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tEMpI DI CRISI<br />

genova, non più città<br />

verdiana…<br />

Sembra ieri, eppure sono passati già 12 anni. Era il<br />

gennaio 2001, quando a Palazzo Ducale si organizzava<br />

una grande maratona verdiana con annullo postale<br />

per l’avvio delle celebrazioni per il centenario della<br />

morte di Verdi. Prologo, quella maratona, a un’annata<br />

di manifestazioni: Genova era stata inserita fra le città<br />

verdiane e l’evento aveva ispirato un ricco programma<br />

fra mostre, concerti, spettacoli lirici, pubblicazioni.<br />

In 12 anni sono cambiate molte, troppe cose. In<br />

questi giorni ripartono le manifestazioni verdiane per<br />

il bicentenario della nascita. Tempi di crisi, non c’è<br />

più neanche l’entusiasmo di allora. E, soprattutto,<br />

Genova non è stata inserita nel Comitato nazionale<br />

delle Celebrazioni. La legge varata il 3 dicembre scorso<br />

non l’ha minimamente presa in considerazione. Non<br />

è solo questione di prestigio, è questione finanziaria.<br />

La legge prevede infatti un contributo di 3 milioni e<br />

duecentomila euro tanto per il 2012 quanto per il <strong>2013</strong>.<br />

Un finanziamento straordinario al Carlo Felice, di questi<br />

tempi, avrebbe proprio fatto comodo. Un peccato,<br />

perché certi treni, quando passano, bisogna riuscire a<br />

prenderli.<br />

musica<br />

tà e la riservatezza. I genovesi lo lasciavano vivere.<br />

Passeggiava per le strade e la gente accennava<br />

appena ad un saluto: la parola d’ordine era “ignorarlo”.<br />

Alle sue spalle, naturalmente, si formavano<br />

gruppetti di melomani che commentavano il suo<br />

passaggio, ma nessuno osava fermarlo o importunarlo.<br />

Qualche volta, a dire il vero, Genova provò a<br />

“celebrare” l’artista. L’impresario Sanguineti cercò<br />

di intitolare a Verdi il nuovo teatro di via Caffaro<br />

che, dopo il rifiuto del bussetano, divenne teatro<br />

Paganini. Nel 1892 fu offerta al musicista la commissione<br />

di un’opera dedicata a Colombo; ma Verdi,<br />

tutto preso dal pancione di Falstaff, rifiutò, indicando<br />

al suo posto Alberto Franchetti che in effetti<br />

scrisse poi l’opera su libretto di Luigi Illica.<br />

Nel 1889, addirittura, Verdi minacciò di non mettere<br />

più piede a Genova: ricorreva il cinquantesimo<br />

anniversario del suo debutto operistico (Oberto,<br />

Conte di San Bonifacio) e il Comune aveva in programma<br />

una serie di manifestazioni in suo onore.<br />

Verdi lanciò un ultimatum: o si cancella tutto o non<br />

mi vedrete più. Non si fece nulla, naturalmente, e<br />

il Comune si limitò a consegnargli una medaglia<br />

ricordo. Verdi era caratterialmente un genovese.<br />

Riservato, diffidente con gli estranei, ma generoso<br />

con gli amici, risparmiatore, ma capace di grandi<br />

gesti umanitari: basta ricordare l’ingente somma<br />

destinata nel suo atto testamentario a quattro istituti<br />

assistenziali genovesi.<br />

A Genova, Verdi non regalò prime assolute. Ma Simon<br />

Boccanegra costituisce un poderoso affresco<br />

della Genova antica; a Villa Sauli il musicista mise<br />

a punto parti di Aida e riunì gli interpreti del Cairo;<br />

e a Palazzo del Principe lavorò a Otello e Falstaff<br />

ospitando Boito che nei suoi soggiorni genovesi<br />

usava alloggiare all’Eden di Nervi. Il bussetano si<br />

sentiva talmente integrato nella città, da comportarsi<br />

come un cittadino qualsiasi. La mattina scendeva<br />

in centro a fare compere, girava i mercati, controllava<br />

la merce, si informava sui prezzi. Un giorno<br />

si fermò al banco di un pescivendolo, Giacomo<br />

Origo che aveva voce di basso e cantava al Carlo<br />

Felice e al Politeama Genovese come comprimario.<br />

Origo, vedendo Verdi si presentò: “Mi permetta, signor<br />

Maestro, di dirle che io canto in teatro e che<br />

in questa stagione faccio il Re nella sua Aida”. Al<br />

che Verdi, dando un’occhiata ai prezzi sul banco replicò:<br />

“Mi rallegro con lei, ma scommetto che ella<br />

guadagna di più a vendere questi pesci che non a<br />

cingere la corona regale nella mia opera”.<br />

Buona forchetta, Verdi non disdegnava ravioli, pesci<br />

e lumache. Aveva un debole per i dolci. Negozi<br />

preferiti, Romanengo e Klainguti. Quest’ultimo, sul<br />

finire dell’Ottocento, provvedeva tutte le mattine a<br />

inviare al compositore una brioche calda, ripiena di<br />

marmellata con la glassa di zucchero, significativamente<br />

chiamata “Falstaff”. E Verdi lasciò al negozio<br />

uno spiritoso biglietto, tuttora visibile dietro<br />

il banco: “Grazie dei Falstaff, buonissimi! Molto<br />

migliori del mio”.<br />

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