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Parole, proverbi, modi di dire, tutto quello che ricorda un ... - Agyrion

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Questo capitolo è strettamente legato al precedente. E' nella<br />

civiltà conta<strong>di</strong>na, infatti, <strong>che</strong> troviamo il maggior numero <strong>di</strong><br />

<strong>proverbi</strong> legati al tempo e alle stagioni. I cicli dei lavori nei<br />

campi sono stati da sempre, e lo sono ancora oggi, nell'era<br />

della tecnologia, regolati dall'andamento del tempo e dal<br />

volgere delle stagioni; e i conta<strong>di</strong>ni hanno dovuto da sempre<br />

fare i conti con la meteorologia. Hanno dovuto, come si usa<br />

<strong>di</strong>re in gergo, stari sempri ccu l'uocchi all'ariu. E an<strong>che</strong> se,<br />

come si sa, nulla è più capriccioso e incontrollabile<br />

dell'andamento del tempo, tuttavia essi cercavano lo stesso, e<br />

forse cercano ancora, <strong>di</strong> fare delle previsioni e trarre auspici<br />

da tanti piccoli segnali e dalle con<strong>di</strong>zioni del tempo in certe<br />

giornate particolari dell'anno. Ma, parlando del tempo e delle<br />

stagioni, non posso fare a meno <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> <strong>quello</strong> <strong>che</strong> da<br />

sempre da noi è stato il più grande dei problemi, il problema<br />

dell'acqua. Non è senza <strong>un</strong>a ragione, infatti, se <strong>un</strong>a delle più<br />

note giaculatorie a San Filippo sia questa: San Fulippuzzu<br />

chiuviti chiuviti, <strong>che</strong> lavuredda su muorti <strong>di</strong> siti. Ricordo l<strong>un</strong>ghi<br />

perio<strong>di</strong> in cui per mesi non cadeva <strong>un</strong>a goccia <strong>di</strong> pioggia. Nei<br />

<strong>di</strong>scorsi dei conta<strong>di</strong>ni, pur avvezzi da secoli a lottare contro<br />

<strong>un</strong>a natura ostile, traspariva la preoccupazione; cortei<br />

interminabili <strong>di</strong> donne <strong>di</strong>sperate si recavano in chiesa per<br />

chiedere la grazia a San Filippo. Si poteva decidere allora, in<br />

casi veramente estremi, <strong>di</strong> compiere il più spettacolare e corale<br />

dei riti propiziatori, <strong>quello</strong> <strong>di</strong> portare San Filippo al castello. Era<br />

<strong>un</strong> rito antichissimo, anch'esso ormai, come tanti altri della<br />

tra<strong>di</strong>zione, sopraffatto dal <strong>di</strong>sincanto <strong>che</strong> caratterizza i tempi<br />

nuovi e praticamente <strong>di</strong>menticato. Consisteva in questo: la<br />

statua del santo veniva portata, in silenziosa e mesta<br />

processione, dall'Abbazia fino al castello, dove c'è <strong>un</strong>a<br />

chiesetta a lui de<strong>di</strong>cata, e là dentro veniva lasciata, in<br />

penitenza si <strong>di</strong>ceva, fino a <strong>che</strong> non pioveva. I sacerdoti<br />

indossavano per l'occasione i paramenti viola dei riti<br />

penitenziali, e i fedeli, praticamente <strong>tutto</strong> il paese, seguivano in<br />

preghiera. Nel volto <strong>di</strong> tutti solo ansia e preoccupazione. I<br />

giorni <strong>che</strong> seguivano erano giorni <strong>di</strong> penitenza, <strong>di</strong> <strong>di</strong>gi<strong>un</strong>o e <strong>di</strong><br />

purmisioni (letteralmente promesse, voti). Quando poi

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