La viabilità che cambia - jesi e la sua valle
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Il Rosa Papa Tamburi a<br />
CECCHI CAROTTI<br />
e<br />
di Dino Mogianesi<br />
Incontro Carlo Cecchi nel suo casa–studio.<br />
Ingombro di tele, pennelli, pieno di opere e,<br />
soprattutto, di carta. Non di carte, ma proprio<br />
di carta. Ama usare <strong>la</strong> carta come supporto,<br />
strati sovrapposti. <strong>La</strong> col<strong>la</strong> salda i fogli, tira e<br />
<strong>la</strong> superficie diventa rugosa.<br />
«Mi piace questo modo di <strong>la</strong>vorare. I colori<br />
oleosi <strong>che</strong> adopero prendono matericità,<br />
come un frottage, <strong>la</strong>sciano un segno deciso,<br />
forte, ma scabro. Mi piace pensare <strong>che</strong> il<br />
disegno e <strong>la</strong> pittura si distendono su qualcosa<br />
<strong>che</strong> ha una storia. Così il segno assume un<br />
intento concettuale, <strong>che</strong> è poi l’orizzonte da<br />
cui sono partito agli inizi del mio percorso.»<br />
Nelle tue opere affastelli cose, ricordi, suggestioni.<br />
Oggetti, animali, porte… perché?<br />
«È come <strong>la</strong> sera. Quando il tempo resta<br />
sospeso e tutto si fa contemporaneo. Ti alzi<br />
al mattino e sei in balìa del tempo. Prendi il<br />
caffè poi ti <strong>la</strong>vi poi ti vesti poi incontri o non<br />
incontri poi vai lì poi là, poi, poi… tutto è nel<br />
tempo. Al<strong>la</strong> sera, ripensi a quanto è successo<br />
scandito dall’orologio e tutto è presente<br />
simultaneamente, senza profondità, tutto<br />
insieme, nel<strong>la</strong> mente <strong>che</strong> vede tutto come<br />
se il tempo non lo avesse toccato. Un pitto-<br />
<strong>La</strong> Pinacoteca civica, con i proventi del “Rosa Papa Tamburi”, acquisisce<br />
due opere di Carlo Cecchi e due di Fabrizio Carotti.<br />
re <strong>che</strong> amo è Piero del<strong>la</strong> Francesca. Quel<strong>la</strong><br />
<strong>sua</strong> immobilità <strong>che</strong> non è fissità, ma presenza,<br />
immediatezza; nell’attimo c’è l’infinito<br />
presente. Del resto, l’artista non è tenuto a<br />
prevedere. Si <strong>la</strong>scia andare. Non deve giustificarsi.<br />
Non preventivamente. Semmai,<br />
può farlo dopo. Può, dopo, ricostruire <strong>la</strong><br />
“scena del crimine”.»<br />
Vedo <strong>che</strong> stai <strong>la</strong>vorando proprio attorno al<strong>la</strong><br />
Madonna di Piero.<br />
«Mi interessa il rapporto maschile–femminile,<br />
questa alterità irriducibile, ma inevitabile.<br />
E lo colgo an<strong>che</strong> nei grandi del passato. In<br />
quel<strong>la</strong> Donna <strong>che</strong> dà <strong>la</strong> vita all’Uomo.<br />
Questa donna forte, <strong>che</strong> conserva <strong>la</strong> vita e<br />
<strong>che</strong> l’accudisce. E questo uomo incerto,<br />
<strong>che</strong> vive sul limite, sul<strong>la</strong> soglia…<br />
…spesso vedo citata, nei tuoi quadri, una<br />
porta…<br />
«…perché <strong>la</strong> porta è soglia, appunto, limite,<br />
<strong>che</strong> chiude e apre, fuori e dentro. <strong>La</strong> porta<br />
è semiaperta per dare una prospettiva, <strong>la</strong><br />
fuori (o <strong>la</strong> dentro?) c’è altro, l’altro, l’incontro,<br />
<strong>la</strong> scoperta. <strong>La</strong> porta apre, ma può<br />
an<strong>che</strong> chiudere. Io <strong>la</strong> <strong>la</strong>scio aperta, almeno<br />
un po’, sulle paure e sulle speranze.<br />
L’artista, in fondo, è un esorcista; esorcizza<br />
le paure sue e di tutti.»<br />
Ma perché, ancora, tutti quegli oggetti e<br />
animali nei tuoi disegni?<br />
«Gli oggetti sono materiali, significanti. Non<br />
sopporto il virtuale, <strong>che</strong> trovo volgare. Amo<br />
<strong>la</strong> fisicità, così affascinante. Togli <strong>la</strong> funzione<br />
all’oggetto e diventa segno estetico e gusto<br />
etico. Negli oggetti c’è una storia, una suggestione.<br />
Raccontano ed evocano. Non mi<br />
interessano i legami logici, preferisco quelli<br />
sotto traccia, i richiami subliminali delle<br />
emozioni.»<br />
Mi rega<strong>la</strong> “Martirio”, l’ultimo libro di cui è<br />
coautore con Vittorio Graziosi.<br />
«Vedi questa macchina fotografica in copertina?<br />
Vecchia e rovinata dal tempo? È una<br />
macchina fotografica tedesca, <strong>che</strong> zio<br />
Francesco, ragazzo partigiano, trucidato a<br />
Montecappone, regalò ad una bellissima<br />
ragazza di Precicchie per sdebitarsi dell’ospitalità<br />
e come pegno d’amore. Fu l’ultima volta<br />
<strong>che</strong> si videro. Capisci <strong>che</strong> storie può racchiudere<br />
un oggetto? E <strong>che</strong> carica di emozioni e<br />
sentimenti? Vedi questa teiera accostata al<br />
profilo di Gino De Dominicis? Volevo dire <strong>la</strong>