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Untitled - Ministero degli Affari Esteri

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Luci su Ravello<br />

Ricordi le lucciole? No, non quelle che pensi, quelle vere, quelle che non se ne incontrano<br />

più. La prima volta le vidi a Ravello, in una sera di tarda primavera del dopo guerra.<br />

Sono fermamente convinto che ogni essere pensante porta la sua Ravello nell’anima;<br />

un luogo antico, un vagheggiamento di pace in cui si rifugia per consolazione delle angustie<br />

quotidiane o per stemperare i conflitti, le ansie della prassi giornaliera.<br />

La mia, la conobbi e imparai ad amarla nel Cinquanta, ancora ventenne, insieme ad alcuni<br />

amici desiderosi di sconfinare oltre gli orizzonti miseri entro cui ci avevano costretti,<br />

il provincialismo nazionalistico prima e, infine, le vicende belliche.<br />

Essa era là pregna di sacralità, in quel punto del globo dove il matrimonio del cielo e della<br />

terra diventano una realtà tangibile oltre ogni esperienza onirica o intellettuale.<br />

Le formelle di bronzo stavano alla porta del Duomo, come terminale di un filo continuo<br />

con la storia che trasferisce la vita del passato in quella presente. Le ville antiche Rufolo<br />

e Cimbrone, testimonianze di un gusto gentile, insieme agli insediamenti cosmopoliti più<br />

recenti, alle chiese come San Giovanni del Toro o alla SS. Annunziata non sono stati mai<br />

intrusioni estranee alla convivenza abituale, come accade pressoché ovunque, quando<br />

centinaia di migliaia di cittadini si muovono attivamente nell’ambito di plessi storici notevoli<br />

percependoli come intralcio fastidioso al loro essere moderni.<br />

A Ravello invece il passato non produce solo memoria. Per una fortunata congiuntura<br />

di avvenimenti orogenetici e umani, le vestigia antiche, quali fattori naturali di promozione<br />

civile alimentano ancora il divenire presente.<br />

La gente qui è semplicemente vulgo e non appartiene a quella categoria di persone<br />

che Leonardo definiva procacciatrici di cibo e produttori di sterco. L’idea stessa di tempo<br />

inoltre, piuttosto che il corso lineare e infinito di avvenimenti sovrapposti l’uno all’altro<br />

di cui generalmente se ne perde il ricordo, è addensamento spinto, come in un buco nero,<br />

della stessa attività umana svolta da sempre in una spazialità propria e singolare priva<br />

di connotazioni direzionali.<br />

Ci attendammo nella luce soave dei castagni cedui che rivestono le colline di Scala,<br />

non lontano, le acque vergini di una polla montana “fontana carosa” trascorrevano allegre<br />

in un ruscello che avevamo acquisito al nostro insediamento.<br />

Non ci eravamo affatto distaccati dal mondo <strong>degli</strong> uomini; anche lì, la catena <strong>degli</strong> esseri<br />

e <strong>degli</strong> ambienti appariva integra ed armoniosa. Il giorno era scandito da un lento andirivieni<br />

d persone di tutte le età, che con passo circospetto e ansimanti portavano a tracolla<br />

ponderosi fasci di quelle pertiche lunghe onde abitanti della costa che innalzavano i pergolati<br />

a protezione dei giardini guadagnati alla rupe. Mi colpì soprattutto la partecipazione di<br />

una giovane ventenne dai sembianti aggraziati cui peraltro, per come mi guardava, doveva<br />

sembrare del tutto ingiustificato il mio apparente oziare.<br />

Questa gente s’è incarnata col territorio per decine di secoli ignara forse <strong>degli</strong> avi che, già<br />

alla fine del XII secolo, seppero riconoscere la propria dignità civica acquistando dalle potenti<br />

famiglie dei Frezza o dei Rufolo i poderi su cui vivono (archivio storico di Ravello, in Napoli);<br />

e cose ancora più sorprendente queste cittadine si diedero, appena nell’ottavo secolo una<br />

regolamentazione di vita associativa. (Vedi J.C.Naber, De Lecitone legume et de compilatione<br />

Ravellana, Zanichelli 1937). Al vespero la trasferta dal campo alla piazza-loggia del Duomo<br />

era inevitabile. Non per qualche ragione precisa o cosciente, ma piuttosto per una<br />

inverosimile malìa del luogo avevamo provato per la prima volta una certa equabilità,<br />

un equilibrio interiore di sentimento, un celere di atonasia, di serenità di spirito o<br />

imperturbabilità che riscontravamo in qualche raro viandante dal palato fine che sostava<br />

lungo il parapetto - purtroppo oggi ringhiera – di fronte alla valle, in attesa che la sera<br />

compisse la sua magia. Placato infatti la violenza della calura meridiana che schiaccia ogni<br />

forma di vita, uno pneuma, un soffio celeste rianimava il paesaggio alla luce orizzontale<br />

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