ricordi dei pontieri italiani in russia

Guai ai feriti se ce la ritirata
Dopo 15 mesi di fronte russo, in cui ne vidi di cotte e di
crude, reputo inutile raccontare tutte le vicissitudini, limitandomi
a descrivere un unico fatto che contribuì a fare
traboccare il calice della mia amarezza, segnandomi profondamente
l'animo già duramente provato e al limite della sopportazione.
Siamo ai primi giorni del gennaio 1943, nella località di Lu-
ganscaja. Avevamo avuto il sospirato cambio da parte di un
Battaglione proveniente dal nostro Reggimento in Patria.
All'alba del mattino seguente il nostro reparto si mise in
marcia per raggiungere la cittadina di Voroscilovgrad distante
circa trenta chilometri, dove un convoglio ferroviario ci attende
per riportarci in Italia.
11 tempo concessoci per raggiungere il luogo dell'appuntamento
era ridottissimo, dovevamo trovarci sul posto per le ore
12, e se per tale ora non ci fossimo trovati alla stazione, il
convoglio aveva l'ordine tassativo di partire senza di noi. Con
quella spada di Damocle sul nostro futuro destino, iniziammo
il cammino. Purtroppo la pista era ghiacciata e, fatta a schiena
d'asino, per non cadere, dovevamo procedere a piccoli passi.
Malgrado infuriasse una tempesta di neve che ci accecava, il
freddo intenso, e sotto il carico dello zaino e di altri materiali
che rendeva ancora più difficile il cammino sbilanciandoci e
rendendoci più precario il già malsicuro equilibro, si
procedeva abbastanza spediti, sostenuti dalla certezza che
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