un sapore piacevole,<br />
con accenni speziati. E’ una tipologia rara, pregiata e<br />
veramente rappresenta la miglior qualità di <strong>caffè</strong> indiano.<br />
Robusta Kaapi Royale<br />
Questo <strong>caffè</strong> è preparato con la tipologia Robusta<br />
Parchment AB delle regioni di Coorg, Wayanaad,<br />
Chikmagalur e Travancore. I chicchi sono robusti, rotondi<br />
con estremità appuntite, di colore che và dal grigio al<br />
verde-blu. Assicura un sapore corposo, pieno, con gusto<br />
liscio e vellutato.<br />
Pagina a cura di Edy Bieker<br />
uno <strong>dei</strong> massimi intenditori di <strong>caffè</strong> crudi.
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Frittata<br />
di rane<br />
e germogli di tarassaco<br />
Foto di Giuliano Francesconi<br />
La rubrica Arte in Tavola è a cura<br />
del Prof. Piergiorgio Casara “filosofo enogastronomo"<br />
e della prof. Cristina Borin “docente di storia dell'arte”<br />
La presentazione è giocata sulla contrapposizione<br />
di forme naturali e forme artificiali. Le fette di<br />
frittata, tagliate a triangolo, caratterizzano la<br />
struttura visiva secondo un principio geometrico.<br />
Tuttavia, la loro collocazione leggermente spostata<br />
di lato rompe la centralità simmetrica e lascia<br />
spazio alla forma naturale <strong>dei</strong> germogli di<br />
tarassaco, bene allargati a valorizzare le linee<br />
curve e organiche. L’identità della preparazione è<br />
suggerita dalle coscette di rana caramellate, che<br />
svelano l’ingrediente meno riconoscibile,<br />
attenuando l’effetto di sorpresa e anticipando<br />
visivamente il sapore della frittata. L’accostamento<br />
cromatico - giallo chiaro e verde scuro - è<br />
armonizzato dal tono medio del piatto verde<br />
chiaro, che con la sua luminosità restituisce<br />
freschezza alla conserva di verdura.
Riflessioni sulla forma<br />
FORME TRASFORMATE<br />
<strong>Il</strong> più comune intervento di trasformazione consiste certamente nel tagliare o sminuzzare: le verdure, la carne, in genere gli alimenti di grandi<br />
dimensioni. Anche qui, alcune regole di base inducono a rispettare determinate modalità, al fine di salvaguardare l’integrità dell’alimento per il<br />
successivo consumo: ad esempio, è opportuno trinciare pollame e conigli agendo sulle articolazioni ossee. In ogni caso, affettando o tagliando<br />
un prodotto, soprattutto quando lo si prepara per un contorno o per una guarnizione, è preferibile conservare il più possibile la forma originaria:<br />
i funghi andranno sezionati longitudinalmente, i peperoni arrostiti saranno ridotti in falde; i broccoli e il cavolfiore saranno serviti a cimette. Mode<br />
abbastanza recenti ci hanno abituato, soprattutto nel campo delle crudità, a grattugiare i vegetali di consistenza più compatta, così nelle insalate<br />
vediamo spesso carote o zucchine a fiammifero. Si tratta di una tendenza a regolarizzare le forme per ridurre il più possibile l’intervento del<br />
commensale sul cibo. E’ una questione di scelte, che andranno valutate di volta in volta. Tuttavia, è innegabile il piacere di riconoscere l’identità<br />
degli alimenti, anche se ciò comporta il piccolo sforzo di usare il coltello, peraltro sempre presente nell’apparecchiatura della tavola. Nelle<br />
macedonie di frutta, poi, tagliare gli ingredienti in pezzi non troppo piccoli permette di distinguere i singoli sapori nell’armonia del tutto.<br />
FORME CREATE<br />
Alcuni cibi, poi, di consistenza fluida, possono essere plasmati e modellati a piacere: basta munirsi di contenitori e stampi che si trovano in<br />
commercio in un’ampia gamma di forme e dimensioni; al limite, sono sufficienti delle strisce di cartoncino da piegare secondo l’estro. La polenta,<br />
gli sformati e molti dolci al cucchiaio possono essere facilmente preparati entro piccoli recipienti monoporzione, da rovesciare poi sul piatto di<br />
presentazione. Altri contenitori, che risulteranno poi commestibili, possono essere costruiti modellando e cuocendo la pasta da pane, oppure<br />
sfoglie di formaggio, di patata o di croccante: si otterranno cestini, coppette e cornucopie adatte a servire carni in spezzatino o in umido, insalate<br />
di crudità o di legumi, composte di frutta. Le terrine e gli sformati con carni, pesce, formaggi e verdure possono essere preparate entro stampi<br />
di forme diverse: una volta tagliate a fette, riveleranno la composizione e il colore degli ingredienti e avranno, sul piatto, forme piacevoli e<br />
regolari, anche perfettamente geometriche.<br />
BISCOTTI CASERECCI CON CONFETTURA DI CACHI<br />
I biscotti, l’elemento principale della<br />
preparazione, sono collocati al bordo del piatto,<br />
leggermente sormontati: in questo modo non<br />
riempiono la superficie del supporto e non<br />
bloccano, con una posizione dominante, l’intera<br />
struttura visiva. Viene così valorizzata la<br />
confettura di cachi, qui conformata a stella per<br />
mezzo di un semplice stampino, ma gradevole<br />
anche se disposta a macchia. Piccoli segni chiari<br />
e scuri spezzano le superfici troppo unite: le<br />
scaglie di mandorla e le uvette; queste ultime<br />
hanno anche la funzione di aprire la<br />
composizione verso l’esterno. La gamma<br />
cromatica è armonica, su tonalità calde; il<br />
colore grigio chiaro del piatto, col suo tono<br />
medio, valorizza tutti gli ingredienti addolcendo<br />
i contrasti di chiaro e scuro. <strong>Il</strong> piccolo fuoco<br />
visivo della cucchiaiata di ribes rosso acceso<br />
attira l’attenzione e interviene a movimentare<br />
la struttura percettiva.<br />
Arte in tavola<br />
Confettura di cachi<br />
Ingredienti<br />
• 1 kg di cachi “ragno” ben sodi e dolci<br />
• 700 gr di zucchero<br />
• qualche stecca di cannella o baccello di<br />
vaniglia<br />
• 1 bicchierino di rum<br />
Lavare i cachi, assaggiare ogni frutto per<br />
verificare che non sia troppo astringente<br />
(eventualmente eliminare i frutti inadatti),<br />
tagliare a pezzi la polpa sbucciata, eliminare i<br />
semi e collocare il tutto in una casseruola con lo<br />
zucchero. Portare a ebollizione e far cuocere<br />
fino a che la confettura risulti densa e vellutata<br />
(circa 30 minuti). Qualche minuto prima di<br />
togliere dal fuoco, aggiungere la cannella intera<br />
o la vaniglia. Invasare la confettura bollente,<br />
ricoprire con un filo di rum e chiudere ermeticamente.<br />
Conservare in luogo fresco e asciutto,<br />
possibilmente buio.<br />
Sandra De Lucia<br />
13
<strong>Il</strong> Cocktail<br />
del mese<br />
14<br />
Associazione Italiana Barman e Sostenitori Sez. di Ve.<br />
Vincitore al concorso Adria Barman<br />
Cocktail Competition<br />
Fiera tecno Bar e Food - Padova<br />
Raspberries field<br />
Composto da:<br />
2,5 cl grappa di prosecco<br />
Carpenè Malvolti<br />
2 cl Vermouth bianco Martini<br />
1,5 cl Galliano<br />
1 cl Raspberry bols<br />
Preparazione:<br />
Shakerare e servire in doppia<br />
coppetta e decorare con vaniglia e<br />
fiore di rapa.<br />
A cura di:<br />
Mainero Patrizia<br />
A. Bar Bounty<br />
Thiene
ALLA SCOPERTA DEL WHISKY A TAVOLA<br />
Al ristorante 5sensi di Malo una degustazione verticale<br />
di Whisky Caol <strong>Il</strong>a<br />
abbinata a piatti vicentini<br />
È di certo un viaggio quello proposto dal ristorante “5sensi” di Malo. Viaggio, perché i profumi del<br />
whisky rimandano subito alla Scozia: al torbato <strong>dei</strong> boschi, al salmastro del mare. Viaggio, perché<br />
abbinare una verticale di whisky a piatti del territorio vicentino è un’esperienza sensoriale nuova,<br />
che porta a scoprire nuove concordanze gustative. Viaggio, perché al ritorno – come da tutti i<br />
viaggi importanti – ci si sente un po’ cambiati.<br />
Grazie alla creatività e al coraggio di sperimentare di Morgan Pasqualin del ristorante “5sensi”<br />
cambia l’idea che il Whisky debba essere relegato a fine pasto e non possa essere un giusto<br />
complemento a tavola. Questo in base alla tradizione scozzese di diluire una parte di distillato con<br />
tre di acqua naturale.<br />
E che whisky, perché stiamo parlando di Caol <strong>Il</strong>a, un Single Malt prodotto ad Islay, isola nel nord della Scozia con 3500 abitanti e 9 distillerie.<br />
Dopo un aperitivo a base di whisky curato da Renato Cumerlato, la cena si apre con un duetto di schiacciate di patata di Rotzo. Una proposta<br />
con salmerino fumé, le sue uova e chips di mela; l’altra con carne salada di Asiago e mandorla Pizzuta di Avola. L’abbinamento è realizzato<br />
con il Caol <strong>Il</strong>a 12 anni, in cui spicca potente il torbato e la nota salmastra.<br />
<strong>Il</strong> primo piatto è una deliziosa zuppa d’orzo allo speck e mirtilli, con profumo di arancia e pecorino Macomer. Qui si accosta il Caol <strong>Il</strong>a 18<br />
anni, in cui il torbato svanisce nei profumi per riemergere nel retrogusto insieme a note floreali e fruttate.<br />
Seguono tre versioni di cervo: carrè con composta di cavolo rosso e the; hamburger con cipolle rosse e goulash alla liquirizia. La dolcezza<br />
della carne di cervo esalta l’abbinamento con il Caol <strong>Il</strong>a 12 anni Cask, dalla gradazione naturale di 63,5 gradi. Caldo e avvolgente.<br />
Si gusta in purezza invece il Caol <strong>Il</strong>a 25 anni che restituisce spiccate note fruttate e sentori di tabacco e vaniglia. Accompagna<br />
la degustazione di tre versioni dell’Asiago di Fossa Tanzerloch. Un prodotto che nasce dalla felice intuizione di<br />
Renato Novello e Flavio Costa di recuperare la tradizione di infossare i formaggi, risalente sull’altopiano al<br />
quindicesimo secolo. Si potrà trovare solo nei migliori ristoranti con il nome di Formaggio d’autore, in onore<br />
dell’amico pittore Gerry Lunardi.<br />
La conclusione è affidata ad un mantecato alle nocciole piemontesi con tortino al cacao, su cui spicca ancora<br />
il Caol <strong>Il</strong>a 25 anni.<br />
“Non c’è innovazione senza tradizione” spiega Morgan Pasqualin, titolare del “5sensi” insieme alla moglie<br />
Luciana e alla cognata Antonella. “Lavorando molto all’estero ho imparato a sperimentare, ma mi sono<br />
reso conto che tutto deve partire dal patrimonio culinario del territorio che ci appartiene”. Da qui è nata<br />
la filosofia che anima il 5sensi, quella del cibo come un’esperienza a tutto tondo, che dal gusto si<br />
spinge a sublimare gli altri quattro sensi: olfatto, vista, tatto, udito.<br />
Michele Bertuzzo
16<br />
<strong>Il</strong> Torcolato è il vino dolce di Breganze ottenuto da una sapiente scelta e da una estrema cura <strong>dei</strong> grappoli<br />
di uve di vespaiola per l’85% con il restante tocai e pedevenda. Per appassire vengono attorcigliati (intorcolà) a<br />
degli spaghi in ambiente arieggiato. Solo i grappoli migliori, i più spargoli, vengono raccolti per l’appassimento. È<br />
dopo Natale che il dolce Torcolato viene finalmente consacrato in vino. La produzione è limitata, sia per la scarsa<br />
resa, sia per la cura tipicamente artigianale che questo vino richiede.<br />
<strong>Il</strong> Torcolato viene prodotto a Breganze sin dal Quattrocento, quando la Repubblica Serenissima di Venezia conquista<br />
il Veneto e con esso l’alto vicentino, trasferendo ingenti capitali e risorse umane per modificare il paesaggio. Si<br />
costruiscono le prime ville attorno alle quali si articola una efficiente azienda agricola dove vengono piantate le viti<br />
portate da terre conquistate e si potenziano le vie fluviali del vicentino per agevolare l’arrivo del vino a Venezia. <strong>Il</strong><br />
vespaiolo viene così appassito all’aria per la produzione di vino dolce, come è citato in varie pubblicazioni del<br />
‘600/’700 “Dolce Vespaiolo… liquore sopraffino che si fabbrica a Breganze”. Solo verso la fine dell’ottocento il vino<br />
dolce di Breganze o dolce vespaiolo viene chiamato Torcolato per il modo in cui vengono poste ad<br />
appassire le uve, ossia attorcigliate a degli spaghi così da formare il rosolo che viene<br />
appeso alle travi delle soffitte.<br />
<strong>Il</strong> Torcolato ha il colore dell’oro, dall’aroma intenso di mela cotta, miele, albicocca,<br />
uvetta, datteri e frutta secca; si presenta in bocca ampio, lungo e avvolgente.<br />
La freschezza conferita dall’uva vespaiola va a fondersi con la dolcezza<br />
ottenuta dall’appassimento e rende questo vino elegante e non<br />
stucchevole. È eccellente anche da solo, ma ben si sposa<br />
con formaggi erborinati o molto saporiti; a fine pasto esalta<br />
la piccola pasticceria, i dolci secchi e il Torcolone.<br />
Foto Stella <strong>Il</strong> Torcolone è il Panettone<br />
di Natale arrichito con il<br />
vino Breganze doc Torcolato<br />
di Firmino Miotti.<br />
<strong>Il</strong> vero segreto del Torcolone sta<br />
nell’uvetta lasciata a riposare nel<br />
Torcolato così da conferire al<br />
Panettone gli aromi tipici di questo<br />
vino ottenuto da una sapiente<br />
scelta e da una estrema cura <strong>dei</strong><br />
grappoli di uve pregiate poste ad<br />
appassire in ambiente arieggiato<br />
fino a Natale. La produzione del<br />
Torcolato è limitata sia per la<br />
scarsa resa sia per la cura<br />
tipicamente artigianale che questo<br />
vino richiede. Si consiglia di<br />
portare il Torcolone a temperatura<br />
ambiente 2 ore prima di<br />
consumarlo e di accompagnarlo<br />
con il Torcolato di Firmino Miotti.<br />
<strong>Il</strong> Torcolato
18<br />
Le composte di Montorso<br />
Sapori di una tradizione antica<br />
L’ 8/9/10 dicembre i “Coghi Veneti” invitano in Villa da Porto di Montorso per la mostra <strong>dei</strong><br />
prodotti tipici della Valle del Chiampo, dove assistere a rappresentazioni in costume del metodo<br />
tradizionale di preparazione delle “composte di Montorso”.
Le “composte” è un piatto che difficilmente si colloca<br />
nel panorama gastronomico italiano a causa della loro<br />
(pur limitata nel caso di quelle di Montorso) acidità.<br />
Infatti nella nostra cucina prevalgono i gusti dolce e salato e poco spazio<br />
è sempre stato dato ai piatti dal gusto prettamente acido.<br />
<strong>Il</strong> cavolo-verza (brassica oleracea sabauda) è una pianta appartenente<br />
alla famiglia delle crocifere che si differenzia dal cavolo cappuccio per<br />
le foglie grinzose increspate e bollose, dal colore verde scuro, quasi<br />
violaceo (da qui il nome moretta) con nervature prominenti. Crescendo<br />
le foglie interne si addensano e formano una palla irregolare molto<br />
compatta, che a causa della scarsa quantità di luce rimane tenera e<br />
assume una colorazione bianco-giallastra. Una pianta biennale dallo<br />
scarso apporto proteico ma ricca di vitamina A e C, con un notevole<br />
apporto di magnesio, ferro, fosforo e potassio. Molto conosciuta ed<br />
apprezzata fin dal tempo <strong>dei</strong> Romani, che la diffusero in tutto l’impero,<br />
rendendola assieme ai broccoli l’ortaggio invernale per eccellenza grazie alla<br />
resistenza al clima rigido, l’adattabilità a tutti i tipi di terreno e l’impagabile capacità<br />
di fornire verdura fresca quando tutti gli altri vegetali erano a riposo.<br />
A circa 20km ad ovest di Vicenza, ove il torrente Chiampo sbocca nella pianura vicentina,<br />
sorge Montorso, qui, come in tutto il vicentino, le verze costituivano la riserva di verdura fresca più importante<br />
durante l’inverno.<br />
Con l’arrivo della brutta stagione le verze coltivate nel campo venivano trapiantate negli orti vicino a casa per proteggerle meglio dal<br />
freddo ed averle a portata di mano. Solo le piante più sane e rigogliose venivano trapiantate, mentre con quelle danneggiate o<br />
rovinate si realizzavano le composte.<br />
Le composte nascono dall’esigenza di consumare anche quelle verze che, se cotte tradizionalmente non<br />
sono commestibili, poiché dure e senza “cuore”.<br />
Quella di trasformare le verze in composte era una pratica esclusivamente famigliare oramai in disuso, parte di quella cucina povera<br />
che faceva di necessità virtù. Qui, per la loro conservazione e aromatizzazione non si usava l’aceto come di consueto, ma la graspia:<br />
un vinello ottenuto dalle vinacce torchiate, bevuto durante l’inverno per risparmiare il vino buono che spesso veniva venduto.<br />
L’uso della graspia, al posto dell’aceto, conferisce un’acidità particolare, che le diversifica dalle altre, grazie al sapore meno intenso<br />
ed acido.<br />
Le verze (meglio se hanno subito una buona gelata) vengono raccolte e mondate dalle foglie troppo rovinate da gelo e parassiti;<br />
quindi, a seconda delle dimensioni, vengono tagliate in due o quattro parti e scottate in un liquido composto di nove parti di acqua<br />
salata ed una di graspia.<br />
Dopo essere state ben scolate e raffreddate si dispongono a strati in un barile aggiungendo del sale grosso tra uno strato e l’altro.<br />
In alcune preparazioni, vista la scarsa acidità della graspia, possono essere aggiunti dell’aglio e qualche chiodo di garofano:<br />
ingredienti che con le loro proprietà di antisettici naturali, oltre a fungere da aromatizzante, inibiscono la formazione di muffe.<br />
Si termina con uno strato di foglie grandi distese a copertura e si appone un coperchio di legno, che entri nel recipiente, sul quale<br />
vengono adagiati <strong>dei</strong> pesi.<br />
Infine si versa la graspia fino a coprire abbondantemente le verze; si copre tutto con un coperchio non stagno e si lascia macerare<br />
per quaranta giorni.<br />
Al termine della macerazione si possono gustare come vuole la tradizione a contorno del musetto, preparate in padella con aglio,<br />
cipolla e pancetta, con una lunga cottura sofegà.<br />
Roberto Gasparin<br />
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