Untitled - Ministero degli Affari Esteri
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16<br />
si sarebbe estinto. Sapendolo, il grande musicista fu vinto da un desiderio di recesso.<br />
Si gettò sulle spalle una camicia di lino e senza avvertire, senza prendere congedo da quella<br />
donna che non gli avrebbe messo innanzi nessuna discendenza, s’incamminò in calzoncini<br />
da bagno verso il belvedere, nella parte della villa aperta ai visitatori. Quando fu sulla<br />
magnifica terrazza affacciata a strapiombo sul mare, si andò a rannicchiare sull’ultimo sedile<br />
di pietra dal lato di Amalfi. Lì continuò indisturbato a piangere.<br />
Vedendo quell’uomo adulto che piangeva come un bambino, i turisti si intenerivano<br />
credendo che si stesse commuovendo dinnanzi alla bellezza squassante del luogo.<br />
Allora si allontanavano in punta di piedi. Lasciavano che il sublime panorama ricevesse<br />
il dovuto tributo in lacrime da parte di quell’uomo sensibile.<br />
E quell’uomo sensibile continuava a piangere. Imperterrito.<br />
Vai a Ravello – gli avevano raccomandato tutti i suoi tanti amici musicisti che si erano già<br />
esibiti al rinomato festival – a Ravello c’è il mare più bello del mondo. Ma a Ravello non c’è<br />
il mare, si ripeteva adesso Rank. Da Ravello si vede il mare, ed è certo la veduta più bella<br />
del mondo, ma il mare non c’è. Il mare è lontano, riempie l’intero panorama, a oriente come<br />
a occidente, ma sta al di là di un invalicabile abisso di vuoto. Su questa terrazza il mare<br />
è un quadro di lontananza. Qui la bellezza estende il regno dell’invincibile legge del<br />
desiderio finanche alla grandiosità geografica. Qui la bellezza sottomette l’amore all’assenza<br />
dell’amato e t’impone di serbare ben aperti i lembi della ferita. Vista da qui, tutta la vita<br />
è un’avventura della lontananza. L’amore felice non ha storia su questa terrazza di Villa<br />
Cimbrone. E’ una bellezza crudele questa di Ravello. Così pensava Rank, contemplando<br />
l’infinito dalla terrazza di Villa Cimbrone a Ravello. E piangeva, vagheggiando i figli che non<br />
avrebbe mai avuto. Intanto, si faceva sera e si avvicinava l’ora del concerto di apertura del<br />
festival che il maestro avrebbe dovuto dirigere. Come ogni anno da quando il festival era<br />
stato creato nell’immediato dopoguerra, anche quella sera nel concerto inaugurale si sarebbe<br />
suonato Wagner. In un giorno remoto Wagner era, infatti, passato da Ravello e, visitando<br />
i ruderi dell’antica Villa Rufolo, vi aveva trovato il magico giardino di Klingsor.<br />
Lo aveva lasciato scritto di suo pugno in ben due registri d’albergo: “Il magico giardino<br />
di Klingsor è trovato”. Quella sera, su un palco sospeso sull’infinito della bellezza crudele<br />
di Ravello, nello stesso luogo che a Wagner aveva ispirato la danza delle fanciulle-fiore<br />
del Parsifal, Rank avrebbe dovuto dirigere il Tristano e Isotta. Un palco da cui si godeva,<br />
o si soffriva, una vista molto simile a quella che adesso il maestro aveva dinnanzi agli occhi.<br />
Ma, oramai, Rank non aveva occhi se non per piangere.<br />
A nulla servì la processione di organizzatori, agenti, musicisti e amanti che cercavano<br />
di confortarlo e, soprattutto, di convincerlo a prendere il suo posto sulla pedana del direttore<br />
d’orchestra. Il maestro li scacciava con un gesto trattenuto della mano, come se stesse<br />
battendo il tempo. Li scacciava uno dopo l’altro e contemplava le statue che ornavano<br />
la balaustra del belvedere di Villa Cimbrone. Una serie di busti di marmo bianco stranamente<br />
rivolti verso l’interno della villa. “Perché non si è voluto che guardassero il mare?”,<br />
si chiedeva da ore quell’uomo commosso alla rivelazione che l’eterno grembo della natura<br />
non si sarebbe mai commosso per lui. “Perché sul belvedere più bello del mondo, a queste<br />
sentinelle di pietra è negato lo sguardo che si perde nell’infinito?”, continuava a chiedersi,<br />
ossessivamente, Rank, preparandosi a trasmutarsi in pietra a sua volta. Poi venne il tramonto<br />
e, finalmente, il maestro capì: “Non le hanno messe in quella posizione!”, si disse<br />
il musicista. “Devono essere state loro a voltarsi: voltano sdegnosamente le spalle all’oscenità<br />
di questa bellezza crudele dinnanzi alla quale tutte le passioni finiscono come una tragedia,<br />
a questo scenario da melodramma in cui all’uomo è riservato il ruolo<br />
di colui che muore”. A questo pensiero il maestro Rank si riebbe. Indossò il suo frac a coda<br />
di rondine e si presentò, in perfetto orario, a dirigere il suo più grande concerto.<br />
Aveva deciso di seguire l’esempio dei busti di marmo.<br />
Antonio Scurati