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di barzellette - Circolo culturale Giancarlo Costa

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Le prime pagine<br />

<strong>di</strong> “Al Giaferr”<br />

e del “Fasoulin”<br />

Il “Tavolo Rotto”<br />

e “Lo zio<br />

del Tavolo Rotto”<br />

sono la sintesi<br />

cartacea<br />

<strong>di</strong> quello spirito<br />

goliar<strong>di</strong>co<br />

<strong>di</strong> casa<br />

al Caffé Lomellino<br />

nell’imme<strong>di</strong>ato<br />

secondo Dopoguerra<br />

Lo si definisce “linguaggio <strong>di</strong> uso comune” e la tivù ha<br />

non poco contribuito a delimitarne i contorni. Parallelamente<br />

si è ristretto e conformato anche lo spettro<br />

dell’umorismo, che del linguaggio è parente strettissimo.<br />

Prima che il piccolo schermo smettesse <strong>di</strong> essere<br />

una macchina meravigliosa, spettacolare in sé e per sé,<br />

la ricerca <strong>di</strong> evasione passava per forme <strong>di</strong> creatività<br />

“personalizzate” e <strong>di</strong>rettamente correlate alle con<strong>di</strong>zioni<br />

socio-culturali degli in<strong>di</strong>vidui. I conta<strong>di</strong>ni, dopo<br />

una giornata <strong>di</strong> estenuante lavoro, si ritrovavano nelle<br />

stalle per compensare gli sforzi <strong>di</strong>urni con lo svago<br />

dei pruwèrbi, “false friend” del termine “proverbi”,<br />

trattandosi quasi esclusivamente <strong>di</strong> apologhi spassosi:<br />

ognuno ci metteva del suo, adattando al proprio<br />

quoti<strong>di</strong>ano e guarnendo con fantasia storielle facete<br />

trasmesse dalla tra<strong>di</strong>zione orale. L’altro estremo della<br />

risata era l’umorismo raffinato delle classi colte, uno<br />

humor elitario dotato <strong>di</strong> un corpus lessicale più ampio<br />

<strong>di</strong> quello popolare. A metà strada si potevano trovare<br />

parecchie sfumature. Lo rivelano “reperti archeologici”<br />

come “Il Tavolo Rotto” o “Lo zio del Tavolo Rotto”,<br />

due pubblicazioni garbatamente satiriche redatte e<br />

date alle stampe nella Mortara dell’imme<strong>di</strong>ato secondo<br />

Dopoguerra, più precisamente nel febbraio e nel<br />

novembre del 1946. Queste pagine, oggi ammantate<br />

<strong>di</strong> gusto retrò, sono la traduzione cartacea del clima<br />

che si respirava al “Caffé Lomellino”, quartier generale<br />

degli sc-ciapatàvul. Il tipo <strong>di</strong> buon umore proposto<br />

è un punto <strong>di</strong> sintesi tra l’animo bohèmiene degli<br />

studenti universitari che frequentavano l’esercizio (tra<br />

cui un giovanissimo <strong>Giancarlo</strong> <strong>Costa</strong>) e la schietta comicità<br />

<strong>di</strong> provincia. Il registro che ne risulta è un felice<br />

impasto <strong>di</strong> terminologie forbite e spora<strong>di</strong>che incursioni<br />

vernacolari, in pieno spirito goliar<strong>di</strong>co. Ne “Lo zio<br />

del Tavolo Rotto” è inoltre presente una rassegna <strong>di</strong><br />

18 I L VA G L I O<br />

notizie leggere come piume intitolata “Giro <strong>di</strong> Mortara”,<br />

spazio che tra<strong>di</strong>sce un forte debito d’ispirazione<br />

verso il “Can<strong>di</strong>do” <strong>di</strong> Guareschi e Mosca: l’incipit<br />

“Qui a Mortara tutto bene” ricalca il motto “Qui in<br />

Italia va tutto bene” con cui l’ideatore dei personaggi<br />

<strong>di</strong> Peppone e Don Camillo era solito iniziare la rubrica<br />

“Giro d’Italia”. Si potrebbe obiettare che, alla luce<br />

<strong>di</strong> ciò, allora come oggi i “tormentoni” e i modelli<br />

preconfezionati avevano la loro incidenza sul sentire<br />

umoristico comune. La <strong>di</strong>fferenza sostanziale sta nel<br />

fatto che mentre gli stereotipi o<strong>di</strong>erni sono scimmiottati<br />

senza esercizio <strong>di</strong> personalità, i vecchi schemi<br />

facevano da impalcatura a libere variazioni sul tema,<br />

nel caso specifico rese originali da tratti, per così <strong>di</strong>re,<br />

<strong>di</strong> genuino sarcasmo territoriale. Tra le peculiarità<br />

dei fogli mortaresi si trova la capacità <strong>di</strong> chiamare in<br />

causa, con abili frizzi, i protagonisti della vita citta<strong>di</strong>na:<br />

politici del tempo, intellettuali, macchiette, amici<br />

e conoscenti... In questo “Il Tavolo Rotto” si fa erede<br />

dell’impostazione <strong>di</strong> fortunati settimanali dell’area<br />

“pavesofona” come il “Fasoulin”, “Ael ramolass”, il<br />

“Bagoulin” o “Al Giaferr”, castigamatti dei ghiribizzi<br />

delle mode, delle goffaggini popolane e in generale<br />

<strong>di</strong> ogni aspetto risibile dell’ambiente provinciale nei<br />

decenni sfavillanti della Belle Époque. Pochissimi gli<br />

esempi in questa <strong>di</strong>rezione negli anni a venire. Si è<br />

perso il gusto della satira “localizzata”, forse perché<br />

si sono ridotte le <strong>di</strong>stanze tra la realtà rurale e quella<br />

urbana, e al contempo si è rimpicciolita la gamma dei<br />

tipi umani <strong>di</strong>vertenti. Allargando la visuale si può constatare<br />

come è la stampa satirica in genere ad essere in<br />

declino, confinata sempre più in una nicchia dai co<strong>di</strong>ci<br />

televisivi. Tuttavia, riflettendoci, il genio dello humour<br />

non è affatto scomparso. È solo nascosto dalla torma<br />

<strong>di</strong> replicanti che ne emulano le brillanti trovate.

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