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Untitled - Ministero degli Affari Esteri

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Regione Campania<br />

Provincia di Salerno<br />

Ente Provinciale Turismo<br />

Salerno<br />

Comunità Montana<br />

Penisola Amalfitana<br />

Comune di Ravello<br />

Promozione<br />

Ente Provinciale Turismo<br />

Salerno<br />

COTUR<br />

COSTA D’AMALFI<br />

Direzione artistica<br />

Bruno Mansi<br />

Ufficio stampa<br />

Giovanna Dell’Isola<br />

Promozione culturale<br />

Barbara Ferrara<br />

Coordinamento organizzativo<br />

Luigi Mansi<br />

Segreteria organizzativa<br />

Studio DAMA - Ravello<br />

Pubbliche relazioni<br />

Palma Mansi<br />

Stamperia<br />

Il Laboratorio di Nola<br />

Allestimento<br />

Pasquale Ruocco<br />

Graficamente<br />

Eolo<br />

Stampa<br />

Tipografia Gutenberg<br />

Edizioni<br />

Bruno Mansi - Ravello<br />

Un particolare ringraziamento<br />

all’Associazione Albergatori di Ravello


Carnet de voyage alla scoperta della bellezza autentica dei luoghi, non quella idealizzata,<br />

ma quella che si offre in tutta la sua luminosità, senza veli.<br />

Carte di viaggio. Incisori a Ravello, la mostra ospitata all’interno di Villa Rufolo a chiusura<br />

di un anno ricco di novità e appuntamenti culturali di notevole livello, ci racconta di questa<br />

svelata bellezza con il segno delle incisioni. Un segno penetrante, come lo sguardo<br />

<strong>degli</strong> autori.<br />

Gli artisti, provenienti da più paesi ma allo stesso modo affascinati e soggiogati dalla magia<br />

dello spazio, dalla dolcezza del paesaggio, dai colori e dalle atmosfere, ci regalano con<br />

le loro opere diari di suggestioni, emozioni ma anche di riflessione, di memorie, di miti<br />

rivisitati come percorsi di lettura della realtà, anche quella più vicina a noi.<br />

È Ravello, che si afferma ancora una volta crocevia privilegiato di culture, intrisa<br />

di Mediterraneo ma vissuta da tutti come ‘ luogo condiviso ’ di creatività, proiettata verso<br />

la costruzione di una frontiera senza limiti, fondata sulla pace e la civile convivenza.<br />

Sono questi i motivi per sostenere la scelta di investire su questo territorio e valorizzare tutte<br />

quelle iniziative che mirano, oltre al Festival, a dare vita ad un calendario di appuntamenti<br />

capaci di mantenere “sempre aperta” la città ai turisti, agli artisti, ai viaggiatori.<br />

Antonio Bassolino<br />

Presidente Regione Campania<br />

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Ecco che si rinnova anche quest’anno l’appuntamento d’arte a Ravello, nel periodo natalizio,<br />

con la mostra “Carte di viaggio. Incisori a Ravello”, che vede la Provincia di Salerno tra gli<br />

enti sostenitori.<br />

Infatti, l’Amministrazione provinciale intende contribuire alla valorizzazione e alla riscoperta<br />

del patrimonio paesaggistico e culturale della Costiera amalfitana anche attraverso<br />

l’interpretazione e le espressioni artistiche di coloro che ancora oggi ne elaborano il mito.<br />

Grazie all’antica tecnica dell’incisione la Costiera appare in un perfetto equilibrio tra natura e<br />

opera dell’uomo, che costituisce questo paesaggio unico ed irripetibile.<br />

Il tratto inciso sul foglio dall’artista aiuta chi guarda a riscoprire identità presenti nei risvolti<br />

segreti di una memoria collettiva ben solida e vitale.<br />

Il viaggiatore alla ricerca della memoria, attraverso le tracce <strong>degli</strong> artisti, può ammirare<br />

la Costa d’Amalfi nella sua atmosfera più vera e profonda quasi a voler immortalare<br />

l’ovattata dimensione che affabulò i protagonisti del Grand Tour e che, ancora oggi,<br />

è possibile cogliere da parte di chi sceglie di vedere le cose con gli occhi dell’arte.<br />

La Provincia, anche attraverso iniziative simili, intende sostenere le esperienze artistiche<br />

e culturali che, come questa, mirano a sviluppare e qualificare gli elementi di attrazione<br />

presenti nel territorio provinciale.<br />

Gianni Juliano<br />

Vice Presidente Provincia di Salerno


L’Ente Provinciale per il Turismo partecipa anche quest’anno alla realizzazione di una mostra<br />

dedicata a Ravello, ospite nella prestigiosa Villa Rufolo, sito reso splendido e accogliente<br />

dal filantropo scozzese Francis Neville Reid.<br />

“Carte di viaggio. Incisori a Ravello” è un evento culturale che ben si colloca nel periodo<br />

natalizio, in presenza di un contesto più raccolto, che invita alla riflessione, in un’atmosfera<br />

che sembra accarezzare lo spirito.<br />

Con questa mostra si rinnova il tema <strong>degli</strong> artisti viaggiatori che, con le loro opere, tanto<br />

hanno contribuito a rendere celebre nel mondo la cittadina ravellese e l’intera Costiera<br />

Amalfitana.<br />

Ravello con la sua Villa Rufolo, in posizione privilegiata sul Mediterraneo, è ancora una volta<br />

al centro dell’attenzione, e viene raccontata con le sue emozioni, le sue suggestioni,<br />

il suo spirito attraverso l’antica tecnica dell’incisione. La bellezza del paesaggio, la forza<br />

dei monumenti, la levità delle atmosfere prorompono dai segni incisi sui fogli, confermando<br />

l’immortalità del luogo.<br />

L’E.P.T. è lieto di rendere possibile tutti gli appuntamenti che, come questa mostra,<br />

coniugano fantasia e cultura e contribuiscono ad arricchire il soggiorno <strong>degli</strong> ospiti<br />

con occasioni di godibile riflessione unita ad un’accoglienza cordiale.<br />

Gennaro Avella<br />

Amministratore Ente Provinciale per il Turismo di Salerno<br />

Vito Caponigro<br />

Coordinatore Generale Ente Provinciale per il Turismo di Salerno<br />

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Con la mostra “Carte di viaggio. Incisori a Ravello” si rinnova, in termini attuali e moderni,<br />

ma attraverso una tecnica antica, il tema <strong>degli</strong> artisti viaggiatori, alla scoperta delle atmosfere<br />

mediterranee della Costa d’Amalfi, momento significativo di una raggiunta e compiuta<br />

libertà espressiva.<br />

Protagonista è Ravello, scrutata da varie angolazioni, immortalata dalla traccia di un gesto.<br />

Il risultato è nei segni, incisioni come racconti di sentimenti, di emozioni, di suggestioni,<br />

narranti la magia del luogo, l’essenza del suo spirito, il fluire delle luci, l’intreccio<br />

delle architetture, la superbia della sua verticalità, la seducente armonia delle sue forme.<br />

La città di Ravello, nella sua posizione privilegiata, quasi al centro del Mediterraneo, si pone<br />

quale elemento propulsore di una cultura rinnovata e al tempo stesso antica.<br />

La mostra offre l’esplorazione di uno dei siti più famosi nel mondo attraverso<br />

approfondimenti che narrano delle origini e che consentono riflessioni sulla realtà attraverso<br />

l’arte. Come vice presidente della Comunità Montana Penisola Amalfitana, insieme all’ente<br />

che rappresento, sono fiero di contribuire a promuovere iniziative come queste, capaci<br />

di inaugurare una nuova stagione del viaggio verso il Mediterraneo, attraverso il grande<br />

occhio della contemporaneità.<br />

Franco Massimo Lanocita<br />

Vice Presidente Comunità Montana Penisola Amalfitana


L’Amministrazione comunale di Ravello è ben lieta di patrocinare l’evento dedicato all’arte<br />

“Carte di viaggio. Incisori a Ravello”, che ancora una volta rinnova il mito legato<br />

ai viaggiatori del Grand Tour.<br />

La mostra, nel magico contenitore di Villa Rufolo, offre la possibilità di ammirare la cittadina<br />

di Ravello nei suoi più molteplici aspetti: le emozioni di un panorama, le suggestioni dei suoi<br />

monumenti, le atmosfere dell’antichità strettamente legate alla contemporaneità.<br />

Una cittadina incantata, appesa al filo dei sogni, di percorsi immaginari che, nei disegni,<br />

nelle incisioni e nelle linee veloci, appare in simbiosi con la bellezza del paesaggio, come<br />

una scia magica, arricchita da giochi di luce e prospettive. Chi guarda riscopre identità<br />

perdute, ma comunque presenti nei risvolti segreti di una memoria collettiva ancora<br />

ben solida e vitale.<br />

Ravello appare un soggetto fuori dai luoghi comuni e dai consumi di massa, sottolineata<br />

dalle impressioni e dalla sensibilità di più artisti, capace di cogliere le suggestioni metafisiche<br />

di un passato divenuto mito.<br />

Paolo Imperato<br />

Sindaco di Ravello<br />

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Ravello e la Costiera amalfitana sono un esempio della straordinaria ricchezza in termini<br />

di cultura, artigianato, gastronomia e risorse paesaggistiche che rendono l’Italia un paese<br />

unico al mondo.<br />

A contatto con interlocutori stranieri, anche di livello culturale elevato, ci si rende conto<br />

del fatto che ben pochi sono coscienti di come il nostro Paese vada visto nelle forme di<br />

uno straordinario forziere, nel quale é racchiuso un numero ingente di preziose gemme,<br />

tutte diverse e speciali a loro modo, che dobbiamo noi italiani, per primi, apprezzare<br />

maggiormente per portarle poi a conoscenza di chi, da altri paesi, ha per noi interesse<br />

ed ammirazione.<br />

La mostra “Carte di viaggio. Incisori a Ravello” si colloca a pieno titolo in questo contesto.<br />

Raccoglie infatti opere di artisti italiani, ma anche stranieri che nell’esercizio dell’antica<br />

arte dell’incisione, trovano uno strumento del tutto particolare per mettere a fuoco la loro<br />

attenzione sulle meraviglie che Ravello offre da sempre e può offrire oggi ed in futuro<br />

al visitatore straniero.<br />

Questa mostra ci deve fornire anche uno stimolo per riflettere su quali siano le modalità<br />

più opportune per conservare e proteggere questo stupendo patrimonio situato nella città<br />

di Ravello, ma anche per dare ad esso la valorizzazione e lo sviluppo che merita e che può<br />

servire a completare l’immagine che gli stranieri hanno del nostro Paese.<br />

Gherardo La Francesca<br />

Direttore Generale del <strong>Ministero</strong> <strong>degli</strong> <strong>Affari</strong> <strong>Esteri</strong><br />

per la Promozione della Cultura Italiana all’Estero


Il tredicesimo rintocco<br />

In lontananza, la campana della chiesa di Torello batté mezzogiorno e un quarto.<br />

Tredici rintocchi, tredici urti di metallo contro metallo – dodici turgidi e uno più gracile, quasi<br />

fesso – salirono, allora, dall’antico borgo medioevale, posto a mezza costa, fino al vertice<br />

supremo e al costone estremo del promontorio su cui si distende il celebre paese di Ravello.<br />

Una volta giunti lì, sull’orlo del burrone in cui le ultime propaggini meridionali dei monti<br />

Lattari precipitano a mare in un salto di cinquecento metri, i tredici rintocchi annunciarono<br />

agli ospiti dell’incantevole hotel de charme di Villa Cimbrone, tutti pencolanti tra il sole<br />

e l’acqua a bordo piscina, che l’istante perfetto della perpendicolare luce meridiana di quel<br />

7 luglio 2006 era trascorso in quel preciso momento, e per sempre. Udendoli, il maestro<br />

Rank, molto semplicemente, scoppiò a piangere. E del tutto irrimediabilmente.<br />

La commozione si era insufflata in lui già al primo rintocco, poi, poco a poco, colpo su colpo,<br />

sincronizzandosi ai battiti del suo cuore, lo aveva invaso.<br />

Al tredicesimo rintocco, quello gracile, quello quasi fesso, il giovane, prodigioso direttore<br />

d’orchestra, noto in tutto il mondo per la sua maestria e per lo stile quasi immobile della sua<br />

conduzione, era stato travolto in un pianto a dirotto. Fino ad un istante prima, Rank se ne<br />

era rimasto mollemente reclinato su di una sedia a sdraio, in una posa vagamente statuaria<br />

e in una nudità eroica. Apparentemente impassibile, rapito da uno stato di ebetudine oziosa,<br />

ripassava mentalmente una partitura che già dominava, prendeva i suoi bagni di sole nella<br />

canicola mediterranea e contava il tempo con gli aperitivi. Fino a un istante prima che<br />

quell’antichissimo pianto, quella doglia preistorica, giungesse a lui, a cavallo di ere ancestrali,<br />

come un saliente avanzato nel corso del tempo, fino a quell’istante Rank era stato un uomo<br />

ancora giovane, maestosamente insediato nella sovranità del presente. Un istante più tardi,<br />

al tredicesimo rintocco della campana di Torello, di Rank non era più niente. In quel tocco<br />

di quarto dopo mezzogiorno tramontava, per lui, un’intera epoca astrale. Sul bordo di quella<br />

piscina, da mezzogiorno e un quarto in avanti, in ogni istante si compiva un millennio.<br />

Rank si scioglieva nel pianto. Fuori di ogni metafora, si scioglieva nel pianto.<br />

Le lacrime lo squagliavano sommessamente, senza strepito, come un solvente chimico<br />

scrosta un grumo di grasso. Se lo avesse colto un infarto, se ne sarebbe sentito meno<br />

distrutto.“Che mi accade?”, si chiedeva Rank con un ultimo rantolo di vita, prima di<br />

abbandonarsi all’orgasmo della dissipazione che quel pianto portava con sé. Lo sapeva<br />

Rank cosa gli era accaduto. Lo sapeva bene. Una soave, fragorosa, infeconda silfide bionda<br />

– la sua compagna del momento, la sua ennesima compagna del momento – vedendolo<br />

accendersi una sigaretta, gli aveva detto: “Non fumare. Se continui così, quando avremo<br />

i nostri bambini, tu non avrai più fiato per giocare a pallone con loro”.<br />

Lo aveva detto con leggerezza, per pura motilità di spirito, senza la minima traccia della<br />

gravità che l’idea di figliare fa immancabilmente scendere in un cuore umano.<br />

Proprio a causa di quella leggerezza, in quel preciso momento, Rank aveva appreso da se<br />

stesso che un figlio non lo avrebbe mai avuto. Lo aveva sempre presentito, ma ora n’era<br />

certo. Assiso sull’olimpo del proprio cinismo, Rank guardava se stesso giù in basso: vedeva<br />

una minuscola macchia di sangue sul bordo di una piscina. Come una satolla divinità<br />

pagana, un dio del banchetto, Rank reggeva in un pugno le fila del proprio destino.<br />

E in quel destino di figli non ce n’erano. Per misconoscere l’agghiacciante rivelazione,<br />

il direttore d’orchestra, con un minimo gesto della mano, simile a quel gesto contenuto con<br />

cui dal podio dava il tempo ai musicisti, aveva ordinato un altro frozen daiquiri.<br />

Poi, però, la campana di Torello aveva preso inesorabilmente a battere le ore.<br />

Piangeva Rank, piangeva e piangeva. Lacrimava, senza singhiozzi, con la stessa compostezza<br />

con cui dirigeva le grandi orchestre sinfoniche. Non era disperazione la sua ma pura<br />

commozione. Una motivata infelicità. Vedendolo in quello stato, il cameriere gli offrì<br />

soccorso: “Maestro, posso fare qualcosa per lei?”. Ma non c’era niente da fare: Rank<br />

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si sarebbe estinto. Sapendolo, il grande musicista fu vinto da un desiderio di recesso.<br />

Si gettò sulle spalle una camicia di lino e senza avvertire, senza prendere congedo da quella<br />

donna che non gli avrebbe messo innanzi nessuna discendenza, s’incamminò in calzoncini<br />

da bagno verso il belvedere, nella parte della villa aperta ai visitatori. Quando fu sulla<br />

magnifica terrazza affacciata a strapiombo sul mare, si andò a rannicchiare sull’ultimo sedile<br />

di pietra dal lato di Amalfi. Lì continuò indisturbato a piangere.<br />

Vedendo quell’uomo adulto che piangeva come un bambino, i turisti si intenerivano<br />

credendo che si stesse commuovendo dinnanzi alla bellezza squassante del luogo.<br />

Allora si allontanavano in punta di piedi. Lasciavano che il sublime panorama ricevesse<br />

il dovuto tributo in lacrime da parte di quell’uomo sensibile.<br />

E quell’uomo sensibile continuava a piangere. Imperterrito.<br />

Vai a Ravello – gli avevano raccomandato tutti i suoi tanti amici musicisti che si erano già<br />

esibiti al rinomato festival – a Ravello c’è il mare più bello del mondo. Ma a Ravello non c’è<br />

il mare, si ripeteva adesso Rank. Da Ravello si vede il mare, ed è certo la veduta più bella<br />

del mondo, ma il mare non c’è. Il mare è lontano, riempie l’intero panorama, a oriente come<br />

a occidente, ma sta al di là di un invalicabile abisso di vuoto. Su questa terrazza il mare<br />

è un quadro di lontananza. Qui la bellezza estende il regno dell’invincibile legge del<br />

desiderio finanche alla grandiosità geografica. Qui la bellezza sottomette l’amore all’assenza<br />

dell’amato e t’impone di serbare ben aperti i lembi della ferita. Vista da qui, tutta la vita<br />

è un’avventura della lontananza. L’amore felice non ha storia su questa terrazza di Villa<br />

Cimbrone. E’ una bellezza crudele questa di Ravello. Così pensava Rank, contemplando<br />

l’infinito dalla terrazza di Villa Cimbrone a Ravello. E piangeva, vagheggiando i figli che non<br />

avrebbe mai avuto. Intanto, si faceva sera e si avvicinava l’ora del concerto di apertura del<br />

festival che il maestro avrebbe dovuto dirigere. Come ogni anno da quando il festival era<br />

stato creato nell’immediato dopoguerra, anche quella sera nel concerto inaugurale si sarebbe<br />

suonato Wagner. In un giorno remoto Wagner era, infatti, passato da Ravello e, visitando<br />

i ruderi dell’antica Villa Rufolo, vi aveva trovato il magico giardino di Klingsor.<br />

Lo aveva lasciato scritto di suo pugno in ben due registri d’albergo: “Il magico giardino<br />

di Klingsor è trovato”. Quella sera, su un palco sospeso sull’infinito della bellezza crudele<br />

di Ravello, nello stesso luogo che a Wagner aveva ispirato la danza delle fanciulle-fiore<br />

del Parsifal, Rank avrebbe dovuto dirigere il Tristano e Isotta. Un palco da cui si godeva,<br />

o si soffriva, una vista molto simile a quella che adesso il maestro aveva dinnanzi agli occhi.<br />

Ma, oramai, Rank non aveva occhi se non per piangere.<br />

A nulla servì la processione di organizzatori, agenti, musicisti e amanti che cercavano<br />

di confortarlo e, soprattutto, di convincerlo a prendere il suo posto sulla pedana del direttore<br />

d’orchestra. Il maestro li scacciava con un gesto trattenuto della mano, come se stesse<br />

battendo il tempo. Li scacciava uno dopo l’altro e contemplava le statue che ornavano<br />

la balaustra del belvedere di Villa Cimbrone. Una serie di busti di marmo bianco stranamente<br />

rivolti verso l’interno della villa. “Perché non si è voluto che guardassero il mare?”,<br />

si chiedeva da ore quell’uomo commosso alla rivelazione che l’eterno grembo della natura<br />

non si sarebbe mai commosso per lui. “Perché sul belvedere più bello del mondo, a queste<br />

sentinelle di pietra è negato lo sguardo che si perde nell’infinito?”, continuava a chiedersi,<br />

ossessivamente, Rank, preparandosi a trasmutarsi in pietra a sua volta. Poi venne il tramonto<br />

e, finalmente, il maestro capì: “Non le hanno messe in quella posizione!”, si disse<br />

il musicista. “Devono essere state loro a voltarsi: voltano sdegnosamente le spalle all’oscenità<br />

di questa bellezza crudele dinnanzi alla quale tutte le passioni finiscono come una tragedia,<br />

a questo scenario da melodramma in cui all’uomo è riservato il ruolo<br />

di colui che muore”. A questo pensiero il maestro Rank si riebbe. Indossò il suo frac a coda<br />

di rondine e si presentò, in perfetto orario, a dirigere il suo più grande concerto.<br />

Aveva deciso di seguire l’esempio dei busti di marmo.<br />

Antonio Scurati


Luci su Ravello<br />

Ricordi le lucciole? No, non quelle che pensi, quelle vere, quelle che non se ne incontrano<br />

più. La prima volta le vidi a Ravello, in una sera di tarda primavera del dopo guerra.<br />

Sono fermamente convinto che ogni essere pensante porta la sua Ravello nell’anima;<br />

un luogo antico, un vagheggiamento di pace in cui si rifugia per consolazione delle angustie<br />

quotidiane o per stemperare i conflitti, le ansie della prassi giornaliera.<br />

La mia, la conobbi e imparai ad amarla nel Cinquanta, ancora ventenne, insieme ad alcuni<br />

amici desiderosi di sconfinare oltre gli orizzonti miseri entro cui ci avevano costretti,<br />

il provincialismo nazionalistico prima e, infine, le vicende belliche.<br />

Essa era là pregna di sacralità, in quel punto del globo dove il matrimonio del cielo e della<br />

terra diventano una realtà tangibile oltre ogni esperienza onirica o intellettuale.<br />

Le formelle di bronzo stavano alla porta del Duomo, come terminale di un filo continuo<br />

con la storia che trasferisce la vita del passato in quella presente. Le ville antiche Rufolo<br />

e Cimbrone, testimonianze di un gusto gentile, insieme agli insediamenti cosmopoliti più<br />

recenti, alle chiese come San Giovanni del Toro o alla SS. Annunziata non sono stati mai<br />

intrusioni estranee alla convivenza abituale, come accade pressoché ovunque, quando<br />

centinaia di migliaia di cittadini si muovono attivamente nell’ambito di plessi storici notevoli<br />

percependoli come intralcio fastidioso al loro essere moderni.<br />

A Ravello invece il passato non produce solo memoria. Per una fortunata congiuntura<br />

di avvenimenti orogenetici e umani, le vestigia antiche, quali fattori naturali di promozione<br />

civile alimentano ancora il divenire presente.<br />

La gente qui è semplicemente vulgo e non appartiene a quella categoria di persone<br />

che Leonardo definiva procacciatrici di cibo e produttori di sterco. L’idea stessa di tempo<br />

inoltre, piuttosto che il corso lineare e infinito di avvenimenti sovrapposti l’uno all’altro<br />

di cui generalmente se ne perde il ricordo, è addensamento spinto, come in un buco nero,<br />

della stessa attività umana svolta da sempre in una spazialità propria e singolare priva<br />

di connotazioni direzionali.<br />

Ci attendammo nella luce soave dei castagni cedui che rivestono le colline di Scala,<br />

non lontano, le acque vergini di una polla montana “fontana carosa” trascorrevano allegre<br />

in un ruscello che avevamo acquisito al nostro insediamento.<br />

Non ci eravamo affatto distaccati dal mondo <strong>degli</strong> uomini; anche lì, la catena <strong>degli</strong> esseri<br />

e <strong>degli</strong> ambienti appariva integra ed armoniosa. Il giorno era scandito da un lento andirivieni<br />

d persone di tutte le età, che con passo circospetto e ansimanti portavano a tracolla<br />

ponderosi fasci di quelle pertiche lunghe onde abitanti della costa che innalzavano i pergolati<br />

a protezione dei giardini guadagnati alla rupe. Mi colpì soprattutto la partecipazione di<br />

una giovane ventenne dai sembianti aggraziati cui peraltro, per come mi guardava, doveva<br />

sembrare del tutto ingiustificato il mio apparente oziare.<br />

Questa gente s’è incarnata col territorio per decine di secoli ignara forse <strong>degli</strong> avi che, già<br />

alla fine del XII secolo, seppero riconoscere la propria dignità civica acquistando dalle potenti<br />

famiglie dei Frezza o dei Rufolo i poderi su cui vivono (archivio storico di Ravello, in Napoli);<br />

e cose ancora più sorprendente queste cittadine si diedero, appena nell’ottavo secolo una<br />

regolamentazione di vita associativa. (Vedi J.C.Naber, De Lecitone legume et de compilatione<br />

Ravellana, Zanichelli 1937). Al vespero la trasferta dal campo alla piazza-loggia del Duomo<br />

era inevitabile. Non per qualche ragione precisa o cosciente, ma piuttosto per una<br />

inverosimile malìa del luogo avevamo provato per la prima volta una certa equabilità,<br />

un equilibrio interiore di sentimento, un celere di atonasia, di serenità di spirito o<br />

imperturbabilità che riscontravamo in qualche raro viandante dal palato fine che sostava<br />

lungo il parapetto - purtroppo oggi ringhiera – di fronte alla valle, in attesa che la sera<br />

compisse la sua magia. Placato infatti la violenza della calura meridiana che schiaccia ogni<br />

forma di vita, uno pneuma, un soffio celeste rianimava il paesaggio alla luce orizzontale<br />

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dell’ultimo sole oltre il crinale dei monti. Le masse collinose naturali e i piccoli volumi<br />

costruiti, le sagome delle chiese e delle case, in armonico rapporto con la gittata delle<br />

sguardo formavano una deliziosa coerenza plastica. Una pace salutare pervadeva ogni essere<br />

umano come in un raro posillipo dove ogni pena è sospesa.<br />

Poi seguiva la metacromìa serotina del cielo con una successione di dissolvenze dal turchese<br />

al cobalto; di lì a poco già tutta tracciata era la rigorosa geometria delle stelle.<br />

Nuguli di lucciole danzanti, puntine fosforescenti, deboli e intermittenti, a mano a mano,<br />

sempre più intense con l’avanzare del buio, girovagavano in cerca d’amore, indicandoci<br />

da vicino, lungo il sentiero, coi loro movimenti privi di profondità, la via del ritorno al campo,<br />

mentre facevano loro da contrappunto le blandi e tremolanti luci delle case di Scala,<br />

aldilà della valle.<br />

Ho confessato queste impressioni non tanto per un senso di nostalgia (come per Henry<br />

Longfellow, Amalfi, 1885 in me è dolce la memoria di questa terra). Piuttosto perché<br />

desidero che la natura di Ravello non si corrompa per l’eccesso smodato di tecnicismo<br />

in favore del quale pare che gli uomini dello scorcio di questo millennio abbiano abdicato<br />

rinunciando alle proprie radici con grave pregiudizio del loro stesso essere.<br />

Il fascino di Ravello è dovuto in larga misura all’incidenza della luce sul tetto del mare,<br />

in una, con la speciale conformazione del clima montano.<br />

Sia quando essa inonda la terra dall’alto nell’ora in cui Pan impazza tra boschetti e scorci<br />

di panorama baluginante che irrompono d’improvviso tra sentieri e stradine del paese,<br />

sia nel lucore del crepuscolo quando si disperde ogni traccia di profondità, e tra le forme<br />

opache delle cose e i contorni della campagna sprizza dal profondo del mare la luce rifratta<br />

dei raggi del sole già sotto l’orizzonte.<br />

Il passaggio naturale dal giorno alla notte, con la sua successione di effetti luminosi,<br />

a Ravello produce mirabilia e, per la singolare conformazione del territorio esso suscita,<br />

tra storia e cultura, letture molteplici e gradevoli significazioni, ancora più ricche se la<br />

luminescenza ialina della luna si riverbera su terrazzi e giardini, e poi filtrando tra rupi<br />

e case e, tra gli alberi fruscianti, si frantuma sulla distesa marina, lì davanti, in infiniti brulichii,<br />

diradati sotto costa e addensati all’orizzonte.<br />

Momenti brevi di magia quando nel ritmo dei passi percorsi sul versante a meridione sopra<br />

la costa di Minori appare un grappolo di punti luminosi che, come galassia tremolante viene<br />

smentita dalle deboli voci che dalla costa in giù si elevano verso l’alto.<br />

Sono reazioni estetiche maturate nella coscienza <strong>degli</strong> uomini in tempi lunghissimi che<br />

possono essere recuperate e utilizzate per gli odierni criteri di illuminazione notturna, senza<br />

correr il rischio di veder cancellati nel torno di una generazione, per un malaccorto intervento<br />

di illuminazione artificiale, valori culturali già acquisiti. Non è facile riprodurre artificialmente<br />

questi effetti superlativi della natura. E invero, la questione non riguarda la riproducibilità<br />

di essi, perché sarebbe cosa superflua, inutile quanto impossibile, accadendo essi del tutto<br />

già spontaneamente. Importa invece non alterarne quelle qualità che abbiamo appreso<br />

da sempre ad apprezzare, ad ammirarla e a sentirne la risonanza nello spirito.<br />

Occorre solo quel proverbiale buon senso per ricordarsi che l’illuminazione del paese<br />

è corretta solo se essa consente di far vedere quello che c’è. E questo non è possibile<br />

in piazza del Duomo, dove i tradizionali lampioni a luce incandescente diretta producono<br />

un cono luminoso che colpisce e offende la vista prima che questa possa percepire le cose<br />

illuminate, che per questo risultano al buio. Una cortina di luce infatti scende a separare<br />

le persone dagli effetti illuminanti, recidendo quella continuità ideale tra osservatore<br />

e ambiente che è la nota più pregevole del luogo.<br />

È un tipo di illuminazione che a Ravello risulta particolarmente pregiudizievole non solo per<br />

il gran numero di oggetti e di ambiti che anche di sera attendono il rianimarsi per rivelare<br />

altre espressività dei propri valori plastici e cromatici, ma anche perché frequentemente<br />

accade che l’illuminazione adottata col solo scopo di far luce, altera la qualità naturale del


manufatto e dell’ambiente mettendo in mostra prima se stessa e se mai quello che in realtà<br />

non è. Insieme all’ambiente in generale, con le armature elettriche attualmente adottate<br />

perdono valore perfino i monumenti di maggiore specificità: la facciata del Duomo infatti<br />

subisce un tale scialbo appiattimento da togliere ogni tratto originario plastico – già in parte<br />

distrutto dal restauro frettoloso – riducendola a una banale superficie bianca e accecante.<br />

Essa così come si presenta aggredisce lo spiazzo antistante alterandone i rapporti<br />

dimensionali; nell’interno poi, di sera, è del tutto impossibile percepire la dimensione areale<br />

dell’architettura.<br />

Provate a immaginare una di quelle scene in cui un indiziato viene brutalmente interrogato<br />

sotto un fascio di luce violenta senza poter nemmeno intravedere le fattezze del suo<br />

aguzzino; andate poi a contemplare uno qualunque dei numerosi dipinti di René Magritte<br />

(Es. L’Empire des Lumières II, 1950), ove è rappresentato invece che gli oggetti ritratti, solo<br />

lo stato della luce proiettato semplicemente in uno stato di grazia dell’animo, ottenuto<br />

con magistrale compenetrazione di luminosità, tra artificiale e naturale scelto in un attimo<br />

particolare del giorno.<br />

Scoprirete così il paradosso della luce, la quale sì, è stata inventata per poter vedere, e pure<br />

costituisce ostacolo alla vista se usata male.<br />

L’illuminazione insomma, può dare o togliere vita alle cose esistenti, illuminare e scoprire<br />

con la propria immaginazione fattori di ricordi e di immaginazioni altrui; ma finora, direi,<br />

ci si è preoccupati molto <strong>degli</strong> aspetti tecnici, della enorme disponibilità sempre più<br />

abbondante di energia luminosa e molto poco <strong>degli</strong> effetti che essa produce.<br />

L’uomo scopri la luce col fuoco, dalla lucerna delle caverne, alla scintilla dicroica,<br />

ai piani luminosi, le conoscenze tecniche relative all’illuminamento sono state ampiamente<br />

approfondite e diffuse, anche oltre il necessario, al contrario le questioni estetiche ed i suoi<br />

effetti, quelle attinenti il godimento spirituale, hanno costituito interesse riservato solo<br />

ai pittori, agli artisti figurativi e a pochi eletti.<br />

Vincere il buio come nemico assoluto è stata senza dubbio una grande conquista, ma, come<br />

per ogni conquista ed innovazione, necessita di conoscere e utilizzare tutte le potenzialità<br />

offerte: tra luce e buio, nel gioco dei rapporti di intensità, tra lucore misterioso appena<br />

percepito e una luce abbagliante, naviga il mistero della creazione.<br />

La speranza dell’uomo è conquistare consapevolezza e capacità a rendere concreti i valori<br />

di queste qualità per diffonderli e parteciparli il più possibile anche ai più distratti.<br />

Certo, anche con un illuminazione incongrua, Ravello resta sempre una delle rare magie<br />

della natura, perciò mi domando perché mai, proprio chi più l’ama, debba rinunciare<br />

a godere di quella dovuta armonia, specie la sera per contenere l’invadenza di gusti e istinti,<br />

forse non proprio grossolani, ma senza dubbio lesivi dell’immaginazione del posto.<br />

Nel cielo,…….. il chiaro di luna ha forato di luce la veste alla Notte.<br />

Omar Khayyam – poeta persiano c; 1100 d.c.<br />

Filippo Alison 1994<br />

19


20<br />

Edoardo Sanguineti


Carte incise<br />

Etched papers<br />

Ada Patrizia Fiorillo<br />

Provo a riordinare i fogli sparsi davanti a<br />

me : riproduzioni di quelle “carte” che,<br />

singolarmente, con accuratezza, Bruno<br />

Mansi mi ha mostrato, perché avessi<br />

consapevolezza del corpus di immagini che<br />

costituisce l’ossatura di questo ennesimo<br />

appuntamento espositivo ravellese.<br />

Una raccolta, rigorosamente imbastita sul<br />

comune denominatore della pratica incisoria,<br />

formatasi nel tempo, sugli inviti rivolti agli<br />

artisti che hanno realizzato le opere qui<br />

proposte, perché il viaggio o, meglio,<br />

la migrazione delle immagini concentrate<br />

intorno a questo unico, fortunato angolo<br />

della costa amalfitana continui a mostrare<br />

il volto della sua attualità. Ravello dunque,<br />

ancora? È quanto avrei voluto chiedere<br />

a Bruno che, giocando d’anticipo, mi ha<br />

detto: «Ravello è una signora dai fianchi<br />

larghi capace di accogliere e restituire».<br />

Ed in fondo deve essere sembrata così<br />

anche ad un grande incisore come Maurits<br />

Cornelis Escher, che, tra i primi, all’alba del<br />

XX secolo, si è lasciato catturare dalla sua<br />

magia. «Sto lavorando sodo! E questo è il<br />

principale motivo della mia felicità». Inizia<br />

così la lettera che, da questo lembo di terra,<br />

il noto grafico olandese, scrive all’amico Jan<br />

van der Does de Willebois, nei primi giorni<br />

di aprile del 1923.<br />

Da questo soggiorno e dai ripetuti ritorni<br />

scaturiranno le mirabili prove che l’artista<br />

dedica alla costa d’Amalfi, più ancora alla<br />

doppiamente sentita Ravello che gli svela<br />

anche il sentimento profondo dell’amore<br />

per Jetta, conosciuta proprio qui e divenuta<br />

sua moglie nel 1924. A Ravello dunque,<br />

nella quiete di questo “corpo” naturale che<br />

lo accoglie, Escher accelera lo studio delle<br />

forme di natura nel loro intrecciarsi con<br />

le forme dell’architettura. In sostanza è il<br />

binomio naturale-artificiale a catturare<br />

il suo sguardo. Un binomio che gli solleciterà<br />

I try to tidy up the sheets of paper scattered<br />

in front of me: reproductions of the<br />

“papers” that Bruno Mansi showed me<br />

carefully, one by one, so I would be aware<br />

of the corpus of images that make the<br />

framework of the latest exhibition in Ravello.<br />

It is a collection, the common denominator<br />

being the practice of etching, created over<br />

time, as was asked of the artists who have<br />

created the works presented here, so that<br />

the journey, or rather the migration of the<br />

images gathered in this unique, popular spot<br />

of the Amalfitan Coast continue to show its<br />

modern aspect. And so Ravello again? It is<br />

what I would have liked to ask Bruno, who<br />

beat me to it and said: “Ravello is a woman<br />

with wide hips capable of welcoming and<br />

restoring”. And when you come to think of<br />

it, it must have seemed so to a great graphic<br />

artist like Maurits Cornelius Escher, one of<br />

the first to be enchanted by its magic at the<br />

beginning of the 20 th century. “I am working<br />

hard! And that is the main reason for my<br />

happiness”. So begins the letter written<br />

at the beginning of April in 1923 by the<br />

famous Dutch graphic artist to his friend Jan<br />

van der Does de Willebois.<br />

From this first visit, and his many return<br />

visits, there were many works that the artist<br />

dedicated to the Amalfitan Coast, even<br />

more so to Ravello, where his deep feelings<br />

of love for Jetta, who he met here, were<br />

revealed and who became his wife in 1924.<br />

And so in Ravello, in the tranquillity of this<br />

natural “body” that welcomed him, Escher<br />

advanced his studies of the forms of nature<br />

in their entwinement with the forms of<br />

architecture. Essentially it was the naturalartificial<br />

combination that caught his eye.<br />

The combination prompted a structural<br />

analysis of space diffused, especially in<br />

the first half of the 1930s, by the use of<br />

the sign and its capacity to transform on<br />

23


24<br />

l’attenzione per un’analisi strutturale dello<br />

spazio, veicolata, soprattutto nella prima<br />

metà <strong>degli</strong> anni Trenta, dall’impiego del<br />

segno e dalla sua capacità di modularsi nella<br />

materia della lastra per restituire non solo<br />

il dato formale <strong>degli</strong> elementi raffigurati,<br />

ma il senso delle luci, delle atmosfere,<br />

della percezione visiva della realtà,<br />

ridisegnata sotto la spinta di una pressione<br />

immaginativa. Tecnica ed immaginazione,<br />

rigore ed emozione, sembra essere questo<br />

l’insegnamento escheriano sulla cui traccia<br />

provo allora a riordinare le “carte di viaggio”<br />

di questi diciassette autori, seguendo il filo<br />

di un abbecedario che, dal segno, comune<br />

indizio grafico, muove lungo i sentieri<br />

della sua applicazione, tra le alchimie delle<br />

tecniche utilizzate da Giuliana Balice, Marina<br />

Bindella, Renata Boero, Bruno Canova,<br />

Francesco Cecchetto, Hsiao Chin, Isabella<br />

Ciaffi, Anna Crescenzi, Luce Delhove, Pilar<br />

Dominguez, Simon Fletcher, Peter Freeth,<br />

Valeria Manzi, Luigi Marcon, Ines Merola,<br />

Angela Occhipinti, Mario Teleri Biason,<br />

quali mezzi di espressione creativa.<br />

Un esercizio in fondo dell’immaginario<br />

al quale essi legano la peculiarità<br />

di un linguaggio, fatto di continue<br />

sperimentazioni ed al contempo frutto di<br />

una lenta elaborazione. Si delinea così,<br />

quale riflesso di un progetto maturato in<br />

quello spazio compreso tra la matrice e la<br />

stampa, insistendo sull’elemento primario<br />

del segno, sulla possibilità di indirizzarlo<br />

al risultato finale di una forma, la Ravello<br />

che essi prospettano, puntando su quella<br />

facoltà propria <strong>degli</strong> artisti «di pensare per<br />

immagini». Sono immagini che narrano<br />

di intenzioni, di memorie, di emozioni,<br />

di visioni come misura di un tempo interiore.<br />

Forme orientate da gesti, affioranti nello<br />

spazio bianco del foglio come geografie<br />

dello sguardo.<br />

«L’arte non ripete le cose visibili, ma rende<br />

visibile. L’energia della grafica induce spesso<br />

ingiustamente all’astrazione.<br />

Nella grafica albergano i fantasmi e le<br />

the plate to produce not only the formal<br />

elements of the parts depicted, but the<br />

sense of light, of atmosphere, of the<br />

visual perception of reality redesigned<br />

on the incentive of imaginative pressure.<br />

Technique and imagination, precision and<br />

emotion, this seems to be the Escherian<br />

teaching on which I try to sort out the<br />

“travel documents” of the seventeen<br />

artists following the fundamental thread<br />

that, from the sign – the common graphic<br />

indication– moves along the paths of its<br />

application, through the alchemies of the<br />

techniques used by Giuliana Balice, Marina<br />

Bindella, Renata Boero, Bruno Canova,<br />

Francesco Cecchetto, Hsiao Chin, Isabella<br />

Ciaffi, Anna Crescenzi, Luce Delhove, Pilar<br />

Dominguez, Simon Fletcher, Peter Freeth,<br />

Valeria Manzi, Luigi Marcon, Ines Merola,<br />

Angela Occhipinti and Mario Teleri Biason ,<br />

as a means of creative expression.<br />

It is a practice in the depths of the<br />

imagination to which they attach the<br />

characteristics of a language, made of<br />

continuous experiments and at the same<br />

time the result of slow expansion. The<br />

Ravello they are depicting, counting on the<br />

artist’s right “to think through images”,<br />

emerges like this, as a reflection of a project<br />

completed in the space between the plate<br />

and the print, emphasising the primary<br />

graphic element and the possibility of taking<br />

it to the final result of a form. They are<br />

images that tell of intentions, memories,<br />

emotions and visions as a gauge of an<br />

interior time. They are forms guided by<br />

movements that surface on the white of the<br />

sheet of paper, like geographies of the eye.<br />

“Art does not reflect visible things, it<br />

makes visible. The energy of graphic art<br />

often leads unjustly to abstraction. The<br />

ghosts and fairytales of the imagination<br />

lodge in graphic art and reveal themselves<br />

with great accuracy at the same time.<br />

The purer the graphic work, that is to say<br />

the greater importance attributed to the<br />

formal elements on which the graphic


fiabe dell’immaginazione e nello stesso<br />

tempo si rivelano con grande precisione.<br />

Quanto più puro il lavoro grafico, vale<br />

a dire quanto maggiore l’importanza<br />

attribuita agli elementi formali sui quali si<br />

basa la rappresentazione grafica, tanto più<br />

difettosa la disposizione a rappresentare<br />

realisticamente gli oggetti visibili.<br />

Gli elementi formali della grafica sono:<br />

punti, energie lineari, piane e spaziali.<br />

Un elemento piano che non si compone<br />

di elementi secondari, è per esempio<br />

un’energia, con o senza modulazioni,<br />

tracciata con una matita grossa; elemento<br />

spaziale, una macchia vaporosa e nebulosa,<br />

fatta a pieno pennello, per lo più con varie<br />

gradazioni d’intensità».<br />

È quanto annota Paul Klee nel suo<br />

Confessione creatrice pubblicato per la<br />

prima volta a Berlino nel 1920.<br />

Una sorta di topografia per una grammatica<br />

del disegno (segno), al quale l’artista,<br />

tra i più sensibili interpreti di quella cultura<br />

della modernità che apre il XX secolo,<br />

riconosce tanto il carattere di documento<br />

tendenzialmente intimo e privato rispetto<br />

al gesto più eclatante della pittura, quanto<br />

di esperienza creativa tesa alla conoscenza<br />

ed all’approfondimento del mondo visibile.<br />

Tutto ciò attraverso l’uso di un segno<br />

in cui è condensato, in senso immediato<br />

ed essenziale, il possesso della forma.<br />

Sul segno, del resto, inteso nel suo<br />

carattere di espressione significante, si sono<br />

concentrate svariate letture della storiografia<br />

artistica contemporanea, tra le quali vale<br />

ricordare la lucida analisi del Focillon, attenta<br />

a porre un preciso distinguo tra il segno che<br />

esprime e la forma che si esprime.<br />

In un passaggio saliente di Vita delle forme<br />

infatti annota che «…Il segno trattato<br />

secondo determinate regole, tracciato<br />

col pennello, con filetti e pieni, ora con<br />

rapidità ora con lentezza, con fioriture<br />

e abbreviazioni, le quali costituiscono<br />

altrettante maniere accoglie una simbolica<br />

che si sovrappone alla semantica e che,<br />

d’altronde, è capace di irrigidirsi e di fissarsi<br />

representation is based, the more defective<br />

is the disposition to realistically represent the<br />

visible objects.<br />

The formal elements of graphic art are:<br />

points, linear energies, planes and spaces.<br />

A plane element that is not made up of<br />

secondary elements is, for example, an<br />

energy, with or without modulations, drawn<br />

with a big pencil; a space element is a light,<br />

hazy mark made with a full stroke, usually<br />

with varying shades of intensity”.<br />

This is what Paul Klee wrote in his “Creative<br />

Confession”, published for the first time in<br />

Berlin in 1920. It is a kind of topography<br />

for a syntax of design which the artist,<br />

among the most sensitive interpreters of<br />

that modern awareness that began the 20 th<br />

century, acknowledges both as a basically<br />

private and personal document compared to<br />

the more evident gesture of the painter, and<br />

a creative experience for the knowledge and<br />

in-depth study of the visible world.<br />

All this through the use of a sign in which<br />

the possession of the form is condensed, in<br />

an immediate and essential sense.<br />

Moreover, many books on contemporary<br />

artistic historiography have concentrated<br />

on the sign, intended as a significant<br />

expression. Among them it is worth<br />

remembering Focillon’s clear analysis that<br />

makes a subtle distinction between the<br />

sign that expresses and the form that<br />

expresses itself. In a note-worthy passage<br />

from The Life of Forms in Art he writes:<br />

“A sign made according to certain rules,<br />

hair and full brush strokes, one moment<br />

quickly, the next slowly, with flourishes and<br />

abbreviations, contains a symbology that is<br />

above semantics and which, however, is able<br />

to become inflexible and fixed to the point<br />

of becoming a new semantics”.<br />

The sign is, in short, a medium; as a whole<br />

it turns into a complexity, the outcome<br />

of which, following the hidden intentions<br />

of the painter, lead us to the image, to its<br />

being a blend of meanings. These are the<br />

signs that, nowadays, the etcher places<br />

on the perimeter of the plate using direct<br />

25


26<br />

al punto da divenire una nuova semantica».<br />

Il segno è, in sintesi, un veicolo; posto come<br />

insieme si trasforma in una complessità i cui<br />

risultati, seguendo le nascoste intenzionalità<br />

dell’autore, ci conducono all’immagine,<br />

al suo essere amalgama di significati.<br />

Sono i segni che, nell’occasione odierna,<br />

l’incisore deposita nel perimetro della lastra<br />

servendosi di tecniche “tradizionali” dirette<br />

o indirette, in cavo o in rilievo, quali il bulino,<br />

la puntasecca, la maniera nera, l’acquaforte,<br />

l’acquatinta, la xilografia, la rotella, o,<br />

di altrettante sapienti sperimentazioni che<br />

hanno contribuito, nel tempo, a trasferire ad<br />

una pratica antica la linfa della sua attualità.<br />

Riconoscere al “mezzo” il suo innegabile<br />

impiego creativo, può considerarsi senza<br />

dubbio una delle peculiarità di questo<br />

percorso espositivo. Far coincidere la<br />

scelta della tecnica con l’effetto espressivo<br />

prefigurato, in sostanza il progetto con<br />

la sua realizzazione, è parte di quel tempo<br />

ideativo (di riflessione, di gestazione)<br />

comune a chi opera in questa direzione.<br />

Un tempo lento che, fuori dalla dimensione<br />

straniante delle sollecitazioni quotidiane<br />

cui siamo sottoposti, vi accoglie un tempo<br />

mentale (interiore) ed un tempo fisico<br />

(dell’azione), vale a dire quello delle mani<br />

che dialogano con i materiali e con i mezzi,<br />

si rapportano con essi, tentando di piegarne<br />

la resistenza, di affermarne la plasmabilità,<br />

di indirizzarne il cammino, accompagnarne<br />

cioè il processo che segna il passaggio<br />

dal negativo al positivo, dalla matrice alla<br />

carta. Segni netti come quelli lasciati dal<br />

bulino sulla lastra, disegnano linearmente<br />

le ordinate spaziali dei cieli di Angela<br />

Occhipinti. “Cieli interiori”, questo il<br />

titolo dato dall’artista alla serie che vi<br />

contiene le opere qui esposte, cui non<br />

basta l’assolutezza di questo segno per<br />

esprimere quella miriade di sensazioni che<br />

ella stessa elenca come «il fluire del tempo,<br />

i suoni del silenzio, il risuonare dei pensieri,<br />

il respiro delle cose, il vibrare delle stelle, il<br />

movimento e le tracce luminose delle loro<br />

or indirect “traditional” techniques, hollow<br />

or relief, such as burin, dry-point, black<br />

manner, etching, aquatint, woodcut, roller<br />

or as many other techniques that have<br />

contributed over time to making an ancient<br />

art modern.<br />

Acknowledging the undeniable creative use<br />

of the “medium” can, without a doubt,<br />

be considered one of the characteristics<br />

of this exhibition. Making the choice of<br />

technique coincide with the intended<br />

expressive effect, that is the project and its<br />

realisation, is part of the ideation time<br />

(of deliberation and progress) common to<br />

those who operate in this field.<br />

A slow time that, apart from the distancing<br />

dimension of everyday demands to which<br />

we are subjected, there awaits a mental<br />

time (interior) and a physical time<br />

(of action), that is the time spent using the<br />

hands to communicate with the materials<br />

and the media, that relate to them trying<br />

to break the resistance, to affirm the<br />

malleability, to direct the path,<br />

to accompany the process that marks the<br />

passage from negative to positive, from<br />

plate to paper. Clean-cut signs like those left<br />

by the burin on the plate, design the spatial<br />

ordinates of the skies of Angela Occhipinti.<br />

“Interior Skies” is the title given by the<br />

artist to the series that contains the works<br />

exhibited here. The absoluteness of this sign<br />

to express that multitude of feelings that<br />

Occhipinti herself describes as “the flow of<br />

time, the sounds of silence, the resounding<br />

of thoughts, the breathing of things, the<br />

pulsating of the stars and the bright tracks<br />

left behind when they fall”. Angela also<br />

uses etching and the possibilities that<br />

etching time give her to adjust the surface<br />

using tone values that graduate the blue<br />

of her heavenly skies. She then intervenes<br />

with aquatint placing the haziness of the<br />

pictorial mark that resembles air and infinite<br />

dilatations that grow in the clearing, velvety<br />

depth of the night alongside the depth of<br />

the cuts and the minute scripture using


cadute». Congiuntamente Angela si serve<br />

dell’acquaforte, della possibilità che i tempi<br />

della morsura le offrono di modulare la<br />

superficie attraverso il gioco dei valori tonali<br />

che graduano il blu con il quale sono tinte<br />

le sue calotte celesti.<br />

Poi vi interviene con l’acquatinta affiancando<br />

alla profondità dei solchi, ai segni minuti<br />

delle scritture, la vaporosità della macchia<br />

pittorica sgranatamene evocativa di aeree<br />

ed infinite dilatazioni che crescono nella<br />

profondità azzerante e vellutata della notte<br />

per via dell’intervento della maniera nera<br />

o mezzotinto. È una summa di alchimie<br />

la sua che apre il passo ad un intenzionale<br />

ed annunciato muovere tra esse.<br />

Esclusivamente all’acquaforte si devono<br />

le immagini di Isabella Ciaffi, di Luigi<br />

Marcon, di Bruno Canova e di Ines Merola.<br />

Ciascuno ha fatto tesoro delle peculiarità<br />

di questo “linguaggio” espressivo per dar<br />

vita a quelle pagine narrative, esiti mai<br />

finali, che testimoniano della conoscenza<br />

del mezzo. Si va dal segno regolare e<br />

descrittivo di Marcon che impiega l’azione<br />

dell’acido per disegnare piani e volumi,<br />

accentuare contrasti chiaroscurali, parlare<br />

insomma di una Ravello colta con il taglio<br />

di un occhio quasi fotografico, fedele al<br />

dato di una realtà rinnovata alla luce di un<br />

autonomo bianco e nero, alle pagine della<br />

Ciaffi, dedita, nella sua lunga esperienza<br />

di incisore, quasi esclusivamente a questa<br />

tecnica. L’acquaforte è per Isabella dosare<br />

innanzitutto il rapporto con la lastra<br />

inchiostrata, cominciare con il depositare<br />

in essa un segno e poi tanti segni<br />

assecondando gesti energici ed incalzanti,<br />

fino quasi a coprire la superficie, lasciando<br />

però calcolati e consapevoli margini alla luce.<br />

Inseguire in sostanza un’immagine o meglio<br />

la sensazione di tale immagine è per l’artista<br />

inseguire le traccie di un gesto, in armonia<br />

con le potenzialità del mezzo. Un’armonia<br />

che Bruno Canova raggiunge aggiungendovi<br />

la seduzione del colore, quasi una cornice<br />

decorativa come un omaggio alla natura<br />

lasciata sulla carta come impronta leggera<br />

black manner or mezzo-tint. It is a summa<br />

of alchemies that opens the way to an<br />

intentional movement among them.<br />

Isabella Ciaffi, Luigi Marcon, Bruno Canova<br />

and Ines Merola only use etchings for their<br />

images. Each one of them has treasured the<br />

characteristics of this expressive “language”<br />

to give life to those narrative pages, without<br />

a final outcome, that bear witness to their<br />

knowledge of the medium. From Marcon’s<br />

smooth descriptive sign that uses acid to<br />

draw planes and volumes and accentuate<br />

chiaroscuro contrasts, to talk about a Ravello<br />

caught by an almost photographic eye,<br />

true to a renewed reality in the light of an<br />

autonomous black and white, to Ciaffi’s<br />

pages, who has dedicated herself almost<br />

exclusively to this technique during her long<br />

experience as an etcher.<br />

For Isabella, etching is first of all calculating<br />

the relationship with the inked plate,<br />

starting with one sign and then many signs,<br />

with energetic and insistent movements<br />

until almost covering the surface,<br />

but leaving calculated margins of light.<br />

Pursuing an image, or rather the feeling<br />

of that image, is, for the artist, pursuing<br />

the tracks of a gesture, in harmony with<br />

the potential of the medium. Bruno Canova<br />

reaches this harmony adding the appeal<br />

of colour, almost a decorative frame<br />

as a gift to nature left on the paper like a<br />

light print that borders perspectives cut like<br />

photograms restored to memory.<br />

For them he gauges the etchings, looking<br />

for the value of the light that cloaks such<br />

compositions in a metaphysical astanza<br />

using smooth, close lines. Merola applies<br />

a few gauged lines to obtain smooth<br />

drawings. It is a kind of expressive<br />

minimalism that relies on cursively wavy<br />

or rigidly cut lines to reconstruct an image<br />

or rather, a space and the elements that<br />

form it. As a new etcher, Ines contends with<br />

the plate, etching times and the choice<br />

of chalcographic ink enclosing the sense<br />

of evocative visions in the essentiality<br />

of silver atmospheres.<br />

27


28<br />

che perimetra scorci ritagliati alla maniera<br />

di fotogrammi recuperati alla memoria.<br />

Per essi calibra le morsure, ricercando<br />

soprattutto nella traccia di segni sciolti<br />

e vicini il valore della luce che ammanta tali<br />

composizioni di una metafisica astanza.<br />

Sull’idea di approdare ad un disegno<br />

sciolto, regolare, giocato sull’utilizzo di<br />

pochi calibrati tratti si esercita la Merola.<br />

Un esercizio il suo versato ad una sorta<br />

di minimalismo espressivo, che affida a<br />

linee corsivamente ondulate o rigidamente<br />

ritagliate la ricostruzione di un’immagine<br />

o meglio di uno spazio e <strong>degli</strong> elementi che<br />

lo compongono. Nella sua fresca esperienza<br />

di incisore, Ines si misura con la lastra, con<br />

i tempi delle morsure, quanto con la scelta<br />

dell’inchiostro calcografico richiudendo<br />

proprio nell’essenzialità di argentee<br />

atmosfere il senso di evocative visioni.<br />

Agli effetti pronunciati dell’acquaforte<br />

accompagnati dall’impiego di altre tecniche<br />

vanno ascritte le esperienze di Valeria Manzi,<br />

Pilar Dominguez, Francesco Cecchetto,<br />

Renata Boero, Anna Crescenzi. Un rapporto,<br />

si è detto, posto sovente nella direzione<br />

di rafforzare il processo ideativo.<br />

Vale ciò per Valeria Manzi. La brava artista<br />

milanese unisce infatti un procedimento<br />

diretto come la puntasecca con quello<br />

indiretto dell’acquaforte, conscia di poter<br />

approdare ad un equilibrio compositivo<br />

fatto di segni sciolti, disposti secondo<br />

movimenti che ritmano la scena e di segni<br />

più controllati e sintetici, ammorbiditi dalle<br />

leggere sfumature delle barbe.<br />

Ne risultano immagini vibranti, stridenti<br />

di sensazioni catturate dalla retina come<br />

passaggi rapidi: impressioni di emozioni<br />

come tali lasciate alla carta. Per Pilar<br />

Dominguez, sollecitata abitualmente ad<br />

evidenziare le forme, assunte, anche nel suo<br />

caso, come icone simboliche, l’intervento<br />

dell’acquatinta, sulla base dell’acquaforte,<br />

è posto nella direzione di suggerire al meglio<br />

il valore tattile delle immagini, fino<br />

a scivolare nell’aggetto quando ricorre<br />

alla più sofisticata tecnica di Hayter.<br />

The works of Valeria Manzi, Pilar<br />

Dominguez, Francesco Cecchetto, Renata<br />

Boero and Anna Crescenzi are to be counted<br />

among the clear-cut effects of etching<br />

together with other techniques. It is said<br />

to be a relationship often used to reinforce<br />

the ideative process. That is true for Valeria<br />

Manzi. This fine artist from Milan combines<br />

a direct process such as dry-point with the<br />

indirect one of etching knowing that she<br />

can come to a compositional equilibrium<br />

made of smooth signs, placed according<br />

to movements that give rhythm to the<br />

scene and more controlled synthetic signs,<br />

softened by the light tones of the beards.<br />

The result is vibrant images strident with<br />

sensations captured by the retina like rapid<br />

flashes: impressions of emotions like those<br />

left on the paper. For Pilar Dominquez,<br />

often prompted to emphasise forms that are<br />

taken as symbolic icons, the use of aquatint<br />

on the base of the etching best suggests<br />

the tactile value of the images to slide into<br />

the projection when he uses Hayter’s more<br />

sophisticated technique.<br />

The artist lets the world of “figures” taken<br />

from memory emerge from the signs and<br />

tones imposed by the etching. They have<br />

been scrutinised through the depths of time,<br />

spying on the flow from the “navels” that<br />

populate the spaces of existence.<br />

Renata Boero uses aquatint for images<br />

with pictorial characteristics. The colour,<br />

her “chromogrammatic” use, stating,<br />

licentiously, the title (Chromogramms)<br />

of a well-know cycle by the painter directed<br />

at revealing the transformations of the<br />

subject-colour, is the core of these etchings.<br />

Renata calculates the impressions between<br />

the bites, moving with agility over the layers<br />

of paint and dust that cover the plate. It is<br />

a dynamic way of proceeding that neglects<br />

the definite structures for rhythmic scripture<br />

to register, between the energetic sign<br />

of the etching and the graining of the<br />

aquatint, the “many big and small everyday<br />

episodes – she wrote – that silence makes<br />

shout”, willing to put the sound of that


L’artista lascia emergere tra i segni ed i toni<br />

dettati alle morsure quel mondo di “figure”<br />

sottratte ad un bagaglio di memorie,<br />

scrutate tra le pieghe del tempo, spiando nei<br />

suoi flussi dagli “ombelichi” che popolano<br />

gli spazi dell’esistenza. Nella misura in cui<br />

l’acquatinta indulge ad un carattere pittorico<br />

vi fa ricorso Renata Boero. Il colore, il suo<br />

impiego “cromogrammatico”, declinando,<br />

licenziosamente, il titolo (Cromogrammi)<br />

di un noto ciclo della pittrice orientato a<br />

rivelare le trasformazioni della materiacolore,<br />

risulta al centro di queste pagine<br />

incise. Renata ne dosa le impronte tra le<br />

morsure, muovendo con agilità tra gli strati<br />

di vernice e di polvere che ricoprono la<br />

lastra. È un modo di procedere dinamico<br />

che tralascia le strutture definite per una<br />

scrittura ritmata, protesa a registrare, tra il<br />

segno energico dell’acquaforte e le graniture<br />

dell’acquatinta, i «tanti, piccoli, grandi<br />

episodi quotidiani che – annotava –<br />

il silenzio fa urlare», disposta a «mettere<br />

in scena» il suono di quel silenzio.<br />

Nella medesima esigenza del colorare<br />

la pagina, macchiarla quasi di un effetto<br />

a carboncino, Francesco Cecchetto impiega<br />

l’acquatinta. Si devono poi alle morsure<br />

dell’acquaforte i piccoli segni leggeri,<br />

circoscritti da forme disegnate alla luce<br />

dalla profondità del nero. Sono forme<br />

che l’artista lascia affiorare dal substrato<br />

della coscienza, trascrivendo le emozioni<br />

avvertite nello sporgersi tra le sponde<br />

di un paesaggio acquisito allo sguardo<br />

dell’anima. Alla seduzione del paesaggio<br />

cede anche Anna Crescenzi : uno scenario<br />

in qualche modo descritto, ponendo<br />

al centro di queste trascrizioni evidenti<br />

tracce figurali. Una matrice questa non<br />

nuova nella sua pratica creativa che Anna<br />

ha rimodellato nell’esperienza odierna,<br />

seguendo le potenzialità del “mezzo”,<br />

vale a dire bilanciando tra la corsività dei<br />

segni all’acquaforte e la cromia dettata<br />

dall’acquatinta. Si profila così, tra gli effetti<br />

desiderati, il suo disegnare figure assunte<br />

da un repertorio memoriale, dalla materia<br />

silence “on the stage”. With the same need<br />

to colour the page, to almost stain it with<br />

a charcoal effect, Francesco Cecchetto uses<br />

the aquatint. The small light signs are due to<br />

the bites of the etching surrounded by forms<br />

drawn in the light by the depth of the black.<br />

They are forms that the artist lets emerge<br />

from the background of his conscience,<br />

recording the emotions felt while leaning<br />

into the borders of a landscape taken from<br />

the vision of the soul.<br />

Anna Crescenzi also yields to the seduction<br />

of the landscape: a scene described in some<br />

way, placing evident traces of figures in the<br />

centre of these transcriptions. This is not<br />

a new matrix in Anna’s creativity. She has<br />

remodelled it following the potential of the<br />

“medium”, which is a balance between the<br />

cursiveness of the signs of an etching and<br />

the shades of colour of aquatint.<br />

This is how her design of figures, among<br />

desired effects, is possible. The figures are<br />

taken from a collection of memories, from<br />

the flexible matter of time that transforms<br />

things making them come back to life by the<br />

light of an imaginary substance.<br />

Aquatint also for Hsiao Chin and Peter<br />

Freeth. The indirect process is combined<br />

with a silkscreen passage for the Chinese<br />

artist, whose usual calligraphic mark seems<br />

to be, in today’s circumstances, closed,<br />

perhaps instigated by a literary requirement.<br />

So the fluidity remains and with this,<br />

calculating the bite time in particular,<br />

he sets up the draft, the harmonious<br />

distribution from the plate to the project,<br />

to that “conformed” surface on which the<br />

signs stand out like symbols of interior<br />

warnings that have been driven away. Freeth<br />

controls the effects of the acid to produce<br />

images that are almost crumbled. He uses<br />

aquatint with a soft ground to obtain<br />

the softness of charcoal. His are images<br />

of a landscape studied in the connection<br />

between nature and architecture, planes<br />

and volumes that blend, modulated and<br />

emphasised by subtle passages of tone,<br />

extracting more or less grain from the<br />

29


30<br />

(magma) flessibile del tempo che trasforma<br />

le cose, facendole rivivere alla luce di una<br />

sostanza immaginativa.<br />

Acquatinta anche per Hsiao Chin e per<br />

Peter Freeth. Il procedimento indiretto<br />

è unito ad un passaggio serigrafico<br />

nell’artista cinese il cui abituale segno<br />

calligrafico sembra essersi, nell’occasione<br />

odierna, richiuso, sobillato forse<br />

da un’esigenza letteraria. Resta pertanto<br />

la fluidità con la quale, dosando soprattutto<br />

i tempi delle morsure, egli ne organizza la<br />

stesura, l’armonica distribuzione dalla lastra<br />

al piano, a quella superficie “uniformata”,<br />

nel quale i segni si stagliano come simboli<br />

di ricacciate avvertenze interiori.<br />

Dominare gli effetti dell’acido per immagini<br />

quasi sgranate : è questo l’esercizio cui<br />

Freeth sottopone l’uso dell’acquatinta cui<br />

è di ausilio la vernice molle, tale da ottenere<br />

le morbidezze di un carboncino.<br />

Sono le sue immagini di un paesaggio<br />

indagato nel rapporto tra natura<br />

e architettura, piani e volumi che si<br />

confondono modulati ed esaltati dai sottili<br />

passaggi di toni, sottraendo più o meno<br />

grana dalla lastra nella misura di rimandare<br />

sfocate ed avvolgenti visioni.<br />

Alla sola acquatinta, come superamento<br />

della linearità del segno, fanno ricorso<br />

Simon Fletcher, Mario Teleri Biason,<br />

Giuliana Balice. Per Fletcher, acquarellista<br />

di grande perizia, si tratta in fondo di un<br />

impiego quasi naturale che lo sollecita<br />

per l’affinità dei risultati che, entrambe le<br />

pratiche, raggiungono, pur nella distanza<br />

dell’applicazione. Effetti del resto cui egli<br />

perviene, mantenendo fede ad un dato<br />

peculiare della sua esperienza quale è quello<br />

di far coincidere idea e tecnica. È un binomio<br />

che si propone per l’artista con grande<br />

evidenza, nell’abitudine a calcolare i gesti,<br />

dosare le materie attraverso i quali rendere<br />

concreto un pensiero, restituito –suggeriva<br />

Henry Focillon - nella valenza<br />

di «impronta dello spirito».<br />

Sono le impronte che Simon cerca nella dura<br />

materia della lastra, in attesa che la lenta<br />

plate to achieve soft, enveloping visions.<br />

Simon Fletcher, Mario Teleri Biason and<br />

Giuliana Balice use only aquatint as a way<br />

of overcoming the linearity of the sign.<br />

For Fletcher, a watercolour artist of great<br />

acclaim, it is an almost natural application<br />

that stimulates him for the affinity that both<br />

practices achieve, even the distance of the<br />

application. He attains these effects holding<br />

true to a distinctive element<br />

of his experience, that of coinciding idea<br />

and technique. It is a very evident<br />

combination for the artist, his way<br />

of calculating movements, calculating<br />

the substances to make a thought concrete,<br />

given back – suggested Henry Focillon – as<br />

an “impression of the spirit”.<br />

These are the impressions that Simon looks<br />

for in the hard plate, waiting for the slow<br />

action of the acid to uncover animated<br />

forms through chromatic values, passages<br />

of tone and chiaroscuro.<br />

Imaginary forms, or rather, transfigurations<br />

of the spirit where the planes blend with<br />

the volumes, made palpable by a light that<br />

is spot in movement. Images of a perceived<br />

space, in its captivating beauty, like an<br />

interior space.<br />

Mario Teleri Biason gives the plate a body of<br />

geometrically interlaced weaves calculated<br />

in the graining to control the effects of<br />

the greys. Colour is, in fact, a further<br />

touch by hand to personalise the image.<br />

Teleri has held the eye on those decorative<br />

polychromies, on the arabesques, evidence<br />

of cultural stratifications, imaginative<br />

weaving that cover the walls of time, in<br />

an abstract sense. He has let himself be<br />

captured by the play on signs and lines, by<br />

the exact joints of the geometric figures.<br />

His has made them his own on the plate,<br />

colouring them on the paper with the breath<br />

of his imagination. The use of aquatint is of<br />

assistance to Giuliana Balice to the extent<br />

that the need for the solid, full, constructive<br />

form is a constant of her experience in<br />

plastic art. In fact, exact geometric forms<br />

emerge from the darkness of the plate,


azione dell’acido, scopra forme animate<br />

per via di valori cromatici, di passaggi tonali,<br />

di chiaroscuri.<br />

Forme dell’immaginario o, meglio,<br />

trasfigurazioni dello spirito dove i piani<br />

si confondono con i volumi, resi palpabili<br />

da una luce che è macchia in movimento.<br />

Immagini in sostanza di uno spazio avvertito,<br />

nella sua seducente bellezza, come uno<br />

spazio interiore.<br />

Un corpo di trame geometricamente<br />

intrecciate è quanto Mario Teleri Biason<br />

affida alla lastra, dosata nelle graniture per<br />

controllare gli effetti dei grigi.<br />

Il colore infatti è per l’artista un ritocco<br />

ulteriore, per intervento manuale indirizzato<br />

a personalizzare l’immagine referenziale.<br />

Teleri ha fermato lo sguardo proprio su<br />

quelle policromie decorative, su quegli<br />

arabeschi testimoni di una stratificazione di<br />

culture, intrecci immaginativi che rivestono,<br />

astrattamente, le pareti del tempo. Si è fatto<br />

catturare dal gioco dei segni e delle linee, dal<br />

rigoroso incastro delle geometrie. Li ha fatti<br />

suoi sul piano delle lastra, colorandoli sulla<br />

carta col respiro del proprio immaginario.<br />

È di ausilio a Giuliana Balice l’uso<br />

dell’acquatinta nella misura in cui l’esigenza<br />

della forma piena, solida, costruttiva rimane<br />

una costante della sua esperienza plastica.<br />

Dal buio della lastra emergono infatti forme<br />

geometriche rigorosamente calibrate a<br />

scandire, secondo modulati ritmi dinamici,<br />

la superficie del piano. Un piano che per<br />

Giuliana prefigura uno spazio ed ecco allora<br />

proporsi, con altrettanta razionalità ideativa,<br />

quelle immagini dal carattere aggettante,<br />

ottenute col ricorso alla calcografia in rilievo.<br />

Forme plasmate nella superficie,<br />

scoperte alla luce come presenze di corpi<br />

architettonici. Sul procedimento della<br />

stampa in rilievo, ma in quanto pertinente<br />

alla tecnica della xilografia si concentra<br />

da sempre l’esperienza creativa di Marina<br />

Bindella, giunta a risultati di estrema<br />

raffinatezza, per via appunto di quel togliere,<br />

scavare nella matrice, sottraendo spazio<br />

allo spazio. È attraverso la padronanza<br />

measured to scan the surface of the plane,<br />

according to modulated dynamic rhythms.<br />

A plane that, for Giuliana, foreshadows a<br />

space and here she proposes, with as much<br />

ideative rationality, those projecting images<br />

obtained using relief copperplate engraving.<br />

The forms are moulded on the surface,<br />

uncovered by the light like architectural<br />

bodies. Marina Bindella has always<br />

concentrated on relief printing, that is<br />

wood-engraving, and has had exceptionally<br />

fine results because of the excavations in the<br />

matrix to make room for space.<br />

It is through her command of this process,<br />

the slow, orderly, conscious marking of<br />

the signs, that Marina extols the beautiful,<br />

bright images, true scriptures, born of the<br />

conflict between black and white.<br />

From her assertion on the sign, to calculate<br />

it, bend it and direct it along the drawing<br />

of the plate, light effects emerge, floating<br />

waves that move the surface, that identify<br />

spaces, gassiness and atmospheres. Stimuli<br />

that correspond to urgent, frequent,<br />

scattered movements. From this silent<br />

comparison, moving among these marks,<br />

the artist allows her own images to emerge,<br />

she reveals them from the bottom of her<br />

conscience, in the deception that makes<br />

the shade become light, a flow that drags<br />

memories, experiences and emotions<br />

onto paper. Persistence of the sign, or<br />

rather the line woven by the roller and the<br />

modifications that these allow under the<br />

pressure and direction of the movement<br />

on the plate belongs to Luce Delhove.<br />

The artist works directly on the surface<br />

for additions and subtractions: he crosses,<br />

accumulates, lightens, erases and transports.<br />

She communicates with the plate and with<br />

the substances in search of that impalpable<br />

substance that is light. This is the whole<br />

sense of his compositions: skimming light,<br />

blinding light, harsh light, it moves over<br />

things, animating them with shaded effects<br />

and graduating tones that build, exalt,<br />

affirm and deny. They are the forms that<br />

Luce reconstructs to his investigative eye,<br />

31


32<br />

di questo processo, predisponendo il lento,<br />

ordinato e consapevole tracciare segni che<br />

Marina decanta le bellissime e luminose<br />

immagini, vere e proprie scritture, nate<br />

dal contraddittorio del bianco e del nero.<br />

Dal suo insistere sul segno, computarlo,<br />

piegarlo, direzionarlo lungo il disegno della<br />

lastra, emergono infatti quegli effetti di luce,<br />

onde fluttuanti che smuovono la superficie,<br />

individuano spazi, gassosità, atmosfere.<br />

Sollecitazioni che corrispondono a gesti<br />

pressanti, frequenti, diradati.<br />

Da questo confronto silenzioso, muovendo<br />

tra queste tracce, l’artista lascia emergere<br />

le proprie immagini, li scopre dal profondo<br />

della coscienza, nel doppio del gioco che<br />

costringe l’ombra a diventare luce, flusso<br />

che trascina sulla carta memorie, esperienze,<br />

emozioni. Insistere sul segno o meglio sul<br />

tratto tessito per via delle rotelle e delle<br />

modificazioni che queste permettono sotto<br />

la pressione e la direzione del gesto sulla<br />

lastra è quanto appartiene all’operato di<br />

Luce Delhove. Direttamente l’artista muove<br />

sulla superficie per addizioni e sottrazioni:<br />

incrocia, addensa, alleggerisce, cancella,<br />

trasporta. Dialoga cioè con lastra, con la<br />

sostanza della materia alla ricerca di quella<br />

impalpabile sostanza che è luce.<br />

È questa infatti a determinare l’intero senso<br />

delle sue composizioni : luce radente, luce<br />

abbagliante, luce stridente, essa muove<br />

sulle cose, le anima per effetti ombreggiati<br />

e gradienti tonali che costruiscono, esaltano,<br />

affermano e negano. Sono le forme<br />

che Luce ricostruisce al suo sguardo<br />

indagatore, porzioni di mondo riconsegnate<br />

al «visibile mediante i segni – annotava<br />

Merleau- Ponty – tracciati dalla mano».<br />

Visioni le sue o, meglio, ultime note<br />

di viaggio di questo cammino, tra i segni,<br />

i tempi, il registro mentale e quello pratico,<br />

in sostanza tra le sollecitazioni<br />

di quell’enigmatico processo creativo che<br />

presiede al mestiere di incisore.<br />

«Incidere – continua a ricordarci Peter<br />

(Willburger) – è un atto d’amore e un atto<br />

di creazione».<br />

portions of the world made “visible through<br />

the signs – wrote Merleau-Ponty – drawn<br />

by hand”. His are visions, or rather, the last<br />

report of this journey, through the signs,<br />

the times, the mental and practical record,<br />

in substance, through the stimuli of that<br />

enigmatic creative process that governs the<br />

profession of etcher.<br />

“Etching – as Peter (Willburger) continues<br />

to remind us – is an act of love and an act<br />

of creation”.

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