opuscolo L'OSPITALITÀ DELL'ABATE 04-2007.indd - IPSSAR Berti ...
opuscolo L'OSPITALITÀ DELL'ABATE 04-2007.indd - IPSSAR Berti ...
opuscolo L'OSPITALITÀ DELL'ABATE 04-2007.indd - IPSSAR Berti ...
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
I.P.S.A.R. “Angelo <strong>Berti</strong>”<br />
Sede Associata di Soave<br />
<strong>L'OSPITALITÀ</strong><br />
<strong>DELL'ABATE</strong><br />
Progetto didattico sull’accoglienza e sugli usi enogastronomici<br />
nei monasteri benedettini<br />
Anno Scolastico 2006/2007
3<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Il progetto “L’ospitalità dell’abate” mette in luce una tematica poco conosciuta ma<br />
emergente negli interessi dei turisti, come mostrano le ultime rilevazioni in campo turistico-ristorativo.<br />
Oltre a ciò, realizza un evento che comprende diverse azioni in collaborazione con le<br />
Amministrazioni Comunali di Soave e San Bonifacio e la Cooperativa Sociale “Botteghe<br />
e mestieri” di Faenza, riuscendo a coinvolgere in qualità di partners numerosi Enti e<br />
strutture pubbliche e private.<br />
Viene così consolidata la prassi del coinvolgimento del territorio ed il ruolo attivo e<br />
propositivo della scuola nel proprio tessuto sociale.<br />
L’entusiasmo di docenti ed allievi, la dedizione sia alle attività di ricerca che a quelle<br />
pratiche operative costituiscono il valore aggiunto che rende il prodotto finale di qualità,<br />
sia dal punto di vista educativo che sociale.<br />
La nostra Sede Associata ancora una volta, oltre a dare positive esperienze educative<br />
agli studenti, offre un servizio alla comunità e si pone ormai come un punto di riferimento<br />
sul territorio di appartenenza.<br />
Grazie a tutti.<br />
Prof. Bruno Ciorba<br />
Il Dirigente scolastico
L’ospitalità dell’Abate<br />
Per il quarto anno consecutivo, i ragazzi e i docenti del nostro Istituto Alberghiero,<br />
ci invitano al un appuntamento che sta diventando ormai tradizionale. L’occasione è la<br />
chiusura del progetto “L’ospitalità dell’Abate”.<br />
Anche in questa attività, come nelle precedenti, gli studenti hanno avuto modo di<br />
conoscere e di approfondire argomenti ormai lontani dalla nostra quotidianità. Si tratta<br />
di un progetto che pone al centro la persona e l’ospitalità: elementi che devono contraddistinguere<br />
una comunità che intende coltivare e difendere la propria identità e la propria<br />
cultura.<br />
L’ospitalità per un territorio come il nostro, che si affaccia a piccoli passi nel mondo<br />
del turismo e che quindi deve fare dell’accoglienza uno degli elementi più qualificanti<br />
per contraddistinguersi rispetto la vasta gamma di offerte che già esistono, credo sia un<br />
obiettivo fondamentale da perseguire.<br />
Dare quindi agli allievi dell’Istituto, i futuri imprenditori delle nostre strutture ricettive,<br />
una simile opportunità, ritengo sia stato estremamente importante.<br />
Anche questo ulteriore tassello contribuirà sicuramente ad elevare la qualità che i<br />
nostri giovani sono sempre più chiamati a dare nel loro lavoro.<br />
Nel prendere atto del programma dell’evento, che ho visto estremamente più articolato<br />
e complesso rispetto agli anni precedenti, ho notato l’impegno che l’Istituto ha profuso<br />
e per questo desidero ringraziare quanti si stanno impegnando sia per la formazione dei<br />
nostri giovani che per la valorizzazione del nostro territorio.<br />
Ottenere i risultati che l’Istituto, nonostante le piccole dimensioni e i problemi che<br />
ben conosciamo, ha saputo raggiungere in pochi anni, credo sia sinonimo di competenza,<br />
di professionalità e, soprattutto, di cuore.<br />
Un grazie doveroso al Dirigente Scolastico, ai Docenti e a tutti gli Alunni.<br />
4<br />
Prof. Lino Gambaretto<br />
Assessore alla Cultura del Comune di Soave
5<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Accompagno volentieri la presente pubblicazione, momento di sintesi del progetto<br />
didattico “l’ospitalità dell’Abate” dell’Istituto dell’IPSAR “A. <strong>Berti</strong>” della sede associata<br />
di Soave.<br />
La figura dell’Abate (da abbà, parola di origine siriana e aramaica, che significa “padre”)<br />
ha rivestito per molti secoli un ruolo di primissimo piano, anche nel territorio scaligero.<br />
L’Abate è innanzitutto un capo spirituale. Egli, dovendo rappresentare la paternità<br />
di Dio, ammaestra i monaci come un padre fa con i suoi figli. A lui spetta dirigere, in<br />
qualità di capo supremo, la comunità monastica, governandola in tutti i suoi aspetti, spirituali<br />
e materiali. È il pater familias, pronto a reggere con piena autorità i suoi monaci,<br />
i quali gli devono riverenza, affetto e obbedienza. Eletto a vita, l’Abate dirigeva l’abbazia,<br />
realtà dinamicamente articolata e per molti aspetti autosufficiente. Era formata da un<br />
complesso di edifici a disposizione della vita della comunità (la chiesa, i chiostri, la sala<br />
capitolare, …) e della cultura (lo scriptorium, la biblioteca, l’orto con le erbe officinali,<br />
la farmacia, la foresteria per gli ospiti).<br />
Le abbazie furono per secoli centri di irradiazione evangelica per le popolazioni, con<br />
un preciso spazio per il lavoro agricolo e intellettuale. Al loro interno venivano gelosamente<br />
conservati libri, ricette, processi di lavorazione. Venivano formate personalità<br />
capaci di trasmettere e di produrre cultura, nei modi più svariati: conservazione dei classici<br />
della letteratura, duplicazione della Bibbia, composizione di farmaci, realizzazione<br />
di nuove colture, diffusione di un’alimentazione più ricca e bilanciata. Ogni abbazia era<br />
un microcosmo, in sintonia con l’universo circostante. Godeva grande autonomia, senza<br />
essere un hortus conclusus. Era un complesso organismo vivente, integrato col territorio,<br />
in grado di dare conoscenze, di incentivare tecniche agricole, di produrre cultura.<br />
Il progetto “l’ospitalità dell’Abate” ha permesso alle diverse componenti scolastiche<br />
di affrontare un importante frammento della civiltà veronese, collocando sotto lente un<br />
aspetto peculiare: la mensa e l’ospitalità del tempo lontano in cui l’abbazia irradiava luce<br />
nel mondo circostante. L’armonico dispiegarsi di capacità, conoscenze, abilità e interessi,<br />
ha favorito la realizzazione, in una modalità corale, di un progetto che merita tutto il<br />
nostro apprezzamento.<br />
Siamo grati agli studenti del “<strong>Berti</strong>” perché, con la loro ricerca e il loro impegno, ci<br />
hanno permesso di gustare il variegato mondo dell’abbazia, elemento di primo piano<br />
della cultura della ricezione e dell’ospitalità.<br />
Prof. don Maurizio Viviani<br />
Direttore dell’Ufficio Scuola della Diocesi di Verona
L’ospitalità dell’Abate<br />
INTRODUZIONE<br />
di Ernesto Santi<br />
Un passato da riscoprire, così potremmo definire quello che nelle pagine che seguono<br />
viene riassunto. Quello benedettino, infatti, rappresenta un modello di organizzazione<br />
estremamente capillare, che va ad occupare la campagna e la rende fertile area di coltura<br />
e docile sistema produttivo in vista della trasformazione alimentare.<br />
Lo storico Luigi Salvatorelli (1886-1974), nel San Benedetto e l’Italia del suo tempo,<br />
stampato nel 1929, ha avuto il merito di restituire spessore alla figura di Benedetto da<br />
Norcia (480-543) non cedendo alla suggestione del miracoloso. Ne inscriveva invece la<br />
vicenda nel contesto di un periodo cruciale per il nostro Paese e l’intera Chiesa occidentale.<br />
Il messaggio di Benedetto è penetrato ovunque, anche qui, nell’Est veronese.<br />
L’Abbazia di San Pietro di Villanova, i monasteri benedettini che si sono sviluppati<br />
anche nel nostro territorio, tutti gli altri enti religiosi che, a partire dall’alto medioevo, si<br />
sono insediati tra le rive dell’Adige e dell’Alpone, hanno contribuito, con il loro apporto<br />
propositivo, a promuovere questa nostra terra.<br />
I capitoli che seguono vanno a confermare un’eredità che deve essere ulteriormente<br />
valorizzata, tutelata e promossa. L’Abbazia di San Pietro, la sua struttura, il suo retaggio<br />
storico, architettonico, artistico, l’impegno economico e di salvaguardia del territorio,<br />
sono frutto della presenza e del lavoro di questi monaci.<br />
La preghiera e il lavoro rappresentavano infatti lo specifico di tanti monasteri medievali<br />
ma c’era di fondo, tuttavia, in particolare presso i benedettini, un modo simbolico e<br />
concreto di approcciarsi all’ambiente e alle persone: l’accoglienza, come segno di fede e<br />
di civiltà, e la convivialità, che predisponeva all’agape fraterna e alla reciprocità umana.<br />
Ecco allora che lo spirituale che si respirava nei chiostri e nel lavoro ritmato dalla preghiera,<br />
s’innestava nella cultura enogastronomia locale e si andava a coniugare con i cibi<br />
e le tradizioni culinarie e con i prodotti tipici, in una mistica unione di sapori, di profumi,<br />
di essenze, di aromi. L’umanità ne veniva sublimata nella sua dimensione esistenziale<br />
quotidiana, e proprio nel cibarsi, nell’alimento, nel prodotto della terra, si rappacificava<br />
col creato. La persona e la natura diventavano un tutt’uno. Il cielo, la terra, l’acqua, gli<br />
elementi con cui l’uomo aveva un rapporto d’interdipendenza e con cui doveva fare<br />
i conti, a volte, in modo traumatico e calamitoso, potevano diventare lo spazio di un<br />
gioioso convivere. E il cibo rappresentava la sintesi di questa naturale e vitale esperienza<br />
che accomunava il senso del dovere, il valore della fatica, e il dono genuino e gratuito<br />
dei frutti della terra.<br />
Proprio a partire da tale sentimento agreste di virgiliana memoria, i monaci hanno<br />
sentito l’esigenza di promuovere una tradizione culinaria e vitivinicola proprie. Così è<br />
avvenuto anche per San Pietro di Villanova di San Bonifacio, come ci lasciano intendere<br />
i documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Verona che annotano le colture praticate<br />
e la tipologia dei prodotti raccolti.<br />
6
7<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Permettetemi un grido forte di fiducia e di speranza per quel bell’esempio di monastero<br />
rappresentato da San Giuliano di Lepia (Vago), ora ai margini di una nuova<br />
area edilizia. Lungo la strada romana Porcilana, ricco di una storia e di una tradizione<br />
ultracentenaria, con una chiesetta antica affrescata, internamente ed esternamente, ora<br />
giace, silente ed emarginato, in uno stato di degrado e di abbandono, dolente esempio di<br />
una civiltà che sembra assopirsi e scomparire. Contrariamente a San Pietro di Villanova,<br />
felicemente restaurato e ben conservato, qui regna l’abbandono. Il suo grido disperato,<br />
affinché non se ne faccia scempio, ci obbliga a ridestare la nostra coscienza per impedirne<br />
il definitivo tracollo. Qui le monache, con uno stuolo di servitori, praticavano la viticoltura<br />
e la cerealicoltura. Qui si è sopito il canto soave e claustrale, per lasciare posto al<br />
silenzio, o al tambureggiante rumore della “nuova” Porcilana. Anche questo monastero<br />
attende la nostra cura e la nostra attenzione.<br />
Grazie ai giovani dell’Istituto Alberghiero “A. <strong>Berti</strong>” di Soave che hanno sentito<br />
l’esigenza, insieme ai loro insegnanti, di rievocare questa storia e di farla propria, abbiamo<br />
in parte la possibilità di riviverla anche noi e di riappropriarcene.<br />
Ricostruire, riproporre, rivivere il clima, il senso, la scenografia di un’epoca, non ci<br />
riporta solamente indietro nel tempo: ci fa soprattutto assaporare il sottile legame che ci<br />
lega con chi ci ha preceduto, e ci fa sempre più comprendere quanto importante sia la<br />
sedimentazione culturale della nostra civiltà, che non è fatta solo di storia, arte, natura,<br />
politica, religione ma pure e soprattutto, del cibo di cui si nutre un popolo, perché la<br />
mensa è parte integrante della vita umana e segno tangibile di quanto ogni terra produce.<br />
I benedettini ci hanno insegnato che gli alimenti appartengono all’esistenza umana e ce<br />
ne hanno lasciato un valido esempio. Tutto ciò che viene dall’uomo degustato, dal cibo,<br />
alle erbe, al vino, ai liquori, alle essenze naturali più disparate, utili in campo officinale,<br />
fanno parte di un patrimonio irrinunciabile, così come nelle pagine seguenti, in forma<br />
sintetica ma incisiva, viene messo in luce. È la ricchezza di un patrimonio unico che<br />
emerge anche in questa breve carrellata, che offre più di una valido motivo per compiere<br />
un viaggio, non solo simbolico, alla scoperta dei monasteri dell’intero Est Veronese.
L’ospitalità dell’Abate<br />
UNA LETTERA DALL’ABBAZIA<br />
di Padre Edoardo (osb)<br />
Cari insegnanti e allievi dell’I.P.S.A.R. “A.<strong>Berti</strong>” di Soave,<br />
8<br />
Abbazia di Praglia, 22 marzo 2007<br />
la visita che quest’inverno avete fatto al monastero in cui vivo, mi ha<br />
dato l’opportunità di ragionare in modo più approfondito su un tema monastico, quale<br />
quello dell’ospitalità, che apparentemente potrebbe sembrare del tutto marginale. Le<br />
domande che mi avete rivolto in quel contesto, mi hanno stimolato a documentarmi<br />
meglio per arrivare a formulare in modo abbastanza organico, spero, il mio pensiero<br />
su tale argomento.<br />
Prima però di affrontare il tema dell’ospitalità monastica, lasciate che vi esprima tutta<br />
la mia ammirazione per l’impegno che tutti voi avete messo in questo lavoro; impegno<br />
dei docenti nell’aiutare, sostenere e incoraggiare gli studenti nei momenti di difficoltà;<br />
e impegno degli studenti nel lavoro di ricerca per trovare materiale da usare nello svolgimento<br />
del tema proposto.<br />
Un’altra precisazione che mi sembra doveroso fare riguarda l’ambiente monastico<br />
preso in considerazione. Il tema proposto non include tutto il periodo monastico che,<br />
come ben saprete, inizia in Egitto nel IV secolo dell’era cristiana, ma solo il monachesimo<br />
occidentale benedettino che muove i suoi primi passi nel periodo storico più buio<br />
e contorto della storia europea: il Medio Evo.<br />
Come dice il P. Gregorio Penco nel suo studio “Il monachesimo medievale” pubblicato<br />
nel 2002 dal monastero benedettino di Seregno: “Il monachesimo benedettino<br />
ha rivestito un importante ruolo nella storia dell’umanità occidentale; è ormai convinzione<br />
praticamente unanime o, meglio, un luogo comune della cultura generale che<br />
il monachesimo medievale abbia assunto una sua precisa caratterizzazione ed abbia<br />
rappresentato una componente fondamentale dell’intera società umana ed un elemento<br />
portante della medesima. Quel movimento monastico che, nell’antichità cristiana, era<br />
nato come fenomeno marginale e animato da una forte aspirazione all’isolamento, nel<br />
Medio Evo acquista infatti una sorta di onnipresenza che ne fa una struttura essenziale<br />
di tale epoca ed un punto di riferimento per moltissime altre istituzioni. A poco a poco<br />
tutti gli aspetti della vita dell’uomo (sociale, economico, culturale, politico) vengono<br />
ad essere fortemente condizionati da quel movimento che non può più essere ignorato<br />
da nessuno; ne costituiscono una diramazione nelle direzioni più diverse; ne subiscono<br />
gli influssi più svariati di cui ci parlano ancora numerose testimonianze storiche e<br />
documentaristiche. Naturalmente accanto al monachesimo esistevano e agivano tante<br />
altre componenti, sia religiose che civili, ma erano i centri monastici a proporre una
9<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
visione della vita che per secoli, ben oltre l’ambito claustrale, sarebbe stata patrimonio<br />
comune di tutta la società.<br />
Nell’incertezza (o nell’assenza) di tante istituzioni rese precarie dagli sconvolgimenti<br />
causati dalla fine del mondo antico, il monachesimo venne a costituire<br />
innanzitutto un fattore di continuità per il suo radicamento nel territorio, la stabilità<br />
dei monaci prevista dalla Regola di san Benedetto, la perpetuità dell’ufficio abbaziale,<br />
la capacità di costituire attorno ai centri monastici dei nuclei aggreganti di famiglie e<br />
di lavoratori. Ne derivò l’esercizio di una quantità imprecisata di supplenze nei settori<br />
più diversi, con l’istituzione di scuole e di ospedali, con la cura pastorale delle popolazioni,<br />
con la manutenzione di strade e di ponti che assicuravano i collegamenti fra<br />
ambienti diversi e lontani.”<br />
L’ospitalità è stata sempre uno degli argomenti portanti di tutto lo stile di vita monastico.<br />
Da sempre i monaci hanno praticato l’accoglienza del forestiero e, dal mio personale<br />
punto di vista, solo nell’ospitalità si può trasmettere, sia con le parole, ma specialmente<br />
nei gesti e nelle attenzioni, un modo di concepire la vita che non sia solo utilitaristico<br />
e formale; a tale proposito san Benedetto, nella “Regola” inserisce un intero capitolo,<br />
il 53°, sull’accoglienza degli ospiti. Questo lungo capitolo può essere diviso in quattro<br />
parti. Prima di tutto il legislatore presenta coloro che fruiscono dell’ospitalità monastica<br />
e descrive poi il cerimoniale usato nell’accoglienza dell’ospite. Prevede quindi<br />
certi particolari dell’organizzazione claustrale che sono in relazione con l’ospitalità e,<br />
infine, bada che il raccoglimento del monastero non sia mai turbato dalla presenza degli<br />
ospiti. La chiave di lettura necessaria per capire quale sia il criterio con cui si accolgono<br />
gli ospiti nel monastero è molto bene espressa all’inizio del suddetto capitolo 53,<br />
che proprio al primo versetto recita testualmente: “Tutti gli ospiti che sopravvengono<br />
[al monastero] siano accolti come Cristo perchè lui stesso dirà: Sono stato ospite e mi<br />
avete accolto.” Non si pratica dunque l’ospitalità soltanto per un atto di filantropia o di<br />
cortesia mondana o per il pensiero della popolarità o dell’influenza, ma per la convinzione<br />
che nella persona dell’ospite viene ricevuto Cristo stesso. Praticata fin dai tempi<br />
più remoti dell’umanità, specialmente in oriente, l’ospitalità viene menzionata anche<br />
dai più antichi documenti della letteratura cristiana in cui troviamo pure le misure di<br />
prudenza di cui essa doveva circondarsi in un mondo pagano. Inoltre nel VI secolo<br />
(periodo in cui S. Benedetto si muove) gli alberghi erano rari e spesso non esistevano<br />
nemmeno strade; non è quindi difficile reperire, nella letteratura dell’epoca, descrizioni<br />
delle disavventure che potevano capitare a chi viaggiava ed era sorpreso dalla notte.<br />
I monasteri, sorgendo quasi sempre in luoghi solitari, permettevano di poter trovare un<br />
luogo abbastanza sicuro per rifugiarsi.<br />
Ora voi potrete dirmi: «Bene! È stato detto “tutti gli ospiti” quindi se ne deduce<br />
che per principio non si doveva escludere nessuno perchè il motivo dell’ospitalità, così<br />
come viene citato da Benedetto, vale per tutti. Ma è così anche oggi?».
L’ospitalità dell’Abate<br />
A questa domanda posso rispondere, che di per sé e in linea di principio, il precetto<br />
dell’accoglienza vale anche oggi allo stesso modo, anche se oggigiorno la maggiore<br />
facilità di spostamento e la possibilità di poter trovare degli alberghi permette ai monaci<br />
di poter fare una piccola scelta chiudendo la porta alle persone “manifestamente<br />
sospette”. Questo primo discernimento San Benedetto lo affida al portinaio del monastero<br />
che – dice – debba essere un “vecchio saggio”, cioè una persona capace di valutare<br />
a volte molto velocemente la situazione e comportarsi di conseguenza senza però<br />
mai essere sgarbato o offensivo e rivolgendo sempre a colui che bussa alla porta del<br />
monastero una buona parola. L’ospitalità non è parte essenziale delle vita benedettina,<br />
ma solo integrale, suscettibile perciò di essere adattata alle circostanze, proporzionata<br />
alle risorse, calcolata secondo le regole della prudenza e infine subordinata alle leggi<br />
più alte della vita monastica. Per tale motivo i vari monasteri hanno potuto accogliere<br />
questa norma della “Regola” nel modo che più si adatta alle loro esigenze e/o possibilità.<br />
Per quanto riguarda invece la tipologia di persone che si avvicinano al monastero<br />
cercando ospitalità posso dire che non c’è una figura di ospite ben precisa a meno che<br />
il monastero non decida di ospitare solo e solamente un cetro tipo di persone. Tuttavia<br />
oggi la maggioranza di coloro che cercano ospitalità al monastero presentano un<br />
atteggiamento molte volte palesemente “da turista curioso”, e si comportano come se<br />
visitassero un museo o meglio uno zoo.<br />
Legato al mondo dell’ospitalità e quindi dell’accoglienza c’è evidentemente il problema<br />
della cucina. È tradizione immemorabile che il monaco si nutra in modo sobrio,<br />
praticando una alimentazione di tipo “penitenziale” e quindi destinata a “raffreddare<br />
il corpo”. Il vero nutrimento che il monaco viene stimolato a cercare è quello dello<br />
spirito. Tuttavia la carità vale ben più del digiuno e perchè l’ospite non resti intimidito<br />
se il suo commensale non consente che a prendere pochissimo cibo, la Regola prevede<br />
che il superiore rompa il digiuno regolare in quei tempi in cui esso è meno severo. Del<br />
resto l’eccezione del digiuno regolare non riguarda che gli ospiti e il superiore. Gli altri<br />
fratelli resteranno fedeli agli usi che riguardano il digiuno in modo che a causa degli<br />
ospiti non si introduca mai rilassamento nel monastero.<br />
La cucina prevede poi l’approvigionamento degli alimenti. Questa è oggi pure una<br />
questione molto combattuta. Ogni monastero dovrebbe riuscire a produrre da sé quegli<br />
alimenti che ordinariamente occorrono per l’alimentazione quotidiana dei monaci.<br />
Questa regola dipende molto dalle condizioni socio-politico-economiche in cui il<br />
monastero si trova a vivere. Le leggi vigenti nelle varie regioni del mondo influenzano<br />
moltissimo questo argomento. Vi posso dire che nel monastero in cui vivo ancora<br />
si riesce a coltivare l’orto; ci gloriamo di poter dire che la verdura servita a tavola,<br />
durante l’estate e parte dell’inverno, cotta o cruda, è stata coltivata da noi; ma se poi<br />
facciamo bene i conti e valutiamo quanto ci è venuta a costare la coltivazione dell’orto<br />
e facciamo il paragone con il prezzo della verdura al mercato, scopriamo subito che,<br />
stando alle cifre, non ne varrebbe assolutamente la pena di fare tutta quella fatica.<br />
10
11<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Questo ragionamento però non ha validità generale e per quei monasteri che si trovano<br />
in altre regioni del mondo con diverse condizioni sociali o politiche può non funzionare.<br />
I monaci non sono degli uomini che vivono fuori dal mondo e in una dimensione<br />
di favola. I monaci sono persone come tutte le altre, persone che avvertono il caldo<br />
e il freddo, la gioia e il dolore, persone che hanno fatto una particolare scelta di vita,<br />
una delle tante scelte che la vita propone a ognuno di noi. Non si pensi che il monaco<br />
sia colui che ha doti particolari. Il cammino verso la santità non è monopolio soltanto<br />
di pochi eletti. Non vedo molta differenza fra la vocazione monastica e la vocazione<br />
al matrimonio o la vocazione a svolgere una particolare professione o a portare avanti<br />
un certo tipo di impegni. La vita è difficile per tutti e non ci sono corsie privilegiate...<br />
Soltanto se la paura per le sicurezze che uno lascia non è così forte da fargli temere per<br />
il futuro, l’uomo è pronto a fare una scelta importante per la propria vita.<br />
Padre Edoardo (osb)
L’ospitalità dell’Abate<br />
A SCUOLA DAI MONACI BENEDETTINI<br />
di Stefano Frighetto<br />
Quando sulle antiche vie sterrate e silenziose delle nostre campagne e colline si incrociavano<br />
mercanti e pellegrini, contadini e viandanti di una varia umanità che viveva<br />
di un’essenzialità che è per noi oggi quasi paradossale, radi e indispensabili sorgevano<br />
nei crocevia i luoghi agognati del riposo e del ristoro.<br />
Era quella l’umanità della lentezza e del silenzio.<br />
Il tratturo antichissimo che univa Vicenza a Verona, frammento della via Postumia,<br />
oggi divenuto arteria poderosa di un’economia arrembante che non ha tempo per fermare<br />
l’occhio sui grandi prativi che ancora resistono alla logica del capannone, né sulla nebbia<br />
mattutina che avvolge i gelsi a bordo strada, o sul verde immenso dell’erbe dopo le piogge,<br />
ebbene, questa strada, poteva essere attraversata per lunghi tratti a piedi in un giorno<br />
d’inverno senza incontrare nessuno che si opponesse al proprio lento andare. Paradossale,<br />
appunto, a noi, popolo dell’auto dal parcheggio comodo e dell’odiato ingorgo.<br />
Era quella l’umanità della pazienza e della fede. Rarissime, in verità, le locande<br />
nell’est veronese, almeno fino all’epoca cosiddetta “moderna”, ossia, diciamo dal XVI<br />
secolo in avanti. Sino ad allora, sicuri ed accoglienti nella povertà, i monasteri offrivano<br />
il desiderato riposo ai viaggiatori e ai pellegrini.<br />
Bello e solitario nelle sue mura romaniche,<br />
il monastero di Villanova di San Bonifacio, ad<br />
esempio, è l’impronta di un mondo e di una<br />
società che non c’è più. In esso, come in altri<br />
conventi disseminati sull’arteria ovest-est del<br />
Veneto, i monaci fornivano asilo con i mezzi e<br />
le competenze che li contraddistinguevano, con<br />
i prodotti da essi stessi realizzati, nella capacità<br />
storica di incidere con la loro operosa esperienza<br />
L'Abbazia di Villanova, San Bonifacio.<br />
nel tessuto civile del territorio. Si sono dunque<br />
anche qui in Villanova succeduti, negli anni, i padri contadini ed agronomi che, come in<br />
numerosissime altre campagne d’Europa, hanno contribuito a trasformare le terre spesso<br />
incolte, paludose e inospitali, in luoghi dove l’uomo poteva trarre il proprio sostentamento<br />
secondo le tecniche più proficue dell’agricoltura e dell’agrimensura.<br />
Ma dell’ospitalità, appunto, si diceva. Per secoli, chi ha bussato al portone di Villanova<br />
come ancora oggi accade nella poco distante Praglia, ha trovato l’accoglienza<br />
competente di chi offriva ciò che possedeva, nella frugalità e nell’amore di un luogo di<br />
lavoro e di preghiera.<br />
Dobbiamo considerare dunque i monaci benedettini come “proto-albergatori” di<br />
un’epoca lontana? No di certo. O meglio, non proprio. Distante è lo spirito dell’accoglienza<br />
e dell’ospitalità che ogni monastero era tenuto ad offrire al viandante rispetto ai<br />
12
13<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
moderni hotel ed alberghi. Da sempre è la regola stessa voluta da San Benedetto da Norcia<br />
a fissare le modalità dell’asilo offerto al viandante, indipendentemente dal suo censo,<br />
dalla sua reputazione e dalle ragioni che fin lì l’hanno spinto. Egli viene accolto come<br />
alter Cristum e come tale assistito in tutto ciò di cui necessita: dalle pulizie personali alle<br />
eventuali medicazioni, dal vestiario al cibo, dal giaciglio sul quale riposare alle informazioni<br />
per il prosieguo del viaggio. Su tutto, poi, prevale una modalità d’assistenza che<br />
oggi risulta scandaloso il solo pronunciarne il nome: la gratuità.<br />
È proprio relativamente a questo spirito di donazione e a queste competenze di servizio<br />
che nel presente anno scolastico gli alunni della nostra scuola si sono informati e<br />
hanno svolto molteplici esperienze didattiche. Chi ha lavorato alla ricerca storica intorno<br />
all’abbazia di Villanova e agli altri siti di accoglienza religiosa del veronese, chi ha approfondito<br />
le proprie competenze sulle peculiarità dell’ospitalità benedettina, chi ha rivolto<br />
lo sguardo su un altro settore distintivo dell’alta competenza scientifica dei monaci<br />
come quello dell’erboristeria e dello studio delle piante officinali.<br />
Il presente <strong>opuscolo</strong>, pertanto, lungi dall’avere la qualsivoglia presunzione di esaustività<br />
storica o scientifica, intende piuttosto raccogliere una sintesi, per quanto talvolta<br />
rapsodica, per quanto sommaria, di quanto è stato svolto dalle classi seconde e terze del<br />
nostro istituto alberghiero nel corso dell’anno scolastico 2006/2007 relativamente ad un<br />
progetto pluridisciplinare e complesso come quello sull’accoglienza presso i monasteri<br />
benedettini. Si è cercato di riunire qui e dare forma alla varietà delle attività svolte a<br />
scuola e fuori da essa da alunni ed insegnanti, che hanno portato gli uni e gli altri a<br />
specializzarsi sugli ambiti ricettivi di un settore che trova oggi un rinnovato impulso nel<br />
turismo religioso e in quelle forme di vacanza “alternative” di carattere più propriamente<br />
spirituale che si contrappongono alla forma classica di svago “spensierato”.<br />
Il testo si apre dunque con l’addentrarsi nella peculiarità del tema dell’accoglienza<br />
religiosa, in generale, e di quella benedettina di ieri e di oggi, più in particolare.<br />
Un passaggio doveroso viene fatto sulla cucina e sul significato della regola del “mangiare”<br />
presso il monastero, con i suoi ritmi e le sue indicazioni antiche e moderne riguardanti<br />
la consumazione dei pasti. Si tratta, certamente, di una cucina povera ed essenziale.<br />
Qui, più che la qualità della mensa, conta la modalità della sua somministrazione e il<br />
significato del nutrirsi nel corpo, aspetto del vivere quotidiano certamente necessario<br />
ma comunque considerato dai religiosi di gran lunga secondario rispetto alle necessità di<br />
nutrimento dello spirito e della mente.<br />
Dopo una breve disamina storica sull’abbazia di Villanova e sugli antichi cenobi<br />
viciniori per lo più scomparsi o di cui rimane solo una vaga traccia, si trova un accenno<br />
sui prodotti che da secoli si realizzano nei monasteri o che, comunque, sono stati per la<br />
prima volta sperimentati in tali luoghi attraverso l’invenzione di bevande e cibi tramite<br />
lo sfruttamento del surplus: vini, birre, liquori, distillati sono tutti prodotti che hanno<br />
distinto molti monasteri europei rispetto agli altri.
L’ospitalità dell’Abate<br />
In appendice, quale completamento di un percorso che tuttavia qui si fa più laterale<br />
ma non meno importante, si è inserito lo studio delle erbe medicinali e delle proprietà<br />
medicamentose delle stesse. Anche in questo i monaci benedettini furono maestri, dando<br />
inizio, nelle epoche più oscure della scienza, alla preziosa arte della farmacopea.<br />
Segue un omaggio ad un religioso che non fu benedettino ma che ha ricoperto un<br />
ruolo molto importante nella vita della vicina montagna della Lessinia e che, non meno<br />
“benedettino” nel suo atteggiamento umano e nelle sue competenze scientifiche degli<br />
stessi monaci, ha operato per anni nella catalogazione di piante e fiori e nella ricerca<br />
erboristica, aiutando e consigliando per decenni i suoi parrocchiani nonché tutti coloro<br />
che a lui accorressero: Don Luigi Zocca, il prete di Sprea.<br />
Il testo si chiude quindi con una proposta di itinerario turistico-religioso in Umbria,<br />
regione che ha dato i natali a San Benedetto e che ha visto in Assisi l’inizio dell’avventura<br />
monastica francescana.<br />
In questo progetto, insomma, si è trattato di trovare i tempi e le modalità per andare a<br />
scuola per un po’ dai monaci benedettini, non solo per carpire da essi utilitaristici consigli<br />
riguardanti uno “stile” nell’accoglienza alberghiera nel solco di una moda passeggera<br />
dell’”andar per santuari”, ma per riscoprire una storia e una cultura preziose e antiche.<br />
Si è trattato di un vero e proprio incontro con una filosofia di vita che, indipendentemente<br />
dal credo religioso che ognuno di noi manifesti o meno, ha portato noi tutti, alunni ed<br />
insegnanti, a confrontarci con una dimensione esistenziale quanto mai dissonante con le<br />
priorità che la nostra società attuale si pone, sommersa quest’ultima in una corsa al “fare”<br />
senza tregua e in una costante ansia di apparire.<br />
Di questo, siamo convinti, la scuola debba oggi più che mai occuparsi: cercare sempre<br />
più di far incontrare il bisogno di una specializzazione professionale e di una preparazione<br />
culturale solida con occasioni di riflessione sulla propria vita e sul senso dell’agire<br />
umano, affinché sia possibile veramente “formare” gli individui nel senso più pieno del<br />
termine e non, semplicemente, “informare”.<br />
14
ORIGINI E CARATTERI<br />
DEL MONACHESIMO BENEDETTINO<br />
a cura della classe 2^ Dso<br />
15<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
I primi monaci cristiani furono degli egiziani che si ritirarono a vivere nel deserto,<br />
sia per il desiderio di praticare più liberamente le norme della vita evangelica, sia per<br />
trovare nell’eremitismo (dal greco eremìtes: solitario) e nell’ anacoretismo (dal greco<br />
anacoretès: ritirato) la forma penitenziale sostitutiva del martirio. Loro padri spirituali<br />
furono l’eremita Paolo di Tebe e l’anacoreta sant’Antonio Abate. Il ritiro di Paolo nel<br />
deserto non ebbe imitatori; quello dell’egiziano Antonio suscitò, invece, l’entusiasmo<br />
di grandi folle di discepoli che lo seguirono, scegliendo di vivere anch’essi isolati o in<br />
piccoli gruppi.<br />
Ben presto da questi gruppi di uomini si formarono vere colonie di eremiti. Con esse,<br />
pur presupponendo una vita solitaria, si diede inizio ad una certa forma di vita in comune:<br />
il cenobitismo.<br />
La vita monastica organizzata giunse a fioritura, in Occidente, in epoca più tarda che<br />
in Oriente e fino alla grande diffusione della regola benedettina rimase, anzi, un fenomeno<br />
piuttosto isolato. Infatti, le prime grandi organizzazioni monastiche si ebbero tra<br />
il VI e il VII sec. nei paesi di cultura celtica. Tipiche del monachesimo occidentale sono<br />
le abbazie e i monasteri, che nel Medioevo divennero luogo di ritiro per gli studiosi e<br />
costituirono i centri principali della pietà e del sapere cristiani.<br />
San Benedetto da Norcia.<br />
San Benedetto, fondatore del monastero di Montecassino e legislatore del monachesimo<br />
d’Occidente, nasce a Norcia verso il 480 da una famiglia patrizia.<br />
Compiuti i primi studi, va a Roma; disgustato dal dilagante malcostume, abbandona<br />
tutto e si ritira tra le rupi di Subiaco dove inizia a condurre una vita eremitica “soli Deo<br />
piacere cupiens”.<br />
Attirati dalla sua vita santa, alcuni monaci, dimoranti nei dintorni, lo richiedono<br />
come maestro: Benedetto accetta, ma allorché cercherà di correggere la loro condotta<br />
non troppo esemplare, ecco che attentano alla sua vita con una coppa contenente veleno,<br />
che egli tuttavia si dice abbia infranto con un segno di croce.<br />
Dopo aver costituito dodici piccoli monasteri, S. Benedetto lascia Subiaco e si dirige<br />
verso sud, accompagnato da alcuni discepoli: non si conoscono le ragioni della scelta del<br />
monte “a cui Cassino è nella costa”, ma si ipotizza il concorso di qualche benefattore<br />
patrizio.<br />
Anche sulla cima del monte, dove c’era un boschetto pagano, viene elevato un piccolo<br />
oratorio in onore di S. Giovanni Battista, destinato ad area cimiteriale: ancora oggi è<br />
il luogo venerando del sepolcro di S. Benedetto e di sua sorella.<br />
S. Benedetto unisce al lavoro l’annuncio del Vangelo alle popolazioni della sottostante<br />
pianura: questa missione è ancora oggi affidata alla responsabilità della comunità mo-
L’ospitalità dell’Abate<br />
nastica, sicché la città di Cassino e i 20 comuni<br />
circostanti rientrano nella giurisdizione pastorale<br />
dell’abate di Montecassino.<br />
Sempre a Montecassino il grande Patriarca,<br />
vicino ai settanta anni, chiuderà la sua esistenza<br />
terrena: poco prima della morte, sentendo venire<br />
meno le forze, si farà portare nell’oratorio di<br />
S. Martino e lì, con le braccia al cielo, dopo aver<br />
Veduta dell'Abbazia di Montecassino.<br />
ricevuto il Corpo del Signore, si spegnerà: la data<br />
della morte è dalla tradizione fissata al 21 marzo<br />
del 547. S. Benedetto, già Patrono degli Ingegneri, degli Speleologi e dell’Opera della<br />
Bonifica, da papa Paolo VI, proprio a Montecassino il 24 ottobre 1964, è stato proclamato<br />
Patrono Principale d’Europa, perchè “messaggero di pace, operatore d’unità, maestro<br />
di civiltà e soprattutto araldo della fede e iniziatore della vita monastica in Occidente”.<br />
L’ “ora et labora”.<br />
S. Benedetto scrisse la Regola a Montecassino in un periodo databile dal 530 al 550.<br />
È certo che è stata una gestazione lenta, opera di un uomo pratico e spirituale, frutto delle<br />
sue convinzioni profonde, delle sue letture, della sua esperienza di monaco e di abate.<br />
Benedetto non vuole essere un innovatore riguardo ai principi ascetici e mistici: venera<br />
e segue tutta la tradizione monastica precedente. Notiamo nella Regola la profonda<br />
umanità fatta di equilibrio e discrezione e insiste sulla disciplina interiore e va diritto<br />
alla ricerca di Dio, l’Opus Dei, l’umiltà, l’obbedienza. Ecco quindi lo spirito nuovo che<br />
Benedetto immette nella Regola; per questo fu tanto stimata nell’Occidente e col tempo<br />
ritenuta degna di imporsi su tutte le precedenti. Egli voleva fissare nello scritto delle norme<br />
per i suoi monaci di Montecassino, di Terracina e forse anche di Roma e Subiaco, ma<br />
poi anche altri abati d’Italia hanno adottato il suo scritto. La Regola si diffuse presto in<br />
tutta Europa ed è un testo legislativo e spirituale che metteva in risalto la vita cenobitica<br />
e esaltava i lavori manuali. Inoltre, i monaci non potevano avere proprietà personali e le<br />
conversazioni superflue erano proibite.<br />
I monasteri quali centri di vita economica e culturale.<br />
L’organizzazione benedettina fece sì che i monasteri fossero non solo centri di vita<br />
religiosa, ma anche centri di vita economica e culturale.<br />
La valorizzazione del lavoro, considerato come mezzo di elevazione dello spirito<br />
e perciò imposto a tutti come un dovere, portò ad una ripresa della bonifica del suolo<br />
e del lavoro dei campi in tempi in cui gran parte dell’Europa occidentale era incolta e<br />
spopolata.<br />
Ancora oggi nei monasteri benedettini assistiamo a diverse attività. Ne citiamo alcune:<br />
il lavoro della ceramica e dell’oreficeria, la fabbricazione di succhi di frutta, la<br />
rilegatura di libri, laboratori di restauro di manoscritti e di libri antichi, ecc...<br />
16
17<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Un altro importante contributo alla civiltà europea fu offerto dai monaci con la paziente<br />
trascrizione degli antichi scrittori. Si copiava soprattutto la Bibbia ed i testi dei<br />
grandi autori cristiani, ma anche storici, poeti, naturalisti ed autori di ogni genere del<br />
mondo antico, trovarono ospitalità nelle biblioteche monastiche. Quello che il mondo<br />
moderno conosce della letteratura antica è dovuto in maniera quasi esclusiva all’opera di<br />
umili ed anonimi amanuensi.<br />
L’alto valore che i monaci attribuivano all’ospitalità (l’ospite è “come Cristo” secondo<br />
le parole della Regola) fece sì che i monasteri divenissero un punto di riferimento<br />
sicuro per i pellegrini o per i vari viaggiatori che vi trovavano aiuto e protezione.<br />
LA STRUTTURA DELLE ABBAZIE<br />
Benedetto, diffusore del monachesimo cenobitico, dà importanza alla realizzazione<br />
del monastero come Città di Dio, nella quale il monaco trova l’ambiente ideale per la sua<br />
crescita spirituale. Ogni abbazia va vista come testimonianza dell’esperienza monastica<br />
e tutta la sua struttura deve aiutare il monaco ad amare Dio e ad incontrarlo nella vita<br />
quotidiana.<br />
L’Infermeria ed il Giardino dei Semplici.<br />
L’infermeria era un edificio separato dedicato ad ospitare i monaci malati o deboli<br />
che erano affidati ad un monaco-medico. Era dotata di un orto per la coltivazioni delle<br />
erbe medicinali: il cosiddetto Giardino dei Semplici. Spesso questo era posto vicino al<br />
dormitorio.<br />
I Gabinetti.<br />
I gabinetti erano separati dagli edifici principali ed erano raggiungibili percorrendo<br />
un corridoio. Erano sempre disposti con grande cura verso l’igiene e la pulizia e forniti<br />
di acqua corrente ogni volta che era possibile.<br />
Pianta dell’abbazia di Montecassino
L’ospitalità dell’Abate<br />
Le Scuole<br />
Molti monasteri avevano scuole esterne per gli oblati, ragazzi destinati dai loro genitori<br />
alla vita monastica. In anni recenti alcuni monasteri hanno istituito anche scuole e<br />
collegi aperti a giovani che non hanno la chiamata religiosa.<br />
Il Noviziato<br />
I novizi, non essendo ancora parte della comunità, non avevano il diritto di frequentare<br />
la zona di clausura. Avevano un posto nel coro durante gli Uffici Divini, ma<br />
trascorrevano il resto del tempo nel noviziato. Un monaco anziano, il prefetto dei novizi,<br />
li istruiva nei principi della vita religiosa e li sorvegliava. Il periodo di prova durava<br />
una settimana. I noviziati più grandi avevano propri dormitori, cucine, refettori, sale di<br />
lavoro ed anche chiostri.<br />
L’Azienda Agricola<br />
Le aziende agricole sono intese dalla regola da un lato come un’occasione di lavoro,<br />
dall’altro come un mezzo di conservazione che assicurava al monastero l’autonomia<br />
alimentare.<br />
Pur mantenendosi ben curata ed ordinata, oggi, l’attività agricola, non ha più l’importanza<br />
dei secoli passati, quando la terra costituiva l’elemento quasi esclusivo della<br />
ricchezza monastica. Oggi la funzione della tenuta monastica, dove pure essa esiste, è<br />
quella di permettere al monastero di trarne, almeno in parte, i prodotti necessari al proprio<br />
sostentamento.<br />
Magazzini e Laboratori<br />
Nessun monastero era completo senza le sue dispense per conservare il cibo. C’erano,<br />
inoltre, granai, cantine,... tutto posto, insieme agli edifici delle fattorie, sotto la tutela<br />
del monaco cellaio.<br />
I RUOLI DEI MONACI<br />
L’Abate<br />
L’autorità massima del monastero è nelle mani dell’Abate che può avere alle sue<br />
dirette dipendenze un priore ed un sotto-priore.<br />
Il Priore<br />
Il priore è il vice dell’abate che, tra l’altro, lo sostituisce durante le sue assenze.<br />
Se necessario può essere coadiuvato da un sotto-priore.<br />
Il Cantore<br />
Il cantore si occupa dei canti durante i servizi divini. Suo assistente è uno dei tre monaci<br />
che conserva le chiavi del monastero. Tra gli altri suoi compiti c’è l’istruzione dei<br />
novizi, l’opera di libraio ed archivista e, quindi, la responsabilità della conservazione dei<br />
libri e di fornire i monaci con quelli necessari per le orazioni. Il Cantore doveva occupar-<br />
18
19<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
si anche della preparazione di brevi biografie dei monaci morti che poi venivano portati<br />
di convento in convento per dar notizia di chi era venuto a mancare.<br />
Il Portinaio<br />
Il portinaio è il monaco responsabile dell’ingresso e dell’uscita dal monastero.<br />
Il Sacrestano<br />
Il sacrestano è incaricato di curare la Chiesa insieme con il suo arredo ed i paramenti<br />
sacri. Oltre a mantenere tutto in ordine e pulito e preparare la Chiesa per le funzioni (ad<br />
es. accendendo le candele), tra le altre sue responsabilità c’è anche l’illuminazione interna<br />
al monastero e per questo in passato controllava la costruzione di candele e del cotone<br />
necessario per i malati.<br />
Al fine di non lasciare la Chiesa incustodita, mangiava e dormiva in appositi locali<br />
nei suoi pressi.<br />
Il suo assistente principale era il revestarius, che si occupava dei paramenti sacri e<br />
degli arredi dell’altare. Un altro era il tesoriere incaricato di reliquari, vasi sacri...<br />
Il Cellaro<br />
Il cellaro si occupa del cibo e della sua conservazione. In caso di necessità è esentato<br />
dalla partecipazione ai cori. Tra le sue incombenze c’è anche la scelta degli inservienti<br />
laici di servizio in refettorio. In passato era incaricato anche della legna, il trasporto di<br />
materiali (non solo cibo), la manutenzione degli edifici. Suo aiutante è il vice-cellaro e,<br />
nel forno, il granatorius che si assicura della qualità delle granaglie.<br />
Il Refettorista<br />
Il refettorista è incaricato di curare il refettorio, assicurare la pulizia dei luoghi, degli<br />
arredi e delle posate. Si occupa anche del lavandino, delle relative tovaglie e, quando<br />
necessario, dell’acqua calda.<br />
Il Cuciniere<br />
Il cuciniere ha la grande responsabilità di fare le porzioni ed evitare sprechi. Fra i suoi<br />
collaboratori ce n’é uno che si occupa degli acquisti all’esterno.<br />
Fra gli altri compiti del cuciniere c’è il mantenimento di un registro delle spese e di<br />
un inventario dei beni a sua disposizione da illustrare settimanalmente all’Abate. È anche<br />
responsabile della pulizia delle posate e dei locali.<br />
Per i suoi impegni è spesso esentato dai cori.<br />
I frati che servono nel refettorio in turni settimanali sono sotto i suoi ordini. A conclusione<br />
dei loro turni, la domenica sera lavano i piedi ai confratelli.<br />
L’Infermiere<br />
L’infermiere doveva curare amorevolmente deboli e malati e, quando necessario, era<br />
esentato dalla partecipazione alle funzioni comuni. Dormiva sempre nell’infermeria, anche<br />
quando non c’erano malati, così da essere sempre reperibile in caso di emergenza.
L’ospitalità dell’Abate<br />
L’Elemosiniere<br />
L’elemosiniere era incaricato di distribuire le elemosine, in cibo e vestiti, con spirito<br />
di carità e discrezione.<br />
Il Maestro degli Ospiti<br />
Nel Medioevo l’ospitalità verso i viaggiatori da parte dei monasteri era così frequente<br />
che il maestro degli ospiti richiedeva grande tatto, prudenza e discrezione, così come<br />
affabilità, poiché la reputazione del monastero era nelle sue mani. Suo primo dovere era<br />
di assicurarsi che i locali fossero sempre pronti per riceverli, che proprio lui doveva accogliere,<br />
secondo quanto espresso dalla Regola. Durante la loro permanenza, egli doveva<br />
inoltre sopperire alle loro necessità, intrattenerli, condurli in chiesa per assistere alle<br />
funzioni ed essere sempre a loro disposizione.<br />
Il Maestro dei Novizi<br />
Il maestro dei novizi era uno dei monaci più importanti. Nella chiesa, nel refettorio,<br />
nei chiostro o nel dormitorio sorvegliava i novizi e trascorreva il giorno ammaestrandoli<br />
e facendoli esercitare sulle regole e le pratiche tradizionali della vita religiosa, incoraggiando<br />
ed aiutando chi dimostrava una reale vocazione.<br />
ll Settimanale<br />
Il settimanale era incaricato di cominciare tutte le Ore canoniche, dare le benedizioni<br />
richieste e cantare nella messa solenne celebrata giornalmente. I servizi settimanali<br />
includevano, oltre a quelli già ricordati, quello del lettore nel refettorio, che era incoraggiato<br />
a prepararsi bene al fine di evitare errori durante l’ufficio. C’era anche l’antifono<br />
il cui dovere era di intonare la prima antifona dei salmi e guidare la recitazione delle<br />
funzioni.<br />
LA GIORNATA DEL MONACO<br />
Prima dell’alba il monaco si alza al suono della campana e si reca in chiesa per la<br />
recita dell’ufficio. Dopo una frugale colazione, inizia il lavoro giornaliero che non si<br />
interrompe più sino alla messa conventuale, centro di tutta l’ufficiatura e punto culminante<br />
della vita monastica.<br />
La campana dell’angelus ricorda l’ora del pranzo: nel refettorio l’Abate benedice<br />
la mensa ed il lettore che, come vuole la regola, leggerà un brano di Santa Scrittura<br />
durante il pasto.<br />
Dalla lettura ad alta voce deriva naturalmente la legge del silenzio per evitare ogni<br />
diminuzione di raccoglimento.<br />
A tavola, a turni settimanali, i monaci si servono a vicenda mentre uno di essi legge<br />
la Sacra Scrittura.<br />
Dopo il pranzo c’è un’ora di ricreazione comune. Pare che la ricreazione attuale dei<br />
monasteri benedettini non risalga alle origini dell’istituzione monastica, sebbene la Regola<br />
di San Benedetto assegnasse già ai monaci qualche momento al giorno per lo scam-<br />
20
21<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
bio delle parole necessarie: comunque, dal IX secolo, la ricreazione è ammessa ovunque<br />
ed attualmente avviene due volte al giorno, a mezzogiorno ed alla sera.<br />
Al termine della ricreazione i monaci ritornano al loro lavoro.<br />
La campana della cena riunisce di nuovo la comunità monastica per un pasto rapido<br />
e frugale, seguito da una breve ricreazione. Quindi il monastero si immerge nel silenzio:<br />
è l’ora di compieta, la preghiera della sera, l’ultimo atto della giornata del monaco.<br />
L’ Abate benedice i monaci e, dopo qualche altra preghiera per i morti o alla Vergine,<br />
tutto tace.<br />
La lunga ed operosa giornata del monaco è chiusa.<br />
Da compieta all’indomani mattina, finito l’ufficio notturno, nessuno può rompere il<br />
silenzio senza un grave motivo.<br />
Sitografia:<br />
www.geocities.com<br />
www.enrosadira.it<br />
www.augustea.it<br />
www.digilander.libero.it<br />
www.camaldoli.it<br />
www.medioevoininumbria.it
L’ospitalità dell’Abate<br />
“SANTA REGOLA” DI S. BENEDETTO<br />
“Capitolo LIII - L’accoglienza degli ospiti<br />
Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo,<br />
poiché un giorno egli dirà: “Sono stato ospite e mi avete accolto”<br />
e a tutti si renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri confratelli<br />
e ai pellegrini.<br />
Quindi, appena viene annunciato l’arrivo di un ospite, il superiore<br />
e i monaci gli vadano incontro, manifestandogli in tutti i modi il loro<br />
amore; per prima cosa preghino insieme e poi entrino in comunione con<br />
lui, scambiandosi la pace. Questo bacio di pace non dev’essere offerto<br />
prima della preghiera per evitare le illusioni diaboliche.<br />
Nel saluto medesimo si dimostri già una profonda umiltà verso gli<br />
ospiti in arrivo o in partenza, adorando in loro, con il capo chino o il<br />
corpo prostrato a terra, lo stesso Cristo, che così viene accolto nella<br />
comunità.<br />
Dopo questo primo ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare<br />
e poi il superiore o un monaco da lui designato si siedano insieme con<br />
loro. Si legga all’ospite un passo della sacra Scrittura, per sua edificazione,<br />
e poi gli si usino tutte le attenzioni che può ispirare un fraterno e<br />
rispettoso senso di umanità.<br />
Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato,<br />
il superiore rompa pure il suo digiuno per far compagnia all’ospite,<br />
mentre i fratelli continuino a digiunare come al solito. L’abate versi<br />
personalmente l’acqua sulle mani degli ospiti per la consueta lavanda;<br />
lui stesso, poi, e tutta la comunità lavino i piedi a ciascuno degli ospiti<br />
e al termine di questo fraterno servizio dicano il versetto: “Abbiamo<br />
ricevuto la tua misericordia, o Dio, nel mezzo del tuo Tempio”. Specialmente<br />
i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la<br />
premura possibile, perché è proprio in loro che si riceve Cristo in modo<br />
tutto particolare e, d’altra parte, l’imponenza dei ricchi incute rispetto<br />
già di per sé.<br />
La cucina dell’abate e degli ospiti sia a parte, per evitare che<br />
i monaci siano disturbati dall’arrivo improvviso degli ospiti, che non<br />
mancano mai in monastero. Il servizio di questa cucina sia affidato annualmente<br />
a due fratelli, che sappiano svolgerlo come si deve.<br />
A costoro si diano anche degli aiuti, se ce n’è bisogno, perché servano<br />
senza mormorare, ma, a loro volta, quando hanno meno da fare,<br />
vadano a lavorare dove li manda l’obbedienza. E non solo in questo<br />
22
23<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
caso, ma nei confronti di tutti i fratelli impegnati in qualche particolare<br />
servizio del monastero, si segua un tale principio e cioè che, se occorre,<br />
si concedano loro degli aiuti, mentre, una volta terminato il proprio<br />
lavoro, essi devono tenersi disponibili per qualsiasi ordine. Così pure la<br />
foresteria, ossia il locale destinato agli ospiti, sia affidata a un monaco<br />
pieno di timor di Dio: in essa ci siano dei letti forniti di tutto il necessario<br />
e la casa di Dio sia governata con saggezza da persone sagge.<br />
Nessuno, poi, a meno che ne abbia ricevuto l’incarico, prenda contatto<br />
o si intrattenga con gli ospiti, ma se qualcuno li incontra o li vede,<br />
dopo averli salutati umilmente come abbiamo detto e aver chiesta la<br />
benedizione, passi oltre, dichiarando di non avere il permesso di parlare<br />
con gli ospiti.”
L’ospitalità dell’Abate<br />
LA SACRA OSPITALITÀ<br />
Note sull’ospitalità cristiana 1<br />
di Virginio Tino Turco<br />
24<br />
“Sotto il cielo vi è una sola famiglia”<br />
Adagio cinese<br />
Flash dalla storia.<br />
È ormai buio e un pellegrino si trova nelle paludose e brumose campagne venete e<br />
bussa alla porta del monastero di Villanova, cercando un luogo dove passare la notte e<br />
trovare un po’ di cibo.<br />
Le truppe tedesche sono allo sbaraglio. In fuga, colonne di soldati cercano la via più<br />
breve verso il nord Europa, risalendo le molte valli venete che danno verso il confine.<br />
Un ufficiale delle Ss chiede protezione nell’Eremo camaldolese del monte Rua, sulla sommità<br />
dei colli Euganei. Viene accolto senza riserva, non gli viene chiesto niente: si convertirà<br />
e diventerà monaco camaldolese. Allo stesso modo sono centinaia i monasteri che<br />
hanno offerto rifugio a migliaia di ebrei ricercati e che rischiavano di essere deportati.<br />
Durante il fascismo (e dopo) nella foresteria del monastero di Camaldoli, decine<br />
di giovani intellettuali cattolici, si trovano a elaborare alcune idee portanti della futura<br />
Costituzione Italiana e daranno vita al cosiddetto “Codice di Camaldoli”. Molti di loro<br />
diventeranno i padri dell’Italia repubblicana.<br />
Quante volte un uomo o una donna hanno attraversato la “grata” della clausura per<br />
trovare protezione, accoglienza, ascolto, silenzio…<br />
Che stupisce di più è che tutto questo succeda da millecinquecento anni senza clamori,<br />
eroismi, enfasi e spettacolarità mediatica: semplicemente e nascostamente, solo<br />
perché risponde ad una regola evangelica e monastica.<br />
Queste sono tracce di cultura europea e cristiana, non quelle sguainate come spade<br />
contro qualcuno o per esprimere la propria superiorità sulle culture extra-europee. Purtroppo,<br />
queste, sono proclamate ma ignorate dai più. Povera Europa che dimentica una<br />
fetta così essenziale della propria storia. Povera scuola, in cui si parla di monachesimo e<br />
di Medio Evo solo negli slogans dei “secoli bui” o relegando questa parte della storia alla<br />
visione di un film che fa del monachesimo un intricato giallo imbottito di oscurantismo<br />
e potere (vedi “Il nome della rosa”).<br />
San Benedetto, non solo “rondine sotto il tetto”.<br />
Molti conoscono il giovane Francesco che si denuda delle vesti e dei beni paterni per<br />
darsi a “sora povertà” e diventare il “poverello d’Assisi”.<br />
Pochi conoscono il giovane ventenne Benedetto di Norcia (480 – 547), che è studente<br />
a Roma dopo la caduta dell’impero romano. Fa in quella città esperienza della decadenza
25<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
culturale e civile in cui è caduto l’occidente. Decide, avendo letto alcuni testi sulla vita<br />
dei grandi monaci d’oriente ( Antonio, Basilio III e IV sec.), di farsi prima eremita e poi,<br />
imitato da altri giovani, di fondare il primo monastero occidentale a Cassino.<br />
Pochi conoscono la saggezza e l’equilibrio della sua regola. Quanta forza spirituale<br />
e morale ci vuole per dare vita, dalle ceneri di una civiltà, ad un “movimento di ricostruzione<br />
spirituale e culturale”. Quanto profetico è ancora oggi il dovere di ordinare la vita<br />
e le relazioni umane e sociali a partire dal vangelo, dalla gratuità, dalla vita comune, dalla<br />
“sacra ospitalità”, dallo studio della Bibbia e delle discipline classiche, dalla preghiera,<br />
dal canto e dalla cura del creato (attraverso il lavoro e l’approfondimento delle scienze<br />
agrarie, forestali, farmaceutiche). Monaci dunque quali “ospiti” e “curatori-custodi” del<br />
cosmo (Genesi 2, 4-8).<br />
A questo proposito, noi, insegnanti e studenti dell’istituto “<strong>Berti</strong>”, siamo rimasti<br />
molto colpiti dalla visita fatta nell’inverno del 2006 al monastero di Praglia. Qui, come<br />
in altri luoghi simili, lo stile di vita benedettino fa diventare tutto una “liturgia”. Il chiostro<br />
diventa lo spazio simbolico dove questo equilibrio è anche fisicamente affermato e<br />
gestito, dove trovano confluenza e movimento tutte le tensioni della vita: chiesa verso<br />
refettorio (le due mense: dello spirito e del corpo); parallelismo chiesa e biblioteca (in<br />
ascolto della Parola e delle “parole”); celle verso sala del capitolo (individuo e comunità);<br />
clausura verso l’aia – laboratori – foresteria (la preghiera e il lavoro; la comunità e il<br />
mondo che ti entrano in casa). E al centro di tutto, poi, il pozzo, ad indicare che l’acqua<br />
viva che alimenta tutto è Gesù Cristo.<br />
Giovani: cercando radici nella storia.<br />
Con gli allievi di 3° cucina e sala, abbiamo voluto andare in profondità ed evidenziare<br />
gli elementi che caratterizzano l’ospitalità benedettina. Li abbiamo cercati, innanzitutto,<br />
in uno dei testi più antichi della civiltà europea: la regola di San Benedetto. Lo studio del<br />
cap. LIII ci ha convinti che è sorprendente quanto sia incondizionata, rispettosa della privacy,<br />
discreta, solidale, accogliente, saggia, sacra, umile e fraterna l’ospitalità nel monastero.<br />
Abbiamo colto un senso dell’ospitalità universale, gioiosa, piena di gesti d’amore e<br />
di eloquente silenzio. L’orizzonte che l’ispira e che le fa da termine di confronto, è il più<br />
radicale dei “simboli”: l’ospite è Cristo stesso. È lo stesso Cristo che incontro nell’ospite,<br />
nell’eucarestia e nella diuturna “ruminazione” dei testi sacri.<br />
I fondamenti biblici dell’ospitalità cristiana.<br />
Ci siamo anche interrogati sull’origine di una così radicale scelta di vita. Tra i molti<br />
testi sacri della tradizione ebraico-cristiana, abbiamo trovato alcuni riferimenti importanti<br />
per la nostra ricerca. Tra le antiche tradizioni raccolte nel libro della Genesi (2,4-8), abbiamo<br />
compreso che Dio stesso accoglie l’uomo e la donna nel suo rigoglioso giardino.<br />
L’uomo vi è posto come ospite e non come padrone; egli è piuttosto custode e coltivatore<br />
“a nome e per conto” del Creatore. Tutti siamo “ospiti” nel pianeta.<br />
Abbiamo poi incontrato Abramo che, in Gen 18, afferma la radicale sacralità del-
L’ospitalità dell’Abate<br />
l’ospite e del forestiero. Con una vera liturgia di segni e gesti di servizio (gli stessi che<br />
Benedetto chiede nel cap. LIII della regola - lavare i piedi, offrire riparo, protezione,<br />
cibo, bevanda) il patriarca accoglie tre pellegrini alle quercie di Manre. Questa ospitalità<br />
non resta senza ricompensa. Alla moglie Sara, considerata “disgraziata” perché sterile,<br />
poiché si rende operosa nell’accoglienza, i tre sconosciuti promettono la fecondità.<br />
Lei, dietro la tenda, ride incredula. Dopo un anno darà alla luce Isacco (figlio del sorriso)<br />
e la discendenza continuerà numerosa come le stelle del cielo.<br />
Abbiamo letto un rivoluzionario testo del Levitico (25,23) che afferma che ogni<br />
uomo e donna devono sentirsi ospiti e stranieri, in una terra che ha un unico proprietario:<br />
Dio.<br />
In Lv 13,33-34, il comandamento è di amare lo straniero che dimora nella nostra terra<br />
come noi stessi: “Ricordatevi che anche voi foste stranieri in Egitto!”.<br />
Nel Nuovo Testamento, Gesù, giudice finale della storia (Mt 25,31-46), si identifica<br />
in ogni povero e in ogni straniero che viene accolto, in ogni affamato e assetato che viene<br />
assistito. L’ospitalità è al centro del vangelo ma qui è certamente meglio affermata ed<br />
esplicitata: è condizione decisiva per essere a nostra volta accolti nel suo regno.<br />
Non potevamo trascurare la lettera agli Ebrei che reinterpreta il testo dell’accoglienza<br />
sotto la tenda dei tre sconosciuti, invitando la primitiva comunità cristiana a praticare<br />
l’ospitalità, perché, senza saperlo, molti hanno accolto in casa “gli angeli”.<br />
L’ospitalità nelle altre culture e religioni.<br />
Non ci siamo fermati al contesto ebraico-cristiano, ma ci siamo interrogati su quale<br />
atteggiamento culturale e di fede abbiano le persone che sono per noi “altre”, per i tanti<br />
elementi distintivi. Non c’eravamo mai chiesti quali riferimenti spirituali, morali e normativi<br />
abbiano le persone “altre” nei nostri confronti. Cosa pensano di noi quando sono<br />
loro ad accoglierci. È sorprendente che anche “gli altri” abbiano una visione dell’ospitalità<br />
non molto dissimile alla nostra, anzi motivata anch’essa da profonde ragioni di fede<br />
e antica saggezza.<br />
Abbiamo “spiluccato” tra una ventina di testi sacri di varie religioni (vedi tabella<br />
allegata a fine testo). Anche se alcuni testi sono parsi a volte ingenui e poetici, la loro<br />
lettura ha colpito studenti e professore. Chi ci incontra ha una visione positiva e sacra di<br />
noi. Anche l’altro riconosce in noi una presenza divina e la rispetta. Perché dovremmo<br />
presupporre che l’altro mi debba essere a tutti i costi e innanzitutto ostile, concorrente,<br />
nemico? Dopo questa lettura, tutti abbiamo condiviso una nuova consapevolezza: l’ospitalità<br />
davvero può considerarsi uno degli elementi fondamentali dell’ethos dei popoli di<br />
tutti i tempi e in tutte le latitudini.<br />
26
L’OSPITALITÀ NELLE RELIGIONI DEL MONDO 2<br />
RELIGIONE FRASE<br />
INDUISMO<br />
GIAINISMO<br />
TRADIZIONI<br />
AFRICANE<br />
ISLAM<br />
EBRAISMO<br />
INDIANI E INDIOS<br />
D’AMERICA<br />
27<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
1 - L’ospite sia per te un Dio. (Taittirîga-Upanishad)<br />
2 - Chi guarda con occhio equanime gli stranieri e il<br />
prossimo è il maggiore dei yogi. (Bhagavad-Gita)<br />
3 - Tutte le divinità si rallegrano, tutti i veggenti cantano,<br />
tutti gli antenati danzano, quando un ospite entra nella<br />
nostra casa. (Chanakaya)<br />
4 - Bhagavan Mahavira è il mio rifugio. Ebbene quest’uomo<br />
supremamente saggio non viveva in una fissa dimora.<br />
(Inno a Mahavira)<br />
5 - Che io abbia sentimenti amichevoli verso tutti. Tutti<br />
gli esseri desiderano vivere, nessuno desidera morire.<br />
(Preghiera giainista ad Assisi)<br />
6 - Lo straniero è come un fratello che non hai mai<br />
incontrato. (Proverbio bantù)<br />
7 - Il viaggiatore, fosse pure il sultano, è povero. (Proverbio<br />
di lingua swahili)<br />
8 - La vera pietà è quella di chi crede in Dio e dà dei suoi<br />
averi ai parenti e agli orfani e ai poveri e ai viandanti e ai<br />
mendicanti e per riscattare prigionieri. (Corano, 2.177)<br />
9 - Dio vi comanda di essere benevoli verso il vostro<br />
fratello, sia il musulmano che il non musulmano.<br />
(Mahamoud Soubhi)<br />
10 - Quando uno straniero si stabilirà nella vostra terra,<br />
non opprimetelo; al contrario, trattatelo come se fosse uno<br />
dei vostri connazionali, dovete amarlo come voi stessi.<br />
Ricordatevi che anche voi siete stati stranieri in Egitto.<br />
(Levitico 19,33-34)<br />
11 - In questa terra dove un dì vivevano solo gli indiani, ci<br />
sono ora uomini di tutti i colori: bianchi, neri, gialli, rossi,<br />
ma sono tutti un popolo. Che questo dovesse accadere era<br />
rinchiuso nel cuore del Grande Mistero. Perciò è giusto<br />
così. (Anziano sioux)
L’ospitalità dell’Abate<br />
RELIGIONE FRASE<br />
CRISTIANESIMO<br />
SIKHISMO<br />
TAOISMO<br />
CONFUCIANESIMO<br />
BUDDISMO<br />
12 - Allora il Re dirà: “Venite, benedetti del Padre mio,<br />
perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ero<br />
forestiero e mi avete ospitato. Andate via da me, maledetti,<br />
nel fuoco eterno, perché avevo fame e non mi avete dato da<br />
mangiare; ero forestiero e non mi avete ospitato”. (Matteo<br />
25 passim)<br />
13 - Chi si comporta con gentilezza verso gli altri, Dio<br />
lo riceverà con gentilezza. Come un ospite notturno devi<br />
andartene all’alba; perché sei geloso di ciò che hai? (Guru<br />
Grant Sahib)<br />
14 - Il Santo poiché dà tutto agli altri, egli stesso ha in<br />
maggiore abbondanza. (Laozi. Tao te ching)<br />
15 - Sotto il cielo v’è una sola famiglia. (Adagio cinese)<br />
16 - Coloro che governano l’impero ricevono i nuovi<br />
venuti, elogiano gli eccellenti, compatiscono gli incapaci:<br />
così si mostrano ospitali verso gli stranieri. (Confucio)<br />
17 - I migranti trovino la felicità dovunque vadano.<br />
I naviganti su barche e su navi ottengano ciò che desiderano.<br />
I viandanti in difficoltà possano incontrare compagni di<br />
viaggio. Che nessuno abbia paura, o venga sminuito, o la<br />
sua mente venga umiliata. (Shantideva)<br />
Note al testo<br />
1 Molte rifl essioni qui riportate sono state condivise con i ragazzi e ragazze delle 3 A so sala<br />
e cucina. In alcuni casi aggettivi e defi nizioni sono quelli emersi come dato sintetico dalla ricerca<br />
dei gruppi.<br />
2 Fonte: Cem – Mondialità.<br />
28
I PRECETTI ALIMENTARI<br />
NELLA REGOLA DI SAN BENEDETTO<br />
29<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
di Daniele Bonetti, Veronica Melotto, Chiara Cavallon, Alice Burato, Giulia Gugole,<br />
Alessia Zigiotto, Erica Dal Cero, Ilenia Scalvini<br />
(classe 3^ACso)<br />
Dalla “Santa Regola” di San Benedetto:<br />
“Capitolo XXXIX - La misura del cibo<br />
Volendo tenere il debito conto delle necessità individuali, riteniamo<br />
che per il pranzo quotidiano fissato - a seconda delle stagioni - dopo<br />
Sesta o dopo Nona, siano sufficienti due pietanze cotte, in modo che chi<br />
eventualmente non fosse in condizioni di prenderne una, possa servirsi<br />
dell’altra.<br />
Dunque a tutti i fratelli devono bastare due pietanze cotte e se ci sarà<br />
la possibilità di procurarsi della frutta o dei legumi freschi, se ne aggiunga<br />
una terza.<br />
Quanto al pane penso che basti un chilo abbondante al giorno, sia<br />
quando c’è un solo pasto, che quando c’è pranzo e cena. In quest’ultimo<br />
caso il cellerario ne metta da parte un terzo per distribuirlo a cena.<br />
Nel caso che il lavoro quotidiano sia stato più gravoso del solito, se<br />
l’abate lo riterrà opportuno, avrà piena facoltà di aggiungere un piccolo<br />
supplemento, purché si eviti assolutamente ogni abuso e il monaco si<br />
guardi dall’ingordigia.<br />
Perché nulla è tanto sconveniente per un cristiano, quanto gli eccessi<br />
della tavola, come dice lo stesso nostro Signore: “State attenti che il vostro<br />
cuore non sia appesantito dal troppo cibo”.<br />
Quanto poi ai ragazzi più piccoli, non si serva loro la medesima porzione,<br />
ma una quantità minore, salvaguardando in tutto la sobrietà.<br />
Tutti infine si astengano assolutamente dalla carne di quadrupedi, a<br />
eccezione dei malati molto deboli.<br />
Capitolo XL - La misura del vino<br />
“Ciascuno ha da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro”<br />
ed è questo il motivo per cui fissiamo la quantità del vitto altrui con una<br />
certa perplessità.<br />
Tuttavia, tenendo conto della cagionevole costituzione dei più gracili,<br />
crediamo che a tutti possa bastare un quarto di vino a testa.<br />
Quanto ai fratelli che hanno ricevuto da Dio la forza di astenersene
L’ospitalità dell’Abate<br />
completamente, sappiano che ne riceveranno una particolare ricompensa.<br />
Se però le esigenze locali o il lavoro o la calura estiva richiedessero<br />
una maggiore quantità, sia in facoltà del superiore concederla, badando<br />
sempre a evitare la sazietà e ancor più l’ubriachezza.<br />
Per quanto si legga che il vino non è fatto per i monaci, siccome oggi<br />
non è facile convincerli di questo, mettiamoci almeno d’accordo sulla<br />
necessità di non bere fino alla sazietà, ma più moderatamente, perché “il<br />
vino fa apostatare i saggi”.<br />
I monaci poi che risiedono in località nelle quali è impossibile procurarsi<br />
la suddetta misura, ma se ne trova solo una quantità molto minore o<br />
addirittura nulla, benedicano Dio e non mormorino:<br />
è questo soprattutto che mi preme di raccomandare, che si guardino<br />
dalla mormorazione.<br />
Capitolo XLI - L’orario dei pasti<br />
Dalla santa Pasqua fino a Pentecoste i fratelli pranzino all’ora di<br />
Sesta, cioè a mezzogiorno, e cenino la sera.<br />
Invece da Pentecoste in poi, per tutta l’estate, se non sono impegnati<br />
nei lavori agricoli o sfibrati dalla calura estiva, al mercoledì e al venerdì<br />
digiunino sino all’ora di Nona, cioè fin dopo le 14<br />
e negli altri giorni pranzino all’ora di Sesta.<br />
Ma nel caso che abbiano da lavorare nei campi o che il caldo sia eccessivo,<br />
potranno pranzare tutti i giorni alle 12, secondo quanto stabilirà<br />
paternamente l’abate.<br />
Così questi regoli e disponga tutto in modo che le anime si salvino e<br />
i monaci possano compiere il proprio dovere senza un motivo fondato di<br />
mormorazione.<br />
Dal 14 settembre fino all’inizio della Quaresima pranzino sempre<br />
all’ora di Nona.<br />
Durante la Quaresima, poi, fino a Pasqua pranzino all’ora di Vespro:<br />
questo Ufficio però dev’essere celebrato a un’ora tale da non aver<br />
bisogno di accendere il lume durante il pranzo e poter terminare mentre<br />
è ancora giorno.<br />
Anzi, in ogni stagione, sia l’ora del pranzo che quella della cena devono<br />
essere fissate in maniera che tutto si possa fare con la luce del sole.”<br />
I padri dell’antico monachesimo diedero molta importanza all’alimentazione: essa<br />
serviva alla mortificazione del corpo e alla penitenza.<br />
Il regime alimentare dei monaci doveva essere poco costoso e facilmente preparabile.<br />
Avrebbe dovuto avere inoltre tre obiettivi: dominare l’ingordigia e la lussuria, far ricordare<br />
la povertà e, infine, favorire l’orazione e tutte le attività di preghiera nonché controllare,<br />
attraverso l’alimentazione, la vita spirituale e aiutare i religiosi a raggiungere la<br />
30
31<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
perfezione. Esiste anche un altro aspetto legato al cibo: quello di staccarsi dalle abitudini<br />
dei laici, distinguersi da essi con la moderazione e la rinuncia.<br />
Il lettore di mensa prende servizio di domenica con un rito liturgico in cui si richiede<br />
di vincere lo spirito di superbia e di vanagloria. I monaci erano uomini provenienti da un<br />
ambiente sociale elevato, non oppresso dalla paura della scarsità di cibo e non avrebbero<br />
avuto bisogno di costanti e ripetuti inviti alla moderazione ad alla rinuncia del cibo.<br />
Il regime alimentare di S.Benedetto era sano, naturale ma monotono, condizionato dalle<br />
stagioni e dalle posizione geografica del monastero.<br />
Il motto benedettino “hora et labora” viene considerato il miglior viatico che il lavoro<br />
manuale potesse ricevere. La regola, stabilita nell’anno 540 da Benedetto da Norcia, pianificava<br />
per i monaci l’intera giornata, con la determinazione<br />
dell’hora canonica, che costituiva ad un tempo sia le horas sia<br />
l’horarium.<br />
Obbedienza, silenzio e umiltà sono gli strumenti per le<br />
buone opere richiesti e imposti con pene corporali e perfino<br />
con la scomunica. I bravi monaci dovevano alzarsi in piena<br />
notte per pregare, leggere, cantare i salmi, venendo poi chiamati<br />
a turno per lavorare nell’orto, in cucina o nello scriptorium.<br />
Del digiuno ci si limita a dire che deve essere “amato”, perchè è una componente<br />
essenziale della vita monastica “castigare il proprio corpo”, “ed evitare le ghiottonerie,<br />
non darsi al vino e non mangiare molto” (espressione di S.Paolo).<br />
Benedetto fissò una triplice norma sull’alimentazione, relativa alla misura del mangiare,<br />
del bere, all’orario dei pasti. Benedetto attribuiva un gran valore al digiuno ma<br />
il monachesimo benedettino dimostra comprensione e il riguardo per i deboli e per i<br />
bambini.<br />
La dieta cenobitica era in passato costituita prevalentemente dai seguenti alimenti:<br />
20% pesce, uova e formaggi; 18% pane; 20% vino; 2% spezie; 40% legumi e ortaggi<br />
( perchè dotati questi ultimi di un valore mistico, cioè significanti povertà e umiliazione).<br />
I monaci soffrivano di carenza di vitamina “A”, mentre eccedevano di proteine e<br />
glucidi legati al continuo consumo di legumi.<br />
Il digiuno e l’astinenza<br />
Si può affermare che conoscere meglio un ordine monastico dipende anche dalla<br />
comprensione che noi possediamo delle sue regole alimentari. L’uso del digiuno è uno<br />
strumento per avvicinarsi a Dio, rafforzare la fede e tenersi lontano dalle tentazioni carnali.<br />
L’astinenza è un precetto di natura penitenziale. Nel primo libro dell’Antico Testamento<br />
appare evidente l’invito di Dio a limitare il consumo alle sole erbe e frutta.<br />
Il digiuno è un ulteriore e più pesante atto di penitenza che si effettua di mercoledì,<br />
giorno del tradimento di Giuda e di venerdì. In un altro passo della Genesi è presente un
L’ospitalità dell’Abate<br />
chiaro riferimento al nuovo ordine alimentare: “Ogni animale che si muove ed è in vita vi<br />
serva di cibo”. Il permesso di mangiare carne sembra un allontanamento dalla condizione<br />
privilegiata di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre. Nella tradizione benedettina e del<br />
monachesimo medievale si consumava carne di pesci e volatili perchè ritenuti lontani<br />
dalla vita dell’uomo.<br />
Il monachesimo concede generalmente solo il consumo di acqua, pane, ortaggi, legumi<br />
e frutta.<br />
Tuttavia, nella regola benedettina, il digiuno viene prescritto senza estremismo.<br />
La regola di San Benedetto è destinata alla gente comune e non ai mistici o agli eremiti.<br />
L’astinenza da cibo è una pratica comune a molte religioni antiche e moderne.<br />
Per gli ebrei è segno di dolore e penitenza. In situazioni critiche o di particolari necessità<br />
è accompagnata con la preghiera. Lo yam kippur è un valore di penitenza, espiazione,<br />
riconciliazione e di digiuno totale.<br />
Il digiuno vale anche per gli islamici, per un mese intero (Ramadan). Nell’islam il<br />
digiuno è considerato uno dei cinque pilastri fondamentali della fede.<br />
Per i cristiani il digiuno è una pratica ascetica ed è sempre accompagnata dalla preghiera<br />
e dall’elemosina.<br />
Norma pratica per osservare e il digiuno è l’assunzione di un unico pasto frugale<br />
dopo il tramonto del sole senza pertanto saziarsi.<br />
Durante il periodo di digiuno è severamente vietato mangiare la carne, il pesce,<br />
le uova, il latte e i latticini, l’olio di oliva, il vino e gli altri alcolici. Il cibo che si può<br />
assumere nei giorni di digiuno sono l’acqua e il pane salato, le verdure, legumi e frutta.<br />
Nel monachesimo occidentale (nella fattispecie in quello benedettino) il digiuno è<br />
regolato nel seguente modo:<br />
- niente digiuno in tutte le domeniche e le feste, nel periodo pasquale, in tutta l’estate,<br />
eccetto il mercoledì e il venerdì;<br />
- digiuno moderato nei mercoledì e venerdì del periodo estivo (purchè non ci sia<br />
lavoro eccezionale nei campi o molta calura) nonché in tutti i giorni feriali del periodo<br />
invernale.<br />
- giorni di digiuno stretto (unica refezione a vespro) in tutte le ferie di quaresima.<br />
Bibliografia:<br />
I precetti alimentari nella Regola di San Benedetto,Tesi di Laurea della Dott.ssa Anna Ferrero,<br />
Univerità degli Studi di Torino.<br />
Sitografia:<br />
www.ora-et-labora.net<br />
32
LA CUCINA NEI MONASTERI<br />
E NELLE ABBAZIE MEDIOEVALI<br />
33<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
di Albertini Emanuele, Pozza Manuel, Paritario Gianfranco, Peloso Mirco<br />
(classe 3^ACso)<br />
Dalla “Santa Regola” di San Benedetto:<br />
“Capitolo XXXV - Il servizio della cucina<br />
I fratelli si servano a vicenda e nessuno sia dispensato dal servizio della<br />
cucina, se non per malattia o per un impegno di maggiore importanza,<br />
perché così si acquista un merito più grande e si accresce la carità.<br />
Ma i più deboli siano provveduti di un aiuto, in modo da non dover<br />
compiere questo servizio di malumore; anzi, è bene che, in generale, tutti<br />
abbiano degli aiuti in corrispondenza alla grandezza della comunità e alle<br />
condizioni locali.<br />
In una comunità numerosa il cellerario sia dispensato dal servizio<br />
della cucina, come anche i fratelli che, secondo quanto abbiamo già detto,<br />
sono occupati in compiti di maggiore utilità, ma tutti gli altri si servano a<br />
vicenda con carità.<br />
Al sabato il monaco che termina il suo turno settimanale, faccia le<br />
pulizie.<br />
Si lavino gli asciugatoi usati dai fratelli per le mani e i piedi.<br />
Tanto il monaco che finisce il servizio, quanto quello che lo comincia,<br />
lavino i piedi a tutti.<br />
Il primo consegni puliti e intatti al cellerario tutti gli utensili di cui si<br />
è servito nel proprio turno.<br />
A sua volta il cellerario li affidi al fratello che entra in servizio, in<br />
modo da sapere quello che dà e quello che riceve.<br />
Un’ora prima del pranzo, ciascuno dei monaci di turno in cucina riceva,<br />
oltre la quantità di cibo stabilita per tutti, un po’ di pane e di vino,<br />
per poter poi all’ora del pranzo servire i propri fratelli senza lamentele<br />
né grave disagio; ma nei giorni festivi<br />
aspettino fino al termine della celebrazione<br />
eucaristica.<br />
Alla domenica, subito dopo le Lodi,<br />
quelli che iniziano e quelli che terminano<br />
il servizio della cucina si inginocchino<br />
in coro davanti a tutti, chiedendo<br />
che preghino per loro.
L’ospitalità dell’Abate<br />
Chi ha finito il proprio turno reciti il versetto: “Sii benedetto, Signore<br />
Dio, che mi hai aiutato e mi hai consolato”.<br />
E quando lo avrà ripetuto tre volte e avrà ricevuto la benedizione,<br />
continui il fratello che gli succede nel servizio, dicendo: “O Dio, vieni in<br />
mio soccorso; Signore, affrettati ad aiutarmi”; anche questo versetto sarà<br />
ripetuto tre volte da tutti, dopo di che il fratello riceverà la benedizione e<br />
inizierà il suo turno.”<br />
Ci sono varie fonti ufficiali che, al giorno d’oggi, affermano che l’arte culinaria europea<br />
e l’educazione alla tavola, abbiano avuto origine tra le mura delle abbazie e dei<br />
monasteri medioevali. Questi furono i primi e i soli a occuparsi del senso e dello scopo<br />
dei cibi, svolgendo la doppia funzione di assistenza e di ospitalità ai bisognosi.<br />
Poveri, malati, prìncipi in viaggio, laici, ecclesiastici, commercianti e pellegrini<br />
bussavano frequentemente alle porte dei monasteri in cerca di ospitalità e aiuto, di conseguenza<br />
era necessario che le dispense fossero ben fornite. Fortunatamente i monaci<br />
potevano contare sulle decime e i tributi del contado e sui prodotti delle loro proprietà<br />
terriere.<br />
All’interno di queste comunità i ruoli più importanti erano ricoperti dai padri provenienti<br />
dalla nobiltà. La cura dei campi, delle cantine e delle stalle spettava ai semplici<br />
fraticelli e ai laici. I monaci cucinavano e sapevano rielaborare le indicazioni dietetiche<br />
trovate nei vecchi manoscritti. Essi diedero vita così ai primi appunti e alle prime raccolte<br />
di ricette.<br />
Gli orti, ricchi di spezie, erbe medicinali e ortaggi, assieme ai vigneti, furono importanti<br />
fonti alimentari.<br />
La conoscenza del campo confluì nella cucina di tutti i giorni e rese consuetudine la<br />
somministrazione di medicinali attraverso il cibo.<br />
Le cucine<br />
Le cucine delle abbazie medioevali erano a focolari, alte 27 metri, in stile bizantino<br />
e costruite interamente in pietra per paura degli incendi. Per scampare a questi ultimi, le<br />
cucine vennero costruite all’estremità del refettorio, il più lontano possibile dalle altre<br />
costruzioni del monastero.<br />
Venivano usate anche come affumicatoio, molto usato a quel tempo per la conservazione<br />
dei cibi. La loro costruzione passa da una forma ottagolare ad una quadrata, per poi<br />
tornare ad ottagolare nella parte più alta. Questo utilizzo di forme geografiche semplici<br />
ha permesso anche di sovrapporre otto focolari e ventuno camini.<br />
Il settimanari di cucina<br />
Durante i pasti, i fratelli si servono le pietanze a vicenda, nessuno deve essere escluso<br />
dal servizio di cucina a meno che non sia occupato in cose più importanti o sia ammalato.<br />
Questo servizio giova alla crescita della carità ed è un grande merito. Un’ora prima del<br />
34
35<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
pasto, chi fa servizio in cucina riceve, oltre alla razione normale, un bicchiere di vino<br />
e un po’ di pane, così che durante il servizio non mormori e serva senza troppa fatica.<br />
Nei giorni festivi invece non deve mangiare finché il proprio dovere non sia portato a<br />
termine. La domenica, al termine delle lodi, i settimanari che entrano e che escono dal<br />
servizio sidevono piegare alle ginocchia di tutti e chiedere che questi loro fratelli preghino<br />
per loro.<br />
Il refettorio<br />
Il rapporto tra monaco e cibo è sottoposto ad un rigido regolamento e caricato di<br />
valori simbolici cristiani. La raffigurazione del refettorio, la sala del monastero riservata<br />
al consumo collettivo dei pasti, ha la funzione di ricordare i precetti spirituali, dietetici e<br />
comportamentali connessi al cibo. Il convento è il luogo dove il piacere alimentare viene<br />
ridotto al minimo, dal momento che, fin dalle origini del cristianesimo e, in particolare,<br />
presso le prime comunità monastiche, vigeva la convinzione che ogni ricerca di perfezione<br />
spirituale dovesse passare attraverso una stretta disciplina alimentare. Secondo<br />
San Benedetto, per un cristiano, il mangiar troppo era sconveniente perché appesantiva<br />
il cuore. Nelle mense monastiche delle epoche passate era vietato il consumo della carne<br />
dei quadrupedi, consentita solo ai monaci malati e indeboliti, poiché, secondo la teoria<br />
aristotelica, con la carne si stimolava la produzione di sperma, incoraggiando una sessualità<br />
sconveniente a monaci e asceti.<br />
Arte casearia<br />
Dopo la caduta dell’impero Romano, intorno all’anno mille, si impose l’economia<br />
silvo-pastorale, con protagonisti la pecora allevata allo stato brado. Successivamente i<br />
monasteri, un po’ per l’insegnamento benedettino “ora et labora”, e un po’ per le esigenze<br />
del regime alimentare di magro, ebbero un ruolo determinante nel mettere in pratica<br />
una zootecnia “moderna”. Si iniziò così ad applicare su larga scala la rotazione agraria,<br />
che prevedeva l’alternanza dei cereali alle colture da foraggio, stimolando l’allevamento<br />
bovino stanziale e di riflesso la produzione casearia. Nacquero così formaggi storici.<br />
Questo non fu solo un fenomeno italiano, perché dall’Alsazia ai Pirenei i pellegrini trovavano<br />
ristoro nei monasteri con pani e formaggi dalle caratteristiche diverse.<br />
Lo speziale<br />
Nell’alto medioevo la preparazione di medicinali era riservata ai monaci, che negli<br />
orti dei conventi coltivavano erbe e aromi. Ma il diffondersi del commercio delle spezie<br />
conferì prestigio a tutti coloro che le vendevano o le manipolavano; nacque, così, la<br />
professione dello speziale. Ritenuti un po’ medici, questi uomini ricavavano dalle loro<br />
preziose materie medicamenti o veleni; profumi e trattamenti di bellezza; preparati di pasticceria<br />
indispensabili ai cuochi, come mostarde, gelatine colorate, canditi e marzapane;<br />
colori per tingere panni o pelli e inchiostri da decorazione. La distinzione tra speziale e<br />
medico si deve a Federico II, che operò una specie di riforma sanitaria e, in base a questa,
L’ospitalità dell’Abate<br />
lo speziale divenne colui che manipolava erbe e spezie per ricavare un medicamento,<br />
mentre colui che faceva la diagnosi e prescriveva il rimedio era il medico. La farmacopea,<br />
intesa come arte di preparare i medicamenti, nacque nel ‘500 a Firenze; ma solo nel<br />
‘700 venne istituzionalizzata la specifica figura del farmacista.<br />
Alcune ricette<br />
Quaglie ripiene<br />
Togliere le piume delle quaglie a secco, sgozzarle e svuotarle. Fiammeggiarle sul<br />
fuoco senza far fumo, poi metterle allo spiedo, ponendo tra l’una e l’altra fette di lardo e<br />
alloro. Riempirle con formaggio fuso, salarle e peparle.<br />
Pesce in agrodolce<br />
Prendere i pesci, pulirli dalle interiora, lavarli e friggerli in abbondante olio. Nel<br />
restante olio friggere la cipolla precedentemente tagliata a julienne, aggiungere le mandorle,<br />
l’uva e le prugne e continuare a friggere. Mettere pepe e spezie tritate finemente<br />
assieme alle cipolle, al vino e all’aceto. Far bollire e poi cambiare recipiente alternando<br />
la salsa con il pesce.<br />
Grano cotto in latte e brodo<br />
Si fa bollire il grano finché non scoppia. Toglierlo dall’acqua, sciacquarlo e farlo<br />
raffreddare. In un tegame si unisce il grano con del latte e del brodo di carne o vegetale;<br />
si fa bollire lentamente e mescolare per evitare che il tutto si attacchi al fondo. Verso fine<br />
cottura, aggiungere i tuorli d’uovo, il sale e lo zafferano continuando a cuocere per pochi<br />
minuti senza far bollire.<br />
Minestra d’erbette<br />
Prendere delle foglie di bietola e borragine, sbollentare in acqua, scolare e tritare<br />
finemente. Aggiungere prezzemolo e menta spezzettati finemente e pestare il tutto nel<br />
mortaio. Passare il composto in una casseruola con del brodo grasso e portare a bollore.<br />
Aggiustare di sale e servire con abbondante pepe nero.<br />
Sitografia:<br />
www.taccuinistorici.it<br />
36
SUGGESTIONI DALLA VISITA A PRAGLIA<br />
di Alessandro Ferro<br />
37<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Non avrei mai pensato, varcando le mura del Monastero di Praglia (PD), di vivere<br />
un’esperienza talmente forte da farmi dimenticare per alcuni istanti, il motivo della<br />
mia visita: una ricerca sulle modalità alimentari dei monaci Benedettini. La giornata<br />
era uggiosa e soffiava un forte vento che, unito al delizioso silenzio che mi circondava,<br />
riempiva di mistero quel vecchio “feudo cristiano”. L’imponenza degli edifici<br />
era tale da farmi pensare al passato e, quindi, ai ruoli e ai compiti che i monaci dovevano<br />
rispettare nel loro vivere quotidiano. Senza dimenticare le difficoltà dovute<br />
al contesto storico, privo di regolamenti chiari e, quindi, lasciato, il più delle volte,<br />
alle interpretazioni delle persone.<br />
Ma rimaneva quel silenzio carico di fondamento che mi svuotava lo spirito, mi<br />
alleggeriva dai problemi, mi rasserenava all’istante. Un’aria quasi medicinale, nella<br />
quale, credo, qualsiasi persona potrebbe trovare giovamento. Dopo l’incontro con<br />
Padre Edoardo, delegato dall’abate ad accompagnarci nella visita, iniziò il vero e<br />
proprio viaggio nei luoghi più rappresentativi della giornata di un monaco.<br />
La “sala conciliare”, dunque, uno pseudo Senato Cristiano dove l’abate comunicava<br />
con i confratelli, raccoglieva suggerimenti, esplicitava le sue decisioni in<br />
merito a problemi di vita quotidiana.<br />
Il meraviglioso refettorio, una sala da pranzo divinamente studiata per accogliere<br />
i monaci nel momento del pasto. Il tutto adornato da legno magistralmente scolpito<br />
e da quadri che raffiguravano fasi fondamentali della vita di Gesù e dei profeti.<br />
Il refettorio, di ampie dimensioni, è rimasto nella disposizione originale, con i tavoli<br />
lungo il perimetro della sala; come originale è rimasto il freddo, talmente forte da<br />
fare paura anche “al militare più addestrato”. Padre Edoardo, commentando questa<br />
mia affermazione mi ricordò che i monaci erano abituati a mangiare, dormire, lavarsi,<br />
pregare e lavorare sempre al freddo, quasi che il corpo, addomesticato a tale<br />
condizione, non vivesse il minimo disagio. A gestire il pasto c’erano dei monaci cucinieri,<br />
che, affiancati al monaco economo, avevano il controllo sulle materie prime<br />
impiegate, sul registro dei pasti, nonché sulla nota di carico e scarico delle vivande.<br />
Durante il pasto era proibito parlare e tra una vivanda e l’altra un fratello preposto<br />
aveva il compito di leggere letture sacre o racconti di vita quotidiana. Qualsiasi<br />
rischiesta, durante la refezione, doveva essere fatta con piccole gesticolazioni che<br />
erano immediatamente comprese perché di consuetudine.<br />
Non poteva mancare per noi, infine, la visita ad un dei luoghi più rappresentativi<br />
di un monastero: la biblioteca, luogo di cultura, pasto “del sapere” tra i più luculliani.<br />
Dopo avere riempito lo stomaco con il cibo era necessario colmare lo spirito
L’ospitalità dell’Abate<br />
con l’intrattenimento in biblioteca. L’accesso era studiato affinchè, chi entrava, non<br />
avesse a tirare dietro di sé la porta ma fosse la porta stessa ad aprirsi senza sforzo<br />
per chi volesse entrare ed arricchirsi con i testi contenuti in quello splendido luogo.<br />
È qui che, dopo l’ammirato colpo d’occhio a trecentossessanta gradi per scorgere<br />
il più possibile di tanta bellezza, iniziano le domande sull’accoglienza del pellegrino,<br />
le modalità di ospitalità ed i rapporti con il monastero ed i suoi abitanti. San<br />
Benedetto insegna che chiunque bussi alla porta del convento deve essere accolto e<br />
rifocillato. Il pellegrino non poteva avere rapporti con i monaci che vivevano vita di<br />
clausura, ma per i suoi bisogni doveva rifarsi all’abate o ad un suo delegato. Al giorno<br />
d’oggi, al di là di una doverosa prudenza, si rispetta ancora la vecchia intenzione<br />
di S. Benedetto e quindi, qualsiasi persona abbisogni di riparo o di un pasto caldo,<br />
sarebbe sicuramente accolta. Esiste tuttora ufficialmente<br />
un monaco adibito al portierato notturno.<br />
Ma come mangiavano i monaci e come cucinavano<br />
il pasto? L’alimentazione era frugale e data principalmente<br />
dai prodotti della terra: frutta fresca, verdure,<br />
legumi, frumento che, venendo lavorato in loco, serviva<br />
per la panificazione; carni bianche di animali da<br />
cortile, nonché di pecora e capra, formaggi e latticini.<br />
Tutto doveva essere preparato all’interno del monastero e minimi dovevano essere<br />
gli spostamenti dei monaci all’esterno per reperire generi alimentari, visto che<br />
il contesto socio-ambientale, nei secoli antichi, era assai burrascoso per le continue<br />
guerre e contese tra i vari feudi. Si consumava molta carne di pesce che per essere<br />
conservato veniva allevato e mantenuto in vita in vasche situate all’interno del monastero.<br />
Non si usava consumare carne di quadrupedi se non per fini di riabilitazione o per<br />
monaci anziani debilitati e sofferenti. La carne rossa stimolava appetiti sessuali non<br />
propriamente consoni all’ambiente monastico.<br />
I pasti venivano cucinati in ampie cucine in muratura, alimentate a legna, costruite<br />
adiacenti il refettorio. I pasti non erano abbondanti e le porzioni erano calcolate<br />
nella misura del cibo imposta da S. Benedetto: “state bene attenti che i vostri cuori<br />
non si appesantiscano per l’intemperanza”.<br />
Per i monaci giovani la quantità di cibo era addirittura inferiore a quella degli<br />
adulti, fatti salvi i periodi di lavoro più faticoso, che presupponevano da parte dell’abate<br />
qualche aggiunta. Si beveva acqua e vino, il secondo ottenuto dalla coltivazione<br />
della vigna. Rimaneva comunque, anche per il consumo del vino, un regolamento<br />
sulla quantità di assunzione in considerazione al lavoro, più o meno pesante,<br />
del caldo dell’estate ecc.; questo perché si conveniva sulla necessità di essere sobri,<br />
evitando di bere sino alla sazietà, infatti “il vino fa traviare anche i saggi”.<br />
38
39<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Oltre alla preghiera che scandiva i vari momenti della giornata di un monaco,<br />
c’era la vita lavorativa che trovava compimento nel lavoro dei campi e nella coltivazione<br />
e lavorazione delle erbe e degli infusi medicamentosi.<br />
Ad altri il compito non meno gravoso della distillazione del whisky, di rosoli,<br />
grappe saporitissime e, in alcuni casi, della lavorazione della birra. Rimango amareggiato<br />
del fatto di non essere riuscito ad avere maggiori informazioni sulla cucina<br />
monacense; forse perché non esistono testi che riproducono ricette e modalità operative<br />
e, forse, per il fatto che l’alimentazione era condizionata dalla povertà del<br />
tempo, nonché da criteri di ristrettezza imposti dal credo cristiano.<br />
A conclusione di questa mia ricostruzione dei fatti, credo che la ricetta più bella<br />
che mi sono portato a casa sia stata sicuramente quella data dalle sensazioni di serenità<br />
e pace che solo un luogo così bello poteva trasmettere.
L’ospitalità dell’Abate<br />
VINI, LIQUORI E DISTILLATI<br />
NELLA TRADIZIONE BENEDETTINA<br />
a cura del prof. Fausto Fanini con la classe 3^ASso<br />
Con la classe 3^A Sala, nell’ambito del progetto”l’ospitalità dell’abate”, abbiamo effettuato<br />
uno studio sulle bevande tradizionali elaborate nelle abbazie. Legate all’attività<br />
agricola e alla necessità di produrre in loco gli alimenti per il sostentamento dei monaci,<br />
fin dai tempi più antichi, nei monasteri benedettini d’Europa si sono svolte interessanti e<br />
affascinanti sperimentazioni sulla produzione di vini, liquori e distillati in genere.<br />
In alcuni casi, le ricette uscite dalla sapienza dei monaci hanno trasformato il gusto<br />
e il modo di bere della stessa società. Si pensi all’abate Dom Perignon, inventore del<br />
mitico Champagne o ai monaci trappisti che in Belgio, Olanda e Germania hanno dato<br />
vita ad una vera e propria scuola birraia.<br />
La sezione che segue, oltre che fornire alcune notizie storiche riguardanti alcune<br />
bevande alcoliche ormai d’uso comune, vuole in qualche modo dimostrare come, ancora<br />
una volta, l’opera dei monaci benedettini si sia intrecciata con i costumi eno-gastronomici<br />
del mondo, insegnando il piacere del buon bere, secondo moderazione e saggezza.<br />
LE TRADIZIONI BIRRARIE NELLE ABBAZIE MEDIOEVALI<br />
di Stefania Beschin, Martina Zanchi, Fabio Ciman, Matteo Panarotto<br />
Nei periodi bui del Medioevo, la produzione della birra trovava sede nelle abbazie<br />
nord europee, vere e proprie città stato fortificate dove i monaci si rifugiavano e meditavano<br />
su Dio. Nei paesi a clima freddo, la birra sostituiva il vino. Nei pasti veniva<br />
usata la birra leggera, mentre quella più forte veniva utilizzata nelle occasioni di rilievo.<br />
A produrre la birra non erano solo i frati ma anche alcuni ordini di suore e a conferma<br />
di questo, fu trovato un documento che testimoniava una donazione di botti ai poveri,<br />
contenenti birra da parte di monache di clausura.<br />
Questi monasteri ad un certo punto cominciarono a creare vere e proprie fabbriche.<br />
Spesso, questi mastri birrai aggiungevano alle loro ricette erbe e spezie in diverse misure<br />
e composizioni. Inoltre, per aromatizzare le birre più forti si ricorreva alla cannella, ai<br />
chiodi di garofano, allo zenzero, all’aglio e al pepe ma specialmente, tali spezie venivano<br />
utilizzate per nascondere i difetti della bevanda.<br />
È nel Medioevo che, come ingrediente, entrò in scena anche il luppolo, per il suo<br />
gusto amaro e per le sue proprietà conservative. Proprio in questo periodo nacque anche<br />
una nuova professione: quella del “Mastro bottaio”che, proprio tra il XVI e i primi anni<br />
dei XVIII secolo, conobbe un periodo fiorente proprio per la diffusione della birra.<br />
40
41<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Le origini<br />
La birra è una bevanda alcolica aromatizzata con luppolo ottenuta dalla fermentazione,<br />
per mezzo di un lievito, degli zuccheri estratti dal malto d’orzo o d’ altri cereali.<br />
Bevanda di antica origine diffusa pressoché in tutto il mondo, si hanno testimonianze<br />
di produzione della birra addirittura presso i sumeri. La più antica legge che regolamenta<br />
la produzione e la vendita di birra è, senza alcun dubbio, il Codice di Hammurabi (1728-<br />
1686 a.C.) che condannava a morte chi non rispettava i criteri di fabbricazione indicati e<br />
chi apriva un locale di vendita senza autorizzazione.<br />
Gli ingredienti principali<br />
Dai quattro elementi base (acqua, malto, luppolo, lievito) per mezzo di cinque fasi<br />
standard (ammostamento, filtrazione, bollitura, fermentazione, maturazione) si può<br />
ottenere una gamma particolarmente ampia di birre. Nei paesi orientali come Cina e<br />
Giappone viene utilizzato il riso per abbassare il costo di produzione e nei paesi africani<br />
viene utilizzato il miglio e il sorgo. La produzione avviene tramite grandi caldaie. Il tutto<br />
viene poi aromatizzato con il luppolo ed altri aromi.<br />
La produzione della birra<br />
Non tutti i malti sono uguali. Abbiamo infatti le seguenti tipologie:<br />
Malto chiaro: si ottiene essiccando l’orzo in forno a temperatura lentamente crescente.<br />
Vengono utilizzati in piccole parti di malti diverse, è l’ideale per Ale chiare e per<br />
le Pilsner<br />
Malto ambrato e malto scuro: viene ottenuto sottoponendo l’orzo a un processo di<br />
essicazione che prevede temperature più elevate. In Europa viene prodotto il malto tipo<br />
“Vienna” che dona alla bevanda finale una colorazione rossiccia.<br />
Malto cristallino: si ottiene alzando repentinamente la temperatura del forno.<br />
In questo modo la buccia dell’orzo si secca mentre al suo interno si forma un nucleo duro<br />
che conferisce alla birra un gusto corposo e dolce.<br />
Malto colorante: si ottiene essiccando l’orzo a temperatura di circa 200°. Il suo impiego<br />
porta alla produzione di birre scure.<br />
Malto nero: si ottiene essiccando l’orzo al limite della bruciatura. Le birre si presentano<br />
estremamente saporite e tendenzialmente molto amare.<br />
Al malto vengono aggiunti acqua, lieviti, cereali e luppolo. La fermentazione del mosto<br />
avviene per opera dei lieviti del genere saccharomyces, che trasformano il glucosio in<br />
alcool etilico ed anidride carbonica. La classificazione delle birre si ha in base al lievito<br />
utilizzato. Esistono due grandi famiglie: a fermentazione alta e a fermentazione bassa.<br />
Esiste una terza categoria di birre ottenute da fermentazione spontanea chiamate Lambic
L’ospitalità dell’Abate<br />
che spesso vengono aromatizzate alla frutta a causa di un’eccessiva presenza di esteri<br />
dovuta alla fermentazione operata da lieviti non selezionati.<br />
Un ulteriore tipo di classificazione può essere legata al grado alcolico, generalmente<br />
misurato in percentuale di alcol sul volume della bevanda (titolo alcolometrico volumico),<br />
o alla quantità di zuccheri fermentabili presenti nel mosto prima della fermentazione<br />
misurato in gradi Plato.<br />
La produzione casalinga della birra<br />
Per la produzione casalinga, sono disponibili 3 diversi tipi di procedimenti:<br />
- Birra da estratto di malto luppolato;<br />
- Birra da estratto di malto non luppolato con o senza aggiunta di grani speciali;<br />
- Birra da all grain.<br />
La birra trappista<br />
Si definisce Birra Trappista una birra fabbricata da monaci trappisti o sotto<br />
il loro diretto controllo.<br />
Nel 1997, otto abbazie Trappiste - sei del Belgio, una Olandese e una Tedesca- fondarono<br />
l’ ITA (Associazione trappista internazionale) per prevenire l’uso improprio del<br />
marchio Trappista da parte di compagnie commerciali non autorizzate. L’associazione<br />
creò un logo che veniva imposto a prodotti che seguivano determinate regole, per la birra<br />
sono queste:<br />
- La birra deve essere prodotta all’interno delle mura di un’abbazia trappista, da<br />
parte di monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo.<br />
- La produzione, la scelta dei processi produttivi e l’orientamento commerciale devono<br />
ovviamente dipendere dalla comunità monastica.<br />
- Lo scopo economico della produzione di birra deve essere diretto al sostentamento<br />
dei monaci e alla beneficenza e non al profitto finanziario.<br />
L’associazione ha valore legale e il logo serve a dare precise garanzie al consumatore<br />
sul prodotto offerto e sulla sua fabbricazione.<br />
La birra Pilsen<br />
È una birra prodotta dai monaci fin dal XVI secolo. Inizialmente aveva come caratteristica<br />
la lunga conservabilità grazie alla lenta fermentazione al fresco nelle cantine,<br />
ma non garantiva caratteristiche finali soddisfacenti. Un’evoluzione del processo si ebbe<br />
nel 1836, con il perfezionamento della tecnica della bassa fermentazione, da cui derivò il<br />
termine “lager”. Nel 1838 venne fondata una birreria e affidata al bavarese Yosef Groll.<br />
Da questo stabilimento si ottiene un’ottima bevanda, color d’oro, limpida, fragrante e<br />
spumeggiante: la “Pilsen”, apprezzata e copiata in tutto il mondo.<br />
42
BREVE STORIA DELLE ACQUAVITI<br />
43<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
di Fornaro Elena, Tecchio Davide, Adami Valeria, Castelli Barbara,<br />
Fonte Valentina, Mastella Cinzia<br />
Le acquaviti, conosciute in tutto il mondo anche con il nome di distillati, spiriti o<br />
super alcolici, devono la loro nascita alla scoperta del fenomeno della distillazione.<br />
Queste nacquero nei paesi del sol levante e si diffusero tra il popolo arabo che le<br />
migliorò fino a renderle un’arte.<br />
Infatti questi popoli perfezionarono gli alambicchi e produssero alcol per prodotti<br />
cosmetici (questi ultimi termini sono proprio di origine araba).<br />
La distillazione si diffuse in Europa con l’avvento delle crociate: fu in quell’occasione,<br />
infatti, che il mondo cristiano si scontrò con la civiltà araba.<br />
In seguito a queste battaglie, i monaci estrapolarono da manoscritti orientali i segreti<br />
della distillazione.<br />
Vennero trascritti in latino presso le scuole di Salerno e Santiago di Compostela<br />
dove nacquero le prime figure di mastri distillatori che divulgarono la loro esperienza<br />
a tutto il mondo cristiano.<br />
Prima dell’alcol ottenuto dalla distillazione, nei monasteri, venivano usate a scopo<br />
curativo, bevande ottenute da un fermentato a cui si aggiungevano miele, erbe, bacche,<br />
radici, ecc; che si somministravano soprattutto ai malati e agli anziani.<br />
La distillazione aprì molte nuove strade: dal quel momento i monaci furono in<br />
grado di produrre bevande con un maggiore grado alcolico, ottenuto dalla distillazione<br />
dei “vecchi” fermentati.<br />
A quest’alcol si miscelavano elementi botanici che dopo essere stati essiccati<br />
venivano fatti macerare; si utilizzavano: salvia, timo, ruta, angelica, menta piperita,<br />
genziana e artemisia.<br />
L’espropriazione dei monasteri nei secoli seguenti, in seguito a lotte religiose in<br />
tutta Europa, portarono ad una diffusione della tecnica tra i “laici”.<br />
Lo scopo della distillazione è l’abbandono dell’alcol dall’acqua all’innalzarsi della<br />
temperatura, avendo questi prodotti diversi punti di ebollizione facilmente individuabili.<br />
La produzione dei distillati nei monasteri<br />
Molto probabilmente, il principio di distillazione era già noto agli Egizi circa nel<br />
4000 a.C., ma furono gli Arabi ad apprendere quest’arte e a diffonderla in Europa nel<br />
Medioevo.<br />
L’alcol era il principale prodotto che veniva usato nella distillazione ed era l’ingrediente<br />
basilare per preparazioni farmaceutiche come tinture, elisir, spiriti aromatici,<br />
ecc...
L’ospitalità dell’Abate<br />
Nel XII secolo la scuola di medicina di Salerno si occupò dello studio della distillazione,<br />
prendendo spunto dai monasteri del Medioevo che erano centri di cultura e sapere<br />
di eccellenza.<br />
Quando si diffuse la distillazione in Europa, in Italia nacque la distillazione delle<br />
vinacce, cioè la grappa.<br />
Questo infatti era il distillato più elaborato dei monasteri; ponevano le vinacce in<br />
contenitori di ferro come delle pentole o dei tini e aggiungevano qualche aroma per armonizzarle.<br />
Venivano fatte invecchiare in botti di legno.<br />
I LIQUORI<br />
di Vantini Andrea, Faccin Fabio, Rizzo Matteo, Brendolan Andrea, Sterchele Michele.<br />
Con il termine “liquore” si definisce un determinato tipo di bevande che vengono<br />
ottenute tramite distillazione e con l’aggiunta, successivamente, di aromatizzanti e zucchero.<br />
La storia dei liquori è molto antica, non c’è un inizio preciso, ma piuttosto un’evoluzione<br />
di alcuni preparati magici che l’uomo creava. In Italia, paese dove la tradizione<br />
liquoristica è forte, bisogna risalire al Medioevo per ritrovare le prime tracce di pozioni<br />
fatte da alchimisti che ricercavano l’elisir di lunga vita.<br />
A Salerno invece sorse una famosa scuola di medicina il cui obiettivo scientifico era<br />
quello di studiare delle formule di liquori che avessero poteri benefici sull’organismo<br />
umano e che curassero certi malanni in maniera specifica.<br />
Inizialmente infatti, erano delle miscele prodotte per una funzione farmaceutica e<br />
solo in seguito si pensò di modificare il gusto per renderli più gradevoli.<br />
Dagli inizi del ‘900 si consolidò l’industria liquoristica sfruttando in parte vecchie<br />
segretissime ricette dei monasteri, tutt’oggi molto diffuse e creando una grande quantità<br />
di miscele molto raffinate.<br />
Nel monastero Casamari, Fra Eutimio Zannuccoli nella seconda metà del XIX°<br />
secolo, iniziò a coltivare la canna da zucchero dalla quale ricavava la melassa per la<br />
preparazione del rum. Intanto molti altri monaci seguirono le sue orme come Fra Sante<br />
Palombi e Fra Bernardo Pulcinelli. Poi ci furono anche altri bravi monaci liquoristi tra<br />
cui Fra Pietro Donatelli e Fra Paolo Pagliaroli.<br />
È grazie al loro paziente lavoro di continua ricerca che sono giunte fino a noi delizie<br />
come l’elisir San Bernardo al rabarbaro, il Rosolio stomatico al mandarino, il Rosolio al<br />
caffè, la sambuca all’anice ecc.<br />
Un tempo i monaci confezionavano tutto, inclusi contenitori come bottiglie, ampolle<br />
e vasetti che erano prodotti da loro stessi. Tuttavia, in seguito, non fu più possibile continuare<br />
con la produzione propria. Si fece dunque ricorso alle industrie sia per i contenitori<br />
che per le materie prime utilizzate per la produzione degli infusi e dei liquori (rabarbaro,<br />
44
45<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
melassa e china).<br />
I liquori possono essere usati come aperitivi, digestivi o possono entrare nella composizione<br />
di cocktail. I liquori più pregiati hanno una gradazione alcolica più alta, mentre<br />
quelli meno pregiati hanno più sostanze coloranti a gradazione alcolica più bassa.<br />
Gli aromi più usati per dare il gusto ai vari liquori sono i semi di prugnolo e di cumino,<br />
la scorza d’arancia ecc.<br />
Fra tutti i liquori realizzati dai monaci quelli alle erbe occupano una posizione predominante.<br />
Questi vengono anche chiamati liquori “ri monici”. Si ispirano alle vecchie<br />
erboristerie dei conventi, creazioni originali che ormai si sono perse nel tempo. A differenza<br />
dei liquori alle spezie, che hanno quasi sempre un’ aroma prevalente,<br />
questi liquori erano spesso composizioni accuratamente armonizzate con vari tipi di<br />
erbe, radici e sostanze amarognole.<br />
LO CHAMPAGNE<br />
di Genny Valentini, Daniele Burato, Aldo Venturini, Debora Anderloni,<br />
Chiara Casagrande<br />
Lo champagne nacque al tempo dei romani. I legionari quando occupavano nuove<br />
terre, impiantavano le vigne, così ci fu l’estensione della viticoltura in quasi tutti i territori<br />
dell’impero. La vite era però già conosciuta in Gallia, nelle cui piccole province<br />
meridionali la sua introduzione era dovuta ai greci.<br />
Come la viticoltura sia arrivata nella zona dell’attuale champagne è ancora oggi sconosciuto,<br />
infatti esistono due teorie: la prima secondo cui la viticoltura dello champagne<br />
esisteva già, la seconda sostiene che quest’arte sia stata importata dagli invasori.<br />
Nell’anno 92 d.C. l’editto di Domiziano, che imponeva di sradicare le viti nelle<br />
colonie, si fa sentire pesantemente in tutta Europa. Questo editto fu emanato perché si<br />
volevano valorizzare i vini italiani e per arricchire la grande Roma dell’epoca.<br />
Dal 276 l’ imperatore Probo lo revocò e ordinò alle legioni di ricominciare l’arte della<br />
viticoltura.<br />
Lo champagne fu probabilmente l’unico vino al quale sia stato attribuito un inventore,<br />
l’abate benedettino Dom Perignon. Nel 1600, a causa delle guerre e dei saccheggi<br />
che devastarono la regione, avvenne la distruzione e l’abbandono dei conventi e delle<br />
abbazie che portò al decadimento delle annesse vigne.<br />
Ma nel 1670 Dom Perignom giunse all’abbazia d’Hautvillers con l’ incarico di tesoriere.<br />
Egli trovò il convento e le vigne in uno stato di totale abbandono e si adoperò per<br />
rimetterle in sesto.<br />
Il suo lavoro consisteva nel produrre il vino perfezionandolo. Si applicò dunque alla<br />
selezione delle uve migliori: scelse il Pinot noir. Rimane il dubbio sulla genesi della trasformazione<br />
del vino fermo in vino spumante.
L’ospitalità dell’Abate<br />
Riguardo a ciò, si sono affermate tre versioni. La prima di esse ritiene che lo champagne<br />
sia nato casualmente per errore durante la vinificazione di alcuni vini bianchi. Questo<br />
errore causò lo scoppio di alcune bottiglie poste ad affinare in cantina. Dom Perignon<br />
scoprì così la “presa di spuma”.<br />
Un’altra versione afferma che il giovane benedettino, durante la primavera, aggiungeva<br />
dei fiori di pesco e dello zucchero per rendere il vino più gradevole, tappando le<br />
bottiglie con dei tappi di legno di forma tronco conica. Quando si stappava la bottiglia<br />
si produceva della spuma. Un’ulteriore versione afferma che i viticoltori si erano resi<br />
conto che il vino ottenuto da uve di Pinot invecchiava male nelle botti e così decisero di<br />
imbottigliarlo subito dopo la fermentazione.<br />
Nelle bottiglie questo vino conservava in modo efficace gli aromi ma aveva il difetto<br />
di diventare spumante causando lo scoppio di molte bottiglie. Dom Perignon ebbe il<br />
merito di definire il vitigno più adatto per la produzione dello champagne (Pinot noir), di<br />
applicare la tecnica dell’assemblaggio e sostituire i tappi di legno a forma tronco-conica,<br />
usati fino ad allora, con tappi di sughero ancorati al collo della bottiglia per mezzo di una<br />
gabbietta metallica.<br />
Ci fu un problema che fortunatamente fu risolto dai tecnici dell’azienda di Barbe<br />
Nicole Ponsardin: riguardava la formazione di un deposito nelle bottiglie durante la<br />
permanenza in cantina per la seconda fermentazione. Questi tecnici, per la risoluzione<br />
dell’accaduto, idearono le “pupitres”, ossia dei cavalletti di legno, e misero a punto il<br />
“remuage sur pupitres”, un metodo di rotazione delle bottiglie per far sì che le fecce<br />
contenute nel vino si depositassero sul collo della bottiglia.<br />
Lo champagne diffuse la sua fama nel mondo e portò alla nascita di aneddoti e leggende<br />
difficilmente verificabili. Il fatto che Dom Perignon fosse un esperto assaggiatore<br />
di vini è ad esempio falso, essendo quest’ultimo vegetariano; era invece un eccellente<br />
assaggiatore di uve. Dom Perignon, in punto di morte, rivelò la ricetta dello champagne<br />
e sembra che la ragione della particolare forma dei bicchieri a coppa fosse, che secondo<br />
la leggenda sarebbero stati modellati sul seno di Madame de Pompadour.<br />
Bibliografia:<br />
AIBES, Professione barman, Edizioni Le Monnier, Firenze 20<strong>04</strong>.<br />
A. MACHADO, Alimenti e alimentazione, Casa editrice Poseidonia, Bologna 20<strong>04</strong>;<br />
O. GALEAZZI, Servizio di sala e bar, editore Ulrico Hoepli, Milano 2006.<br />
A.A.V.V., Come conoscere, fare e degustare la birra, Edizioni de Agostini.<br />
Sitografia:<br />
www.wikypedia.org<br />
www.acqueviti.it<br />
www.monasteri.it<br />
46
MONASTERI DELL’EST VERONESE<br />
47<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
di Bongiorno Tobia, Ceretta Giada, Dalla Riva Fabio, Gambaretto Alice,<br />
Kablan Rosine, Mastella Sara, Polato Michele, Piacenza Andrea,<br />
Scotto di Covella Davide (classe 3^ACso).<br />
L’ABBAZIA DI VILLANOVA DI SAN BONIFACIO<br />
Contrariamente a quello che si può pensare oggi,<br />
l’Est veronese, ha avuto, nel progredire dei secoli, a<br />
partire dall’Alto Medioevo fino a tutta l’epoca moderna<br />
e, per certi aspetti, anche nella contemporaneità, una<br />
presenza ampia ed articolata di enti religiosi che si sono<br />
insediati e che hanno dato vita a molteplici attività che,<br />
se pur trasformatasi nel corso dei secoli ed adeguatasi<br />
alle esigenze concrete di un servizio alle comunità locali,<br />
ha cercato di interpretare in termini di disponibilità e sussidiarietà, le esigenze del<br />
momento storico. Per quanto riguarda l’organizzazione monastica e claustrale del medioevo<br />
e dell’epoca moderna, essa ha subito un drastico ridimensionamento e, in molti<br />
casi, la definitiva estinzione soprattutto in due momenti particolari, tra Settecento e<br />
Ottocento, quando la Repubblica di Venezia incamera i beni e procede alla soppressione<br />
e quando nel periodo napoleonico molti monasteri subiscono un’analoga sorte,<br />
estinguendosi definitivamente.<br />
Sulla Via Postumia, a Villanova di San Bonifacio, sorse attorno all’anno 763 una<br />
chiesa con annesso monastero, dedicata all’apostolo Pietro. Il tempio fu distrutto dal<br />
terremoto del 1117 e ancora oggi restano alcune tracce nella chiesa costruita successivamente<br />
sui suoi resti.<br />
L’antico luogo di culto sarebbe stato eretto da sant’Anselmo del Friuli nell’alto<br />
medioevo.<br />
Nel 1131 l’abate Umberto dei conti di San Bonifacio decise di ricostruire la chiesa<br />
dedicandola appunto all’apostolo Pietro.<br />
Sì può intuire l’antichità dell’abbazia attraverso marmi posti nell’edificio, il pluteo<br />
vicino all’altare maggiore e la presenza di alcune colonne nella cripta sotto la chiesa<br />
centrale.<br />
Nel XII secolo l’abbazia andò incontro ad un periodo ricco di problemi nel quale<br />
subì anche delle devastazioni. Nel 1400 l’abate Guglielmo da Modena restaurò l’intero<br />
monastero, le sue mura e di conseguenza anche gli edifici vicini che si affacciavano sul<br />
cortile e infine realizzò la cella campanaria.
L’ospitalità dell’Abate<br />
Dai monaci Benedettini l’abbazia passò agli Olivetani che verso la metà del XVII<br />
secolo incisero in modo pesante sul complesso dell’abbazia e sull’agricoltura.<br />
Infatti la produzione dei campi fu divisa in diverse grandi categorie: i cereali,<br />
le leguminose, le erbe, l’uva, il vino, il lino, e altre mercanzie di solito usate come<br />
fitto.<br />
Gli animali da cortile erano: i capponi, le galline, i pollastri ed i maiali. Alcuni di<br />
questi venivano fatti pascolare, ed erano parte fondamentale della riscossione della<br />
decima. Anche le uova (soprattutto nel periodo pasquale) costituivano un parte del<br />
prelievo fiscale.<br />
Tra chi lavorava nell’abbazia ricordiamo i braccianti, i conversi, i fattori, i gastaldi,<br />
ed i servitori, tutti dell’area bonifacese e delle zone immediatamente limitrofe.<br />
La struttura<br />
Il monastero benedettino si divide in due parti. La prima, al lato nord dell’abbazia,<br />
è formata da alcuni archi d’origine (si ritiene) gotica in cotto. La seconda parte, ai lati<br />
sud-est, è composta di due piani.<br />
Internamente è formata da vecchie travi che danno sostegno al tetto, ed è composta<br />
da un inserimento di saloni barocchi e da una biblioteca, un refettorio e, nell’ala est,<br />
troviamo i granai.<br />
La cripta è divisa in cinque navette inframezzate da 24 colonne; le 3 navette si<br />
concludono in tre absidi che fanno corpo unico con l’abbazia.<br />
La base del campanile in origine doveva essere una torre dell’Alto Medioevo.<br />
Secondo un’inscrizione, la torre campanaria, fu iniziata nel 1148. L’abbazia restò per<br />
anni chiusa e in stato di abbandono. Nel 1996 furono avviati i restauri che ne permisero<br />
la riapertura.<br />
L’ABBAZIA DI BADIA CALAVENA<br />
Badia Calavena è un paesino situato a nord della Val<br />
d’Illasi in provincia di Verona. Il nome “Badia” deriva<br />
da “abbazia”, riferito dunque alla struttura costruita dal<br />
vescovo di Verona Salterio tra il 1037 ed il 1052.<br />
Nel 1185 papa Lucio III visita il monastero e, per<br />
l’occasione, consacra la chiesa; tra il 1424 ed il 1433 si<br />
ha un rinnovamento edilizio complessivo dell’abbazia ad<br />
opera dell’abate veronese Maffeo Maffei.<br />
Esso rimase per 9 anni nell’abbazia prima di passare a quella di San Fermo minore,<br />
a Verona.<br />
Il complesso fu ceduto alla congregazione di Santa Giustina di Padova e poi alla<br />
congregazione benedettiana di San Nazzaro in Verona.<br />
48
49<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
L’edificio sorse attorno un chiostro di cui resta solo il lato<br />
meriodionale. Quanto resta ora del monastero è rovinato dal<br />
tempo, dalle guerre, dai terremoti ecc; il lato sud è una casa<br />
colonica, quella ovest un’abitazione.<br />
I primi dati sicuri relativi all’esistenza della struttura risalgono<br />
al 1<strong>04</strong>0 (ma sono stati trovati reperti anche risalenti all’età<br />
del ferro): Walterio fece costruire un castello sul colle San<br />
Pietro nei periodi successivi però distrutto.Sulle sue rovine fu costruito il monastero,<br />
abitato dai monaci tedeschi.<br />
Nel 10 gennaio 1333 in un atto si cita una lite tra il monastero e gli abitanti di<br />
Badia per questioni di pascoli e di terreni.<br />
Nel 1405 Badia è passata dalla signoria di Verona alla Repubblica Veneta unendosi<br />
agli altri comuni dei monti Lessini.<br />
Nel 1500 ci furono altre liti a causa della decadenza dell’Abbazia.<br />
Nel 1797 Badia Calavena, sotto il dominio francese, diventa centro del “Distretto<br />
della Montagna”.<br />
Tra gli avvenimenti più importanti ricordiamo, in particolare, la peste del 1630,<br />
l’inondazione del Progno nel 1882 ed il disastroso terremoto del 1892.<br />
I resti dell’Abbazia si trovano nella Piazza Mercato, rovinati dal parziale abbandono.<br />
Con l’uso di abitazione civile, essa ha perso oggi in parte la sua funzione<br />
religiosa.<br />
IL MONASTERO DEI SS. NAZARO E CELSO<br />
Del monastero dei santi Nazaro e Celso, a Soave, si ha una prima testimonianza<br />
nel 1094.<br />
L’impegno dei benedettini in favore della chiesa della Bassanella è testimoniato<br />
dalla loro ininterrotta presenza a partire dal XII secolo con un cappellano che ne ufficiava<br />
ed amministrava i beni.<br />
Subentrarono gli Oliveti di S. Giustina di Padova, e questo ordine ufficiò nella<br />
chiesa fino al 1797.<br />
Dal 1800 il rettore della Bassanella veniva nominato dal vescovo di Verona.<br />
La svolta nella storia architettonica del santuario della Bassanella si ha nel 1836,<br />
quando anche a Soave scoppia un’epidemia di colera; al cessare dell’epidemia si opta<br />
per la costruzione di un nuovo edificio sacro (architettato dall’ingegnere Antonio Zanella).<br />
Il 25 Marzo 1837 si ha l’inaugurazione, con l’aggiunta dell’immagine della Vergine<br />
nella nicchia, che ancora oggi viene venerata.
L’ospitalità dell’Abate<br />
IL MONASTERO DI S. ZACCARIA DI VENEZIA<br />
Il monastero di S. Zaccaria di Venezia è situato a Ronco, viene eretto tra il X e il XII<br />
secolo e vi rimane fino al 1348.<br />
Le carte del monastero tra il 1200 ed il 1348, offrono un quadro esaustivo della produzione<br />
nei campi di Ronco: si annoverano cereali, leguminose, fagioli, viticoltura.<br />
LA BASILICA DI SAN ZENO<br />
San Zeno, a Verona, non è soltanto il nome del santo<br />
patrono o della chiesa consacratagli, ma è anche linfa vitale<br />
della tradizione storica cittadina,ricordo, cultura, costume<br />
veronese e quindi anche festa, rito ed “atmosfera”.<br />
Il mito sacro nasce nel IV secolo quando la salma di<br />
Zeno, vescovo di Verona amatissimo dai suoi fedeli, per<br />
essere seppellita dovette esser trasportata dagli eremiti<br />
Benigno e Carlo, chiamati apposta dalle selve del Monte<br />
Baldo, soli fra tutti giudicati degni di toccare quel corpo che nessuno osava nemmeno<br />
avvicinare tanto era venerato.<br />
La struttura<br />
Il capolavoro si presenta con la facciata in color avorio: il grande rosone, il Giudizio<br />
Universale inciso sul fronte, il portale ricoperto di formelle il bronzo, il protiro sorretto<br />
da colonnine poggianti su leoni in marmo rosso, le sculture ai lati del portale. All’interno<br />
le dimensioni sono grandiose e nello stesso tempo semplici e lineari. Il grande battistero<br />
ottagonale in marmo nella navata destra, il presbitero in linee gotiche. Nell’abside troviamo<br />
affreschi del XV secolo e nell’absidiola di sinistra la celebre statua policroma di<br />
San Zeno.<br />
San Zeno, ottavo vescovo di Verona e patrono della città, era originario dell’Africa<br />
settentrionale, fu eletto alla guida della diocesi l’8 dicembre 362 e morì il 12 aprile di un<br />
anno fra il 372 e il 380.<br />
MADONNA DEI MIRACOLI A LONIGO<br />
Sebbene si trovi nel territorio della provincia di Vicenza, il santuario<br />
della Madonna dei Miracoli di Lonigo è stato da secoli punto<br />
di riferimento spirituale per molti abitanti dell’Est veronese.<br />
L’edificio sorge nel luogo dell’antica chiesa di San Pietro Lomentese<br />
o Lamentese, che faceva parte di un complesso monastico<br />
benedettino, fondato tra il X e il XI secolo e legato alla diocesi di<br />
50
51<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Verona, poiché dipendeva dall’abbazia cittadina di Santa Maria in Organo.<br />
La venerazione della Madonna di Lonigo risale alla fine del ‘400. La tradizione<br />
racconta che, verso la fine di aprile 1486, tre calzolai partirono da Verona per recarsi al<br />
mercato di Lonigo. Uno dei tre aveva con sé una forte somma e gli altri due decisero di<br />
ucciderlo per impossessarsene. Il delitto fu commesso vicino alla chiesa abbandonata<br />
di San Pietro. Deposto il bottino sull’altare per spartirselo, uno dei due fu preso dal<br />
rimorso; l’altro iniziò a bestemmiare e, vista un’immagine della Vergine dipinta sul<br />
muro, la sfregiò. La Madonna alzò la mano sinistra per coprirsi l’occhio ferito e con<br />
l’altra si tocco il petto da cui iniziò ad uscire sangue. L’omicida pentito fu poi giustiziato,<br />
l’altro riuscì a dileguarsi.<br />
Nel 1492 fu proclamata la veridicità del miracolo.<br />
Bibliografia:<br />
Itinerari di fede, arte e natura, tra santuari, monasteri e luoghi di culto del nostro territorio,<br />
l’Arena, direttore responsabile Maurizio Cattaneo.<br />
Abbazia di Villanova. Breve guida storico-artistica, 2°A edizione.<br />
E. SANTI (a cura di), Chiese romaniche nel territorio dell’est veronese: secoli IX-XII, Ed.<br />
Saris, Caldiero (VR) 1998.<br />
Sitografia:<br />
www.wikipedia.org
APPENDICE<br />
53<br />
L’ospitalità dell’Abate
L’ospitalità dell’Abate<br />
LA STORIA DEGLI ERBARI<br />
a cura delle prof.sse Paola Cappiotti e Claudia Posani con la classe 2^ Cso<br />
Lo studio degli erbari storici permette di ricostruire il paesaggio naturale del passato<br />
e di confrontarlo con l’attuale per comprendere i cambiamenti dell’ambiente e cercare<br />
strategie di conservazione per il futuro.<br />
Analizzando gli erbari si capisce quante trasformazioni sono intervenute nel corso<br />
degli anni nei vari ambienti naturali.<br />
Lo studio della botanica nasce dal bisogno di dare un nome e riconoscere le erbe ad<br />
azione terapeutica. In passato, nell’erbario, venivano elencate, descritte e raffigurate<br />
le piante dotate di proprietà medicinali.<br />
Il primo erbario fu quello del filosofo-naturalista greco<br />
Teofrasto, allievo di Aristotele (372-287 a.C.) “Historia<br />
plantarum”.<br />
Nel I secolo d.C. fu redatto l’erbario figurato di Pedanio<br />
Dioscoride intitolato “De materia Medica Libri Quinque”,<br />
nel quale sono descritte circa seicento piante e che<br />
rappresentò il miglior trattato fino al Rinascimento; esso<br />
venne infatti tradotto e copiato in molte lingue tra le quali<br />
l’arabo e il persiano.<br />
Gli erbari medievali erano figurati, ma le piante potevano<br />
essere disegnate anche da chi non le avesse mai viste:<br />
esse risultavano quindi in parecchi casi fantastiche. Questo tipo di erbario si usò fino al<br />
XV secolo.<br />
Molti erbari si sono ispirati alle teorie di Paracelso (1451-1493) che sosteneva che<br />
tutte le erbe nascondessero un segno occulto della loro utilità per l’uomo; le foglie a<br />
forma di cuore per i disturbi cardiaci, la linfa gialla per l’itterizia. Le parti della pianta<br />
venivano raffigurate con gli organi del corpo che erano in grado di curare.<br />
Leonardo Da Vinci introdusse l’erbario ad impressione; bisognava intingere le foglie<br />
nel colore o nel nerofumo e appoggiarle in un foglio.<br />
Nel 1544 il medico-botanico senese Pier Andrea Mattioli<br />
pubblicò a Venezia il suo erbario figurato con la descrizione<br />
di circa 1200 specie di piante d’uso medicinale a<br />
completamento dell’opera del Dioscoride, con bellissime<br />
ed accurate tavole botaniche.<br />
Pregevoli sono anche gli erbari figurati dei tedeschi<br />
Brunfels e Fuchs e dell’italiano Aldrovaldi (1522-1605)<br />
che con la sua opera in 360 volumi si può considerare<br />
uno dei massimi studiosi delle scienze naturali del Cinquecento.<br />
54
55<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Nel XVIII secolo iniziarono a comparire gli erbari a piante essiccate. Le piante essiccate<br />
mantengono le loro caratteristiche e gli erbari sono consultabili in ogni periodo<br />
dell’anno.<br />
Alla fine del ‘700 le collezioni di piante essiccate diventano, per i botanici, lo strumento<br />
di lavoro nello studio della variabilità del mondo vegetale. In Italia l’importanza<br />
assunta da questo tipo di collezioni è testimoniata dall’opera di botanici quali Parlatore<br />
(1816-1877) e Bertoloni (1775-1869) che utilizzarono i propri erbari nella realizzazione<br />
delle Flore d’Italia.<br />
Parlatore capì l’importanza di riunire le raccolte di piante riguardanti la flora italiana<br />
per facilitare le loro ricerche ed avere un unico Erbario di riferimento. Egli istituì l’Herbarium<br />
Centrale Italicum, museo fiorentino che dalla sua fondazione, avvenuta nel 1842,<br />
riceve campioni raccolti in ogni regione d’Italia.<br />
L’Index Herbariorum quantifica il patrimonio attuale degli erbari mondiali ad un<br />
totale di 270.000.000 campioni.<br />
La tradizione degli antichi erbari manoscritti<br />
tra Europa, Occidente e Oriente<br />
Nel 1927 in un suo articolo, intitolato “L’Erbario”,<br />
Singer delinea in maniera organica la genesi e la diffusione<br />
degli studi botanici legati alla medicina, dalla Grecia<br />
al Rinascimento. Sebbene lo studio delle erbe abbia radici<br />
antichissime, l’erbario acquisisce una forma letteraria documentata<br />
nella Grecia antica, verso il IV secolo a.C. Un<br />
erbario giunto a noi è il IX libro della “Historia Plantarum”<br />
di Teofrasto di Eresos.<br />
Crateuas, oltre a libri sulla natura, scrisse un secondo erbario raffigurando le piante con<br />
una breve descrizione sul loro uso. Discoride fu il personaggio più importante nella storia<br />
degli erbari e scrisse il “Codice Viennese”, nel quale per la prima volta alcune figure sono<br />
disegnate in modo naturalistico, oltre al consueto modo schematico.<br />
Nel IX secolo fu scritto l’erbario di Parigi. Dal IX secolo in poi gli erbari si diffusero in<br />
maniera repentina, e gran parte dei testi botanici arabi risalgono al XII e XIII secolo.<br />
I monaci fornivano ingredienti alla medicina che i malati usavano per le terapie; inoltre<br />
i monaci si servivano di persone adibite alla raccolta di erbe medicinali o animali, come:<br />
le sanguisughe, i serpenti, gli insetti, che servivano per la preparazione dei rimedi.<br />
Bibliografia:<br />
M. EUPO (a cura di), L’erbario di Trento, Edizione della Provincia Autonoma di Trento Assessorato<br />
alle Attività Culturali, edizione 1982.<br />
L. CURTI (a cura di), Herbarium, ed. Signum Verde, Limena (Padova).
L’ospitalità dell’Abate<br />
LE PIANTE OFFICINALI<br />
a cura della classe 2^Bso e di Daniele Bonetti (classe 3^ACso)<br />
Fin dai tempi antichi le piante sono utilizzate per vari scopi, secondo le loro proprietà<br />
e le loro caratteristiche. Le piante officinali erano già usate dai Sumeri e dagli Egiziani,<br />
ma è solo nel Medioevo che il loro uso è diventato un’arte, arrivata fino ai giorni nostri.<br />
Gli usi delle piante officinali sono i seguenti:<br />
- Medicina;<br />
- Cosmetica;<br />
- Alimentazione;<br />
- Arte della tintoria.<br />
Alle piante si attribuivano poteri magici e miracolosi.<br />
Attrezzi per la lavorazione:<br />
- mortaio - bilancia - distillatore - incensiere<br />
- alambicco - bollitore - macina - storta<br />
- ampolla - circolatore - diffusori - flaconi<br />
Usi delle erbe:<br />
- decotti - morselletti<br />
- pomate - elettuari<br />
- tisane - pozioni<br />
- infusi - liquori<br />
E anche:<br />
Robbi: succhi di frutta fatti asciugare al sole;<br />
Locchi: fatti con zuccheri, miele e succhi vegetali;<br />
Olii: ottenuti spremendo vegetali;<br />
Giulebbi: fatti con acqua, vino, miele, succhi vegetali;<br />
Trocisci: polveri vegetali mescolate con succhi vegetali.<br />
Le preparazioni si dividono in semplici (una sola essenza) e composti (più essenze).<br />
56
CAMOMILLA<br />
57<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Matricaria camomilla L.<br />
Matricaria<br />
Camomilla comune<br />
Camomilla tedesca<br />
Famiglia delle Composite<br />
Notizie storiche<br />
La camomilla era una pianta<br />
usata nella farmacopea casalinga.<br />
Nell’antichità questa<br />
pianta fu distinta in tre caratteri<br />
botanici: le ligule bianche dei<br />
capolini, che al termine della<br />
fioritura sono rivolte verso il basso, il ricettacolo conico e cavo e le foglie, incise in<br />
sottili lacinie. Presente nei campi di frumento, ai bordi delle strade di campagna, questa<br />
pianta cresceva diffusamente in Grecia e fin dall’ antichità fu tenuta in grande considerazione<br />
per il suo particolare profumo e l’odore aromatico penetrante; Dioscoride scoprì<br />
empiricamente le sue proprietà emmenagoghe, confermate da esperimenti di laboratorio,<br />
19 secoli più tardi.<br />
Habitat, identificazione e parti utilizzate<br />
La camomilla comune è una pianta erbacea annuale di pianura presente negli incolti<br />
nelle zone asciutte e sassose; cresce fino ai 150 – 200 metri s.l.m.<br />
La camomilla comune è del tutto diversa dall’ Anthemis nobilis (camomilla romana)<br />
che è una pianta erbacea perenne.<br />
Utilizzo<br />
Le parti utilizzate della camomilla sono i capolini fiorali, raccolti tra giugno e luglio.<br />
Essi contengono un olio essenziale ricco di camazulene blu, flavonoidi, cumarina, alcol,<br />
acidi grassi, potassio e vitamina C. La matricaria ha le seguenti proprietà: antinfiammatorio,<br />
antisettico, antispasmodico, tonico, antalgico, sedativo, emmenagogo ed eupeptico.<br />
È utilizzata per curare cefalee, influenza, nevralgia, piaghe e scottature.
L’ospitalità dell’Abate<br />
VALERIANA<br />
58<br />
Valeriana officinalis L.<br />
Amantilla<br />
Erba gatta<br />
Nardo selvatico<br />
Vallariana<br />
Baddariana<br />
Famiglia delle Valerianacee<br />
Notizie storiche<br />
Nel IX secolo un medico<br />
egiziano la fece conoscere per<br />
la prima volta in Occidente.<br />
Nel Medioevo era considerata una panacea e si ritiene che Fabio Colonna, nel 1592, sia<br />
guarito dall’epilessia con l’uso di questa pianta. In passato fu utilizzata come febbrifugo,<br />
prima della conoscenza del chinino. Oggi è considerata tra i migliori sedativi contro gli<br />
squilibri nervosi.<br />
Habitat, identificazione e parti utilizzate<br />
Questa pianta vive nei boschi e nelle zone umide di tutta Italia, sulle Alpi e sugli<br />
Appennini fino a 2400 metri s.l.m.<br />
Pianta perenne, dal fusto cavo, eretto, scanalato, poco ramificato e foglioso, alto da<br />
80 a 150 centimetri. Foglie opposte, imparipennate; fiori bianchi o rosa (maggio – agosto),<br />
piccoli, compatti e riuniti in cime ombrelliformi. Odore forte e sgradevole. Sembra<br />
che i gatti ne vadano matti, in mezzo alle piante essi si rotolano con piacere.<br />
Le parti utilizzate sono il rizoma fresco con le radici.<br />
Utilizzo<br />
Presenta proprietà antispasmodiche, ipnotiche e sedative; a volte può servire come<br />
moderatore dell’appetito, ma per l’azione che può avere sui centri nervosi, la cura non<br />
deve superare gli 8 giorni consecutivi.<br />
Utilizzata contro l’angoscia, l’asma, la cellulite, le coliche, le convulsioni, la depressione,<br />
la menopausa, il nervosismo, l’obesità, le palpitazioni e il sonno.
CILIEGIO SELVATICO<br />
Prunus avium L.<br />
Ciliegia Bisciolina<br />
Ceresa neira<br />
Famiglia delle Rosacee<br />
59<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Notizie storiche<br />
Per molto tempo si è creduto<br />
che il ciliegio spontaneo fosse<br />
originario dell’Asia Minore; studi<br />
recenti provano invece che è tipicamente<br />
Europeo. Infatti sono stati<br />
rinvenuti noccioli di ciliegio intatti<br />
appartenenti all’era neolitica. Il legno del ciliegio è utilizzato dagli ebanisti e dai tornitori<br />
in legno. I fiori sono melliferi e i frutti neri si possono consumare freschi o in marmellate;<br />
distillati si usano per la fabbricazione del Kirsch. L’alcol naturale, così ottenuto,<br />
contiene un tasso molto basso di acido cianidrico, non ritenuto tossico.<br />
Habitat, identificazione e parti utilizzate<br />
Cresce in tutta Europa, escluse le estreme regioni nordiche, nei boschi, foreste, colline<br />
e montagne fino ai 1.700 metri s.l.m. Il ciliegio selvatico può raggiungere i 10 – 20<br />
metri di altezza e vivere anche oltre tre secoli. Il tronco ha una corteccia satinata, bruna,<br />
brillante che si scorteccia in senso orizzontale.<br />
La chioma è poco densa, i rami sono aperti; foglie verde opaco, pubescenti inferiormente,<br />
dentate, ellittiche con piccioli muniti di 1 – 2 glandole all’estremità; fiori bianchi<br />
( aprile – maggio ) con lunghi peduncoli, in fascetti ombrelliformi senza foglie, 5 petali,<br />
5 sepali; drupa piccola rossa poi nera, con nocciolo; ceppo senza stoloni. Odore nullo;<br />
sapore dolce - amaro.<br />
Le parti utilizzate sono i frutti, il succo, il peduncolo dei frutti (giugno luglio); essiccare<br />
all’ombra.<br />
Utilizzo<br />
Le parti utilizzate contengono: acidi organici, tannino, un enzima e la pro-vitamina A.<br />
Le proprietà curative della pianta sono conosciute come : diuretico, lassativo, rinfrescante.<br />
È impiegata per curare: artrite, digestione, gotta, obesità, stitichezza.
L’ospitalità dell’Abate<br />
ROSMARINO<br />
60<br />
Rosmarinus officinalis L.<br />
Ramerino<br />
Rosamarina<br />
Osmari<br />
Sgulmarin<br />
Tresomarino<br />
Rumosino<br />
Rusmarin<br />
Famiglia delle Labiate<br />
Notizie storiche<br />
In Italia il rosmarino si trova,<br />
allo stato spontaneo, lungo tutta<br />
la costa. Sembra che il nome latino Rosmarinus si riferisca al celeste dei fiori, che ricorda<br />
il colore del mare. Nel XVll secolo, la regina Isabella d’Ungeria, settuagenaria e<br />
piena d’acciacchi, ritrovò, si dice, la salute e una seconda giovinezza grazie al rosmarino.<br />
La ricetta dell’acqua di giovinezza era semplicissima: bastava mescolare alcolaturo di<br />
lavanda, di rosmarino e di menta (pulegio).<br />
Habitat, identificazione e parti utilizzate<br />
Il rosmarino vive spontaneo sulle colline meridionali mediterranee e nelle isole, ancora<br />
incontaminato dai fertilizzanti chimici.<br />
Inoltre si trova in Liguria, nelle regioni litoranee dell’Italia centro-meridionale e isole<br />
fino a 1.500 metri s.l.m. Viene trapiantato in giardino e nei vasi sul balcone, rimane aromatico<br />
ma perde l’efficacia di quello spontaneo. Le api bottinano avidamente i suoi fiori<br />
e producono un miele pregiato.<br />
È un arbusto con fusti legnosi e fogliosi che può raggiungere i 50 – 150 centimetri.<br />
Le foglie sessili sono coriacee, strette, di colore verde scuro sopra e biancastre sotto; I fiori,<br />
presenti quasi tutto l’anno, sono riuniti in piccoli grappoli ascellari con la corolla di colore<br />
viola – azzurro pallido. Odore d’incenso, canforato; sapore aromatico, astringente.<br />
Si utilizza la pianta fiorita, e le foglie (tutto l’anno).<br />
La pianta contiene un olio essenziale, acidi organici, glucosidi, saponine,colina.<br />
Ha proprietà di antisettico, antispasmodico, colagogo, diuretico, stimolante, stomachico,<br />
tonico, vulnerario.<br />
Utilizzo<br />
È utilizzato per curare: affaticamento, asma, astenia, bagni, capelli, cellulite, colesterolo,<br />
convalescenza, cuore, depressione, distorsione, edema, emicrania, fegato, frigidità,<br />
impotenza, memoria, nervosismo, pelle, rughe, sonno e torcicollo...
SAMBUCO<br />
Sambucus nigra L.<br />
Sango<br />
Savuco<br />
Sambucaro<br />
Sambuco nostrale<br />
Zambuco puzzolente<br />
Fior di maje<br />
Savuco di gai.<br />
Famiglia delle Caprifogliacee<br />
61<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Notizie storiche<br />
Il sambuco ha una storia lunga quanto quella dell’uomo;<br />
ciò è confermato da tracce di questo albero,<br />
risalenti all’età della pietra, scoperte in Svizzera e in<br />
Italia.<br />
La sambuca era uno strumento musicale a corde,<br />
di legno, in uso presso Greci e Romani: sembra che<br />
abbia dato il nome alla pianta. In Italia si trovano soltanto<br />
tre specie, delle numerosissime che annovera<br />
questo genere di Caprifogliacee. Questa pianta è molto comune e riconoscibile, sia in<br />
fiore, sia durante il periodo della fruttificazione.<br />
Il sambuco nigra L., che dispone di diverse varietà, è considerata una pianta ornamentale<br />
e si usa metterla a dimora nei giardini. Con i frutti si preparano marmellate di un<br />
bel colore rosso violaceo.<br />
Le sue proprietà medicinali sono numerose:i fiori, le bacche,le foglie e la seconda<br />
corteccia sono componenti di varie preparazioni. Anche i fiori sono utilizzati, per conservare<br />
a lungo le mele...<br />
Habitat, identificazione e parti utilizzate<br />
Arbusto o alberello, da 2 a 5, talvolta 7 – 8, metri vive nei boschi radi, lungo i fossi e<br />
siepi; fino a 1000 – 1200 metri s.l.m.<br />
Il fusto presenta una corteccia grigio-brunastra, verrucosa, rami molli e ricadenti,<br />
con midollo bianco; le foglie spicciolate, hanno 5 – 7 foglioline lunghe e dentate; i fiori<br />
bianchi (giugno) sono piccoli, in false ombrelle, grandi e piatte; le bacche nero – violacee<br />
hanno 3 semi.<br />
Odore forte, sapore acidulo.<br />
Utilizzo<br />
Si utilizzano i fiori, le foglie, i frutti maturi e la seconda corteccia secca; essiccare al sole.<br />
Contiene: nitrato di potassio, olio essenziale, un alcaloide, un glucoside, tannino,<br />
mucillagine, vitamina C, pigmenti flavonici, antocianici.
L’ospitalità dell’Abate<br />
Presenta proprietà: depurative, diuretiche, emollienti, lassative e sudorifere.<br />
È utilizzato per curare : arteriosclerosi, ascesso, bronchite, cistite, comedone, cuore,<br />
cure di primavera, emorroidi, epistassi, fegato, geloni, gotta, occhi, orzaiolo, pelle, puntura,<br />
reni, reumatismi, scottatura, stitichezza, sudorazione, tabagismo.<br />
INFUSO: una manciata di foglie ogni litro d’acqua.<br />
In breve, le proprietà curative di alcune altre erbe:<br />
• Ginepro: per la cura della tosse;<br />
• Foglie di vite: per aiutare la circolazione;<br />
• Melissa: contro disturbi digestivi, inappetenza e nervosismo;<br />
• Salvia: per curare i denti;<br />
• Malva: per curare le infiammazioni;<br />
• Rosmarino: per curare il mal di testa e il mal di stomaco;<br />
• Menta: per curare le indigestioni e il mal di testa;<br />
• Valeriana: calmante;<br />
• Cicoria: lassativo, depurativo;<br />
• Lavanda: disinfetta la gola;<br />
• Asparago: diuretico;<br />
• Eucalipto: per la cura del raffreddore.<br />
Sitografia:<br />
www.smsmariamaltoni.it<br />
62
LA MEDICINA DELL’ALTO MEDIOEVO<br />
a cura della prof.ssa Sabrina Benvenuti con la classe 2^ Aso<br />
63<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Con i barbari che premevano ai confini, senza che da questa parte nessuno avesse<br />
veramente la voglia di battersi per fermarli, l’Impero Romano del IV secolo d.C. si<br />
trovava in una brutta situazione. All’interno, devastanti pestilenze (specie di malaria e<br />
di vaiolo) minavano le popolazione e l’economia.<br />
Nell’anno 326 Costantino dichiarò il Cristianesimo religione ufficiale. Per questo<br />
lo accusarono di voler minare le fondamenta dell’Impero Romano. Avuta via libera,<br />
i Cristiani trasformarono in breve tempo i templi in chiese, ed elessero Gesù Cristo<br />
guaritore dell’umanità. Prima vicino agli altari, poi anche nelle case private, i malati<br />
guarivano per intercessione dei santi.<br />
Molti medici (fino a S.Ildegarda di Bingen, anche lei medico) scrissero allora libri<br />
“dettati dallo Spirito Santo.” È per questo che molti scritti medici di quest’epoca<br />
vengono detti “capsule eburnee”: l’autore, pervaso come dalla sapienza ricevuta dalla<br />
rivelazione, vuole rendere gli altri partecipi dei segreti che ha potuto conoscere.<br />
Nei libri di medicina scritti dai Padri della chiesa, il corpo umano viene considerato<br />
come manifestazione armonica e sensibile dei fini della creazione. È ancora in questo<br />
periodo che nel silenzio e nella pace dei chiostri si verifica un evento nuovo, destinato<br />
a sconvolgere radicalmente in tutto il mondo le usanze ormai millenarie dell’assistenza<br />
e della cura dei malati.<br />
Era stato un santo a fondare il Monachesimo in Oriente: S. Pacomio (292-348).<br />
Aveva riunito nella Tebailde circa 5000 cristiani dando loro una regola. Il monastero<br />
pacomiano era in origine costituito da un complesso di capanne circondate da un muro,<br />
nel quale erano contenuti i vari servizi tra cui l’infermeria, severamente separata dal<br />
resto della comunità. Per accedervi occorreva un permesso speciale da presentare ai<br />
“ministri degli infermi”.<br />
Ai malati era invece proibito entrare nei refettori; in compenso potevano fare il<br />
bagno “ogni volta che se ne presentasse l’occasione”. In Occidente, il fondatore della<br />
medicina monastica fu invece S. Benedetto da Norcia (480-547). La sua regola, sintetizzata<br />
nella formula “Ora et labora”, contemplava anche l’assistenza agli infermi, che<br />
aveva anzi la precedenza “avanti tutto e sopra tutto”.<br />
Ma curare un malato non voleva dire solo assicurargli un giaciglio, dargli da mangiare<br />
e da bere: significava anche saper lenire i suoi dolori, medicargli le piaghe, curare<br />
le malattie “interne”, le più difficili da capire. Per tutto ciò occorreva una conoscenza<br />
medica che non si poteva improvvisare: e occorreva soprattutto una “continuità” in<br />
questa assistenza, anche per quanto riguarda la disponibilità di medicamenti.<br />
Nel monastero nacquero anche gli “orti dei semplici”, per coltivare le piante medicamentose,<br />
da essiccare poi e conservare nei massicci armadi, prototipo della futura<br />
farmacia monastica. L’assistenza fu in un primo tempo limitata dentro le mura ma, in<br />
seguito, il monaco infirmario uscì all’aperto per curare anche i malati non monaci.
L’ospitalità dell’Abate<br />
Tra i tanti meriti di coloro che animavano i conventi, c’è anche quello di aver<br />
raccolto, conservato e copiato antichi codici. Il monachesimo benedettino diviene nel<br />
Medioevo quindi l’espressione massima dalla carità verso il prossimo.<br />
Le grandi epidemie, le malattie, la povertà, sono rese più tollerabili proprio dall’opera<br />
delle confraternite e delle congregazioni, degli ospizi cavallereschi creatori di<br />
xenodochi. Tra questi ultimi, l’Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, che gestiva in<br />
origine ad Amalfi un ospizio per il ricovero dei pellegrini.<br />
Dopo che nel 1099 i crociati conquistarono Gerusalemme, l’ospizio fu ingrandito<br />
nell’ospedale di S. Giovanni Battista. Successivamente, sempre per merito di quest’Ordine,<br />
sorsero altri ospedali e ospizi in altri luoghi.<br />
Bibliografia:<br />
L. SERPELLONE, Dagli dei al dna, vol. 2, Antonio Delfino Editore.<br />
L. COGLIATI ARANO, Tacuinum sanitatis: tavole illustrate, ed. Electa.<br />
64
LE RICETTE DELL’ANTICA FARMACIA<br />
DELLA CERTOSA DI TRISULTI<br />
65<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
a cura delle prof.sse Paola Cappiotti e Claudia Posani con la classe 2^ Cso<br />
La Certosa di Trisulti si trova all’estremità nord-orientale della provincia di Frosinone,<br />
a circa 29 km dal capoluogo. Fin dai tempi più remoti il luogo fu abitato da anacoreti<br />
e da monaci.<br />
Il monaco benedettino S. Domenico Abate venne a Trisulti intorno all’anno 986 e<br />
si chiuse in una grotta a far penitenza restandovi per tre anni. Scoperto il suo rifugio,<br />
i pastori e gli abitanti di quelle zone chiesero al santo di istruirli alla religione e di fondare<br />
un monastero nei pressi della sua grotta. Il primitivo monastero di Trisulti nacque<br />
quindi per opera di S. Domenico che fu ed è ancora venerato come santo taumaturgo<br />
guaritore di molte malattie. Il monastero fu dedicato, da San Domenico, all’apostolo S.<br />
Bartolomeo. In un secondo momento ai benedettini successero i Certosini i quali fecero<br />
edificare una certosa più grande che è quella che oggi si può ammirare, costruita nel XIII<br />
sec. dai maestri Comencini. Da allora il luogo rimase sempre dei Certosini che continuarono<br />
la tradizione medico-taumaturgica dei Benedettini di S. Domenico Abate.<br />
S. Domenico è connesso nelle tradizioni popolari alla cura e alla protezione dei vari<br />
mali. Secondo le credenze più antiche, proteggeva i suoi fedeli dagli assalti della febbre<br />
e dalle tempeste. A tale potere taumaturgico si aggiunse il potere di risanare e preservare<br />
dai morsi dei serpenti e dei cani idrofobi e dal mal di denti. Nell’ideologia popolare,<br />
le varie manifestazioni febbrili venivano considerate interventi diretti o indiretti del<br />
demonio. Già nelle narrazioni più antiche della vita di S. Domenico si descrive il suo<br />
intervento guaritore contro le febbri. A Sora la terapia contro la febbre era ed è tuttora<br />
praticata sottoponendo l’ammalato al toccamento con varie reliquie. I pazienti che sono<br />
costretti a letto mandano la loro camicia in Chiesa, perché sia benedetta: la benedizione<br />
assume le forme di un vero e proprio “esorcismo”.<br />
La gente del Frusinate compie ogni anno un pellegrinaggio a Cocullo dove esiste un<br />
altro santuario di S. Domenico legato al famoso culto dei serpenti, i quali vengono visti<br />
come una rappresentazione del male e al potere magico-taumaturgico del santo.<br />
Nei monasteri si praticava lo studio delle discipline dello spirito, ma anche lo studio<br />
dell’arte medica. Tale studio ebbe un nuovo incremento quando il monaco benedettino<br />
Costantino Africano diffuse e tradusse antichi testi di medicina greci e arabi, che aveva<br />
riportato in Italia dai suoi lunghi viaggi. Con Costantino la medicina ricevette un nuovo<br />
impulso e i monaci di Trisulti continuarono ad attendere allo studio delle proprietà medicinali<br />
delle erbe a favore della comunità e della popolazione.<br />
I monaci fornivano ingredienti alla medicina popolare che i malati usavano per le<br />
terapie: inoltre i monaci si servivano di molte persone adibite a raccogliere le erbe<br />
medicinali, le sanguisughe, i serpenti, gli insetti che servivano per la preparazione dei<br />
rimedi.
L’ospitalità dell’Abate<br />
Riportiamo di seguito alcune ricette, nella loro stesura originale.<br />
CARBONATO DI AMMONIACA IN LIQUORE<br />
“Di sale ammoniaco libra 1 polverizzato ma non passato per sete. Potassa del commercio<br />
bene asciutta gr. 20. Mescola esattamente dette sostanze nel medesimo mortaro.<br />
Poni la miscela in una storta ed aggiungi libra 1 di acqua, colloca B. d’Arena detta<br />
storta, applica un ampio recipiente, incolla la commisura ed accalora d’Arena assai<br />
modesto distilla a siccità.”<br />
PILLOLE DI CINOGLOSSA<br />
“Oppio puro; cannella fina mezz’oncia per sorte. Di mirra, incenso sei ottave per<br />
sorte.Di radice di cinoglossa un’oncia. Storace in lagrime, garofani due ottave per<br />
sorte.<br />
Fa’ di tutto sottilissima polvere e collo sciroppo di papavero forma una massa di<br />
consistenza pillolare, e conserva al bisogno.”<br />
N.B. poiché la cinoglossa secca perde il suo potere narcotico<br />
viene sostituita dal papavero sonnifero anche se viene chiamato<br />
col medesimo nome.<br />
PILLOLE ANGELICHE (PURGATIVE)<br />
“Succo chiarito di cicoria, borrana, luppoli e fumaria once<br />
quattro di ciascuno.<br />
Succo di rose, aloe, succo trino, once sedici. Mescola, ed a<br />
bagnomaria.”<br />
Bibliografia:<br />
C. GATTO TROCCHI, Magia e medicina popolare in Italia, Newton & Compton, 1983.<br />
66
IL PRETE DA SPREA<br />
di Serena Bordon, Giulia Stella, Maccadanza Sara (classe 3^ACs)<br />
67<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Don Luigi Zocca, il Prete da Sprea, nacque a Bussolengo, in<br />
provincia di Verona, il 25 Marzo del 1877. D’origini rurali mostrò<br />
presto la sua passione e l’interesse per la botanica così che entrò<br />
in seminario a Verona e abbinò agli studi religiosi anche quelli<br />
sulle piante, consultando antichi erbari medioevali e raccogliendo<br />
testimonianze di vecchie e sagge tradizioni popolari veronesi.<br />
Dopo vari traslochi nelle varie parrocchie del veronese, nel Natale<br />
del 1918 venne trasferito a Sprea, piccolo paese dell’alta Val<br />
d’Illasi sui monti Lessini.<br />
Finalmente radici, piante e fiori erano a sua completa disposizione<br />
nei prati, nei boschi e sulle pendici dei monti. Raccoglieva piante ovunque,<br />
le faceva essiccare, estraeva succhi delle radici e ordinava con cura fiori, foglie e scorze.<br />
Grazie a queste erbe poteva preparare dei decotti per curare i parrocchiani e molti malati<br />
di tutto il mondo che non avevano la possibilità di avere un medico. Don Zocca morì il<br />
28 novembre del 1954 a causa di una banale caduta in chiesa.<br />
Le piante di Don Zocca<br />
Le erbe che Don Zocca usava per comporre le sue ricette erano non più di una sessantina.<br />
Tuttavia, togliendo quelle di origini esotica e quelle di impiego più raro, il numero<br />
si riduce a una quarantina. Ne citiamo le più conosciute:<br />
Assenzio Noce<br />
Biancospino Ortica<br />
Camomilla Prezzemolo<br />
Frassino Primula<br />
Ginepro Rosmarino<br />
Gramigna Ruta<br />
Lichene Salvia<br />
Malva Sambuco<br />
Melissa Tarassaco<br />
Menta Viola<br />
Viene di seguito fornita una sommaria descrizione delle erbe che compaiono nelle<br />
ricette del prete di Sprea (riportate nella parte conclusiva di quest’articolo), con notizie<br />
botaniche e terapeutiche, e le considerazioni del sacerdote.
L’ospitalità dell’Abate<br />
GINEPRO<br />
Cresce spontaneamente negli incolti erbosi e assolati prati<br />
di montagna. In generale il ginepro non supera il metro, ma la<br />
sua altezza varia a seconda dell’altitudine. Ha le foglie rigide e<br />
pungenti. Di questa pianta si utilizzano le bacche, che vanno raccolte<br />
in autunno, quando sono gonfie e di un bel colore blu cupo.<br />
Il ginepro gode di notevoli virtù terapeutiche, note anche alla medicina<br />
popolare. È stimolante, depurativo, stomachico e digestivo.<br />
Cura le affezioni delle vie respiratorie, i reumatismi e i calcoli<br />
della vescica. Inoltre se le bacche vengono messe in una bottiglia<br />
di acqua vite si ottiene un liquore valido per il rimedio contro<br />
le malattie da raffreddamento. Don Zocca consigliava a tutti di<br />
mangiare alcune bacche perché combattono l’acidità di stomaco<br />
ed eliminano l’alitosi. Inoltre non bisogna esagerare molto perché<br />
può portare a ematuria.<br />
MELISSA<br />
Nota come limonea per il gradevole sentore di limone fresco<br />
che emana sfregandola, cresce nei luoghi umidi ed è assomigliante<br />
all’ortica. All’inizio dell’estate sboccia in piccoli fiori bianchi.<br />
È indicata contro tutte le affezioni di natura nervosa, nei disturbi<br />
di stomaco e come stimolante fisico.<br />
MENTA<br />
La menta è un’erba piuttosto robusta, alta anche più di mezzo<br />
metro, con foglie di colore verde brillante e dai piccoli fiori violacei,<br />
riuniti in grosse spighe. Ha un aroma fortemente balsamico,<br />
che permane dopo l’essiccazione.<br />
Si utilizzano le foglie e le parti aeree che vanno raccolte poco<br />
prima della fioritura, verso l’autunno. La menta ha diverse e cospicue<br />
proprietà, è da considerare tonica, digestiva e calmante.<br />
PREZZEMOLO<br />
Il prezzemolo è noto a tutti, infatti è uno degli alimenti-medicinali<br />
più utile per la salute. È un eccellente stimolante, aiuta<br />
inappetenti, anemici, convalescenti e ipertesi. Risulta diuretico,<br />
sudorifero e depurativo, giova per il fegato, alla pelle ed esercita<br />
benefica azione sulla circolazione del sangue. Il prezzemolo<br />
viene ancora usato per dare sollievo alle punture degli insetti e<br />
contro le ammaccature.<br />
68
69<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
ROSMARINO<br />
Oggi è considerato una pianta aromatica per insaporire i cibi.<br />
Non era così invece per Don Zocca, che lo consigliava frequentemente<br />
rendendolo una pianta medicinale più utile ed efficace.<br />
Infatti eccita fortemente il sistema nervoso, aiuta e stimola tutti i<br />
processi digestivi. Posto a macero nel vino bianco, Don Luigi lo<br />
consigliava nelle carenze di tonicità e contro l’esaurimento fisico<br />
e psichico.<br />
RUTA<br />
Pianta perenne, sempreverde, è normalmente coltivata come<br />
erba aromatica di uso domestico. Tutte le sue parti emanano un<br />
odore molto forte, il sapore è molto acre e leggermente amaro.<br />
La ruta ha proprietà digestive, stimolanti e antisteriche. Bisogna<br />
far notare che la ruta va sempre usata con prudenza e a piccole<br />
dosi, in quanto può anche risultare nociva.<br />
SALVIA<br />
La salvia viene coltivata in ogni orto ed è utilizzata in cucina.<br />
Forma dei piccoli cespi legnosi, ha fiori di colore rosa che<br />
fioriscono a giugno. Le foglie sono grigiastre, rugose e ricche di<br />
essenza. Le proprietà terapeutiche di questa erba sono diverse;<br />
è soprattutto tonica, anti-sudorifera, stomatica, astringente e<br />
antisettica.<br />
VIOLA<br />
La viola vegeta preferibilmente tra le siepi, lungo muraglie,<br />
al limitare dei boschi e viene coltivata anche nei<br />
giardini. Il suo profumo è sicuramente uno dei più fragranti<br />
e apprezzati. È piuttosto robusta, perenne, con foglie cuoriformi,<br />
sorrette da un lungo gambo. I fiori di viola sono di<br />
colore ametista o bianchi e godono di virtù curative, infatti<br />
sono emollienti, depurativi e sono inoltre ideali per curare<br />
raffreddori, bronchiti e altre affezioni catarrali.
L’ospitalità dell’Abate<br />
Le ricette Di Don Luigi Zocca<br />
Alocepia (caduta dei peli dal cuoio capelluto)<br />
Amalgamare a caldo 50 g di olio di ricino con 50 g midollo di vitello. Con tale unguento<br />
massaggiare la parte interessata.<br />
Anemia<br />
In un litro di vino rosso porre un pugno di foglie fresche di rosmarino e 200 g di<br />
zucchero. Bollire per dieci minuti, colare e bere mezzo bicchiere dopo il pasto di mezzogiorno.<br />
Oppure:<br />
prima di andare a letto, la sera, porre su delle braci ardenti una manciata di foglie o<br />
bacche di ginepro e mettere il tutto sotto le lenzuola.<br />
Amenorrea (assenza delle mestruazioni)<br />
Valeriana 10 g, melissa 20 g, camedrio 20 g, ruta 15 g, salvia 15 g, rosmarino 20 g,<br />
iberico 20 g, prezzemolo 20 g. Far bollire per dieci minuti in un litro e mezzo di acqua,<br />
colare e bere tre tazzine al giorno.<br />
Oppure:<br />
tre volte al giorno applicare sul ventre per mezz’ora un panno bagnato in una soluzione<br />
intiepidita di acqua e un po’ di aceto.<br />
Ascesso<br />
Cuocere lentamente nel forno una cipolla avvolta nella carta da burro. A cottura avvenuta,<br />
tagliare la cipolla a metà e porla ancora tiepida sul foruncolo da maturare.<br />
Bronchite<br />
Menta 35 g, farfaro 20 g, iperico 20 g, melissa 20 g, viola 20 g, ginepri 10 g, edera<br />
terrestre 20 g, verbasco 25 g, resina d’abete 20 g Far bollire per dieci minuti in un litro e<br />
tre quarti d’acqua. Filtrare e bere due bicchieri al giorno prima dei pasti.<br />
Oppure:<br />
mettere a macerare in mezzo litro di grappa per due giorni due manciate di lavanda.<br />
Prendere un cucchiaio mattina e sera.<br />
Geloni<br />
Far bollire per cinque minuti una manciata di fiori di verbasco in un bicchiere di olio<br />
di oliva. Applicare l’unguento su geloni non screpolati.<br />
Insonnia<br />
Valeriana 10 g, melissa 20 g, camedrio 20 g, ruta 15 g, menta 20 g, salvia 20 g, rosmarino<br />
20 g, centaura minore 15 g Far bollire per dieci minuti in un litro e mezzo di<br />
70
71<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
acqua. Colare e prenderne due o tre bicchieri al giorno. Tre volte la settimana, durante la<br />
notte, levarsi dal letto e fare un bagno caldo in una soluzione di acqua e un po’ di aceto.<br />
Ritornare poi a letto senza asciugarsi.<br />
Raffreddore<br />
Viola 20 g, melissa 20 g, ginepro 10 g, edera terrestre 20 g, verbasco 20 g, polipolio<br />
20 g, iperico 20 g, menta 15 g Far decotto per dieci minuti in un litro e un quarto di acqua.<br />
Colare, bere due o tre tazzine al giorno.<br />
Scottature<br />
Essiccare vicino al fuoco tre figlie di edera. Ridurle in polvere fine e porre in 10 g di<br />
burro precedentemente fuso. Amalgamare bene e applicare l’unguento intiepidito.<br />
Oppure:<br />
applicare sulla parte scottata della neve candida.<br />
Bibliografia:<br />
FERNANDO ZAMPIVA, Prete da Sprea. Erborista del Signore, La Grafica Editrice, Vago di<br />
Lavagno (VERONA) 2002.
L’ospitalità dell’Abate<br />
UNA PROPOSTA D’INTINERARIO<br />
TURISTICO-RELIGIOSO<br />
di Alessio Avataneo e Nadia Zangrandi (classe 2^Dso)<br />
Dovendo scegliere una zona d’Italia in cui ipotizzare un itinerario turistico-religioso<br />
legato alla figura e all’opera di S. Benedetto, ci è parso interessante concentrare la nostra<br />
attenzione sulla sua regione di nascita: l’Umbria. Questa regione, in effetti, offre molteplici<br />
opportunità di percorsi sia nella storia della spiritualità, sia negli ambiti naturalistici.<br />
I suoi borghi medioevali immersi nel verde, la molteplicità delle strutture alberghiere<br />
di diversa specie, fanno dell’Umbria uno dei luoghi turisticamente più affascinanti del<br />
mondo.<br />
La geografia<br />
Il territorio, prevalentemente collinare, presenta<br />
delle zone montuose. Offre una grande<br />
varietà di caratteri paesaggistici e il susseguirsi di<br />
vallate, catene montuose, altipiani e pianure, più o<br />
meno estese, che attraversano la regione da ovest<br />
a est, costituiscono la caratteristica geografica<br />
dominante.<br />
La storia<br />
La regione venne abitata in epoca protostorica<br />
dagli Umbri e dagli Etruschi. Il territorio della<br />
regione, dopo la fine dell’impero romano, vide le lotte tra Ostrogoti e Bizantini e la<br />
fondazione del longobardo ducato di Spoleto. Carlo Magno conquistò la maggior parte<br />
dei domini longobardi e li cedette al Papa. Le città conquistarono una certa autonomia e<br />
furono spesso in guerra tra loro, inserendosi nel più generale conflitto tra papato e impero<br />
e tra Guelfi e Ghibellini.<br />
72
L’itinerario<br />
1° giorno: Gubbio<br />
73<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
Gubbio è fra tutte le città dell’ Umbria quella che più di ogni altra ha conservato<br />
intatto il suo fascino medievale con i suoi monumenti, le sue piazze, i suoi vicoli che<br />
ancora profumano di storia.<br />
Il duomo. Costruito nel XII secolo, eretto sul luogo di una chiesa più antica, presenta<br />
una facciata in pietra con un portale a sesto acuto sovrastato da una grande finestra circolare<br />
e da una massiccia Torre Campanaria che sorge dalla porzione absidale. L’interno<br />
a navata unica con pianta a croce latina custodisce opere di Benedetto e Virginio Nucci,<br />
Dono Doni, Antonio Gherardi e di artisti umbri del XVI secolo nonché due organi del<br />
XVI secolo opera degli eugubini Maffei.<br />
Il Castello. Il medievale castello di Vallingegno, che si ritiene origini il proprio nome<br />
da un tempio dedicato al dio Genio, venerato dai pagani come dio buono o malvagio<br />
capace di influenzare la vita degli uomini fin dalla nascita, avrebbe dato il nome al territorio<br />
di Vallingegno (valle del Genio). Il castello faceva parte del sistema difensivo sulla<br />
destra del Chiascio, insieme al castello di Petroia e a quello di Biscina. Il castello, il cui<br />
primo nucleo fu eretto nell’anno 1000 attorno alla torre maestra, fu feudo della famiglia<br />
Gabrielli. Nel 1206 vi fu rinchiuso San Francesco. Il comune di Gubbio, a causa di una<br />
ribellione insorta nel 1355, conquistò il castello dopo averlo assediato. Trasformato in<br />
forte dal comune di Gubbio, fu dotato di guarnigione comandata da un capitano; in seguito<br />
divenne proprietà di varie famiglie patrizie. Possiede tutti gli accorgimenti militari<br />
in uso nel Trecento e nel Quattrocento e una torre poligonale.<br />
La cucina. Nella bellissima Gubbio, il vanto della cucina e delle tradizioni gastronomiche<br />
antiche passa attraverso il brustengo, pane fritto che può essere preparato con l’aggiunta<br />
di un guanciale di maiale o rosmarino, l’imbrecciata, minestra di legumi e cereali,<br />
come il farro, l’orzo, le lenticchie. I dolci tradizionali sono i Ganascioni delle Suore, di<br />
Santa Lucia che venivano offerti insieme alla Barcarola (caffè d’orzo e mistrà).
L’ospitalità dell’Abate<br />
2° giorno: Perugia e Assisi<br />
Perugia. Perugia, capoluogo umbro, sorse poco lontano dalle rive del Tevere, sul<br />
Colle del Sole ad opera di un gruppo di umbri denominati Sarsinati.<br />
La Cattedrale di San Lorenzo. La cattedrale è stata costruita in più fasi: fu iniziata<br />
nel 1345 e terminata nel 1490. La facciata rimasta incompiuta dà su piazza Dante ed è<br />
vivacizzata da un portale Barocco del 1729, opera di Pietro Carattoli mentre quella prospiciente<br />
piazza IV novembre è caratterizzata da un portale dell’Alessi con mascheroni<br />
ornamentali dello Scalza, da un “Crocifisso” votivo collocato nel 1539 dai Perugini, da<br />
una statua di Giulio III in bronzo, opera del XVI secolo di V. Danti e da un pulpito di San<br />
Bernardino del XV secolo. L’interno presenta tre navate separato da possenti pilastri e<br />
custodisce innumerevoli opere d’arte: entrando a destra si trova il Monumento Funebre<br />
di Andrea Baglioni (vescovo di Perugia morto nel 1451) opera di Urbano da Cortona.<br />
Nella cappella di San Bernardino troviamo “La Deposizione”, capolavoro di Federico<br />
Barocci (1569) e la vetrata policroma del XVI secolo opera di Arrigo Fiammingo. Nella<br />
cappella del Sacramento un Crocifisso ligneo del XVI secolo, un coro ligneo intagliato<br />
nel 1486 da Giuliano da Maiano e Domenico del Tasso. Segnaliamo, tra le prestigiose e<br />
numerose opere, una tela di Orazio Alfani del 1572 e la “Madonna delle Grazie” di Giannicola<br />
di Paolo allievo del Perugino. La sagrestia custodisce antichi arredi ad intarsio del<br />
XV secolo di Mariotto di Paolo e pareti affrescate da Antonio Pandolfi del XVI secolo.<br />
Nel chiostro della cattedrale è ubicato il Museo Capitolare che custodisce interessanti<br />
opere tra cui una “ Madonna in Trono di Luca Signorelli. Da vedere nella Biblioteca<br />
Capitolare gli splendidi manoscritti miniati tra i quali alcuni rarissimi del X secolo.<br />
La Rocca Paolina. L’occasione della costruzione della Rocca Paolina è propizia alla<br />
riorganizzazione urbanistica dell’intero centro città, finalizzata ad eliminare, almeno in<br />
parte, il dedalo di vicoli che tradizionalmente favorivano le sommosse popolari: le odierne<br />
vie Mazzini e Calderini, nonché lo stesso sbocco di Corso Vannucci su Piazza Italia,<br />
vengono aperte in tale occasione, anticipando, potremmo dire, di tre secoli la soluzione<br />
di “sventramento” che il barone Hausmann realizzò nell’’800 nel centro di Parigi per lo<br />
stesso motivo. Ulteriore dolorosa alterazione di importanti vestigia cittadine, causata<br />
anche questa dalle esigenze balistiche della Rocca, fu la demolizione della chiesa sovrapposta<br />
di Sant’Ercolano e forse anche della cuspide del campanile di San Domenico.<br />
Dalla metà dunque del ‘500 la Rocca ebbe a sovrastare l’intera città, segnandone l’im-<br />
74
75<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
magine con la propria sagoma minacciosa e contrapponendosi al vecchio cuore cittadino<br />
(il Duomo, la Fontana Maggiore, il Palazzo dei Priori), che andò inevitabilmente degradandosi.<br />
La cucina. Le antiche ricette regalano semplicità e gusto: ricordiamo l’arvoltolo,<br />
pane fritto, la torta di pasqua al formaggio, la bruschetta con l’olio nuovo, il pan nociato,<br />
le paste tipiche come gli umbricelli da assaporare con vari sughi sia di pomodoro, che di<br />
funghi, oppure asparagi di bosco.<br />
Tra le carni citiamo la testina di agnello al forno o il torello alla perugina.<br />
Per quanto riguarda i dolci perugini, sicuramente il torcolo è il dolce della tradizione<br />
in quanto prende il nome da uno dei patroni di Perugia, San Costanzo, che si festeggia<br />
il 29 gennaio e durante quei giorni tutti i fornai preparano questo dolce la cui ricetta è<br />
basata sulla pasta del pane arricchita da olio, cedro candito, uvetta, pinoli e anice. Il dolce<br />
è a forma di ciambella. Per carnevale la tradizione perugina vuole gli strufoli, pasta fritta<br />
con il miele o l’alchermes.<br />
Assisi. Assisi, la città più mistica dell’Umbria, trae le sue origini dall’epoca romana<br />
per poi subire profonde modificazioni in epoca medioevale; aspetto che ha poi conservato<br />
fino ad oggi.<br />
La Basilica di San Francesco. Suggestiva piazza circondata da bassi portici del XV<br />
secolo. La Basilica, grandioso e imponente edificio, fu iniziata nel 1228, due anni dopo<br />
la morte del Santo. È annoverato tra i luoghi più celebri della cristianità. È costituita<br />
dalla sovrapposizione di due chiese: la Basilica Inferiore e la Superiore, accanto alle<br />
quali sorge un grande campanile romanico alleggerito con trifore, bifore e grandi arcate.<br />
Il progetto della Basilica si ritiene essere opera di Frate Elia assunto a vicario generale<br />
dell’Ordine Francescano dopo la morte di San Francesco. Alla Basilica Inferiore si accede<br />
attraverso un portale gemello gotico sormontato da tre rosoni sempre in stile gotico e<br />
da un portico costruito nel XV secolo. L’interno della Basilica, ad una sola navata, è divisa<br />
in cinque campate. A metà della navata due scalette conducono alla Cripta ove sono<br />
custodite in un’urna di pietra le spoglie del Santo. A destra, la cappella di Santo Stefano<br />
con affreschi cinquecenteschi. Verso il presbiterio, l’elegante altare maggiore è del XIII<br />
secolo e sulle vele della volta presentano affreschi della scuola giottesca raffiguranti le<br />
virtù francescane (castità, povertà, obbedienza) e via via numerose altre opere e affreschi
L’ospitalità dell’Abate<br />
da Giovanni Orsini a Pietro Lorenzetti. Da una scalinata che parte da una terrazza con<br />
vista sul quattrocentesco Chiostro Grande si sale verso la Basilica Superiore interamente<br />
affrescata tra il XIII e il XIV dai più grandi artisti dell’epoca: Giotto, Cimabue, Pietro<br />
Cavallini, Iacopo Torriti e altri. L’interno, al contrario della Basilica Inferiore, è ad una<br />
navata con transetto ed abside poligonale. Qui vi sono opere del Cimabue e dei suoi allievi.<br />
Gli affreschi della navata sono attribuiti a Giotto e raffigurando in ventotto riquadri<br />
gli “episodi della vita di San Francesco”.<br />
Eremo delle Carceri. Salendo per il Monte Subasio, a pochi minuti da Assisi, tra una<br />
fittissima vegetazione in posizione panoramica in un ancestrale silenzio vi è l’Eremo delle<br />
Carceri, luogo per eccellenza francescano dove si può cogliere il “senso” della predicazione<br />
del Santo. L’Eremo all’inizio era un piccolo oratorio ceduto dai frati benedettini<br />
a San Francesco. Il convento sorse presso la grotta dove il Santo si ritirava a pregare e a<br />
meditare e nel XV secolo fu ampliato con la costruzione della chiesa.<br />
Il Santuario di San Damiano. Riscendendo verso la pianura prima di uscire da<br />
Assisi sulla sinistra vi sono le indicazioni che conducono al Santuario di San Damiano.<br />
Immerso nel verde su una terrazza naturale che consente una vista stupende l’antica chiesa<br />
fu ricostruita nel 1207 da San Francesco in base a quanto ordinatogli dal Crocefisso<br />
custodito nella chiesa di S. Chiara. Da vedere il Giardinetto e l’oratorio di Santa Chiara e<br />
la Cappella di San Girolamo con affreschi di Tiberio d’Assisi, il chiostro, l’antico refettorio<br />
e la chiesetta con affreschi del XIV secolo.<br />
La Basilica di Santa Maria degli Angeli. Costruita nel 1569 su progetto di Galeazzo<br />
Alessi la basilica fu ultimata nel 1679 e riparata nel 1832. L’esterno è caratterizzato da<br />
una bellissima cupola, da un’imponente statua dorata della Vergine e da pregevoli motivi<br />
architettonici barocchi. L’interno a tre navate costellato da numerose cappelle barocche<br />
dove sono custodite tele del Pomarancio, Sermei, Appiani, e altri artisti converge su<br />
quello che è il “gioiello” della basilica: la Porziuncola. La volta gotica che sormonta<br />
la Porziuncola è opera del Santo e presenta affreschi del XIV-XV secolo. La facciata<br />
è invece decorata da un affresco di Jhoann Friedrich Overbek di Lubecca del 1829.<br />
Nell’interno uno splendido polittico posto sull’altare del 1393 di Ilario da Viterbo.<br />
A pochi metri vi è la cappella del Transito dove il 3 ottobre del 1226 San Francesco morì.<br />
La Rocca Maggiore. Documentata per la prima volta nel 1174, la Rocca era<br />
stata costruita come castello feudale tedesco. Federico di Svevia, il futuro imperatore<br />
Federico II, vi passò alcuni anni della sua infanzia (fu infatti battezzato ad<br />
Assisi nel 1197, all‘età di tre anni), affidato alle cure di Corrado di Urslingen.<br />
Un anno più tardi, durante un‘assenza di Corrado, durante dei moti popolari indipendentisti,<br />
la Rocca fu distrutta dagli Assisani. Soltanto nel 1367 il Cardinale Albornoz<br />
la ricostruì riutilizzando le mura merlate esterne occidentali e parti delle mura<br />
76
77<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
interne. Nel 1458 il Signore di allora, Jacopo Piccinino, fece costruire il torrione<br />
dodecagonale e il lungo muro di collegamento; Papa Sisto IV restaurò il mastio nel<br />
1478 e Paolo III fece erigere nel 1535-38 il torrione circolare vicino all‘ingresso.<br />
Recenti restauri hanno reso possibile un’apertura alla roccaforte a scopo turistico e culturale.<br />
Infatti in questo austero e al tempo stesso magico luogo vengono ospitati appuntamenti<br />
culturali e musicali.<br />
La cucina. Immancabili le carni rigorosamente cotte arrosto o alla brace, il maialino<br />
al forno, l’oca arrosto, l’anatra farcita, l’agnello allo scottadito ed alla cacciatora<br />
Tra i vini si può degustare il Bianco e il Rosso di Assisi come pure quelli della vicina<br />
Santa Maria degli Angeli.<br />
3° giorno: Norcia e Spoleto<br />
Norcia. Norcia sorge tra i fiumi Sordo e Torbidone ed è situata a 6<strong>04</strong> m. sul livello del<br />
mare. Vanta origini antichissime che la fanno risalire ai tempi delle guerre puniche.<br />
Basilica di San Benedetto. Nel fulcro del centro storico sorge la Basilica di San Benedetto<br />
iniziata dal XIII secolo sul luogo dove si riteneva sorgesse la dimora dei genitori<br />
del Santo patrono d’Europa. La Basilica ha la facciata del XIV secolo in stile gotico ed<br />
è caratterizzata da un bel portale sovrastato da una lunetta con la raffigurazione della<br />
“Madonna con Bambino tra angeli”, da due edicole gotiche, ai lati, che custodiscono le<br />
sculture di San Benedetto e Santa Scolastica e da un bel rosone centrale; il campanile<br />
è del 1388. L’interno ad una navata a croce latina custodisce pitture di M. Carducci, V.<br />
Manenti, e F. Napoletano. Suggestiva la cripta con frammenti di affreschi trecenteschi e<br />
murature di epoca romanica.<br />
La Castellina. Residenza fortificata sede dei governatori apostolici, fu edificata per<br />
volontà del Pontefice Giulio III per garantire allo Stato della Chiesa un maggiore controllo<br />
sul Comune di Norcia che vantava un governo di tipo repubblicano e sui territori<br />
periferici. Oggi la Castellina, oltre a varie mostre temporanee, ospita il Museo Civico e<br />
Diocesano (comprende statue romaniche, gruppo ligneo della Passione, opere dei Della<br />
Robbia, tavole e tele di vari secoli tra le quali opere di Niccolo’ da Siena, Antonio da<br />
Faenza), la Collezione Massenzi (donazione del Cav. Evelino Massenzi al Comune di<br />
Norcia e inaugurata nell’agosto 2002) e la Mostra Archeologica “Partire per l’Aldilà”.
L’ospitalità dell’Abate<br />
Spoleto.<br />
Spoleto. Spoleto vanta delle origini antichissime: fu dapprima occupata dagli Umbri,<br />
una popolazione di origine indoeuropea e poi intorno al 200 a.C. divenne colonia<br />
romana.<br />
Duomo. Si tratta di una stupenda costruzione romanica del XII secolo sorto sul luogo<br />
dell’antica Cattedrale distrutta nel 1155 da Federico Barbarossa e terminata alla fine del<br />
XIII secolo. Sulla facciata, un bellissimo portale preceduto da un portico a cinque arcate<br />
opera di A. Barocci e Pippo di Antonio Fiorentino che vi lavorarono dal 1491 al 15<strong>04</strong>.<br />
Sopra il portico, cinque rosoni e, nella zona a coronamento triangolare, al centro, un<br />
mosaico eseguito da Solsterno, firmato e datato 1207. A sinistra della facciata il grande<br />
campanile costruito con materiali di recupero romani, paleocristiani, e medievali del XII<br />
secolo. L’interno rinnovato dall’Arrigucci in epoca barocca e completato nel ‘700 dal<br />
Valadier, a tre navate con pianta a croce latina, conserva il pavimento della navata centrale<br />
fatto a mosaici geometrici (originale del XII secolo) e custodisce numerose opere<br />
d’arte.<br />
La Rocca albornoziana. È sicuramente il monumento più rappresentativo della città<br />
di Spoleto, per la sua stessa posizione privilegiata, posta al di sopra dell’intera città. Essa<br />
è circondata da un’alta muraglia che ricalca in parte il tracciato dell’antica cinta urbica di<br />
opera poligonale e quadrata. Varcata la prima porta, ornata di stemmi di Clemente VIII<br />
e della famiglia Aldobrandini, si imbocca un viale rettilineo in pendio che conduce alla<br />
monumentale porta del Bastione sulla cui fronte sono visibili gli stemmi di molti pontefici<br />
che qui risiedettero. La pianta è formata da un rettangolo allungato ed è attraversata<br />
nel senso del lato corto da un corpo di fabbrica che dà origine a due rettangoli minori,<br />
diseguali, che costituiscono i due cortili. Alle estremità del corpo maggiore e del braccio<br />
trasversale si innestano sei possenti torri. Tra queste notevole è la torre maestra, più alta<br />
e possente delle altre, collocata nel mezzo del lato lungo verso la città.Nel lato opposto,<br />
verso Monteluco, la torre nord-orientale si congiungeva, attraverso un passaggiosu arcate,<br />
ad una torre esterna addossata alla cinta urbica e chiamata Malborghetto. Le arcate e la<br />
torre non sono però più visibili in seguito alla edificazione agli inizi del Novecento della<br />
palazzina degli uffici penitenziari. Alla stessa torre nord-occidentale è addossata l’antica<br />
cappella. Il complesso monumentale si compone in due aree ben distinte: il Cortile<br />
78
79<br />
L’ospitalità dell’Abate<br />
d’onore e il Cortile delle armi. La prima accoglie il Museo nazionale del Ducato, costituito<br />
di materiali dei secc. IV - XV, provenienti dalle collezioni civiche. Inoltre, il salone<br />
centrale ha una funzione di Sala polivalente potendo ospitare mostre temporanee, concerti,<br />
convegni, ecc. La seconda area ospita un Teatro all’aperto capace di 1200 spettatori.<br />
Negli ambienti di lato lungo ha sede la Scuola europea di restauro del libro: sul lato corto,<br />
tra le due torri, è istituito il Laboratorio di diagnostica applicata al restauro dei beni<br />
culturali. L’area verde che cinge l’edificio monumentale si configura come il Parco della<br />
Rocca, che, in tempi successivi, verrà esteso all’intero Colle S. Elia.<br />
La cucina. Tra i piatti tipici che vale assolutamente la pena di assaporare troviamo gli<br />
spaghetti al tartufo nero, i gamberi delle limpide acque del Clitumno o le trote del fiume<br />
Nera, le carni alla brace e il cinghiale.<br />
Tra i dolci, il tipico panpepato e la crescionda (dolce tipico a base di uova, farina,<br />
cioccolato, amaretti e mistral).<br />
Sitografia:<br />
www.umbriaearte.it<br />
www.in-umbria.net
Sommario<br />
INTRODUZIONE<br />
di Ernesto Santi....................................................................................................................... 6<br />
UNA LETTERA DALL’ABBAZIA<br />
di Padre Edoardo (osb)........................................................................................................... 8<br />
A SCUOLA DAI MONACI BENEDETTINI<br />
di Stefano Frighetto .............................................................................................................. 12<br />
ORIGINI E CARATTERI DEL MONACHESIMO BENEDETTINO<br />
a cura della classe 2^ Dso .................................................................................................... 15<br />
“SANTA REGOLA” DI S. BENEDETTO .................................................................................. 22<br />
LA SACRA OSPITALITÀ<br />
di Virginio Tino Turco ........................................................................................................... 24<br />
I PRECETTI ALIMENTARI NELLA REGOLA DI SAN BENEDETTO<br />
di Daniele Bonetti, Veronica Melotto, Chiara Cavallon, Alice Burato,<br />
Giulia Gugole, Alessia Zigiotto, Erica Dal Cero, Ilenia Scalvini (classe 3^ACso) ............. 29<br />
LA CUCINA NEI MONASTERI E NELLE ABBAZIE MEDIOEVALI<br />
di Albertini Emanuele, Pozza Manuel, Paritario Gianfranco,<br />
Peloso Mirco (classe 3^ACso) .............................................................................................. 33<br />
SUGGESTIONI DALLA VISITA A PRAGLIA<br />
di Alessandro Ferro .............................................................................................................. 37<br />
VINI, LIQUORI E DISTILLATI NELLA TRADIZIONE BENEDETTINA<br />
a cura del prof. Fausto Fanini con la classe 3^ASso .......................................................... 40<br />
LE TRADIZIONI BIRRARIE NELLE ABBAZIE MEDIOEVALI<br />
di Stefania Beschin, Martina Zanchi, Fabio Ciman, Matteo Panarotto.............................. 41<br />
MONASTERI DELL’EST VERONESE<br />
di Bongiorno Tobia, Ceretta Giada, Dalla Riva Fabio, Gambaretto Alice,<br />
Kablan Rosine, Mastella Sara, Polato Michele, Piacenza Andrea,<br />
Scotto di Covella Davide (classe 3^ACso). .......................................................................... 47
APPENDICE<br />
LA STORIA DEGLI ERBARI<br />
a cura delle prof.sse Paola Cappiotti e Claudia Posani con la classe 2^ Cso..................... 54<br />
LE PIANTE OFFICINALI<br />
a cura della classe 2^Bso e di Daniele Bonetti (classe 3^ACso).......................................... 56<br />
LA MEDICINA DELL’ALTO MEDIOEVO<br />
a cura della prof.ssa Sabrina Benvenuti con la classe 2^ Aso ............................................. 63<br />
LE RICETTE DELL’ANTICA FARMACIA DELLA CERTOSA DI TRISULTI<br />
a cura delle prof.sse Paola Cappiotti e Claudia Posani con la classe 2^ Cso..................... 65<br />
IL PRETE DA SPREA<br />
di Serena Bordon, Giulia Stella, Maccadanza Sara (3^ACs) .............................................. 67<br />
UNA PROPOSTA D’INTINERARIO TURISTICO-RELIGIOSO<br />
di Alessio Avataneo e Nadia Zangrandi (classe 2^Dso)....................................................... 72<br />
Con il contributo di:<br />
Edizione Aprile 2007<br />
Diritti riservati<br />
Progetto grafi co, realizzazione e stampa:<br />
T-STUDIO - Soave (VR)<br />
<strong>04</strong>5 7680281 www.t-studio.it info@t-studio.it
Istituto Professionale<br />
per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione<br />
“Angelo <strong>Berti</strong>”<br />
Verona - Sede Associata di Soave<br />
Viale della Vittoria, 93<br />
37038 Soave (VR)<br />
tel. e fax <strong>04</strong>5 7680695<br />
e-mail: bertivrsoave@hotmail.it<br />
www.bertivrsoave.it