MAI DIRE MAJOR Forse non prenderanno il disco di platino, ma in tournée fanno sempre il botto. Alla faccia di chi li aveva dati per finiti testo: Paolo Madeddu / illustrazione: Matteo Moretti - Erazero Cominciamo dai proverbi cinesi – in giro non si parla d’altro. Uno dei più celebri racconta che sulla riva del fiume uno aspetta che prima o poi la corrente trasporti il cadavere del suo nemico. Sta accadendo nella musica. Tanti artisti che l’industria discografica aveva liquidato con ironico disprezzo, perché non vendibili, sono sulla riva a godersi il passaggio del barcone delle multinazionali del disco. Particolarmente gustoso, immaginiamo, l’ultimo rantolo dei brillanti manager delle case discografiche, quelli che hanno strangolato il disco con le proprie mani, che esalano: “Tutta colpa di pirateria e <strong>download</strong>ing!” e poi stramazzano. Come se la gente non fosse disposta a pagare per avere vera musica. Come quella dal vivo – e non solo i pesi massimi, i Vaschi, gli U2 e i Boss che viaggiano a 50 euro a show. La spina dorsale della musica in Italia ormai sono i concerti. E i musicisti non vendibili di cui sopra, vistisi preferire dai discografici una caterva di pupazzoni buoni per due settimane di tormentone radio- fonico, hanno fatto proprio il motto reso celebre da un film di Totò: Arrangiatevi. E adesso che i pupazzoni vengono prodotti, come è giusto, direttamente dalla tv (da noi la De Filippi o Music Farm; in USA American Idol, in Inghilterra Popstar), i musicisti si affidano al palco. Come usava prima che fosse inventata la meteora chiamata disco, si guadagnano da vivere suonando per la gente. Ce lo confermano quattro band che hanno consolidato la loro fama “on the road”, concerto dopo concerto, e alle case discografiche devono poco o niente. Punkreas, dal 1989 gruppo di riferimento del rock indipendente italiano. Sud Sound System, una delle primissime “posse” italiane a coniugare musica tradizionale, ragamuffin e hiphop. Tre Allegri Ragazzi Morti, imprevedibile rockband i cui componenti non si mostrano se non in concerto (o in fumetto). Folkabbestia, festaioli rurali detentori tra l’altro del record per la canzone più lunga suonata dal vivo (30 ore!). E insieme a loro abbiamo sentito uno che anni fa al n.1 ci è stato e poi finita la festa si è visto gentilmente messo alla porta: Ivan Cattaneo. Con loro abbiamo parlato del mestiere di suonare dal vivo. Con annessi e connessi… È vero che a questo punto conviene di più un tour che un disco e che il disco è una specie di accessorio? Folkabbestia – Sì, un tour conviene di più e non solo a noi. I dischi vendono davvero poco e la percentuale che va a un artista è del 10%. Se, come noi, un gruppo di quattro persone deve dividere, resta il 2,5%. Le radio? A parte che non passano musica come la nostra, ma se anche fosse, i network privati non si segnano i pezzi trasmessi come fa la Rai. Così, viviamo dei concerti: circa 80 l’anno. Tre Allegri Ragazzi Morti – Sì, anche se chiaramente se il disco vola in classifica è un altro discorso. Parlare di un accessorio però non è corretto, perché il disco rimane comunque il punto di partenza per i live ed è fondamentale per diffondere le canzoni ad alto livello. Punkreas – I tour sono la voce principale dei nostri introiti e non parlo solo del gruppo, ma anche delle persone che lavorano con noi: siamo in tutto in dieci a girare l’Italia su due furgoni. Il cd è una forma di diffusione di quello che facciamo, ci aiuta a promuovere i concerti. Sud Sound System – Il discorso è più ampio. Dal fare concerti hai anche un altro guadagno: il contatto con la gente. Tante facce, storie, situazioni. Un disco è unilaterale, un concerto è uno scambio. Cattaneo – Chi pensa di vendere un disco è un illuso. Io ho fatto un disco nuovo, uscirà a ottobre. Ma oggi faccio il conduttore tv e fare un disco per me non ha implicazioni economiche: lo faccio sperando che qualcuno lo ascolti, gli piaccia e magari qualche radio lo trasmetta, sarebbe già una buona cosa. Però i discografici non si sono ancora accorti che oggi non vendi i dischi ma le persone e di conseguenza i loro concerti. Ma sai, alla Sony o alla Universal non frega niente del cantante italiano, loro marciano come carriarmati per piazzare le Jennifer Lopez o le Beyoncè, perché questo gli viene ordinato dall’America. Vendete i vostri dischi a fine concerto? È meglio che farli distribuire da una casa discografica? Folka – Sì, li vendiamo. È meglio? Dati alla mano, siamo lì. Comunque è più facile vendere dal vivo. Punkreas – Anche se lo facessimo, non sarebbe per ritorno economico, ma solo promozionale. Tarm – Si, ma non è meglio di una distribuzione, semplicemente è più pratico per chi s’è entusiasmato guardando il concerto e vuole portare a casa un pezzo concreto di ciò che ha appena vissuto. Cosa è più pesante, in tutto questo suonare su e giù? Folka – Gli spostamenti in furgone… Tarm – Le code in autostrada. Punkreas – Niente. Mi piace, ci piace, non siamo ancora alla saturazione per cui tutti i posti, tutti gli alberghi, i palchi e gli spettatori si somigliano. Per noi stare a casa è una sofferenza… SSS – La Finanza! Al sud troviamo tutti i cani antidroga della regione, e il doppio dei celerini usati per una finale di Champions. Se un ragazzo viene a vederci portandosi una canna, il giorno dopo noi facciamo notizia in tutta la zona per gli arresti… Una barbarie. Il messaggio che passa è “Non andate a quei concerti”. Però, nel mettere assieme tante date, vi siete mai ritrovati a sentirvi fuori contesto, magari in un festival? Folka – Noi abbiamo una notorietà a macchia di leopardo. In certi posti ci aspetta tantissima gente, in altri non ci conosce nessuno e vengono in 50. Ma si suona. Ed è anche divertente. Bottigliate? Mai prese: non ricordo un concerto che non sia riuscito. Tarm – Anni fa, a una fiera del fumetto in un palazzetto, un venditore molto scocciato dal volume e dal fatto che distraevamo la clientela ha iniziato a tirarci una serie di fumetti porno... Punkreas – La situazione più strana è stata l’Heineken Jammin’ Festival – sai, prima dei Metallica, mettersi a fare ska… Temevamo di essere fischiati via. Ma il nostro cantante ha affrontato il pubblico in modo molto ironico. Molti di quelli che erano lì sono diventati nostri fan. SSS – Una volta ci siamo trovati davanti a 400 anziani, tutti seduti. Ogni tanto i promoter fanno qualche errore di valutazione… Ma alla fine abbiamo strappato applausi e sorrisi. Cattaneo – Fuori contesto mai, io sul palco sono a casa. Ma al mio debutto, trent’anni fa, al festival di Re Nudo a Milano, c’erano 100mila persone che mi fischiavano perché mi ero presentato come gay e dedicavo una canzone al mio amore. È stato uno choc, il bello è che erano di sinistra… Ma mi è servito, dopo non mi ha choccato più nulla... 20 URBAN URBAN 21
“Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari”. Gli orgogliosi pugliesi tentano di applicare la vecchia battuta anche al capoluogo lombardo, cadendo in un mezzo errore. L’improbabile mare di Milano, infatti, è uno specchio d’acqua artificiale, frutto di un’escavazione imponente, alimentato da sorgenti naturali, inventato di sana pianta con l’idea di farci planare gli idrovolanti. Finita la sbornia mussoliniana, che si era identificata con ANFIBI SI NASCE Un irresistibile richiamo ancestrale? Un contatto più profondo con l’elemento vitale per eccellenza? Tutto questo, e forse altro ancora, per spingere comuni terrestri metropolitani a pinnare a più non posso all’Idroscalo di Milano. Appena sotto il pelo dell’acqua testo: Christian Carosi / foto: Cesare Cicardini questi veicoli pachidermici, l’uso del laghetto fu lasciato a muscolosi canottieri, all’epoca – guarda caso – proprio in canotta a righe. Siamo agli anni ’50 e da allora l’Idroscalo, alle porte di Segrate, praticamente dietro all’aeroporto di Linate, svolge le facente funzioni di piscina collettiva per corpi accaldati dalla canicola meneghina. 22 URBAN URBAN 23