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Geroglifici Maya - Wayeb

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Kettunen & Helmke 2012 Struttura e contenuto dei testi<br />

tratti che abbiamo visto distinguere l’insieme lak da quello jawante’, potremmo forse azzardare l’ipotesi che –te’<br />

possa essere un suffisso per cose che “si alzano” o che “sono fatte per alzarsi”. Se tale interpretazione è corretta, il<br />

termine jawante’ potrebbe riferirsi letteralmente a un tipo di vasellame che è fatto per “volgersi in alto e stare<br />

elevato.” In tal caso ci parrebbe che la designazione dei piatti tripodi sia essenzialmente descrittiva piuttosto che<br />

funzionale.<br />

altro vasellame<br />

Oltre ai tipi di vasellame che sono stati appena esaminati e che rappresentano la grande maggioranza delle<br />

descrizioni glifiche a loro attribuite nelle iscrizioni, ne sono stati identificati un’altra ventina circa (cf. Boot 2005).<br />

Tra di loro: (y)uub, yahk’utu’, pokol che’ebul, kuch sibik, uch’aajil (o uch’aajul), bu’b, chuhib, ajal(a)jib, jaay chu’bal che’eb,<br />

otot, tzimal jaay uk’ib, we’em e uma? tz’ihk.<br />

Il contenuto del vasellame<br />

Le sezioni della Sequenza Primaria Standard che si occupano del contenuto del vasellame, sono<br />

grammaticalmente proposizioni subordinate preposizionali con cui si aggiunge alla frase principale un nuovo<br />

complemento nominale (si veda “Argomento” nel glossario) (Schele & Grube 2002: I-37). I sostantivi di queste<br />

subordinate sono oggetti indiretti del tipo di vasellame che è invece il soggetto della PSS. Le preposizioni più<br />

comuni nel maya classico sono ti o ta (equivalenti) che possono significare “in, a, su, fino, da, come, con” (Coe e<br />

Van Stone 2001; Kettunen e Helmke 2002; Schele e Grube 2002: I-37).<br />

Ci sono tre tipologie di contenuti che sono stati documentati nei testi glifici che ornavano gli antichi contenitori di<br />

ceramica: kakaw, ul e “altro”. Kakaw si riferisce a bevande ottenute dalla polpa del frutto di cacao, oppure dai semi<br />

di cacao essiccati, tostati, fatti fermentare e macinati (usati nel cacao o nella cioccolata calda). Un’altra bevanda<br />

ottenuta specificamente dai semi piuttosto che dai frutti del cacao è conosciuta come pinole (Coe 1995; Young<br />

1994). Il kakaw e le sue molte varianti sono bevande che si impiegano ancora nelle occasioni festive in molte<br />

comunità maya tradizionali; esse sono conosciute per i moderati effeti psicotropi. Per insaporire la bevanda si<br />

utilizzano vaniglia, fiori aromatici, la linfa dell’agave americana (maguey), chile (peperoncino) o miele; il composto<br />

può essere mescolato o diluito in una misura che può variare con altre bevande a base di mais.<br />

Ul è il termine che si impiega per un composto denso e semiliquido di mais, la cui qualità più pregiata è fatta con<br />

il mais verde non ancora maturo (conosciuto come nal). Il preparato, sebbene più comune rispetto al kakaw e usato<br />

anche nello svezzamento dei bambini, è considerato un alimento di consumo in circostanze festive, e la varietà<br />

più pregiata è preparata all’inizio della stagione del raccolto. Un’alterazione del gusto della bevanda è ottenuta<br />

con l’aggiunta di (uno solo o più d’uno di questi elementi) fagioli neri bolliti, semi di zucca, linfa di agave<br />

americana; il tutto è insaporito con miele, chile, e/o pimento a piacimento. Sia l’ul che il kakaw possono essere<br />

serviti freschi oppure essere lasciati fermentare per far loro acquisire una certa gradazione alcolica anche se, tale<br />

varietà, lascia oggi il posto al consumo di altre bevande. La terza voce (“altro”) si riferisce a tutti gli altri possibili<br />

contenuti del vasellame, per quanto bisogna dire che essi siano piuttosto rari rispetto ai due di cui si è parlato.<br />

Le occorrenze nei testi glifici che si riferiscono a tali bevande possono presentare delle variazioni che vengono<br />

rese dall’impiego dei prefissi. Il termine kakaw può essere modificato in molti modi. Innanzitutto vi può essere<br />

l’impiego di un aggettivo come chak (“rosso”), k’an (“giallo/ maturo”), kab (“dolce”), om? 44 (“schiumoso”), o da<br />

collocazioni piuttosto oscure che paiono riferirsi a un tipo di fiore 45 (forse usato per dare un particolare sapore). In<br />

secondo luogo, può essere aggiunto un toponimo, il quale specifica la provenienza del kakaw impiegato nella<br />

bevanda, qualcosa di simile in effetti alla “denominazione di origine controllata” che si impiega nei vini (ad<br />

44 Tale lettura è stata proposta per la prima volta da Barbara MacLeod (1990). Sia il valore fonetico del segno sia la sua stessa esistenza sono state<br />

contestate per anni, tuttavia non è stata avanzata un’altra proposta in grado di sostituirla.<br />

45 Le lettura qui offerta è solo un tentativo dal momento che include valori fonetici interni a glifi ancora dibattuti. La lettura del primo elemento<br />

potrebbe essere k’a[h]k’ tzih nik?, o k’a[h]k’nal nik?, dove nik sta per “fiore”, mentre nell’altro caso il logogramma potrebbe essere letto come<br />

janaahb, che da altri contesti sappiamo riferirsi a un tipo di fiore, per quanto è mancante un termine moderno che gli sia imparentato.<br />

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