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La cartella stampa sulla mostra a Villa Pacchiani - Gonews.it

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s<strong>it</strong>uazione in atto che proprio nella rilettura compendiaria del passato dichiara<br />

la propria provvisorietà, il lento scivolamento, il r<strong>it</strong>orno alla primarietà degli<br />

elementi. Come dire lo sprofondamento nell’abisso del tempo senza<br />

metronomo, che non ha più misura umana.<br />

Della “sempre rimossa e innominabile Morte” parla qui Marco <strong>La</strong> Rosa, e<br />

aggiunge, con Eugenio Montale, che I grandi fiumi sono l’immagine del tempo.<br />

Così rec<strong>it</strong>a in apertura l’insegna del viaggio ordinato da Romano Masoni. Mi<br />

permetto di precisare che se i “grandi” fiumi danno un’immagine maestosa del<br />

tempo sconfinato, ogni ruscello che scorre tra i sassi e si frange sempre diverso<br />

nell’apparente unic<strong>it</strong>à della figura che lo sguardo percepisce, e allo stesso<br />

modo il flusso e il riflusso delle onde marine <strong>sulla</strong> battigia oppure la danza<br />

linguiforme delle fiamme nel focolare, per chi sosti rap<strong>it</strong>o a osservarne il moto<br />

produce analoghi sprofondamenti, o forse meglio derive nel flusso del tempo,<br />

più assorte e riflessive in quanto non distratte dalla spettacolar<strong>it</strong>à della natura.<br />

Nel suo consumarsi, il tempo annuncia la Fine, l’appuntamento dagli uomini<br />

illusoriamente esorcizzato facendo ricorso a diversi e sofisticati espedienti,<br />

cosmetici e oggimai chirurgici, intus et in cute di quella ungarettiana<br />

“reliquia” che è il corpo. Mappa ideale, direi palinsesto di ogni mutazione, il<br />

corpo attesta la irreversibile nostra corsa verso l’azzeramento del segmento<br />

che ci è dato di percorrere <strong>sulla</strong> linea del tempo, flessa nello spazio/tempo<br />

infin<strong>it</strong>o.<br />

Non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua: tutto scorre. Tutto diviene<br />

nel perenne e ciclico ricombinarsi degli elementi di Empedocle, come nel<br />

fiume della v<strong>it</strong>a, e l’argine possibile non è già l’eufemistica a-mortal<strong>it</strong>à pretesa<br />

per via di lifting o di ibernazione, sibbene la durata interiore della memoria.<br />

Lo osserva <strong>La</strong> Rosa nella sua introduzione, e ci rammenta che gli antichi<br />

accred<strong>it</strong>avano Mnemosine, e agivano per averla depos<strong>it</strong>aria, nel tempo, dei<br />

loro nomi e delle loro gesta, ben oltre quel che mostriamo di fare noi<br />

contemporanei. Noi siamo così tenacemente attestati sul presente – le<br />

promesse e le urgenze, le blandizie, persino le angosce del presente – non<br />

solo da compromettere l’ampiezza dello sguardo retrospettivo, che è il senso<br />

della storia, e di quello proiettivo che implica la capac<strong>it</strong>à progettuale del<br />

futuro, ma quel che più conta, da obl<strong>it</strong>erare la cognizione del tempo come<br />

durata di modulazione interiore. Il tempo è dimensione dell’animo, diceva<br />

Agostino, il santo autore delle Confessioni. Dunque un continuum dal passato<br />

al presente al futuro, nel depos<strong>it</strong>o della memoria collettiva, oltre la soglia<br />

della nostra permanenza individuale <strong>sulla</strong> terra, come già la “memoria”<br />

genetica per la nostra durata biologica.<br />

Sulla scia dei fiumi di Ungaretti – l’intestazione Questo è il mio fiume del<br />

viaggio qui documentato pare proprio una c<strong>it</strong>azione ungarettiana – voglio

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