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Parole, proverbi, modi di dire, tutto quello che ricorda un ... - Agyrion

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casa. Facci n<strong>un</strong> vista è <strong>di</strong>siata, si insegnava alle ragazze da<br />

marito; cu beni ti vola, 'ncasa ti vena si ammonivano quelle<br />

<strong>che</strong> avessero avuto qual<strong>che</strong> smania <strong>di</strong> mettersi in mostra o,<br />

peggio, cosa inusitata e assai <strong>di</strong>s<strong>di</strong>cevole, <strong>di</strong> prendere<br />

iniziative. Per due giovani <strong>che</strong> volevano fidanzarsi<br />

praticamente non esisteva ness<strong>un</strong>a possibilità <strong>di</strong> incontrarsi e<br />

istaurare <strong>un</strong> rapporto, an<strong>che</strong> solamente verbale, prima <strong>che</strong> il<br />

matrimonio venisse affermato. I primi tentativi d'approccio e <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>alogo si riducevano <strong>di</strong> solito ad <strong>un</strong>a serie <strong>di</strong> sguar<strong>di</strong>, fugaci e<br />

furtivi, <strong>che</strong> l'uomo cominciava con l'inviare all'in<strong>di</strong>rizzo della<br />

prescelta. Quasi sempre il corteggiamento cominciava con<br />

l<strong>un</strong>ghi, snervanti e soprat<strong>tutto</strong> cauti appostamenti sotto la<br />

finestra o il balcone della ragazza. Gli appostamenti dovevano<br />

per forza essere cauti, perchè se il padre o i fratelli<br />

subodoravano qualcosa, non era infrequente <strong>che</strong> il temerario<br />

venisse <strong>di</strong>ffidato, an<strong>che</strong> con la forza, dall'aggirarsi nei paraggi,<br />

e la poverina malmenata, in nome <strong>di</strong> <strong>un</strong> atavico <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />

proprietà <strong>che</strong> ogni maschio sentiva il dovere <strong>di</strong> esercitare sulle<br />

femmine della propria famiglia, o soltanto per <strong>di</strong>fenderne<br />

l'onore, sulla cui definizione si è molto <strong>di</strong>squisito da parte degli<br />

stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> costume. Oppure si svolgeva la domenica mattina,<br />

durante la messa delle <strong>un</strong><strong>di</strong>ci, quella cantata. Si usava <strong>che</strong> i<br />

giovanotti, a piccoli gruppi, durante la f<strong>un</strong>zione, piuttosto <strong>che</strong><br />

star seduti ad ascoltare, passeggiavano su e giù per le navate<br />

laterali della chiesa, lanciando sguar<strong>di</strong> e ammiccamenti<br />

all'in<strong>di</strong>rizzo delle ragazze, <strong>che</strong> stavano sedute, quasi sempre<br />

accanto alla madre o ad <strong>un</strong>a vecchia zia, nella navata centrale.<br />

Quando scorgevano quella <strong>che</strong> a loro sembrava giusta, si<br />

piazzavano in posizione strategica e lanciavano l'attacco. Uno<br />

sguardo, due, tre, in modo sempre più insistente e <strong>di</strong>retto. I più<br />

intraprendenti facevano l'occhiolino. Poi pazientemente<br />

attendevano il riscontro. Ogni giovanotto sapeva bene <strong>che</strong> <strong>un</strong>a<br />

ragazza seria le prime volte non si sarebbe fatta sorprendere a<br />

restituirgli lo sguardo, per non passare per civetta. O soltanto<br />

per paura. Per cui pregava l'amico <strong>di</strong> osservarne <strong>di</strong> sottecchi le<br />

reazioni. -Chi <strong>di</strong>ci, ti para ca talìa, ah?- chiedeva lo spasimante<br />

con trepidazione. -Allivoti si, ma n<strong>un</strong> sugnu sicuru- rispondeva<br />

titubante l'amico. -E tu talìa miegghiu- incalzava il poverino.

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