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Marzo 2013 - Parrocchiadisalo.It

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Mi ritorna oggi in mente la frase<br />

che ne “Il partigiano Johnny” di<br />

Beppe Fenoglio, un giovane della<br />

resistenza pronuncia quando un fascista<br />

gli domanda “Cosa diventerà l’<strong>It</strong>alia se vincerete<br />

voi?”; “Una cosa piccola ma seria”.<br />

Le cose sembrano essere andate in modo<br />

molto diverso. Mi chiedo: come e quando<br />

è successo che abbiamo perduto la giusta<br />

via? E non tanto perché il primo partito<br />

in Parlamento è guidato da un comico<br />

perché in fondo, per come sono messe le<br />

cose, anche questo ci può stare. Ma vorrei<br />

capire dove è finito quel paese che i nostri<br />

genitori e molti tra voi che leggete, hanno<br />

sognato per le generazioni a venire.<br />

Io penso che sia un errore cercare le ragioni<br />

di questo stato di cose solo negli<br />

eventi degli ultimi anni, siano<br />

essi cinque oppure venti. Perché<br />

da sempre io ho una convinzione<br />

e un segreto desiderio. Vorrei<br />

poter riavvolgere il nastro sul<br />

quale è registrata la Storia del<br />

Mondo per fare uno scambio. E<br />

lo scambio che vorrei proporre<br />

è con gli Stati Uniti d’America:<br />

Camillo Benso Cavour a loro,<br />

Abramo Lincoln a noi.<br />

I due sono vissuti nello stesso<br />

periodo, pressappoco per un<br />

numero uguale di anni e hanno<br />

entrambi dovuto gestire un paese<br />

che una guerra sanguinosa<br />

e fratricida aveva riunito. A Cavour<br />

è mancata la capacità e forse<br />

il coraggio di operare scelte alte e giuste<br />

che diventano necessarie quando si è<br />

davanti alla chiamata della Storia. Lincoln<br />

ha fatto approvare a un parlamento diviso,<br />

con la guerra ancora in corso, il XIII<br />

emendamento che aboliva definitivamente<br />

la schiavitù e stabiliva che la nazione,<br />

che sarebbe uscita dai trattati di pace, si<br />

sarebbe fondata su valori di unità, equità<br />

e rispetto delle persone.<br />

Nonostante da noi, fortunatamente, non<br />

ci sia mai stata la macchia della schiavitù<br />

e nonostante i valori alla base della nostra<br />

costituzione siano simili ai loro, la nostra<br />

nazione, nella realtà, non è stata fondata<br />

su quei valori, non si è formata su un<br />

forte senso civico, su un principio di giustizia<br />

e di uguaglianza profonda. Questo<br />

nonostante quei valori cristiani ai quali<br />

ci riferiamo. Non si è neppure provato a<br />

superare i problemi che la diversa condizione<br />

storica ed economica delle regioni<br />

italiane rendeva e rende tuttora evidenti.<br />

Anzi, a questi problemi se ne sono aggiunti<br />

altri ancora. Se oggi noi guardiamo<br />

Anno LXII - n. 3 <strong>Marzo</strong> <strong>2013</strong><br />

Alla sera del terzo giorno a cura di Bruno Marelli<br />

Che bel disastro!<br />

con invidia ad alcuni paesi del mondo occidentale,<br />

è perché la nostra nazione è il<br />

frutto della particolare condizione, o forse<br />

dovremmo dire di tutti gli errori, che<br />

l’hanno generata.<br />

Al momento attuale il nostro parlamento<br />

ci restituisce l’immagine di una spaccatura<br />

profonda tra il paese e le forze politiche<br />

che lo governano. Da un lato ci sono i partiti<br />

che faticano a riavvicinarsi ai bisogni<br />

del paese perché da troppo tempo i politici<br />

vivono chiusi nei loro palazzi e nelle tv,<br />

preoccupati di proteggere il loro potere e<br />

i loro privilegi messi in pericolo dall’esasperazione<br />

popolare, spaventati da quello<br />

che il paese reale ha fatto e ancora potrà<br />

fare, preoccupati dal risultato delle urne e<br />

dalle possibili proteste nelle piazze, allarmati<br />

dalla rabbia e dalla povertà che incontrano<br />

uscendo dai loro fortini. La classe<br />

politica è ormai profondamente messa<br />

in discussione perché il suo fallimento è<br />

sotto gli occhi di tutti e il confronto con il<br />

paese rappresenta un pericoloso azzardo.<br />

Dall’altro c’è un paese sorpreso e incredulo<br />

di fronte a un potere politico che si<br />

sbriciola, al mancato ricambio generazionale,<br />

all’incapacità dei governanti di<br />

parlare alla gente con un linguaggio semplice,<br />

comprensibile che non nasconda la<br />

verità delle cose, ma che sappia ritornare<br />

a indicare come affrontare le nuove sfide<br />

usando parole, se non profetiche, almeno<br />

convincenti.<br />

La folla sceglie Barabba, sempre. Che poi, a<br />

voler vedere, la “folla” ha poi ancora scelto<br />

di votare per i soliti volti che da decenni<br />

occupano la scena politica nonostante li<br />

abbia ritrovati un po’ malconci, come vecchie<br />

cozze boccheggianti aggrappate allo<br />

scoglio nell’ultima acqua rimasta. Questi<br />

personaggi pluririciclati possono, forse,<br />

trovare ancora il modo di formare un governo<br />

e garantirsi così un futuro, comportandosi<br />

come i ladri di Pisa, che litigano<br />

di giorno mentre di notte vanno insieme<br />

a rubare; o forse ora dovremmo chiamarli<br />

i ladri di Siena, aggiornando l’antico<br />

proverbio toscano ai tristi casi dei giorni<br />

nostri. Da qui a governare bene, il passo<br />

resta comunque lungo e difficile. Come ci<br />

ricorda Seneca “Non esiste un vento favorevole<br />

per il marinaio che non sa dove andare.”<br />

Noi però, qualunque cosa accada, qualsiasi<br />

minaccia dovesse concretizzarsi, non<br />

dobbiamo angosciarci. Perché questo sarà<br />

comunque l’ultimo giro di valzer di una<br />

classe politica che, nel bene e nel male, ha<br />

già ballato abbastanza. E questo disastro<br />

che si è abbattuto sull’<strong>It</strong>alia può<br />

davvero essere un bel disastro.<br />

Dipende da noi. Se ci arrendiamo<br />

ora, se cediamo al cinismo e<br />

diciamo che il cambiamento in<br />

cui speravamo non è possibile,<br />

allora quel cambiamento non<br />

arriverà.<br />

Se rinunciamo all’idea che la<br />

nostra voce possa fare la differenza,<br />

altre voci riempiranno il<br />

vuoto che noi lasciamo e saranno<br />

le voci dei banchieri, degli<br />

speculatori, dei politici di professione,<br />

di tutti quelli che sino<br />

a ora abbiamo lasciato indisturbati<br />

a saccheggiare il bene<br />

comune. Ora abbiamo la possibilità<br />

di comprendere che la<br />

politica non è solo quella che si fa a Montecitorio,<br />

ma è anche quella che facciamo<br />

tutti noi quando interagiamo con gli altri.<br />

“Non aspettare nessuna risposta oltre la tua”<br />

diceva Brecht.<br />

Abbiamo dato il via a un profondo cambiamento.<br />

Se ci faremo condizionare dai<br />

giornali e dalle tv e diventeremo spettatori<br />

o tifosi delle battaglie in Parlamento,<br />

avremo solo creato un nuovo mostro al<br />

quale daremo ulteriore forza. È necessario<br />

comprendere che le sorti dell’<strong>It</strong>alia<br />

non sono solo nelle mani di chi ci governa,<br />

ma anche e soprattutto nelle nostre.<br />

Ognuno deve iniziare da se stesso e costruire<br />

un nuovo modello partendo da<br />

piccole buone azioni civiche, dal suo lavoro<br />

svolto con passione e serietà, dallo<br />

smettere di considerare l’altro un estraneo<br />

da fregare ma, al contrario, vedendolo<br />

come un amico insieme al quale costruire<br />

il nuovo paradigma. Questa crisi<br />

può farci camminare insieme, farci sentire<br />

tutti finalmente insieme perché, nella<br />

realtà, siamo già uno con tutto. Con tutti.<br />

21 Anno LXII - n. 3 <strong>Marzo</strong> <strong>2013</strong>

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