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Scalabrini - Induismo Buddismo.pdf - Webdiocesi

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vie. La prima si libera della ruota delle rinascite, la seconda ritorna su questo mondo, ma in forma<br />

umana, la terza, invece, è condannata alla vita subumana di insetto o di rettile.<br />

La rinascita, allora, non è soltanto un fenomeno fisico, perché gli induisti vi aggiungono una<br />

componente morale: il peso dei nostri atti (il karma), che condiziona strettamente la qualità di ciò che<br />

sarà la nostra prossima vita su questa terra. Secondo il modo con cui noi avremo svolto il nostro<br />

compito nella società, rivivremo una condizione sociale brillante o miserevole. I meno meritevoli<br />

possono rivivere, addirittura, la vita di un animale più o meno impuro! Il karma viene, pertanto, ad<br />

indicare gli atti appropriati alle quattro grandi classi, cioè la classe dei brahmana, i sacerdoti, dei<br />

ksatrija, o guerrieri, dei vaisia, che sono i commercianti, e i sutra, che sono, in qualche modo, quelli<br />

che devono seguire le altre tre caste. Vi sono, infine, i fuori casta, i paria, gli intoccabili. Così un‟altra<br />

versione del passo della Upanisad sopra citato ci dice che coloro la cui condotta è piacevole<br />

entreranno nel grembo di una donna brahmina, ksatrija, vaisia, ma coloro la cui condotta è puzzolente<br />

entreranno nel grembo di un cane, di un porco, di una cosa sporca e spregevole, di un fuori casta, di un<br />

intoccabile! Questa dottrina, che doveva diventare presto l‟elemento più caratteristico dell‟induismo,<br />

al tempo delle più antiche Upanisad era ancora oggetto di segreto gelosamente conservato.<br />

Ora, poiché ogni azione produce un effetto o frutto o karma nel mondo temporale, ne segue che, a<br />

meno di rompere questa catena di causa e di effetto, non vi sarà fine alla ruota delle rinascite. Le<br />

Upanisad insegnano, però, che l‟anima umana nella sua essenza più profonda è, in qualche modo,<br />

identica al Brahman, quel qualcosa di immutabile che malgrado tutto è la fonte di ogni cambiamento.<br />

L‟anima, perciò, deve essere distinta dal solito “io” empirico, che trasmigra di corpo in corpo<br />

portando con sé il carico di karma.<br />

Dal tempo dell‟Upanisad in poi, la consapevolezza religiosa indù ha affrontato il problema cruciale<br />

del rendersi conto di quest‟anima eterna, del liberarla dal rapporto immaginario reale con il complesso<br />

psicosomatico che pensa, che vuole e agisce. Si tratta, in altre parole, di riconoscere come l‟anima<br />

continui un faticoso cammino, accumulando sempre più karma, buono e cattivo, e scaricandolo nel<br />

rispettivo cielo e inferno, per rinascere ancora e addossarsi nuovamente quel carico.<br />

Allorché l‟universo è assorbito ancora una volta nella sua fonte e ha inizio la notte di Brahma,<br />

l‟anima non è ancora libera, anche se sono passati venti milioni di anni, ma è soltanto inconsapevole,<br />

dimentica del suo carico karmico. Infatti, allorché i venti milioni d‟anni dello stato di dissoluzione<br />

sono passati, essa deve nuovamente sobbarcarsi questo carico di incubo. E si noti che gli stessi dèi non<br />

vanno esenti dalla legge del karma; anch‟essi sono soggetti alla legge di causa e di effetto; e verrà un<br />

giorno nel quale il karma buono, a cui devono la loro condizione privilegiata, si esaurirà. Allora<br />

diventeranno uomini, perché soltanto attraverso l‟incarnazione umana si può raggiungere veramente<br />

quel moksa o liberazione finale.<br />

Questo ciclo di continue reincarnazioni è esattamente il Samsara. È descritto per la prima volta in<br />

modo particolareggiato nella Maitri Upanisad (1,3-4), che è probabilmente la più tardiva di tutte le<br />

Upanisad classiche e la descrizione non è certo una descrizione piacevole. Si vede il mondo come in<br />

uno stato perpetuo di suppurazione e di decadimento. Gli oceani si prosciugano, le montagne crollano;<br />

ogni cosa è vanità e soltanto l‟uomo è talmente folle da poter desiderare questa vanità! L‟uomo è<br />

assetato di vita, tanto da non capire che è proprio questo amore per la vita che lo rende schiavo dei due<br />

mali, del karma e del samsara.<br />

Il samsara è descritto come un pozzo senz‟acqua, mentre l‟uomo è una rana che disperatamente vi<br />

si dibatte. Il mondo appare all‟induismo come peggiore di una valle di lacrime, una giungla spietata,<br />

piena di bestie feroci e di serpenti velenosi. L‟uomo allora, infelice, cerca vanamente una via di<br />

scampo, ma si smarrisce nella giungla e cade in una buca con l‟apertura ricoperta da vermi che<br />

strisciano. Questi gli si attaccano agli arti, mentre egli resta sospeso a testa in giù nella fossa. Ma<br />

questo è soltanto l‟inizio dei tormenti, poiché i suoi occhi, allorché riescono a distinguere il fondo<br />

della buca, scorgono un gigantesco serpente che è in paziente attesa della sua caduta per poterlo<br />

divorare. E all‟imboccatura della fossa sta un altro enorme serpente pronto a calpestarlo nel caso egli<br />

volesse raggiungere la sommità della fossa. Per fortuna sul margine della voragine cresce un albero in<br />

cui c‟è un favo di miele; e questo favo, benché attiri molti insetti fastidiosi, lascia cadere del dolce<br />

miele, di cui egli, se è fortunato, può gustare alcune gocce. Il miele gli dà un grande conforto e lo<br />

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