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La cartella stampa sulla mostra a Villa Pacchiani - Gonews.it

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figure dell’arte oltre che gli oggetti prelevati dal loro amb<strong>it</strong>o d’uso e dislocati<br />

nello spazio scenico a testimoniare gli ambienti e le s<strong>it</strong>uazioni concrete alle<br />

quali rimandano. E basti il tipico barchino da padule che al proscenio della<br />

<strong>mostra</strong>, che fa da ideale e non purgatoriale, tanto meno infero, traghetto per<br />

il viaggio della memoria.<br />

Gli interventi sono stati realizzati sull’onda evocativa di un tema senza<br />

dubbio coinvolgente. Ogni operatore non poteva trattarlo se non riandando al<br />

proprio fiume, riappropriandosi d’un proprio vissuto sul movente<br />

dell’occasione espos<strong>it</strong>iva. Intendo riferirmi all’immagine interiorizzata del<br />

fiume, anz<strong>it</strong>utto in quanto archetipo di sedimentazione antropologica. Quindi<br />

quale luogo dell’esperienza soggettiva, spesa tra dilatazione m<strong>it</strong>ica e<br />

immersione fisica nel contesto fluviale. Immagine comunque non<br />

stereotipata, anche nel caso di chi non può vantare un fiume nel proprio<br />

ambiente originario e nel proprio retroterra esistenziale. A cost<strong>it</strong>uire in<br />

ognuno un tenace nucleo di identificazione sono sufficienti anche solo la<br />

sigla visiva, l’immagine evocativa e la risonanza interiore di un fiume di pura<br />

derivazione poetica, ossia consegnato alla topografia dell’immaginario pur se<br />

appartenente alla geografia di un luogo. Poniamo il sassoso Isonzo che scorre<br />

tra le doline, nei Fiumi di Ungaretti soldato sul Carso: il lavacro delle lordure<br />

della guerra, l’urna d’acqua nella quale, immerso, il poeta meglio si è<br />

riconosciuto / una docile fibra / dell’universo, finalmente in armonia.<br />

Nell’Isonzo che come un sasso leviga le sue quattr’ossa, ora ch’è notte, che<br />

la sua v<strong>it</strong>a gli pare una corolla di tenebre (l’albero mutilato, nel paesaggio<br />

squarciato dai cannoni, sta per la fer<strong>it</strong>a dell’animo: È il mio cuore / il paese<br />

più straziato, dirà il poeta poco più avanti, sempre ne Il porto sepolto), si<br />

risolvono i fiumi della sua v<strong>it</strong>a. Ungaretti li enumera per l’inventario<br />

convergente del cuore e della mente. L’aggettivo determinativo “questo” con<br />

cui li introduce, è indice di presenza e di ident<strong>it</strong>à:<br />

Questo è il Serchio / al quale hanno attinto / duemil’anni forse / di gente mia<br />

campagnola / e mio padre e mia madre // Questo è il Nilo / che mi ha visto /<br />

nascere e crescere / e ardere d’inconsapevolezza / nelle estese pianure //<br />

Questa è la Senna / e in quel suo torbido / mi sono rimescolato / e mi sono<br />

conosciuto // Questi sono i miei fiumi / contati nell’Isonzo.<br />

Per Ungaretti nella memoria fluida dei fiumi sono le radici, l’antica<br />

appartenenza, l’avvento al mondo e la dilatazione m<strong>it</strong>ica della scoperta, la<br />

conoscenza di sé e della propria vocazione, nella compless<strong>it</strong>à dell’essere e<br />

nella part<strong>it</strong>ura dissonante della storia. Per noi, nell’alveo dei fiumi<br />

ungarettiani, ecco, scorrono il sentimento del tempo e i depos<strong>it</strong>i degli snodi,<br />

dei passaggi essenziali della v<strong>it</strong>a, dalle scaturigini all’hic et nunc, la<br />

s<strong>it</strong>uazione in atto che proprio nella rilettura compendiaria del passato dichiara

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