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di barzellette - Circolo culturale Giancarlo Costa

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Formatosi<br />

sui testi<br />

illuministici<br />

francesi<br />

e lombar<strong>di</strong>,<br />

l’autore milanese<br />

sostiene<br />

i gran<strong>di</strong> valori<br />

della libertà,<br />

della giustizia<br />

e dell’eguaglianza<br />

Non era facile prendere una posizione coerente, ma il<br />

Porta, al <strong>di</strong> là degli inevitabili dubbi e perplessità, fu<br />

sempre fermo su alcune convinzioni ra<strong>di</strong>cate e in<strong>di</strong>scusse,<br />

in primo luogo l’ideale <strong>di</strong> giustizia e <strong>di</strong> buona<br />

amministrazione, intimamente legato all’aspirazione<br />

alla libertà politica, religiosa e <strong>culturale</strong> contro ogni<br />

dogmatismo e oppressione.<br />

Fu dunque uno scrittore morale quasi senza saperlo,<br />

come <strong>di</strong>ceva lui stesso scherzosamente: morale sì,<br />

ma anche non all’oscuro delle umane debolezze, specialmente<br />

<strong>di</strong> quelle dei modesti citta<strong>di</strong>ni esposti alle<br />

angherie e alle ritorsioni. Gh’hoo miee, gh’hoo fioeu,<br />

sont impiegaa… e perciò stesso non posso fare l’eroe.<br />

Negli ultimi anni della sua vita, con il ritorno oppressivo<br />

del governo austriaco e la rivincita della nobiltà<br />

più retriva, il poeta si convinse della necessità <strong>di</strong><br />

un’in<strong>di</strong>pendenza italiana da qualsiasi dominio straniero,<br />

anche dopo le deludenti esperienze fatte sotto<br />

la dominazione dei francesi. Egli con<strong>di</strong>vise pertanto<br />

le attese e i positivi atteggiamenti della borghesia illuminata<br />

e progressista milanese: dapprima filonapoleonico,<br />

in considerazione della ventata <strong>di</strong> novità e <strong>di</strong><br />

spinte democratiche <strong>di</strong> cui l’armata <strong>di</strong> Bonaparte sembrava<br />

portatrice, fu ben presto amaramente deluso dai<br />

soprusi e dai comportamenti tirannicamente arbitrari<br />

dei “liberatori” francesi, fino al punto <strong>di</strong> vedere con<br />

sollievo la partenza dell’esercito imperiale da Milano.<br />

Paracar che scappee de Lombar<strong>di</strong>a, apostrofa così<br />

con ironica gaiezza i soldati francesi in fuga dalla sua<br />

terra, definendoli paracarri per la somiglianza dei loro<br />

alti copricapi con questi oggetti stradali: così del resto<br />

li chiamava il popolo.<br />

E tuttavia ciò non lo indusse a un ripiegamento su posizioni<br />

<strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidualismo qualunquista o tanto meno<br />

<strong>di</strong> moderatismo acquiescente all’antico dominatore<br />

ritornato, ma , doppiamente deluso dalla politica della<br />

Restaurazione e della Santa Alleanza, interessata a ripristinare<br />

i privilegi delle antiche classi dominanti e la<br />

politica del “trono e dell’altare”, si accostò al gruppo<br />

liberale e romantico del “Conciliatore”, ossia al primo<br />

gruppo milanese <strong>di</strong> “patrioti” iniziatori del Risorgimento.<br />

Strinse così una profonda e intensa amicizia<br />

con Grossi, Torti, Visconti, Berchet e con lo stesso<br />

Manzoni, tutti frequentatori della “Cameretta” del<br />

Porta, ove si riunivano a leggere e <strong>di</strong>scutere ciascuno<br />

i propri scritti, mentre nascevano interessi politico-letterari<br />

sempre più rivolti alla <strong>di</strong>mensione liberale europea,<br />

proprio perché profondamente legati all’ambiente<br />

milanese, conosciuto e amato con autenticità <strong>di</strong> analisi<br />

e <strong>di</strong> interesse. E a Milano Porta morì nel 1821, anno<br />

fati<strong>di</strong>co per i primi moti risorgimentali che egli tuttavia<br />

non giunse a vedere.<br />

***<br />

Formatosi sui testi illuministici non solo dei philosophes<br />

francesi ma anche della più schietta tra<strong>di</strong>zione<br />

lombarda (Verri, Beccaria, Parini, il “Caffè”), il Porta<br />

sostiene i gran<strong>di</strong> valori della libertà, della giustizia e<br />

dell’eguaglianza, ma continua pure la consuetu<strong>di</strong>ne,<br />

tipica dell’Illuminismo italiano, o meglio milanese, <strong>di</strong><br />

12 I L VA G L I O<br />

attenersi a una convinta fedeltà al reale, ai problemi<br />

concreti e pressanti della società, al desiderio <strong>di</strong> una<br />

“rivolta” contro le regole <strong>di</strong> una letteratura astrattamente<br />

classicheggiante, vuota <strong>di</strong> emozioni e <strong>di</strong> sentimenti<br />

“veri”, lontana dagli interessi e dalla comprensione<br />

della maggioranza dei lettori.<br />

Ma la produzione poetica del Porta finisce col <strong>di</strong>ventare<br />

una personalissima sintesi tra istanze illuministiche<br />

e apertura alle nuove tematiche e finalità culturali<br />

prodotte dal sorgere in Europa della corrente romantica.<br />

Si pensi soprattutto all’estrema attenzione al dato<br />

realistico e sociale, all’assunzione del punto <strong>di</strong> vista<br />

delle classi subalterne mai prima considerate nella loro<br />

profonda umanità, agli ambienti degli emarginati colti<br />

nella sor<strong>di</strong>da miseria della loro esistenza, ma anche<br />

nella loro solidarietà reciproca e nel tenace attaccamento<br />

alla vita. C’è davvero un nuovo epos soprattutto<br />

nei poemetti portiani, l’epos degli sfruttati e degli<br />

oppressi (si pensi a Manzoni, ma in un clima <strong>culturale</strong><br />

laico), che vivono nell’in<strong>di</strong>genza e tuttavia non sono<br />

privi né <strong>di</strong> una loro spiritualità né della capacità vitalissima<br />

<strong>di</strong> scherzare sulle loro e altrui vicende, con una<br />

evidente <strong>di</strong>alettica tra farsa e trage<strong>di</strong>a, o meglio con la<br />

<strong>di</strong>sposizione tutta popolana a costruire una comme<strong>di</strong>a<br />

della trage<strong>di</strong>a, “ con una continua frizione tra i due<br />

poli e il conseguente scintillio elettrico della battuta,<br />

il guizzo impertinente della comicità”. (Paolo Mauri,<br />

1995).<br />

Esplosiva è anche la novità espressiva e formale del<br />

Porta, il quale sceglie con consapevolezza <strong>di</strong> cultura<br />

e <strong>di</strong> poetica l’uso del <strong>di</strong>aletto, che si rifaceva sì a una<br />

lunga tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>alettale milanese dal sec.XV in poi,<br />

attraverso scrittori come Carlo Maria Maggi, canonizzatore<br />

della figura <strong>di</strong> Meneghino nel 1600 e Tanzi,<br />

Balestrieri, lo stesso Parini (pur severo classicista in<br />

lingua) nel 1700, ma aveva anche la forza <strong>di</strong>rompente<br />

<strong>di</strong> uno strumento nuovo e completamente libero,senza<br />

freni o autocensure. A ben vedere, il poeta portò alle<br />

estreme conseguenze l’obiettivo del Romanticismo<br />

italiano <strong>di</strong> scrivere in modo comprensibile ai più, <strong>di</strong><br />

utilizzare cioè uno strumento linguistico liberato dagli<br />

artificiosi e polverosi accademismi classicistici e capace<br />

<strong>di</strong> parlare al popolo e per il popolo. Ma il popolo<br />

milanese in quel periodo utilizzava come strumento<br />

quoti<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> comunicazione il <strong>di</strong>aletto, e perciò, assumendolo<br />

come suo co<strong>di</strong>ce espressivo, il Porta operò<br />

una scelta decisamente romantica e fortemente innovativa.<br />

Il <strong>di</strong>aletto era davvero in quell’età la “lingua”<br />

<strong>di</strong> un’intera città, in tutti i suoi ceti: così nel mondo<br />

poetico portiano il messaggio linguistico viene adoperato<br />

nelle sue varie sfumature, dal livello schiettamente<br />

popolare e gergale tipico <strong>di</strong> quartieri e <strong>di</strong> gruppi sociali<br />

“bassi”, al cosiddetto “parlar finito”, proprio dell’aristocrazia<br />

reazionaria e ottusamente conservatrice. E’<br />

quel modo <strong>di</strong> parlare in punta <strong>di</strong> labbra, altezzoso e<br />

tagliente, mo<strong>di</strong>ficato rispetto al linguaggio della plebe<br />

dalla maggior vicinanza all’italiano, che lo rende artefatto<br />

e ambiguo come il costume e il modo <strong>di</strong> sentire<br />

<strong>di</strong> quella classe.<br />

In polemica con i sostenitori assoluti della lingua della

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