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24 l’attenzione per un’analisi strutturale dello spazio, veicolata, soprattutto nella prima metà degli anni Trenta, dall’impiego del segno e dalla sua capacità di modularsi nella materia della lastra per restituire non solo il dato formale degli elementi raffigurati, ma il senso delle luci, delle atmosfere, della percezione visiva della realtà, ridisegnata sotto la spinta di una pressione immaginativa. Tecnica ed immaginazione, rigore ed emozione, sembra essere questo l’insegnamento escheriano sulla cui traccia provo allora a riordinare le “carte di viaggio” di questi diciassette autori, seguendo il filo di un abbecedario che, dal segno, comune indizio grafico, muove lungo i sentieri della sua applicazione, tra le alchimie delle tecniche utilizzate da Giuliana Balice, Marina Bindella, Renata Boero, Bruno Canova, Francesco Cecchetto, Hsiao Chin, Isabella Ciaffi, Anna Crescenzi, Luce Delhove, Pilar Dominguez, Simon Fletcher, Peter Freeth, Valeria Manzi, Luigi Marcon, Ines Merola, Angela Occhipinti, Mario Teleri Biason, quali mezzi di espressione creativa. Un esercizio in fondo dell’immaginario al quale essi legano la peculiarità di un linguaggio, fatto di continue sperimentazioni ed al contempo frutto di una lenta elaborazione. Si delinea così, quale riflesso di un progetto maturato in quello spazio compreso tra la matrice e la stampa, insistendo sull’elemento primario del segno, sulla possibilità di indirizzarlo al risultato finale di una forma, la Ravello che essi prospettano, puntando su quella facoltà propria degli artisti «di pensare per immagini». Sono immagini che narrano di intenzioni, di memorie, di emozioni, di visioni come misura di un tempo interiore. Forme orientate da gesti, affioranti nello spazio bianco del foglio come geografie dello sguardo. «L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile. L’energia della grafica induce spesso ingiustamente all’astrazione. Nella grafica albergano i fantasmi e le the plate to produce not only the formal elements of the parts depicted, but the sense of light, of atmosphere, of the visual perception of reality redesigned on the incentive of imaginative pressure. Technique and imagination, precision and emotion, this seems to be the Escherian teaching on which I try to sort out the “travel documents” of the seventeen artists following the fundamental thread that, from the sign – the common graphic indication– moves along the paths of its application, through the alchemies of the techniques used by Giuliana Balice, Marina Bindella, Renata Boero, Bruno Canova, Francesco Cecchetto, Hsiao Chin, Isabella Ciaffi, Anna Crescenzi, Luce Delhove, Pilar Dominguez, Simon Fletcher, Peter Freeth, Valeria Manzi, Luigi Marcon, Ines Merola, Angela Occhipinti and Mario Teleri Biason , as a means of creative expression. It is a practice in the depths of the imagination to which they attach the characteristics of a language, made of continuous experiments and at the same time the result of slow expansion. The Ravello they are depicting, counting on the artist’s right “to think through images”, emerges like this, as a reflection of a project completed in the space between the plate and the print, emphasising the primary graphic element and the possibility of taking it to the final result of a form. They are images that tell of intentions, memories, emotions and visions as a gauge of an interior time. They are forms guided by movements that surface on the white of the sheet of paper, like geographies of the eye. “Art does not reflect visible things, it makes visible. The energy of graphic art often leads unjustly to abstraction. The ghosts and fairytales of the imagination lodge in graphic art and reveal themselves with great accuracy at the same time. The purer the graphic work, that is to say the greater importance attributed to the formal elements on which the graphic
fiabe dell’immaginazione e nello stesso tempo si rivelano con grande precisione. Quanto più puro il lavoro grafico, vale a dire quanto maggiore l’importanza attribuita agli elementi formali sui quali si basa la rappresentazione grafica, tanto più difettosa la disposizione a rappresentare realisticamente gli oggetti visibili. Gli elementi formali della grafica sono: punti, energie lineari, piane e spaziali. Un elemento piano che non si compone di elementi secondari, è per esempio un’energia, con o senza modulazioni, tracciata con una matita grossa; elemento spaziale, una macchia vaporosa e nebulosa, fatta a pieno pennello, per lo più con varie gradazioni d’intensità». È quanto annota Paul Klee nel suo Confessione creatrice pubblicato per la prima volta a Berlino nel 1920. Una sorta di topografia per una grammatica del disegno (segno), al quale l’artista, tra i più sensibili interpreti di quella cultura della modernità che apre il XX secolo, riconosce tanto il carattere di documento tendenzialmente intimo e privato rispetto al gesto più eclatante della pittura, quanto di esperienza creativa tesa alla conoscenza ed all’approfondimento del mondo visibile. Tutto ciò attraverso l’uso di un segno in cui è condensato, in senso immediato ed essenziale, il possesso della forma. Sul segno, del resto, inteso nel suo carattere di espressione significante, si sono concentrate svariate letture della storiografia artistica contemporanea, tra le quali vale ricordare la lucida analisi del Focillon, attenta a porre un preciso distinguo tra il segno che esprime e la forma che si esprime. In un passaggio saliente di Vita delle forme infatti annota che «…Il segno trattato secondo determinate regole, tracciato col pennello, con filetti e pieni, ora con rapidità ora con lentezza, con fioriture e abbreviazioni, le quali costituiscono altrettante maniere accoglie una simbolica che si sovrappone alla semantica e che, d’altronde, è capace di irrigidirsi e di fissarsi representation is based, the more defective is the disposition to realistically represent the visible objects. The formal elements of graphic art are: points, linear energies, planes and spaces. A plane element that is not made up of secondary elements is, for example, an energy, with or without modulations, drawn with a big pencil; a space element is a light, hazy mark made with a full stroke, usually with varying shades of intensity”. This is what Paul Klee wrote in his “Creative Confession”, published for the first time in Berlin in 1920. It is a kind of topography for a syntax of design which the artist, among the most sensitive interpreters of that modern awareness that began the 20 th century, acknowledges both as a basically private and personal document compared to the more evident gesture of the painter, and a creative experience for the knowledge and in-depth study of the visible world. All this through the use of a sign in which the possession of the form is condensed, in an immediate and essential sense. Moreover, many books on contemporary artistic historiography have concentrated on the sign, intended as a significant expression. Among them it is worth remembering Focillon’s clear analysis that makes a subtle distinction between the sign that expresses and the form that expresses itself. In a note-worthy passage from The Life of Forms in Art he writes: “A sign made according to certain rules, hair and full brush strokes, one moment quickly, the next slowly, with flourishes and abbreviations, contains a symbology that is above semantics and which, however, is able to become inflexible and fixed to the point of becoming a new semantics”. The sign is, in short, a medium; as a whole it turns into a complexity, the outcome of which, following the hidden intentions of the painter, lead us to the image, to its being a blend of meanings. These are the signs that, nowadays, the etcher places on the perimeter of the plate using direct 25
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