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Mi ritorna oggi in mente la frase<br />
che ne “Il partigiano Johnny” di<br />
Beppe Fenoglio, un giovane della<br />
resistenza pronuncia quando un fascista<br />
gli domanda “Cosa diventerà l’<strong>It</strong>alia se vincerete<br />
voi?”; “Una cosa piccola ma seria”.<br />
Le cose sembrano essere andate in modo<br />
molto diverso. Mi chiedo: come e quando<br />
è successo che abbiamo perduto la giusta<br />
via? E non tanto perché il primo partito<br />
in Parlamento è guidato da un comico<br />
perché in fondo, per come sono messe le<br />
cose, anche questo ci può stare. Ma vorrei<br />
capire dove è finito quel paese che i nostri<br />
genitori e molti tra voi che leggete, hanno<br />
sognato per le generazioni a venire.<br />
Io penso che sia un errore cercare le ragioni<br />
di questo stato di cose solo negli<br />
eventi degli ultimi anni, siano<br />
essi cinque oppure venti. Perché<br />
da sempre io ho una convinzione<br />
e un segreto desiderio. Vorrei<br />
poter riavvolgere il nastro sul<br />
quale è registrata la Storia del<br />
Mondo per fare uno scambio. E<br />
lo scambio che vorrei proporre<br />
è con gli Stati Uniti d’America:<br />
Camillo Benso Cavour a loro,<br />
Abramo Lincoln a noi.<br />
I due sono vissuti nello stesso<br />
periodo, pressappoco per un<br />
numero uguale di anni e hanno<br />
entrambi dovuto gestire un paese<br />
che una guerra sanguinosa<br />
e fratricida aveva riunito. A Cavour<br />
è mancata la capacità e forse<br />
il coraggio di operare scelte alte e giuste<br />
che diventano necessarie quando si è<br />
davanti alla chiamata della Storia. Lincoln<br />
ha fatto approvare a un parlamento diviso,<br />
con la guerra ancora in corso, il XIII<br />
emendamento che aboliva definitivamente<br />
la schiavitù e stabiliva che la nazione,<br />
che sarebbe uscita dai trattati di pace, si<br />
sarebbe fondata su valori di unità, equità<br />
e rispetto delle persone.<br />
Nonostante da noi, fortunatamente, non<br />
ci sia mai stata la macchia della schiavitù<br />
e nonostante i valori alla base della nostra<br />
costituzione siano simili ai loro, la nostra<br />
nazione, nella realtà, non è stata fondata<br />
su quei valori, non si è formata su un<br />
forte senso civico, su un principio di giustizia<br />
e di uguaglianza profonda. Questo<br />
nonostante quei valori cristiani ai quali<br />
ci riferiamo. Non si è neppure provato a<br />
superare i problemi che la diversa condizione<br />
storica ed economica delle regioni<br />
italiane rendeva e rende tuttora evidenti.<br />
Anzi, a questi problemi se ne sono aggiunti<br />
altri ancora. Se oggi noi guardiamo<br />
Anno LXII - n. 3 <strong>Marzo</strong> <strong>2013</strong><br />
Alla sera del terzo giorno a cura di Bruno Marelli<br />
Che bel disastro!<br />
con invidia ad alcuni paesi del mondo occidentale,<br />
è perché la nostra nazione è il<br />
frutto della particolare condizione, o forse<br />
dovremmo dire di tutti gli errori, che<br />
l’hanno generata.<br />
Al momento attuale il nostro parlamento<br />
ci restituisce l’immagine di una spaccatura<br />
profonda tra il paese e le forze politiche<br />
che lo governano. Da un lato ci sono i partiti<br />
che faticano a riavvicinarsi ai bisogni<br />
del paese perché da troppo tempo i politici<br />
vivono chiusi nei loro palazzi e nelle tv,<br />
preoccupati di proteggere il loro potere e<br />
i loro privilegi messi in pericolo dall’esasperazione<br />
popolare, spaventati da quello<br />
che il paese reale ha fatto e ancora potrà<br />
fare, preoccupati dal risultato delle urne e<br />
dalle possibili proteste nelle piazze, allarmati<br />
dalla rabbia e dalla povertà che incontrano<br />
uscendo dai loro fortini. La classe<br />
politica è ormai profondamente messa<br />
in discussione perché il suo fallimento è<br />
sotto gli occhi di tutti e il confronto con il<br />
paese rappresenta un pericoloso azzardo.<br />
Dall’altro c’è un paese sorpreso e incredulo<br />
di fronte a un potere politico che si<br />
sbriciola, al mancato ricambio generazionale,<br />
all’incapacità dei governanti di<br />
parlare alla gente con un linguaggio semplice,<br />
comprensibile che non nasconda la<br />
verità delle cose, ma che sappia ritornare<br />
a indicare come affrontare le nuove sfide<br />
usando parole, se non profetiche, almeno<br />
convincenti.<br />
La folla sceglie Barabba, sempre. Che poi, a<br />
voler vedere, la “folla” ha poi ancora scelto<br />
di votare per i soliti volti che da decenni<br />
occupano la scena politica nonostante li<br />
abbia ritrovati un po’ malconci, come vecchie<br />
cozze boccheggianti aggrappate allo<br />
scoglio nell’ultima acqua rimasta. Questi<br />
personaggi pluririciclati possono, forse,<br />
trovare ancora il modo di formare un governo<br />
e garantirsi così un futuro, comportandosi<br />
come i ladri di Pisa, che litigano<br />
di giorno mentre di notte vanno insieme<br />
a rubare; o forse ora dovremmo chiamarli<br />
i ladri di Siena, aggiornando l’antico<br />
proverbio toscano ai tristi casi dei giorni<br />
nostri. Da qui a governare bene, il passo<br />
resta comunque lungo e difficile. Come ci<br />
ricorda Seneca “Non esiste un vento favorevole<br />
per il marinaio che non sa dove andare.”<br />
Noi però, qualunque cosa accada, qualsiasi<br />
minaccia dovesse concretizzarsi, non<br />
dobbiamo angosciarci. Perché questo sarà<br />
comunque l’ultimo giro di valzer di una<br />
classe politica che, nel bene e nel male, ha<br />
già ballato abbastanza. E questo disastro<br />
che si è abbattuto sull’<strong>It</strong>alia può<br />
davvero essere un bel disastro.<br />
Dipende da noi. Se ci arrendiamo<br />
ora, se cediamo al cinismo e<br />
diciamo che il cambiamento in<br />
cui speravamo non è possibile,<br />
allora quel cambiamento non<br />
arriverà.<br />
Se rinunciamo all’idea che la<br />
nostra voce possa fare la differenza,<br />
altre voci riempiranno il<br />
vuoto che noi lasciamo e saranno<br />
le voci dei banchieri, degli<br />
speculatori, dei politici di professione,<br />
di tutti quelli che sino<br />
a ora abbiamo lasciato indisturbati<br />
a saccheggiare il bene<br />
comune. Ora abbiamo la possibilità<br />
di comprendere che la<br />
politica non è solo quella che si fa a Montecitorio,<br />
ma è anche quella che facciamo<br />
tutti noi quando interagiamo con gli altri.<br />
“Non aspettare nessuna risposta oltre la tua”<br />
diceva Brecht.<br />
Abbiamo dato il via a un profondo cambiamento.<br />
Se ci faremo condizionare dai<br />
giornali e dalle tv e diventeremo spettatori<br />
o tifosi delle battaglie in Parlamento,<br />
avremo solo creato un nuovo mostro al<br />
quale daremo ulteriore forza. È necessario<br />
comprendere che le sorti dell’<strong>It</strong>alia<br />
non sono solo nelle mani di chi ci governa,<br />
ma anche e soprattutto nelle nostre.<br />
Ognuno deve iniziare da se stesso e costruire<br />
un nuovo modello partendo da<br />
piccole buone azioni civiche, dal suo lavoro<br />
svolto con passione e serietà, dallo<br />
smettere di considerare l’altro un estraneo<br />
da fregare ma, al contrario, vedendolo<br />
come un amico insieme al quale costruire<br />
il nuovo paradigma. Questa crisi<br />
può farci camminare insieme, farci sentire<br />
tutti finalmente insieme perché, nella<br />
realtà, siamo già uno con tutto. Con tutti.<br />
21 Anno LXII - n. 3 <strong>Marzo</strong> <strong>2013</strong>