Come tanti riti pagani, Baccanali, Saturnali e Lupercali, furono accolti nelle feste dell’epoca cristiana, evolvendosi nel Carnevale Il rito greco continuò a Roma nei Baccanali, nei Saturnali, nei Lupercali. I primi in onore <strong>di</strong> Bacco, il Dioniso dei greci, signore della vendemmia e dei prodotti della terra. Nati fra i conta<strong>di</strong>ni che si davano ad una sfrenata allegria <strong>di</strong>vennero così licenziosi a Roma da essere proibiti dai consoli e dal Senato nel 185 a.C. I Saturnali, de<strong>di</strong>cati a Saturno, <strong>di</strong>o della semina, esaltavano l’età dell’oro, allorchè tutti gli uomini erano uguali, con cortei <strong>di</strong> maschere e carri decorati, trascinati da animali con strane bardature. Durante i festeggiamenti che duravano da tre a sei giorni, cessava l’autorità dei padroni sui propri schiavi i quali, indossata una maschera, avevano il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> agire come desideravano. Veniva creato un re da burla, uno schiavo cui andavano tutti gli onori, ma che, a volte, veniva sacrificato al termine delle feste. I Lupercali, in onore della lupa, la leggendaria nutrice <strong>di</strong> Romolo e Remo, o del <strong>di</strong>o fauno Luperco, tutore della terra e della fecon<strong>di</strong>tà femminile, si celebravano il 15 febbraio <strong>di</strong> ogni anno con funzioni religiose dei sacerdoti lupercali, i quali mascherati e coperti <strong>di</strong> pelli, correvano intorno all’antica città palatina percuotendo con strisce <strong>di</strong> pelle le donne a cui il <strong>di</strong>o Luperco avrebbe donato la fertilità. Come tanti riti pagani, Baccanali, Saturnali e Lupercali, furono accolti nelle feste dell’epoca cristiana. I Lupercali giunsero a trasformarsi in una sfrenata orgia della plebe e furono proscritti dal papa Gelasio I nel 400. I Baccanali ed i Saturnali <strong>di</strong>vennero un <strong>di</strong>vertimento buffonesco: le cosiddette “Feste dei pazzi” che si tenevano nelle chiese con il permesso dei vescovi. Ma anche queste degenerarono; per le canzoni ad<strong>di</strong>rittura oscene tollerate dall’autorità ecclesiastica furono abolite e sostituite dalle feste del Carnevale dette Ba<strong>di</strong>e, organizzate da associazioni <strong>di</strong> giovani sotto la responsabilità <strong>di</strong> un Abbà ed il controllo della Chiesa. Nei secoli che seguirono si svolsero le feste carnevalesche nei paesi cattolici-romani. In Italia, Francia, Spagna si organizzarono festeggiamenti burleschi, talora sfrenati, al termine dei quali una figura grottesca dai nomi vari secondo i luoghi, veniva bruciata, gettata in acqua o comunque <strong>di</strong>strutta fra urla, improperi, male<strong>di</strong>zioni degli astanti come in uso fra i popoli antichi. Il fantoccio messo a morte ci riconduce al mito dell’incarnazione dell’arcaica <strong>di</strong>vinità della vegetazione uccisa annualmente insieme alle sue negatività per rinascere in primavera, ricca <strong>di</strong> promesse e doni. Venezia era già celebre nel me<strong>di</strong>oevo per le mascherate in cui il popolo si mescolava ai signori del Gran Consiglio, ai rappresentanti dei Sestieri, ad allegre compagnie <strong>di</strong> Siciliani, Napoletani, Calabresi, nei loro costumi caratteristici. Tutti solevano indossare una maschera, <strong>di</strong>ritto inviolabile tutelato da apposite leggi, che poteva, però, essere complice d’intrighi e scherzi <strong>di</strong> cattivo gusto, allorchè, come venne <strong>di</strong> moda, riproduceva il viso <strong>di</strong> qualche persona e permetteva incresciosi scambi d’identità. I Veneziani, cui s’aggiunsero persone d’ogni parte d’Europa, si davano alla pazza gioia: balli, rappresentazioni teatrali, cortei <strong>di</strong> gondole sul Canal Grande tra suoni <strong>di</strong> piatti e mandolini e scambio <strong>di</strong> lazzi e frizzi dalla singolare arguzia e comicità. 16 I L VA G L I O Le feste carnevalesche a Napoli hanno una tra<strong>di</strong>zione più che secolare; nel 1400 giunsero ad essere <strong>di</strong> particolare splendore, organizzate con gran <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> denaro, ammirate anche dagli stranieri. I <strong>di</strong>vertimenti <strong>di</strong> quell’anno furono tanti e tanto liberi da sfociare in tumulti, risse, incidenti ad<strong>di</strong>rittura mortali che produssero perfino condanne a morte. Ad ogni termine del periodo invernale, le feste napoletane erano ricche <strong>di</strong> carri, <strong>di</strong> maschere popolari che occupavano le vie della città in allegria anche smodata, mentre gli aristocratici si <strong>di</strong>vertivano con galà, spettacoli, lauti pranzi. Nel secolo XIX i toni si fecero più moderati; per l’antico splendore è ricordato il ballo al Teatro Regio del 1827, sontuosamente allestito con quadri storici viventi i cui protagonisti erano gli appartenenti alla migliore società <strong>di</strong> Napoli. Maschere, danze, cortei <strong>di</strong> gente festante, sfilate <strong>di</strong> carri, scorpacciate caratterizzarono anche il carnevale <strong>di</strong> Firenze. I citta<strong>di</strong>ni usavano aggirarsi per strade e piazze cantando canzoni satiriche ed erotiche. All’epoca <strong>di</strong> Lorenzo il Magnifico, i carri, detti “Trionfi” raffiguravano personaggi storici o mitologici ed erano accompagnati da suonatori <strong>di</strong> piatti e liuti e da maschere che cantavano i canti carnascialeschi del Magnifico e dei poeti della sua corte. Si percorreva la via dal ponte Vecchio a piazza del Duomo, mentre folleggiavano ninfe e satiri, redarguiti dai Piagnoni, seguaci del Savonarola, con la recita del Miserere sul loro nero carro adorno <strong>di</strong> scheletri e <strong>di</strong> casse da morto. Roma non fu da meno delle altre città sunnominate nelle allegre gazzarre dei giorni <strong>di</strong> carnevale, anche per la propensione ad atteggiamenti e linguaggi lontani dal comune senso morale. Il carnevale romano nacque nel X secolo ed il suo periodo <strong>di</strong> maggior sfarzo e raffinatezza si ebbe nel 1500. Papi, car<strong>di</strong>nali, alti prelati amavano travestirsi e mescolarsi ai cortei popolari. Vestivano abiti lussuosi, bordati d’oro, e seguivano i “trionfi” accompagnati da autorità, da uomini in arme, da paggi e valletti. Come nelle altre città i “trionfi” erano raffigurazioni <strong>di</strong> scene mitologiche o storiche. Negli anni <strong>di</strong> Paolo III, oltre i soliti carri, c’era un proliferare <strong>di</strong> banchetti <strong>di</strong> ecclesiastici, mentre il giovedì grasso erano d’uso sfilate <strong>di</strong> taverneri, falegnami, calzolai, musici, muratori, soldati alla presenza <strong>di</strong> una folla chiassosa e sovente rissosa. Il carnevale romano continuò i suoi fasti nel 1600 e nel 1700, ma non mancarono gravi zuffe fra popolani e signorotti prepotenti che sovente sfociarono in scene violente con morti e feriti. Il governo <strong>di</strong> Roma si trovò a comminare la pena <strong>di</strong> morte a chi, durante le feste, avrva commesso omici<strong>di</strong>. A tutt’oggi il carnevale è presente in molte località con manifesrazioni eterogenee, maschere caratteristiche delle varie città, sfilate <strong>di</strong> figuranti e carri che ricordano epoche passate importanti. Il tutto accompagnato da ricchi pasti. E’ una festa alimentata da uno spirito affrancatorio, è un gioco che non vuole avere memoria degli avvenimenti negativi dell’anno trascorso, è la coscienza ancestrale dello scorrere della vita dal male al bene desiderato, propiziato, sperato.
Quando la risata era una faccenda “artigianale” LE EVOLUZIONI DEL SENSO UMORISTICO CONFRONTATE AI REPERTI DELLA SATIRA CHE FU Uno degli effetti deteriori derivanti dall’ingresso della società nell’era cato<strong>di</strong>ca, o meglio, nel suo sta<strong>di</strong>o morboso, è il generale appiattimento del senso dello humour. Ne sono prova i cosiddetti “tormentoni”, battute ad effetto che una volta conquistato il gusto popolare si trasformano in martellanti cantilene, piante infestanti allignate sul ciglio della strada della massificazione me<strong>di</strong>atica contemporanea. Le gag dei comici televisivi <strong>di</strong>ventano un <strong>di</strong>sco rotto che la gente continua a suonare <strong>di</strong> Stefano Se<strong>di</strong>no nella convinzione <strong>di</strong> risultare simpatica, togliendo spazio vitale all’inventiva. C’è un rapporto <strong>di</strong> reciprocità, se non <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>nazione, tra questo fenomeno e la complessiva standar<strong>di</strong>zzazione <strong>culturale</strong> prodotta dai me<strong>di</strong>a. Assottigliandosi il <strong>di</strong>vario <strong>di</strong> conoscenze tra le <strong>di</strong>verse classi sociali (<strong>di</strong> per sé un’ottima cosa) è progressivamente venuta meno la relativa variabilità linguistica. In realtà, il lessico dell’italiano me<strong>di</strong>o (altra creatura mostruosa delle comunicazioni <strong>di</strong> massa) corrisponde ad una porzione assai limitata dell’i<strong>di</strong>oma nel suo complesso. a p r i l e - g i u g n o 2 0 1 0 Cultura&&& 17 Memoria “Il Tavolo Rotto” del 16 febbraio 1946 Oggi non c’è spazio per l’inventiva: la gente ripete a oltranza i “tormentoni” comici sentiti alla tivù, convinta per questo <strong>di</strong> risultare simpatica