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ACHILLE SERRAO - Poeti del Parco

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INTRODUZIONE<br />

Come tutte le antologie, questa che proponiamo – e che abbraccia cinque secoli di<br />

poesia – si espone alle critiche più varie, inclusa la inveterata “caccia all’assente”. Tale<br />

pratica, antichissima, contraddice il senso stesso di una ricognizione ragionata, implicando<br />

– come implica – la pretesa di un quadro quanto più completo possibile <strong>del</strong>le<br />

inclusioni, l’adozione insomma di un criterio “repertoriale” piuttosto che l’assunzione<br />

<strong>del</strong> rischio insito nel sacrificio di alcune presenze. Peraltro i rilievi che si appuntano<br />

contro le scelte e i vari criteri adottati dall’antologista per motivarle, mirano in definitiva<br />

a scardinare l’impianto <strong>del</strong>l’opera, talvolta suggerendo percorsi alternativi di<br />

selezione che però appaiono criticabili – e inevitabilmente – quanto quello discusso.<br />

Spesso alla messa in stato d’accusa non s’accompagna neppure l’indicazione di un<br />

diverso modo procedurale. È allora che le critiche manifestano tutta la loro sterilità,<br />

mettendo a nudo ragioni di contrasto tutto aggrumato intorno al nome che non c’è e<br />

al numero <strong>del</strong>le pagine attribuite non secondo l’importanza <strong>del</strong>l’autore.<br />

Sarà a suo pieno agio, in questo senso, lo studioso che si accosterà alla crestomazia<br />

di E. De Mura, <strong>Poeti</strong> napoletani dal Seicento ad oggi (Napoli, Marotta Editore, 1977),<br />

dove troverà in successione cronistorica tutti, ma proprio tutti, i poeti presentabili<br />

purché campani di nascita (raramente di adozione).<br />

Il nostro lavoro non ha pretese di strenua esaustività. Tanto più che si è andato componendo<br />

costretto in assegnati inderogabili limiti tipografici che hanno imposto talvolta,<br />

ma raramente, esclusioni, se non dolorose, certo indesiderate, specialmente di<br />

poeti operativi fra Sette/Ottocento e Otto/Novecento. Mancano alla chiamata antologica,<br />

per esempio (ma la loro presenza avrebbe alterato davvero o compromesso perfino<br />

il progetto di assemblaggio?): il Marchese di Caccavone, Giulio Genoino e, ancora:<br />

Diego Petriccione, Luca Postiglione, Aniello Costagliola, Pasquale Cinquegrana e Raffaele<br />

Chiurazzi. Si tratta di assenze, a ben riflettere, che comunque non avrebbero conferito<br />

alla antologia una confirmatoria di autorevolezza tale da giustificarne il rimpianto.<br />

Abbiamo operato nella convinzione <strong>del</strong>la esemplarità degli autori presentati e nella<br />

combinata concomitante certezza <strong>del</strong>la loro (estetica) capacità di assorbimento <strong>del</strong><br />

lavoro degli esclusi.<br />

Per quanto concerne il cinquantennio seguito al secondo conflitto mondiale, trova<br />

adeguata collocazione nello spazio concesso la poesia di Eduardo De Filippo chiamata<br />

a svolgere un compito, per così dire, di “mestizia”: chiudere un’epoca di fervore creativo<br />

poetico e canzonettistico, durata fino alla morte di Salvatore Di Giacomo (1934),<br />

e aprirne un’altra, epigonica, di forte regresso, in cui a dominare sono i “due vizi principali<br />

<strong>del</strong>la poesia dialettale: il bozzettismo di maniera e l’elogio acritico <strong>del</strong>la terra<br />

nativa (con le varie napoletanità annesse e connesse)”. 1<br />

Dopo De Filippo, e in qualche modo malgrado lui (perché per Eduardo poeta si<br />

sono spese espressioni elogiative non commisurate affatto alla “normatività” e normalità<br />

<strong>del</strong>l’impegno), il cinquantennio post bellico registra per lo più operazioni inautentiche,<br />

figliate dal magistero digiacomiano o da un verismo d’accatto che niente ha<br />

a che vedere con il prestigioso operare di un Russo. Buona poesia potrà rintracciarsi<br />

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