La cartella stampa sulla mostra a Villa Pacchiani - Gonews.it

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Fino agli anni Settanta le donne ci lavavano i panni, in Arno. Tutti andavano in barca, tutti andavano a pescare. La mia non è una visione nostalgica ma quelle di cui parlo sono state e sono emozioni vere, immagini che conservo vive ancora oggi. Ho iniziato ad avere una visione più cupa del fiume quando ho conosciuto Giuliano, il pescatore, il barcaiolo, l'uomo del fiume. Era lui che chiamavano per andare a recuperare i corpi degli annegati. Giuliano cantava in cantilena tutti i nomi dei morti annegati. E di annegati ce n'erano: non solo suicidi ma, più spesso, vittime di incidenti. C'era una zona d'Arno, i Puntoni, dove a luglio si formavano delle grosse buche sul fondo. Lì la gente annegava spesso. Giuliano il Nanino, l'uomo del fiume, il pescatore. Come lo hai conosciuto? Giuliano Gozzini era figlio di pescatori d'Arno. Anche lui era pescatore e, forgiatore d'acciaio, fabbricava forbici per le concerie. Aveva casa al Quartier cinese e davanti al mio studio c'era il suo laboratorio. Giuliano era un uomo particolare, piccolo di statura, viveva spesso in barca, conosceva l'Arno, lo navigava. Nei tre mesi precedenti alla sua morte il suo laboratorio rimase chiuso. Ma infilate nel chiavistello che sbarrava la porta trovavo foglie di vite, di fico e pannocchie. Ho sempre pensato che fosse lui a lasciarmele come segnali: lui che registrava e dettava tempi e stagioni, dava un segno della sua presenza malgrado la sua assenza. E lo faceva attraverso ciò che conosceva e con cui era in armonia: la natura. Giuliano era appassionato di pittura. Dei macchiaioli diceva che era facile fare il pino con una macchia ma che il difficile era fare tutti gli aghi del pino. Una volta mi chiese di portarlo a Firenze allo Studio Simi, la scuola di pittura che frequentavo all'epoca, e, per gioco, lo presentai come un grande artista. Lui aveva un pacco di sue fotografie che iniziò a distribuire agli allievi (vi erano molte donne americane). Giuliano raccontava di avere avuto incontri ravvicinati. Una volta, di notte, era stato svegliato dalle voci che lo chiamavano. Si era infilato un paio di stivali e aveva seguito quelle voci, fino ad un luogo di cui non mi ha mai detto. Nell'incontro gli stivali si bruciarono. Li mise sotto teca. Giuliano il Nanino viaggiava con il cane più grande del mondo, enorme, e con due merli che gli volteggiavano attorno e poi si appollaiavano sulle sue spalle. Giuliano veniva in studio e guardava i mie lavori: non mi ha mai detto nulla. Come si è modificato il rapporto della comunità con il fiume?
Il rapporto con l'Arno oggi non esiste più. Il fiume, inquinato e non più pescoso, fu abbandonato progressivamente. Forse l'alluvione fu l'ultima drammatica occasione di vicinanza e contatto. Alla civiltà contadina che il fiume ha ferito con l'alluvione è dedicata la stanza degli sfollati (o luogo degli affetti). C'è un'immagine del fiume di cui conservi un ricordo speciale? Il viaggio con Giuliano in barca durante una piena ha cambiato la mia percezione del fiume. Durante quella gita si esplorò un Arno che non conoscevo. Con Giuliano ho scoperto un Arno diverso. Che scelte sono state operate nell'invitare gli artisti a partecipare alla mostra? Ho iniziato con gli artisti che, da un punto di vita biografico, hanno un rapporto con il fiume. Molti di loro hanno realizzato i lavori appositamente per la mostra. Ho poi scelto una serie di opere che conoscevo e che tematicamente mi sembravano perfette per costruire il percorso, il viaggio dell'Arno. In tutto gli artisti sono 46 a fronte di 46 inviti. Nessuno mi ha detto no. Ci tengo a ringraziare tutti loro per l'adesione incondizionata e per la generosità con cui hanno risposto all'invito. sul fiume, Villa Pacchiani, Santa Croce sull'Arno, 10 febbraio 2012
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