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reale e/o virtuale nelle scene pittoriche del pintoricchio

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REALE E/O VIRTUALE NELLE SCENE PITTORICHE DEL PINTORICCHIO<br />

di ROSARIA PALOMBA<br />

“La prima impressione che si prova abbracciando<br />

dun solo sguardo la Libreria <strong>del</strong> Duomo di Siena<br />

è duna grande lietezza e duna grande felicità.<br />

Lanima e gli occhi esultano alla viva festa dei colori,<br />

alla bontà <strong>del</strong>le linee eleganti e s<strong>nelle</strong>, allaccordo<br />

di tutto ciò che circonda” 1 .<br />

Nel vasto campo <strong>del</strong>la Rappresentazione, lo studio <strong>del</strong>le pitture parietali riveste un<br />

importante ed affascinante ruolo, in quanto ogni architettura dipinta offre l’opportunità<br />

di indagare il contesto storico in cui s’inserisce ed anche analizzare le tecniche<br />

utilizzate. Gli apparati architettonici dipinti generano una visione ir<strong>reale</strong>, ma<br />

strettamente connessa alla struttura <strong>reale</strong>. Il viaggio che ci accingiamo a fare, oltrepassando<br />

il limite murario di volte, piani orizzontali e piani verticali, ci conduce all’interno<br />

di palcoscenici affollati da quinte architettoniche tra le quali si dipana il racconto <strong>del</strong>lo<br />

spazio architettonico.<br />

Voluta nel 1492 dall’Arcivescovo<br />

di Siena Cardinale<br />

Francesco Piccolomini Todeschini<br />

poi, Papa Pio III<br />

Piccolomini, la Libreria<br />

Piccolomini fu ideata al<br />

fine di custodire il cospicuo<br />

patrimonio librario raccolto<br />

dallo zio Papa Pio II.<br />

Il fianco nord-occidentale<br />

<strong>del</strong> Duomo di Siena, presenta<br />

un prospetto marmoreo<br />

decorato con rilievi<br />

di gusto classico da Lorenzo<br />

di Mariano che accoglie<br />

una piccola porta di<br />

1 Libreria Piccolomini, Duomo di<br />

Siena. Restituzione fotogrammetrica<br />

e ricostruzione <strong>del</strong> sistema<br />

di archi dipinti.<br />

1


2<br />

750<br />

2 Individuazione <strong>del</strong>la retta d'orizzonte<br />

e confronto degli affreschi<br />

analizzati.<br />

3 Ricostruzione <strong>del</strong>le architetture<br />

virtuali <strong>del</strong>l'affresco "Enea Silvio<br />

Piccolomini incoronato poeta da<br />

Federico III".<br />

Reale e/o Virtuale <strong>nelle</strong> <strong>scene</strong> <strong>pittoriche</strong> <strong>del</strong> Pintoricchio<br />

bronzo dietro la quale si cela un invaso dal ricchissimo apparato decorativo, tale da<br />

configurarlo come un sacello, uno scrigno prezioso.<br />

Un piccolo gioiello d’arte rinascimentale, un tripudio di colori abilmente accostati<br />

che investono nella totalità il particolare ambiente. Si è sedotti dai vibranti e ricchi<br />

cromatismi che catturano l’osservatore e lo proiettano nel lungo viaggio di Pio II, che<br />

Pintoricchio propone <strong>nelle</strong> dieci campate che scandiscono ritmicamente lo spazio <strong>del</strong>la<br />

biblioteca. La volta a padiglione lunettata è uno splendido esempio di decorazione a<br />

grottesche, cerchi, ottagoni, poligoni in stucco e in carta pesta definiscono gli apparati<br />

decorativi, che accolgono temi di natura religiosa misti a temi astrologici, alla<br />

quale si contrappone sul pavimento un ricco tappeto maiolicato caratterizzato da forme<br />

geometriche che nel gioco <strong>del</strong>le simmetrie e <strong>del</strong>le mutue relazioni danno luogo ad un<br />

artefatto originale.<br />

Dall’universo <strong>virtuale</strong> <strong>del</strong>le Rappresentazioni iconografiche, mediante la restituzione fotogrammetrica,<br />

passiamo dallo spazio proiettivo <strong>del</strong>le immagini prospettiche a quelle<br />

metrico-descrittivo <strong>del</strong>le immagini mongiane, attraverso l’omologia di ribaltamento<br />

che lega le une alle altre. Mediante una lettura critica ed opportune interpretazioni,<br />

rappresentiamo la realtà illusoria in cui la geometria si pone come anello di congiunzione<br />

tra il <strong>reale</strong> ed il <strong>virtuale</strong>, tra lo spazio metrico e quello configurativo. Lo<br />

spettatore viene affascinato dalla complessità spaziale, generata da semplici segni pittorici<br />

eseguiti su una superficie bidimensionale.<br />

“Ciò che Kubovy sostiene e dimostra è il ruolo che i pittori <strong>del</strong> Rinascimento volevano<br />

<strong>del</strong>iberatamente far giocare ai fruitori <strong>del</strong>le loro opere, mettendo in conflitto il vissuto derivato<br />

dall’osservazione <strong>del</strong> dipinto, con quello derivato dall’osservazione <strong>del</strong>l’ambiente in<br />

cui l’opera è inserita” 2 .<br />

Il conflitto nasce tra lo spazio <strong>del</strong> dipinto, ideato e rappresentato dall’artista che definisce<br />

un determinato punto di vista per ogni singola storia narrata, e lo spazio <strong>reale</strong><br />

<strong>del</strong>la biblioteca che, liberamente percorso, consente di avvalersi di infiniti punti di vista,<br />

in tal caso la visione muta da statica a dinamica.<br />

L’analisi condotta sull’intero ciclo pittorico ha evidenziato che l’artista si è avvalso di<br />

diverse prospettive che talvolta danno luogo a problemi di percezione.


Rosaria Palomba<br />

751<br />

3


752<br />

Reale e/o Virtuale <strong>nelle</strong> <strong>scene</strong> <strong>pittoriche</strong> <strong>del</strong> Pintoricchio<br />

Difatti un primo piano, posto a circa quattro metri d’altezza, è risolto con un sistema<br />

di arcate profonde che inquadrano i dieci racconti.<br />

“L’opera dipinta acquisisce la sua unità prima ancora d’esser un quadro, nel momento in<br />

cui viene separata dal suo intorno da una cornice. Da quando questa cornice esiste, anche<br />

se si tratta di una cornice architettonica, strettamente legata alle forme <strong>del</strong> monumento,<br />

essa impone al suo contenuto il proprio marchio, gli dà una forma” 3 .<br />

Come nel soffitto <strong>del</strong>la Cappella Sistina anche qui ci troviamo di fronte alla prospettiva<br />

di un unico arco ripetuto lungo le quattro pareti <strong>del</strong>l’aula. Il sistema iterato<br />

è composto da un arco a tutto sesto e da due pilastri dipinti, elemento di raccordo<br />

tra una campata e l’altra è una parasta anch’essa dipinta il cui unico elemento tridimensionale<br />

è il capitello stemmato, anello di congiunzione tra lo spazio <strong>virtuale</strong> e<br />

quello <strong>reale</strong>.<br />

Il punto principale di questa prospettiva, -proiezione sul quadro <strong>del</strong> punto di vistaè<br />

fissato molto in basso per consentire la visione <strong>del</strong>l’intradosso <strong>del</strong>l’arco decorato con<br />

una doppia fila di rombi. La compresenza <strong>del</strong>le diverse prospettive generano illusioni,<br />

<strong>del</strong>usioni e collisioni. L’artista posto di fronte ad una scelta tra la rappresentazione<br />

prospettica e la percezione visiva, quando queste sono in conflitto, fa sempre prevalere<br />

la prospettiva naturalis su quella artificialis. In questi affreschi la prospettiva oltre<br />

ad essere un mezzo per dilatare gli spazi è anche un espediente per comporre <strong>scene</strong><br />

di vita vissute organizzate però in schemi spazialmente complessi, dove il rigore <strong>del</strong>la<br />

proiezione si piega alla volontà <strong>del</strong> pittore per esaltare la storia narrata.<br />

Il Pintoricchio si attiene ad una geometria rigorosa, colloca un’unica retta d’orizzonte<br />

per tutti i dipinti, abilmente posta ad 8,90 m dal pavimento e propone una prospettiva<br />

scientificamente esatta in cui i protagonisti <strong>del</strong>la scena sono minuziosamente<br />

rappresentati. Anche mantenendo la medesima retta d’orizzonte ha dovuto però modificare<br />

di volta in volta la distanza principale per consentire una buona rappresentazione<br />

<strong>del</strong>le architetture immaginate.<br />

La rappresentazione diviene così momento di conoscenza <strong>del</strong>le architetture che definiscono<br />

lo spazio immateriale: esse, rigorosamente restituite fotogrammetricamente,<br />

rivelano una più comprensibile lettura dei manufatti architettonici e tali restituzioni<br />

si configurano come tecnica di rilevamento indiretto.


Rosaria Palomba<br />

La nota teoria di Pierre Francastel, secondo la quale le architetture <strong>del</strong> Rinascimento<br />

sono state dipinte prima di essere costruite, trova riscontro anche in alcuni brani pittorici<br />

<strong>del</strong> Pintoricchio, che affianca rappresentazioni con evidenti riferimenti a architetture<br />

preesistenti 4 ad altre che diventano archetipi per gli architetti <strong>del</strong> suo tempo.<br />

753<br />

4 Comparazione tra Reale e Virtuale<br />

nella rappresentazione <strong>del</strong>la<br />

Colonna Camollia.<br />

4


754<br />

Note<br />

1 C. RICCI, Pintoricchio, Vincenzo Bartelli & C., Perugia 1915, p. 254.<br />

2 M. MASSIRONI, in M. KUBOVY, La freccia nell’occhio, Franco Muzio Editore, Verona 1992, p.<br />

xi.<br />

3 C. BOULEAU, La geometria segreta dei pittori, Electa, Venezia 1996, p. 3.<br />

4 Il quarto affresco, in cui è rappresentato l’“Incontro tra Federico III ed Eleonora d’Aragona”, è<br />

di grande interesse per la fe<strong>del</strong>e rappresentazione dei luoghi. Al centro <strong>del</strong> racconto è stata dipinta<br />

la colonna Camollia sormontata dagli stemmi degli sposi che la Repubblica di Siena fece<br />

erigere in loro onore dopo l’evento, che a tutt’oggi è in loco. Sullo sfondo il paesaggio comprendeva,<br />

l’antica Porta Camollia e la chiesetta di San Basilio (entrambe andate distrutte nell’assedio<br />

<strong>del</strong> 1554), il Duomo e l’incompiuto Facciatone.<br />

Bibliografia<br />

BOULEAU C., La geometria segreta dei pittori, Electa, Venezia 1996.<br />

GARIBALDI V., MANCINI F. F., Pintoricchio, Silvana Editoriale, Milano 2008.<br />

KUBVY M., La freccia nell’occhio, Franco Muzio Editore, Verona 1992.<br />

RICCI C., Pintoricchio, Vincenzo Bartelli & C., Perugia 1915.<br />

SALVEMINI F., La visione e il suo doppio, Editori Laterza, Bari 1990.<br />

Reale e/o Virtuale <strong>nelle</strong> <strong>scene</strong> <strong>pittoriche</strong> <strong>del</strong> Pintoricchio


L'ANALISI GEOMETRICA PER LA CONOSCENZA DELL'ARCHITETTURA<br />

di BARBARA PANI<br />

architettura è frutto <strong>del</strong> pensiero e <strong>del</strong>l’opera manuale <strong>del</strong>l’uomo e come tale rac-<br />

L’ chiude in se un aspetto puramente emotivo ed uno materiale. Il primo è relativo<br />

ai sentimenti che nascono in chi osserva un edificio, il secondo è legato agli aspetti<br />

pratici inerenti la sua costruzione.<br />

A seconda <strong>del</strong>le epoche la geometria e i rapporti matematici derivanti da particolari<br />

costruzioni geometriche, furono utilizzati non solo per interpretare il mondo fisico e<br />

quello trascendentale ma anche come strumento di controllo <strong>del</strong>la realtà; in ambito<br />

architettonico, in particolare, la geometria ha avuto un ruolo fondamentale non solo<br />

all’atto <strong>del</strong>la creazione <strong>del</strong>l’opera ma anche come strumento pratico per garantirne la<br />

buona riuscita. I costruttori gotici, infatti, si servivano <strong>del</strong>le figure geometriche, specialmente<br />

<strong>del</strong> quadrato, per ottenere la giusta misura senza la quale l’opera architettonica<br />

non avrebbe potuto rispettare i canoni di bellezza <strong>del</strong> tempo ma, soprattutto,<br />

non avrebbe potuto essere robusta e durare nei secoli.<br />

I saperi tecnici e teorici degli architetti sono cambiati di secolo in secolo, così come<br />

è cambiata l’architettura, tanto che oggi non sono più percepiti da chi osserva un edificio<br />

storico perché non è in grado di codificare correttamente il linguaggio formale<br />

utilizzato dal costruttore. È spesso difficile ad un primo sguardo, senza operare uno<br />

studio attento <strong>del</strong>l’opera, individuare il principio generatore che ha condotto l’artefice<br />

a creare nella sua mente un edificio e poi a realizzarlo. In tal senso l’architettura<br />

può essere considerata portatrice di conoscenza in grado di tramandare ai posteri con<br />

la sua matericità e tangibilità ciò che materiale non è e cioè le nozioni tecniche e teoriche<br />

degli architetti dei secoli passati. Una <strong>del</strong>le chiavi di lettura necessarie per tradurre<br />

queste conoscenze è, appunto, l’analisi geometrica <strong>del</strong>l’architettura.<br />

La produzione scientifica sulle conoscenze geometriche degli architetti nel Medio Evo<br />

e sull’utilizzo che essi ne facevano è vasta, dagli anni ‘50 sino ad oggi sono stati pubblicati<br />

numerosi studi di carattere sia generale sia particolare soprattutto da parte di<br />

studiosi inglesi, americani e tedeschi1 . Dall’esame di parte di questa ampia bibliografia<br />

emerge che indubbiamente l’architetto medievale non solo era in possesso di nozioni<br />

geometriche, seppure elementari, ma le applicava per progettare le proprie costruzioni.<br />

Questo è ormai assodato per quanto riguarda l’architettura gotica per la


756<br />

L'analisi geometrica per la conoscenza <strong>del</strong>l'architettura<br />

quale grazie al fatto che sono giunti sino a noi vari documenti scritti e disegni si può<br />

affermare che la formazione <strong>del</strong>l’architetto in questo periodo fosse caratterizzata non<br />

solo dai suoi saperi tecnici basati sulla pratica in cantiere ma soprattutto dalle sue conoscenze<br />

geometriche e, quindi, teoriche. Fino agli inizi <strong>del</strong> XIII secolo, infatti, gli<br />

architetti erano definiti come esperti nell’arte <strong>del</strong>la muratura e <strong>del</strong>la carpenteria, e<br />

cioè mestieri che si avvalgono fondamentalmente <strong>del</strong> lavoro manuale; successivamente<br />

incominciano ad essere descritti come coloro che vanno in cantiere a dare ordini ma<br />

di fatto non si sporcano le mani lavorando 2 ; sono sempre più diffuse le espressioni<br />

quali experto in arte geometria 3 : ciò che caratterizza l’architetto non è il suo saper fare<br />

ma il sapere teorico. Le nuove competenze <strong>del</strong>l’architetto derivano dal ruolo assunto<br />

in cantiere: le costruzioni gotiche presentano <strong>del</strong>le difficoltà che non esistevano in<br />

epoca romanica, il cantiere è complesso e si inizia ad avere una forte differenziazione<br />

dei ruoli fra i vari mestieri, l’architetto è colui che ha pensato l’opera e che ne sovrintende<br />

la costruzione assumendo il compito di coordinatore, non necessariamente<br />

prestando più opera manuale ma solo intellettuale 4 . Le conoscenze pratiche, le regole<br />

dettate dall’esperienza non sono più sufficienti all’architetto il quale giustifica sempre<br />

più le sue scelte progettuali con teorie basate sull’uso di figure geometriche o di rapporti<br />

matematici 5 .<br />

È appunto tramite la conoscenza di questi saperi che è possibile comprendere appieno<br />

un’opera architettonica e, soprattutto, il percorso progettuale che l’ha creata; per questo<br />

motivo nello studio di un edificio storico, in qualunque periodo sia stato realizzato,<br />

non è possibile prescindere dalla sua analisi geometrica in quanto si ometterebbe<br />

una fase fondamentale per la comprensione <strong>del</strong>l’opera stessa.


Barbara Pani<br />

Note<br />

1 Della numerosa bibliografia esistente sull’argomento si indicano i contributi ritenuti più interessanti:<br />

J. S. ACKERMAN, “Ars sine scientia nihil est” Gothic Theory of Architecture at the Cathedral<br />

of Milan, in “Art Bulletin”, Vol. 31, 1949, pp. 84-111; F. BUCHER, Medieval architectural<br />

design methods, 800-1560, in “Gesta”, n. XI/2, 1973, pp. 37-51; K. J. CONANT, The after-life<br />

of Vitruvius in the Middles Ages, in “Journal of the Society of Architectural Historians”, n. 37,<br />

1968, pp. 33-38; R. RECHT, Il disegno d’architettura. Origini e funzioni, Jaka Book, Milano<br />

2001.<br />

2 R. RECHT, op. cit., pp. 45-52.<br />

3 J. S. ACKERMAN, op. cit., p.90; la definizione si riferisce a Gabriele Stornaloco che venne convocato<br />

nel 1391 per risolvere il problema <strong>del</strong> disegno <strong>del</strong>la facciata <strong>del</strong>la cattedrale di Milano.<br />

Si fa notare che Stornaloco era un matematico.<br />

4 M. BORGHERINI, Disegno e progetto nel cantiere medievale. Esempi toscani <strong>del</strong> XIV secolo, Marsi-<br />

lio Editori, Venezia 2001, pp. 11-16.<br />

5 J. S. ACKERMAN, op. cit. La contrapposizione fra il sapere pratico e quello teorico si ritrova nell’avvicendarsi<br />

degli scambi di opinioni fra gli architetti milanesi e quelli stranieri chiamati per<br />

risolvere i problemi <strong>del</strong>la costruzione <strong>del</strong>la cattedrale di Milano ed è riassunta nella famosa frase<br />

<strong>del</strong>l’architetto francese Jean Mignot “ars sine scientia nihil est”.<br />

757


ARCHITETTURE ECLETTICHE SUL LUNGOMARE "LA PIETRA"<br />

di ADRIANA PAOLILLO<br />

Sul finire <strong>del</strong> XIX secolo, l’architetto Lamont Young1 inseguì l’utopia di dare alla<br />

città di Napoli una dimensione europea individuando nell’area ai piedi <strong>del</strong>la collina<br />

di Posillipo che guarda verso il golfo di Pozzuoli, lo spazio ideale per un nuovo<br />

processo di urbanizzazione che potesse decomprimere il centro storico saturato e soffocato<br />

dai suoi cinquecentomila abitanti. La superficie a disposizione sarebbe stata incrementata<br />

realizzando <strong>del</strong>le colmate a mare con i materiali provenienti dagli scavi<br />

per la costruzione <strong>del</strong>la linea Cumana e <strong>del</strong>la Metropolitana cittadina; la nuova città<br />

giardino sarebbe stata definita dagli insediamenti residenziali di grande pregio architettonico<br />

destinati all’alta borghesia, che avrebbe potuto godere di approdi privati in<br />

un contesto non dissimile da quello <strong>del</strong>le città lagunari ma evitando i disagi <strong>del</strong>le<br />

strette ed impraticabili calli. Sul versante di Bagnoli invece sarebbero sorti edifici pubblici,<br />

alternati a strutture alberghiere e termali. Il progetto ruotava inoltre intorno al<br />

Palazzo di Cristallo, una struttura in ferro realizzata secondo le moderne tecniche costruttive<br />

che avrebbe ospitato mostre temporanee e allo stesso tempo botteghe di artigiani<br />

e studi di artisti.<br />

Molto controversa è stata invece la storia <strong>del</strong>l’urbanizzazione che ha segnato Bagnoli<br />

e la sua propaggine lungo la costa, il lungomare <strong>del</strong>la Pietra, che ricade dal punto di<br />

vista amministrativo nel comune di Pozzuoli.<br />

Nell’arco di molti secoli, sia per cause naturali che non, la fascia costiera in oggetto è<br />

stata abbandonata ad un progressivo degrado, aggravato dalla mancanza di pianificazione<br />

urbana e di progetti di riqualificazione, come spesso accade per le zone di confine<br />

tra comuni diversi, Napoli e Pozzuoli. L’intera area di Bagnoli è stata definita “la<br />

periferia anomala”, in qualche<br />

modo violata e tradita2 .<br />

Fino alla fine <strong>del</strong> XIX secolo<br />

la fascia costiera era<br />

stata considerata terreno<br />

inospitale e pertanto era rimasta<br />

per lo più ignorata.<br />

I piccoli centri abitati erano<br />

1 Classificazione degli edifici <strong>del</strong><br />

lungomare La Pietra in base all'epoca<br />

di costruzione.<br />

1


2<br />

760<br />

Architetture eclettiche sul lungomare "la Pietra"<br />

stati progressivamente abbandonati in seguito allo sprofondamento <strong>del</strong> litorale flegreo<br />

o agli smottamenti frequenti causati dall’attività sismica. L’unica grande opera che<br />

aveva interessato l’area a partire dal 1571 e di cui venne messa in dubbio l’utilità era<br />

stata la strada litoranea di collegamento tra Bagnoli e Pozzuoli, voluta dal viceré Parafan<br />

de Ribera, duca di Alcalà che già tre anni prima aveva ordinato e fatto eseguire<br />

i lavori per la tratta di collegamento tra Fuorigrotta e il mare all’altezza di Cordoglio.<br />

Le difficoltà emerse durante la costruzione furono enormi e l’opera molto costosa; fu<br />

necessario sfidare la natura rimuovendo grandi massi di trachite e a tratti aggirando<br />

i rilievi grazie a colmate a mare. La scogliera che caratterizza questo tratto di costa è<br />

probabilmente il risultato dei tagli effettuati nel costone roccioso che si proiettava in<br />

acque spesso anche profonde. Dalla trachite, detta appunto “pietra di Pozzuoli”, utilizzata<br />

già in epoca romana e lavorata dai detenuti <strong>del</strong> vicino carcere di Nisida durante<br />

il periodo borbonico, deriva il nome di questa singolare area. E proprio lungo<br />

quest’asse stradale considerato inutile per secoli, che si sarebbe <strong>del</strong>ineato all’inizio <strong>del</strong><br />

XX secolo il processo di urbanizzazione caratterizzato dalla nascita <strong>del</strong>le seconde case<br />

dei ceti emergenti e per la cui progettazione sarebbero stati coinvolti architetti e ingegneri<br />

di qualità. Da un lato il desiderio di riappropriarsi di un mare fruibile negato<br />

invece alla città storica, dall’altro il fascino per le attività termali tornate in auge<br />

grazie a nuovi impianti<br />

come quello <strong>del</strong>l’hotel Tricarico,<br />

favorivano il sorgere<br />

di stabilimenti balneari in<br />

un contesto reso incontaminato<br />

dalle antiche opere<br />

di bonifica. L’utopia di<br />

Young sembrò in qualche<br />

misura realizzarsi seppur in<br />

assenza di programmazione<br />

urbanistica adeguata e rispettosa<br />

<strong>del</strong> luogo. Nel giro<br />

2 Villa Pigna, rilievo metrico <strong>del</strong><br />

prospetto Sud.


Adriana Paolillo<br />

di qualche decennio l’attività edilizia si estese ai quartieri limitrofi investendo l’intera<br />

piana di Bagnoli ed aprendo la strada ai primi interventi di speculazione edilizia degli<br />

anni ‘50 e di industrializzazione <strong>del</strong>l’area.<br />

Le ville eclettiche costruite lungo la stretta lingua di costa compresa fra la scogliera<br />

sul mare ed il costone di roccia tufacea retrostante <strong>nelle</strong> immediate vicinanze <strong>del</strong> lungomare,<br />

restano una <strong>del</strong>le poche testimonianze <strong>del</strong>la vocazione residenziale e <strong>del</strong>la<br />

connotazione turistica <strong>del</strong>l’area all’inizio <strong>del</strong> XX secolo, favorita anche dal potenziamento<br />

dei sistemi di trasporto degli omnibus e dei primi tram, e successivamente<br />

<strong>del</strong>la realizzazione <strong>del</strong>la Cumana, una <strong>del</strong>le prime linee ferroviarie italiane. Per la loro<br />

qualità architettonica, le ville borghesi rappresentano, oltre al paesaggio naturale di<br />

straordinaria bellezza, un patrimonio da salvaguardare<br />

attraverso interventi di restauro volti a recuperarne le caratteristiche<br />

originarie non ancora definitivamente perdute.<br />

In quest’ottica, Villa Pigna, progettata dall’ingegnere<br />

Raffaele D’Angerio 3 nel 1927, “che, meno di altre<br />

ha subito gli insulti di una incontrollata modernizzazione<br />

o interventi di tipo minimalista, può ancora, con<br />

la sua torretta che domina il mare, essere riproposta come<br />

baluardo di una breve stagione felice dal punto di vista<br />

urbanistico ed ambientale” 4 .<br />

L’edificio di dimensioni contenute ma con ampie terrazze<br />

affacciate sul mare si imposta su pianta trapezoidale<br />

adeguandosi alla irregolare conformazione <strong>del</strong> sito,<br />

incastonato tra la strada e la parete di roccia retrostante<br />

che la sovrasta. La facciata, che conserva l’originale disegno<br />

<strong>del</strong> bugnato, è arretrata rispetto alla strada e separata<br />

da quest’ultima grazie ad un basamento anch’esso<br />

bugnato alto quanto il primo livello. L’angolo sud-est<br />

<strong>del</strong>l’edificio è definito dalla presenza di una torre cilindrica<br />

che si sviluppa per tre livelli fino alla copertura<br />

3 Villa Pigna, scomposizione <strong>del</strong><br />

mo<strong>del</strong>lo tridimensionale.<br />

4 Villa Pigna, disegno dei dettagli<br />

interni.<br />

761<br />

3<br />

4


762<br />

dove si conclude in una loggia aperta scandita da semicolonne di ordine composito<br />

ed aperture ad arco. Al di sopra <strong>del</strong> cornicione fortemente aggettante disegnato dalla<br />

sovrapposizione <strong>del</strong>le fasce di dentelli, ovuli e mutuli, l’intero perimetro si conclude<br />

con una merlatura medievale alla ghibellina. Elementi di pregio caratterizzano anche<br />

gli spazi interni definiti dai raffinati disegni policromi <strong>del</strong>le pavimentazioni in graniglia,<br />

dalle boiserie e dagli infissi in legno di noce finemente intarsiati.<br />

Note<br />

1 Sulla figura di Lamont Young si rimanda ad G. ALISIO, Lamont Young. Utopia e realtà nell’urbanistica<br />

napoletana <strong>del</strong>l’Ottocento, Officina Edizioni, Roma 1978.<br />

2 V. CARDONE, Bagnoli nei Campi Flegrei, la periferia anomala di Napoli, Edizioni Cuen, 1989.<br />

3 Sempre sul lungomare di Bagnoli, lungo via Pozzuoli, allo stesso progettista si deve anche il disegno<br />

di Villino D’Angerio, <strong>del</strong> 1924, un’elegante costruzione di tre piani su impianto quadrato,<br />

con cornici e rilievi alle finestre e losanghe in facciata.<br />

4 G. A. DELL’UVA, Un’architettura eclettica sul lungomare la Pietra: Villa Pigna, 1927, tesi di laurea<br />

in Rilievo <strong>del</strong>l’Architettura, relatore prof. Antonella Di Luggo, correlatore arch. Adriana<br />

Paolillo.<br />

Bibliografia<br />

ALISIO G., Lamont Young. Utopia e realtà nell’urbanistica napoletana <strong>del</strong>l’Ottocento, Officina Edizioni,<br />

Roma 1978.<br />

ALISIO G., VALERIO V., Cartografia napoletana dal 1781 al 1889, Catalogo <strong>del</strong>la mostra, Electa<br />

Napoli 1983.<br />

CARDONE V., Bagnoli nei Campi Flegrei,la periferia anomala di Napoli, Edizioni Cuen, 1989.<br />

Archivio <strong>del</strong>le Licenze <strong>del</strong> Comune di Napoli.<br />

Archivio privato famiglia D’Argenio.<br />

Architetture eclettiche sul lungomare "la Pietra"


OPLONTIS, FABBRICA DELLA CONOSCENZA<br />

TRA MATERIALE E IMMAGINARIO<br />

di MARIA INES PASCARIELLO<br />

Le espressioni grafiche di ogni epoca testimoniano il grande impegno per realizzare<br />

il superamento <strong>del</strong>la disomogeneità esistente tra lo spazio rappresentato e lo spazio<br />

<strong>reale</strong>, affidando a mezzi diversi il compito di esprimere quella terza dimensione<br />

di cui la superficie <strong>del</strong>l’immagine è evidentemente priva. In particolare, nel corso di<br />

tutta la produzione artistica che precede il Rinascimento, lo spazio è descritto mediante<br />

una rappresentazione che è di volta in volta simbolica, ideale o realistica, e che<br />

appare sempre caratterizzata e supportata da una serie di splendide intuizioni sulle<br />

tecniche di resa spaziale.<br />

Affascinanti tentativi di esprimere, attraverso le immagini, la profondità <strong>del</strong>la terza<br />

dimensione si possono leggere <strong>nelle</strong> pitture parietali di epoca romana; infatti, anche<br />

se non codificarono vere e proprie regole di rappresentazione <strong>del</strong>lo spazio, gli antichi<br />

conobbero certamente i sistemi di riduzione prospettica e se ne avvalsero soprattutto<br />

per dipingere <strong>scene</strong> teatrali o illusionistiche immagini di architettura, che costituiscono<br />

una <strong>del</strong>le espressioni più caratteristiche <strong>del</strong> II e <strong>del</strong> IV Stile pompeiano.<br />

Dal punto di vista <strong>del</strong>la Scienza <strong>del</strong>la Rappresentazione questo genere pittorico è un<br />

esempio di immagine costruita secondo precisi principi prospettici che si fanno sempre<br />

più vari e fantasiosi <strong>nelle</strong> molteplici declinazioni presenti <strong>nelle</strong> dimore pompeiane.<br />

Qui “la pittura è un procedere fragile e leggero che per la sua ritrosia affascina [più<br />

<strong>del</strong>l’architettura], perché riesce a produrre effetti meraviglianti e portentosi, senza appesantire<br />

il campo visuale e spaziale. La loro convivenza, in un unico territorio è un<br />

evento raro, specialmente quando i due linguaggi corrono paralleli […]” 1 . Accade,<br />

anzi, che spesso architettura e pittura interagiscano fra loro, e allora i momenti migliori<br />

non sono la fusione <strong>del</strong>le due arti ma piuttosto consistono in una visione <strong>del</strong><br />

dipinto che determina un ulteriore aspetto narrativo <strong>del</strong>l’immagine.<br />

L’architettura <strong>reale</strong> e quella dipinta riescono ad aprire una prospettiva immaginaria<br />

dalle molteplici vie, a tracciare un cammino che vive sugli innesti di storie e di vicende<br />

tra favola e allegoria: insieme, materiale e immateriale sono in grado di fornire<br />

1 La villa di Poppea ad Oplontis.<br />

1


2<br />

764<br />

Oplontis, fabbrica <strong>del</strong>la conoscenza tra materiale e immaginario<br />

“un vero contributo al sapere visivo perché stabiliscono un superamento storico <strong>del</strong><br />

fare monolitico e tradizionale, creando una discontinuità linguistica, che trasforma<br />

l’arte in un crogiolo interiore e soggettivo e l’opera in un amalgama che produce<br />

nuove visioni” 2 .<br />

È questo tipo di intenzione a costituire il fondamento <strong>del</strong>la rappresentazione prospettica<br />

<strong>del</strong>l’antichità che si propone, in più declinazioni, di dare forma ad uno spazio illusorio<br />

intuibile al di là <strong>del</strong>lo spazio <strong>reale</strong>. In tal senso la villa di Poppea ad Oplontis 3<br />

fornisce più di un esempio di architettura dipinta integrata da giochi di luce e colori<br />

che imitano magistralmente luce e colori naturali, contribuendo a restituire un’immagine<br />

fortemente illusoria, in labile equilibrio tra realtà ed apparenza dove, senza dubbio,<br />

ha giocato un ruolo fondamentale l’”intuizione” <strong>del</strong>la prospettiva.<br />

Lo spazio suggerito dalle architetture dipinte si fonde, in questa villa, con lo spazio<br />

<strong>reale</strong> <strong>del</strong>l’architettura costruita, confondendo e coinvolgendo lo spettatore in una nuova<br />

dimensione percettiva. L’impianto distributivo <strong>del</strong>la splendida residenza rinvenuta nel<br />

territorio di Torre Annunziata segue assi prospettici ben definiti a cui le pitture si collegano<br />

divenendo parte integrante <strong>del</strong>l’architettura: le facciate vengono progettate in<br />

funzione <strong>del</strong>la visione dinamica e tangenziale che se ne deve avere, i giardini vengono<br />

decorati con mosaici, mentre gli ambienti interni con pitture parietali che dilatano<br />

lo spazio <strong>reale</strong>.<br />

Tanto l’architettura quanto la pittura sono esemplificative sia <strong>del</strong> modo di organizzare<br />

lo spazio che <strong>del</strong> gusto <strong>del</strong>l’epoca; elemento fondamentale <strong>del</strong>lo stesso disegno<br />

architettonico di questa residenza, la decorazione parietale si caratterizza infatti per la<br />

continua ricerca di sempre<br />

nuove e ardite visioni: le<br />

prospettive architettoniche<br />

sono realizzate secondo<br />

uno spiccato gusto per la<br />

scenografia teatrale applicata<br />

alla decorazione pittorica,<br />

teso a determinare l’il-<br />

2 Assi visivi e percorsi all'interno<br />

<strong>del</strong>la villa.


Maria Ines Pascariello<br />

lusione di ambienti che si succedono all’infinito in un gioco spesso elaborato con<br />

estrema sapienza. La decorazione risulta parte integrante <strong>del</strong> disegno architettonico e<br />

ne determina il particolare valore artistico e la novità di significato per tutta la storia<br />

<strong>del</strong>l’architettura e <strong>del</strong>la rappresentazione. Emerge un nuovo modo di concepire la funzione<br />

<strong>del</strong>lo spazio ed i limiti strutturali esterni e interni che non sono più considerati<br />

come isolato strumento di fuga visiva degli ambienti di una costruzione, ma, insieme<br />

ad essi, concorrono ad una chiara presa di coscienza <strong>del</strong>la realtà spaziale che, appunto,<br />

si configura nel suo continuo concatenarsi degli spazi interni con quelli esterni.<br />

Da tutto l’insieme deriva un gradevole gioco di pieni e vuoti, di luci ed ombre, una<br />

ricerca di prospettive variate, di immagini simultanee: attraverso una serie di graduali<br />

passaggi ottici e volumetrici l’architettura realizzata viene a saldarsi con quella dipinta<br />

e poi, insieme, architettura <strong>reale</strong> e architettura dipinta, appaiono intimamente collegate<br />

con il suggestivo scenario naturale che circonda la villa, in un continuo gioco di<br />

rimandi e di illusioni, di visioni sovrapposte e contemporanee.<br />

Dello spazio dei dipinti è stata fornita una rappresentazione in chiave strutturale che<br />

ha permesso di evidenziare questa dimensione percettiva, escludendo tutti quei dettagli<br />

che all’interno <strong>del</strong>l’architettura dipinta non sono leggibili e quindi non rilevabili;<br />

lo spazio così ricostruito è stato ricomposto con lo spazio <strong>reale</strong> che lo contiene<br />

attraverso un’unica rappresentazione in modo che si è potuto leggere uno spazio affatto<br />

nuovo, quasi una “realtà <strong>virtuale</strong>” <strong>del</strong>l’età antica: la ricostruzione ha consentito<br />

di definire limiti e caratteristiche di uno spazio che prima di essere stato rappresentato<br />

è stato pensato in un progetto di conoscenza che arriva a definire anche il più<br />

piccolo dettaglio <strong>del</strong>la composizione,<br />

sia esso il capitello,<br />

la cornice o la pietra<br />

preziosa sulla colonna, in<br />

un percorso a doppio senso<br />

dall’universale al particolare,<br />

dal materiale all’immaginario.<br />

3 Le architetture dipinte: la sala<br />

"dei melograni".<br />

765<br />

3


4<br />

766<br />

4 Ricostruzione di spazio <strong>reale</strong> e<br />

spazio dipinto.<br />

Note<br />

1 G. CELANT, Dialoghi fra tela e materia, in “L’Espresso”, n° 19 anno LIII, p. 161.<br />

2 G. CELANT, ibidem.<br />

Oplontis, fabbrica <strong>del</strong>la conoscenza tra materiale e immaginario<br />

3 Di tutte le ville urbane disposte lungo la strada litoranea che in epoca romana da Neapolis portava<br />

a Ercolano, per poi da Oplontis diramarsi verso Pompei da un lato e verso Stabiae dall’altro,<br />

la più singolare è senza dubbio quella riportata alla luce nel secolo scorso e che si suppone<br />

fosse stata proprietà di Poppea Sabina, seconda moglie <strong>del</strong>l’imperatore Nerone.


IL DISEGNO DELLA CITTÀ<br />

IL SISTEMA DELLE FORTIFICAZIONI DI CAGLIARI ALLA FINE DEL QUATTROCENTO<br />

Premessa<br />

di ANDREA PIRINU<br />

Il presente contributo si colloca all’interno di un dottorato di ricerca1 con tema centrale<br />

le fortificazioni progettate nella seconda metà <strong>del</strong> XVI secolo dagli ingegneri<br />

militari Jacopo e Giorgio Palearo Fratino. Attraverso l’analisi grafica <strong>del</strong>la cartografia<br />

storica, <strong>del</strong>le fonti d’archivio e con il supporto di un rilievo metrico <strong>del</strong>le strutture<br />

esistenti ci si propone di realizzare un mo<strong>del</strong>lo digitale <strong>del</strong>la cinta muraria di Cagliari<br />

alla fine <strong>del</strong> XV secolo. In tale epoca il perimetro fortificato <strong>del</strong>la città era rappresentato<br />

dall’opera edificata dai Pisani a partire dal 1217; si trattava di un sistema di<br />

difesa incentrato sulla difesa piombante, nel quale le alte torri di avvistamento svettavano<br />

su di un perimetro costituito da una sequenza di piccole torri collegate tra<br />

loro da cortine murarie con pareti dotate generalmente di scarpa verticale.<br />

L’andamento <strong>del</strong> tracciato seguiva la morfologia <strong>del</strong> sito accompagnando il disegno<br />

<strong>del</strong>la città medievale.<br />

Il sistema di difesa incentrato sulla difesa piombante a partire dalla seconda metà <strong>del</strong><br />

‘400 fu reso inefficace dall’avvento <strong>del</strong>le bocche da fuoco e dal progressivo miglioramento<br />

<strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>la polvere da sparo2 con un conseguente aumento <strong>del</strong>la velocità<br />

e <strong>del</strong>la gittata dei proiettili.<br />

Tale opera, vista l’impossibilità di un completo rifacimento <strong>del</strong>le cinte esistenti ed in virtù<br />

<strong>del</strong>la continua evoluzione <strong>del</strong>le strategie di guerra, condurrà alla realizzazione di una serie<br />

di interventi che caratterizzeranno il periodo di transizione tra la difesa piombante e la difesa<br />

affidata ai bastioni pentagonali. La soluzione progettuale che più di ogni altra rappresentò<br />

il segno caratteristico <strong>del</strong> rinnovamento sarà appunto il bastione pentagonale, progettato<br />

da Francesco di Giorgio Martini e sviluppato dai Sangallo, il quale troverà applicazione<br />

completa nell’Isola solo a metà <strong>del</strong> Cinquecento, in particolare <strong>nelle</strong> piazzeforti di<br />

Cagliari e Alghero.<br />

La nuova soluzione architettonica,<br />

si differenziava<br />

<strong>del</strong>le torri quadrate e cilindriche<br />

e troncoconiche in<br />

1 Disegno di Rocco Capellino<br />

(1552).<br />

1


2<br />

768<br />

2 Veduta <strong>del</strong>l'area di S.Croce.<br />

Il disegno <strong>del</strong>la città<br />

quanto eliminava le cosiddette “zone morte” e permetteva di difendere con il fuoco<br />

d’infilata la cortina alla sua destra ed alla sua sinistra, fino ai bastioni contigui, ed essere<br />

a sua volta difeso da questi ultimi.<br />

Al fine di studiare l’evoluzione <strong>del</strong>la cinta muraria di Cagliari, sviluppatasi a partire<br />

dagli inizi <strong>del</strong> Cinquecento, si realizzerà un mo<strong>del</strong>lo digitale <strong>del</strong>la città a fine Quattrocento,<br />

nel periodo che precede la realizzazione dei nuovi baluardi.<br />

Tale mo<strong>del</strong>lo andrà a definire la base di partenza per lo studio dei progetti realizzati, a partire<br />

dai primi interventi <strong>del</strong> Vicerè Dusay (1503) per giungere alle opere iniziate dal cremonese<br />

Rocco Capellino (1552-1572) e completate dai fratelli Palearo Fratino (1573-1578).<br />

Cagliari, la cinta medievale e gli interventi di adeguamento<br />

L’occupazione di Otranto (1480) da parte dei Turchi, creò non poche preoccupazioni<br />

agli Aragonesi, insediatisi nell’Isola a partire dal 1323 e diede la spinta decisiva verso<br />

una politica di ammodernamento <strong>del</strong>le fortificazioni realizzate, a partire dal XII secolo,<br />

dalle genti pisane e genovesi. A seguito di un sopralluogo (1481) presso le mura<br />

cittadine venne inviata una richiesta al re Ferdinando II affinché si provvedesse ad un<br />

miglioramento <strong>del</strong>le difese <strong>del</strong> capoluogo isolano ed in particolare dei quartieri di Castello<br />

e Lapola (Marina), trascurando Stampace e Villanova posizionati sul versante<br />

est ed ovest <strong>del</strong> colle di Castello. Venivano precisato che si riteneva necessario costruire<br />

“otto baluardi, ciascuno con le sue opere di difesa avanzata molto necessarie per<br />

la nuova arte <strong>del</strong>la guerra e munito di sufficiente artiglieria”. Oltre a Cagliari venivano<br />

ritenute importanti e necessitanti di adeguate opere di miglioramento <strong>del</strong>le difese le<br />

città di Alghero, Sassari e Oristano.


Andrea Pirinu<br />

Nonostante il pericolo turco, più tardi francese ed<br />

il pericolo proveniente dalle scorribande barbaresche<br />

provenienti dall’Africa maghrebina, le opere dovettero<br />

tardare e riguardarono inizialmente solo il capoluogo<br />

che peraltro alla data <strong>del</strong> 1504 si era dotato<br />

ed era ben provvisto di bocche da fuoco.<br />

Nel 1503 il vicerè Dusay aveva avviato uno dei due baluardi<br />

realizzati durante il suo governo (1491-1507).<br />

Tali opere interessarono la parte settentrionale <strong>del</strong>le mura<br />

di Castello ed il settore nord-ovest, adiacente alla chiesa<br />

di S.Croce. Il settore nord era quello meno difendibile<br />

dopo l’avvento <strong>del</strong>le bocche da fuoco in quanto tale settore<br />

“cresceva” in direzione <strong>del</strong>la collinetta di S.Pancrazio,<br />

situata in un luogo ideale per l’ assediante che da<br />

tale posizione privilegiata avrebbe potuto facilmente prendere di mira le mura di Castello.<br />

Qui verrà realizzato a più riprese un baluardo, iniziato appunto dal Dusay e<br />

probabilmente modificato dal suo successore. Nell’area di S.Croce si realizzerà invece<br />

un opera (saliente) che avanzerà la linea difensiva medievale in direzione nord-ovest.<br />

L’area di S. Croce<br />

La ricerca in oggetto prende avvio dalla creazione di un mo<strong>del</strong>lo digitale <strong>del</strong>l’area di<br />

S.Croce laddove verrà realizzata una prima opera agli inizi <strong>del</strong> Cinquecento, e più<br />

tardi un importante ampliamento.<br />

Nella seconda<br />

metà <strong>del</strong> secolo interverrà<br />

l’ingegnere cremonese<br />

Rocco Capellino (1568) e<br />

successivamente Giorgio<br />

3 Ampliamento <strong>del</strong> Capellino ed<br />

ipotesi di tracciato medievale.<br />

4 Veduta <strong>del</strong>l'orecchione con<br />

cannoniera.<br />

769<br />

3<br />

4


770<br />

Palearo Fratino (1573-1578) che corregge il disegno <strong>del</strong> suo predecessore al fine di<br />

renderlo conforme alla traça <strong>del</strong> fratello Jacopo, realizzata in occasione <strong>del</strong> suo sopralluogo<br />

nell’Isola (1563).<br />

Attraverso lo studio <strong>del</strong>la cartografia storica (in particolare il disegno di progetto realizzato<br />

dal Capellino nel 1552 che mostra l’andamento <strong>del</strong>la cinta medievale e le proposte<br />

di Giorgio Palearo <strong>del</strong> 1575) e <strong>del</strong>le tracce <strong>del</strong>la linea difensiva medievale affiorate<br />

nel corso dei recenti scavi nell’area <strong>del</strong> “ghetto degli ebrei”, si mostrano i disegni<br />

e gli schizzi preparatori che costituiranno la base grafica per la creazione di un<br />

mo<strong>del</strong>lo tridimensionale <strong>del</strong> versante, atto ad analizzare l’andamento morfologico e<br />

temporale di tale tratto <strong>del</strong> circuito difensivo.<br />

Note<br />

1 Scuola di dottorato in Ingegneria Edile, XXIII ciclo, Dipartimento di Architettura, Università<br />

degli Studi di Cagliari.<br />

2 La polvere, costituita da salnitro, zolfo e carbonella, raggiunse progressivamente un maggior<br />

grado di purezza grazie alla nuova tecnologia di lavorazione che, abbandonando la tradizionale<br />

via secca, veniva preparata per via umida dando luogo ad un composto omogeneo che dopo<br />

l’avvenuta macinazione presentava grani di dimensione pressoché costante, op. cit. in CASU S.,<br />

DESSÌ A., TURTAS R., Le piazzeforti sarde durante il regno di Ferdinando il Cattolico (1479-1516).<br />

Bibliografia<br />

CASU S., DESSÌ A., TURTAS R., Le piazzeforti sarde durante il regno di Ferdinando il Cattolico<br />

(1479-1516), in La Corona d’Aragona in Italia (secc. XIII-XVIII), Atti <strong>del</strong> XIV Congresso di<br />

Storia <strong>del</strong>la Corona d’Aragona, Sassari-Alghero 19-24 maggio 1980, vol. II, tomo I, Sassari<br />

1995, pp. 217-261.<br />

COSSU A., Storia militare di Cagliari (1217-1866), Cagliari, Arti Grafiche Franco D’Agostino, 1999.<br />

RASSU M., Baluardi di pietra-Storia <strong>del</strong>le fortificazioni di Cagliari, Cagliari 2004.<br />

RATTU S., Bastioni e torri di Cagliari, Torino, 1939.<br />

SCANO D., Forma Karalis, Cagliari, 1922.<br />

Il disegno <strong>del</strong>la città


L’UNIVERSITÀ NEL CENTRO STORICO DI NAPOLI<br />

UNA FABBRICA DI SAPERI, COMPETENZE E CONOSCENZE<br />

di NICOLA PISACANE<br />

La tutela e l’innovazione di un sito sono processi che richiedono una attenta individuazione<br />

<strong>del</strong>le risorse <strong>del</strong> territorio come elementi fondativi di tutti i processi di<br />

modificazione lungo l’asse temporale. La patrimonializzazione <strong>del</strong>le risorse diviene elemento<br />

imprescindibile per ogni azione che si voglia intraprendere in un luogo, nella<br />

consapevolezza che ogni attività <strong>del</strong>l’uomo sia rintracciabile ed espressione di un preciso<br />

momento storico. Operare pertanto in contesti fortemente stratificati è la rappresentazione<br />

dunque di un processo conoscitivo di quello stesso sito; un processo<br />

che deve rispettare logiche e procedure rigorose di acquisizione di saperi e di competenze.<br />

Solo indagando tutti gli elementi che compongono il territorio inteso come<br />

“fabbrica <strong>del</strong>la conoscenza” 1 è possibile poi governare consapevolmente ogni scelta<br />

successiva e governare ogni intervento che sia al tempo stesso di tutela <strong>del</strong>le risorse<br />

materiali ed immateriali presenti e di innovazione intesa come omologazione alle necessità<br />

<strong>del</strong>l’oggi e <strong>del</strong>le popolazioni che vivono un determinato luogo.<br />

E’ questo il processo che un intervento nel centro antico napoletano, nel nucleo fondativo<br />

<strong>del</strong>la città deve rispettare. Solo indagando le antiche vocazioni di questo luogo<br />

integrandole con le necessità <strong>del</strong>l’uomo contemporaneo sarà possibile realizzare un’azione<br />

che sfidi con successo il tempo. La strada da seguire per la tutela <strong>del</strong> centro antico<br />

è quella di prevedere un uso diverso dalla museificazione di quel sito. Sicuramente<br />

l’ipotesi di una destinazione d’uso universitaria è da preferire e deve essere la<br />

sintesi di sinergiche competenze<br />

che integrandosi<br />

producano un effetto benefico<br />

in termini di qualità<br />

ambientale, <strong>del</strong>la vita e di<br />

lavoro con arte2 . La vocazione<br />

universitaria <strong>del</strong> sito<br />

è sicuramente rintracciabile<br />

sull’asse storico e trova un<br />

conforto anche in Pane<br />

quando, accennando all’atmosfera<br />

che circondava le<br />

1<br />

Il Metodo <strong>del</strong>l’Analisi<br />

Multicriteri@ per lo studio <strong>del</strong><br />

citta<strong>del</strong>la universitaria nel Centro<br />

Storico di Napoli.<br />

1


2<br />

772<br />

L’Università nel Centro Storico di Napoli<br />

citta<strong>del</strong>le conventuali: “chi attraversa la Napoli antica e barocca osserva come, ogni<br />

tanto, il trito chiaroscuro dei balconi e <strong>del</strong>le finestre sia interrotto da un’alta parete<br />

intonacata, senza alcuna apertura, che separa e protegge un silenzioso chiostro dalla<br />

tumultuosa angustia <strong>del</strong>la strada adiacente. Tale contrasto fa pensare a quello che dovettero<br />

offrire le maggiori vie di Pompei lungo le quali, come testimonia la presenza<br />

di numerose botteghe, si muoveva una folla non molto diversa da quella <strong>del</strong>la moderna<br />

Partenope: anche lì i rumori giungevano con un’eco affievolita, un incessante<br />

brusio, nei vari peristili <strong>del</strong>le case patrizie” 3 .<br />

Il sito attualmente occupato da diverse facoltà universitarie interessa un’area <strong>del</strong> centro<br />

antico di Napoli, il nucleo fondativo di Neapolis. Partendo dalla collina di Sant’Aniello<br />

a Caponapoli, margine nord-occidentale <strong>del</strong> centro antico, scendendo per via<br />

Luigi De Crecchio, per il suo proseguimento di via <strong>del</strong> Sole, fino a piazza San Domenico<br />

Maggiore, e da qui proseguendo per via Mezzocannone ci imbattiamo tuttora<br />

in numerosi edifici a destinazione universitaria.<br />

Una ricostruzione <strong>del</strong>la morfologia <strong>del</strong> sito di nostro interesse al tempo dei primi insediamenti<br />

è necessaria per comprendere le direttrici di sviluppo di tale area. Nell’area<br />

di studio si possono individuare due terrazze (<strong>del</strong>le tre su cui si sviluppa il centro<br />

antico di Napoli): una<br />

corrispondente all’altura di<br />

Sant’Aniello a Caponapoli<br />

che degrada fino a San Pietro<br />

a Majella, l’altra <strong>del</strong>imitata,<br />

verso mare, dalle alture<br />

<strong>del</strong> Monterone e di<br />

San Giovanni Maggiore.<br />

All’interno di tale sistema<br />

di alture si aprivano una serie<br />

di impluvi naturali per<br />

il deflusso <strong>del</strong>le acque piovane<br />

che dalla parte alta<br />

2<br />

La Seconda Università degli<br />

Studi di Napoli nel Centro Storico.


Nicola Pisacane<br />

<strong>del</strong>la città giungevano fino a mare: nel sito in esame, il canale corrispondente all’attuale<br />

via Mezzocannone rappresenta l’esempio più rilevante. Tale incisione, con buona<br />

probabilità, doveva trovare il suo prolungamento lungo la via <strong>del</strong> Sole ai piedi <strong>del</strong>l’altura<br />

di Sant’Aniello a Caponapoli.<br />

Il sito è sempre stata al centro di un complesso e dibattuto problema topografico che<br />

tuttora resiste ad un’unanime interpretazione. Se, infatti, è certo che la città greca ad<br />

ovest era difesa da una murazione che dall’altura di Sant’Aniello a Caponapoli arrivava<br />

fino allo sbocco meridionale di via Mezzocannone, rimane ancora qualche incertezza<br />

sui particolari <strong>del</strong> suo andamento 4 .<br />

I primi studi sulla città greco-romana sono da ascrivere a Bartolomeo Capasso 5 che<br />

stilò la “Pianta di Napoli greco-romana” (pubblicata postuma nel 1905) nella quale,<br />

oltre a formulare un’ipotesi sul tracciato viario, ancora oggi in buona parte valida,<br />

forniva anche un’ipotesi sull’andamento <strong>del</strong>la cinta muraria che, nell’area di nostro<br />

interesse, aveva, all’epoca <strong>del</strong>la fondazione di Neapolis (V secolo a.C.), nel tratto tra<br />

Sant’Aniello a Caponapoli e piazza San Domenico Maggiore, un andamento rettilineo<br />

parallelo ai cardines, mentre a sud coincideva con il lato orientale <strong>del</strong>l’attuale via<br />

Mezzocannone. Tale tracciato fu modificato dopo il 326 a.C., anno <strong>del</strong> trattato di alleanza<br />

con Roma, quando<br />

si volle accogliere gli abitanti<br />

<strong>del</strong>la città vecchia<br />

(Parthenope) nella città<br />

nuova (Neapolis).<br />

La necessità di un ampliamento<br />

fece inglobare nel<br />

nuovo perimetro urbano la<br />

collina di San Giovanni<br />

Maggiore attraverso un<br />

muro costruito lungo le vie<br />

Sedile di Porto, Santa Maria<br />

la Nova, Santa Chiara e<br />

3<br />

La Seconda Università degli<br />

Studi di Napoli nel Centro Storico.<br />

773<br />

3


774<br />

L’Università nel Centro Storico di Napoli<br />

Pallonetto Santa Chiara fino alla torre che fiancheggiava la porta occidentale (o porta<br />

Puteolana) nella piazza San Domenico Maggiore. Il primitivo muro, che in linea dritta<br />

correva dalla suddetta porta fino ai piedi <strong>del</strong>l’altura <strong>del</strong> Monterone, fu demolito nella<br />

sua parte settentrionale “per togliere una barriera tra la novella aggiunzione e la rimanente<br />

città” 6 . “Il pezzo inferiore <strong>del</strong> muro (dal vicoletto Mezzocannone a poco oltre<br />

le rampe di San Giovanni Maggiore) fu conservato, e sorse dirimpetto ad esso un<br />

altro muro (lato occidentale di via Mezzocannone). La via incassata fra quelle due<br />

mura 7 , mentre aveva libero e aperto lo sbocco al mare nell’estremo inferiore, era chiusa<br />

da una porta (detta Ventosa, perché esposta allo scirocco dei venti) 8 nell’estremo superiore”<br />

9 . Alla luce di successivi dati di scavo, gli studiosi, dal Gabrici 10 in poi, hanno<br />

variamente modificato l’andamento <strong>del</strong>le mura proposto dal Capasso.<br />

Secondo la ricostruzione <strong>del</strong> Garbici, le mura, passando alle spalle di via Santa Maria<br />

di Costantinopoli, raggiungevano, con un segmento orientato nord-ovest/sud-est,<br />

piazza San Domenico Maggiore per poi scendere lungo la via di Mezzocannone. Il<br />

Gabrici ricostruisce il percorso <strong>del</strong>la murazione greca lungo tale via sulla scorta di tre<br />

nuovi dati topografici: il tratto sottostante il cortile di San Girolamo <strong>del</strong>le Monache,<br />

le strutture rinvenute nell’area <strong>del</strong> cortile <strong>del</strong> Salvatore e le strutture messe in luce<br />

dallo spianamento <strong>del</strong> Monterone. Allo stesso modo il Castagnoli 11 ha ricostruito lo<br />

schema <strong>del</strong>la città antica, proponendo un restringimento, all’altezza di piazza San Domenico<br />

Maggiore, basato sulla medesima ipotesi di una deviazione <strong>del</strong> percorso murario<br />

in direzione nord-ovest/sud-est.<br />

Diversamente, il Napoli 12 preferì pensare, come il Capasso, a due differenti tracciati.<br />

il primo legato al periodo <strong>del</strong>la fondazione di Neapolis, l’altro relativo all’ampliamento<br />

avvenuto al tempo <strong>del</strong> trattato di alleanza con Roma. Il secondo era dovuto ad un<br />

ampliamento <strong>del</strong>lo spazio urbano, inglobando, a nord-ovest, l’area compresa tra via<br />

<strong>del</strong> Sole e via Santa Maria di Costantinopoli e, a sud-ovest, la collina di San Giovanni<br />

Maggiore.<br />

Se le ipotesi sui percorsi <strong>del</strong>le murazioni sono varie e dibattute, gli studiosi sono concordi<br />

sul carattere greco <strong>del</strong> tracciato ippodameo sviluppatosi durante la metà <strong>del</strong> V<br />

secolo a.C. e, presumibilmente, su un’evoluzione urbana avvenuta gradualmente nel


Nicola Pisacane<br />

tempo sulla base, però, di un preciso piano basato sulle esperienze che proprio in quel<br />

periodo Ippodamo da Mileto andava compiendo. Sebbene le teorie <strong>del</strong> Capasso sul<br />

tracciato murario risultano, in virtù dei successivi ritrovamenti, in parte superate, sono<br />

tuttora valide le sue ipotesi sugli edifici di età greca e romana che insistevano su tale<br />

area. Nel sito, attualmente occupato dalla chiesa di Santa Maria Maggiore, testimonianze<br />

di una fratria degli Artenisii hanno fatto supporre al Capasso la presenza di<br />

un tempio di Diana (per i greci Artemis), la quale sicuramente era venerata dai napoletani<br />

in quanto sorella di Apollo che era una <strong>del</strong>le maggiori divinità per il popolo<br />

di Napoli. Più a sud, laddove sorge il palazzo Casacalenda, i resti di un muro circolare,<br />

leggibile tuttora nell’elevato <strong>del</strong>la fabbrica, appartenenti un tempo alla chiesa di<br />

Santa Maria <strong>del</strong>la Rotonda, “succeduta ad un tempio pagano” 13 , hanno fatto supporre<br />

la preesistenza di un culto, probabilmente, dedicato a Vesta, il cui tempio “sulle monete<br />

romane è rotondo” 14 . Altri rinvenimenti nel palazzo di Tiberio Coppola, che<br />

confinava con la chiesa suddetta, hanno testimoniato la presenza di una fratria sia degli<br />

Eumelidi sia dei Cumei 15 . Le teorie a riguardo sono differenti: mentre il Capasso<br />

è scettico sulla possibilità di un tempio officiato al culto di Vesta “di cui non vi è<br />

traccia” ed è più propenso a collocare in quel luogo la fratria degli Eumelidi 16 ; il Pane 17<br />

è più vicino all’ipotesi di un culto di Vesta nel luogo dove sorgerà la chiesa di Santa<br />

Maria <strong>del</strong>la Rotonda, per cui la fratria degli Eumelidi, comunque testimoniata in quel<br />

luogo, poteva avere la sua<br />

sede nel luogo dove oggi<br />

sorge la chiesa di Sant’Angelo<br />

a Nilo. Nella zona,<br />

dove oggi sorge la basilica<br />

di San Giovanni Maggiore,<br />

con molta probabilità vi era<br />

la fratria Antinoitica 18 intorno<br />

al tempio eretto da<br />

Adriano, amico di Antinoo,<br />

al quale i napoletani dedicarono<br />

una fratria <strong>del</strong>la<br />

4<br />

L’Università degli Studi di Napoli<br />

Federico II nel Centro Storico. 4<br />

775


776<br />

L’Università nel Centro Storico di Napoli<br />

città come segno di gratitudine. Secondo altri 19 , in quel luogo vi era un tempio dedicato<br />

ad Ercole.<br />

Infine, al termine di quella che era la strada degli Alessandrini, fu rinvenuta una tavola<br />

in marmo che testimonia il culto, da parte dei naviganti, di una divinità “definita<br />

per Orione” 20 .<br />

Minori sono le vestigia ascrivibili alla dominazione bizantina e al periodo ducale a<br />

Napoli 21 . In età ducale, la zona in esame, soprattutto la parte meridionale, comincia<br />

ad assumere una forte impronta a carattere religioso e pubblico; le principali trasformazioni<br />

sono da rinvenire nei primi segni <strong>del</strong>l’edilizia religiosa cristiana, in modo particolare<br />

attraverso la trasformazione dei templi pagani.<br />

La cinta muraria <strong>del</strong>la città di Napoli, infatti, restò inalterata ad oriente e a settentrione,<br />

mentre subì alterazioni ad occidente e a mezzogiorno, dove venne avanzata<br />

verso il mare, con conseguente introduzione <strong>del</strong>la Regio de Castellione Novo e <strong>del</strong>la regione<br />

<strong>del</strong>la Juncutura Civitatis 22 , dove fiorì un’intensa attività di scambi commerciali 23<br />

favoriti dalla vicinanza <strong>del</strong> porto.<br />

Un quadro chiaro <strong>del</strong>la situazione urbanistica in tale perioda è offerta dal Capasso<br />

nella “Pianta <strong>del</strong>la città di Napoli nel secolo XI” (1892), in cui, una ricostruzione attenta<br />

e sapiente, mostra, nella regione di nostro interesse, un persistere <strong>del</strong>la doppia<br />

murazione ai lati, occidentale ed orientale, <strong>del</strong>l’attuale via Mezzocannone. Forse, abolito<br />

il fossato, furono immesse le acque pluviali (lave), provenienti dalle colline soprastanti,<br />

nonché le acque esuberanti dall’antico acquedotto <strong>del</strong>la Bolla, dando luogo<br />

al Canale Publicum 24 .<br />

Risalendo tale canale, incontriamo una serie di edifici, principalmente chiese: ai piedi<br />

<strong>del</strong> Monterone, verso lo sbocco di via Mezzocannone, sorgeva la chiesa di San Abaciro<br />

25 , in onore di San Ciro monaco, martirizzato sotto Diocleziano; proseguendo,<br />

alla sommità <strong>del</strong>la collina di San Giovanni Maggiore sorgeva la basilica omonima fondata<br />

dal vescovo Vincenzo, intorno al 560, nel luogo dove sorgeva il tempio di Ercole<br />

26 . Della basilica alto-medievale rimangono l’abside semicircolare che accoglieva<br />

cinque arcate, su pilastri quadrati, che probabilmente davano accesso al deambulato-


Nicola Pisacane<br />

rio radiale. In prossimità <strong>del</strong>la porta Ventosa, il Capasso 27 , segnala una piccola chiesa<br />

dedicata a Sant’Angelo. Sull’altro fronte, presso il Monterone, sorgeva il Praetorium<br />

Civitatis 28 , sede <strong>del</strong> magistrato e dei duchi <strong>del</strong>la città di Napoli; presso il suddetto palazzo<br />

sorgeva anche la chiesa dei Santissimi Giovanni e Paolo.<br />

Sulla sommità <strong>del</strong> Monterone, presso la Regio Portanovensis, vi è testimonianza di due<br />

monasteri: quello dedicato ai Santissimi Pietro e Marcello, fondato, intorno al 763,<br />

da Teodonanda, vedova di Antimo console e duca, nel luogo dove sorgeva il suo palazzo,<br />

e il monastero officiato ai Santissimi Festo e Desiderio, fondato nel 767 da Stefano<br />

II, vescovo e duca di Napoli.<br />

Risalendo la via Mezzocannone, dove questa incontra il Decumano Inferiore, ci imbattiamo<br />

nella Regio Nili; qui, lungo il vicus, attuale via G. Paladino, si apriva la chiesa<br />

di Sant’Andrea con la diaconia dove venne sepolta, nel 585, San Candida. Nell’VIII<br />

secolo, a seguito <strong>del</strong>la necessità di accogliere uno dei gruppi di suore fuggite dall’oriente<br />

per le persecuzioni degli iconoclasti, sorse un monastero detto di Santa Maria<br />

de Pereceo (o di Cella Nuova). Al monastero fu accluso, nell’XI secolo, un ospedale<br />

che rimase attivo fino al 1139; inoltre, nel 1025, le monache, a seguito <strong>del</strong> sempre<br />

maggiore affermarsi <strong>del</strong> monastero, si trasferirono nel nuovo e più ampio edificio<br />

adiacente la diaconia: il complesso di Santa Maria Donnaròmita. In quella stessa zona,<br />

nel luogo in cui sorgerà la chiesa di Sant’Angelo a Nilo, è possibile ipotizzare la presenza<br />

<strong>del</strong> Sedile di età ducale<br />

(regio) che rappresentava<br />

una <strong>del</strong>la ventinove<br />

zone in cui era suddivisa la<br />

città in quel tempo. Tale<br />

suddivisione è da interpretarsi<br />

come una prosecuzione<br />

degli organismi <strong>del</strong><br />

tipo <strong>del</strong>le fratrie di età romana,<br />

attraverso ordini<br />

equestri a carattere militare<br />

per la difesa <strong>del</strong>la città e<br />

5 Università degli Studi di Napoli<br />

L’Orientale nel Centro Storico.<br />

777<br />

5


778<br />

L’Università nel Centro Storico di Napoli<br />

l’amministrazione degli affari civili <strong>nelle</strong> varie zone urbane sotto il dominio barbarico,<br />

<strong>nelle</strong> regiones ducali e successivamente nei tocchi di età normanna, fino ai sedili<br />

durante la dominazione angioina.<br />

Il tempio attribuito a Vesta, di cui sopra, presso la piazza di San Domenico Maggiore,<br />

fu trasformato nella chiesa cristiana di Santa Maria <strong>del</strong>la Rotonda.<br />

Nella stessa piazza si apriva, in quel periodo, anche un’altra chiesa, di cui ora si legge<br />

solo in parte l’aspetto originario, annessa ad un ospedale e ad un convento benedettino<br />

29 , dedicata a Sant’Arcangelo a Morfisa 30 .<br />

Più a nord, nel luogo un tempo occupato dal tempio di Diana, sorse la chiesa di<br />

Santa Maria Maggiore, poi detta “<strong>del</strong>la Pietrasanta” fondata nel 533 dal vescovo di<br />

Napoli san Pomponio 31 . Accanto ad essa fu eretto un campanile, certamente non<br />

coevo alla basilica, ma, con molta probabilità, posteriore all’anno Mille. Nella fabbrica,<br />

in opera laterica, sono presenti elementi di spoglio provenienti, forse, dal tempio<br />

di Diana. Fra l’architettura religiosa minore, infine, va menzionata la chiesetta dedicata<br />

a B.Eutimio in vico Sole 32 .<br />

La parte meridionale <strong>del</strong>l’area in esame manterrà, anche durante la monarchia normanna,<br />

l’impronta di carattere religioso e pubblico che tuttora conserva.<br />

A seguito <strong>del</strong>la creazione <strong>del</strong> Lavinaio 33 , ridotto il Canale Publicum, presso l’attuale<br />

via Mezzocannone, che allora prese il nome di Fontanula, rimasero solo una fontana<br />

e un lavatorium 34 . Sorse, inoltre, verso la parte inferiore <strong>del</strong>la suddetta via il tocco<br />

<strong>del</strong>l’Acquario 35 ; in quella superiore, nella Regio Nili, fu istituito il tocco Fontanula.<br />

Proprio in questo luogo avveniva, nel 1224, ad opera di Federico II di Svevia la fondazione<br />

<strong>del</strong>lo Studio. Il sovrano collocò proprio qui la scuola letteraria e mise a disposizione<br />

degli studenti un centro studi con abitazioni ed un ospedale, oltre alla<br />

chiesa di Sant’Andrea.<br />

Nel luogo dove in età ducale si era insediato il Praetorium Civitatis, esistente ancora<br />

in tale periodo, si ha testimonianza presso la chiesa di tale palazzo, già dal 1211, di<br />

un culto, che tuttora permane, a San Salvatore.<br />

In prossimità <strong>del</strong>la porta Donnorso, nell’area dove sorgerà il complesso di San Pietro


Nicola Pisacane<br />

a Majella, si ha documentazione di due chiese: la chiesa di Sant’Agata a Ficariola 36 e<br />

la chiesa di Sant’Eufemia, entrambe sotto il patronato <strong>del</strong>la più antica chiesa dei Santissimi<br />

Teodoro e Sebastiano 37 .<br />

Con l’avvento <strong>del</strong>la dominazione angioina, si rafforza maggiormente l’importanza di<br />

questa zona. La fondazione dei sedili concentra in tale area un cospicuo numero di<br />

famiglie patrizie che proprio qui stabilirono la propria dimora 38 .<br />

In prossimità <strong>del</strong> Sedile di Porto, che con buona probabilità era situato all’incrocio<br />

di via <strong>del</strong>la Fontanula (ora Mezzocannone) e <strong>del</strong>l’attuale via Sedile di Porto, sorse intorno<br />

al 1390 il Palazzo di Artusio Pappacoda, consigliere e siniscalco <strong>del</strong> re Ladislao<br />

e <strong>del</strong>la regina Giovanna II. Secondo il De Petri, il Celano e il Carletti, tale palazzo<br />

era stato per un certo tempo la reggia dei sovrani angioini, se non altro per “le armi”<br />

che si vedono sul portone, secondo altri (Francesco Elio Marchese e Carlo de Lellis),<br />

il palazzo fu costruito da Artusio Pappacoda come dimostra lo stemma con leoni rampanti<br />

simbolo <strong>del</strong>la famiglia Pappacoda stessa 39 .<br />

Alla stessa famiglia è da ascrivere la cappella Pappacoda nel vicino largo San Giovanni<br />

Maggiore, edificata intorno al 1415, opera pregevole <strong>del</strong>l’abate Antonio Baboccio da<br />

Piperno. Risalendo la strada di Mezzocannone, sul fronte opposto, laddove sorgerà il<br />

collegio dei Gesuiti, si ha<br />

testimonianza di alcune<br />

case di cui, però, è difficile<br />

l’identificazione 40 ; all’altezza<br />

dei vicoletto Mezzocannone<br />

(ora via Enrico De<br />

Marinis), si ha testimonianza<br />

fino al XVI secolo,<br />

<strong>del</strong>la chiesa di Sant’Attanasio<br />

de Alexandrinis. Superato<br />

il suddetto vicolo iniziava<br />

il tratto di via che apparteneva<br />

al Seggio di<br />

6<br />

L’Università nel Centro Storico<br />

di Napoli: lettura sincronica e diacronica.<br />

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6


7<br />

780<br />

L’Università nel Centro Storico di Napoli<br />

Nido. L’importanza di tale seggio, come si è detto, concentrava in questa zona le famiglie<br />

patrizie <strong>del</strong> tempo e i rispettivi “palazzi nobiliari con ampi cortili e giardini”.<br />

Avevano qui la loro residenza la famiglia Januario, antichissima in Napoli, il barone<br />

Colonna, il conte di Golisano, la famiglia Manco e, infine, Giovanni de Haya, reggente<br />

<strong>del</strong>la G. Corte <strong>del</strong>la Vicaria 41 .<br />

Nella vicina piazza San Domenico Maggiore, tra la fine <strong>del</strong> XIV secolo e l’inizio <strong>del</strong><br />

seguente, fu edificato il palazzo <strong>del</strong>la famiglia Del Balzo.<br />

Nel 1427, il canonico D. Domenico Manco, appartenente alla famiglia omonima di<br />

cui sopra, donò la propria casa con giardino ad alcune monache perché vi costruissero<br />

un convento <strong>del</strong> terz’ordine di San Francesco ed una chiesa “a San Girolamo dedicata”.<br />

L’area in tale periodo si arricchisce notevolmente anche di edifici religiosi:<br />

viene fondato, nel 1314, per volere di Bartolomeo di Capua, il complesso di Santa<br />

Maria Monteverginella, così denominato perché donato ai Benedettini di Montevergine;<br />

il complesso di Santa Maria de Pereceo di Romania (o di Donnaròmita), già<br />

esistente, viene ampliato; fu fondata, nel 1384, per volere <strong>del</strong> cardinale Rinaldo Brancaccio,<br />

nobile <strong>del</strong> Seggio di Nido, la chiesa dedicata a San Michele Arcangelo con<br />

annesso ospedale, laddove, un tempo, avevano sede i locali universitari.<br />

Nell’attuale piazza di San<br />

Domenico Maggiore, tra il<br />

1283 e il 1324, venne<br />

eretta , accanto alla preesistente<br />

chiesa di Sant’Arcangelo<br />

a Morfisa, con il<br />

contributo di Carlo II<br />

d’Angiò, la chiesa di San<br />

Domenico Maggiore 42 . Nel<br />

luogo dove sorgevano le<br />

chiese di Sant’Agata a Ficariola<br />

e Santa Eufemia, fu<br />

fondato, nel 1313, su iniziativa<br />

<strong>del</strong> cavaliere Gio-<br />

7<br />

L’Università nell’area di Santa<br />

Maria di Costantinopoli nel Centro<br />

Storico di Napoli: lettura sincronica<br />

e diacronica.


Nicola Pisacane<br />

vanni Pipino da Barletta, il complesso di San Pietro a Majella; la chiesa, in origine,<br />

aveva un impianto planimetrico differente da quello attuale: alla navata centrale si affiancavano<br />

solo tre cappelle per lato.<br />

L’età aragonese non porterà, nella zona in esame, notevoli trasformazioni edilizie. La<br />

maggior parte degli interventi registrati sono a carattere civile 43 .<br />

Il palazzo fatto costruire da Artusio Pappacoda presso le rampe San Giovanni Maggiore,<br />

nel 1465, fu affittato al signore Orso de Orsinis, conte di Nola 44 . Sugli interventi<br />

eseguiti su tale fabbrica in questo periodo, la critica è concorde solo sulla costruzione<br />

<strong>del</strong> piccolo edificio adiacente alla chiesa di San Giovanni Maggiore; altri 45 ,<br />

invece, attribuiscono il portale alla seconda metà <strong>del</strong> ‘400.<br />

Sullo stesso fronte, salendo la via di Mezzocannone, il Capasso, individua le residenze<br />

<strong>del</strong>la famiglia Caetani, nonché alcune case appartenenti al vicino convento di San<br />

Domenico . Adiacente a tali abitazioni sorgeva la cappella di Santa Maria ad fontanellam<br />

distrutta agli inizi <strong>del</strong> XVII secolo. Il nome <strong>del</strong>la cappella deriva dalla vicina<br />

fontana “abbeveratora” situata <strong>nelle</strong> vicinanze. Tale fontana, fatta costruire da Alfonso<br />

d’Aragona, era ornata da una scultura raffigurante, con molta probabilità, Ferrante<br />

d’Aragona 46 . Questa presenza<br />

spiega il toponimo<br />

“Mezzocannone” dove per<br />

cannone, come scrive il Celano,<br />

si intende la “fistola<br />

per dove sgorga l’acqua,<br />

che da noi cannone si<br />

chiama”. Sul fronte opposto,<br />

abbiamo testimonianza<br />

di altre residenze nobiliari:<br />

all’angolo inferiore di via<br />

Mezzocannone, il palazzo<br />

<strong>del</strong>la famiglia d’Alessandro,<br />

nobili <strong>del</strong> Sedile di Porto;<br />

8<br />

L’Università nell’area di Santa<br />

Maria di Costantinopoli nel Centro<br />

Storico di Napoli: lettura sincronica<br />

e diacronica.<br />

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8


9<br />

782<br />

L’Università nel Centro Storico di Napoli<br />

seguivano il palazzo di Giovanangelo Romano, medico ed antiquario, e quello <strong>del</strong>la<br />

famiglia de Gennaro, entrambi di fronte le “grade” di San Giovanni Maggiore. Più<br />

avanti, all’angolo con vico Pidocchi, era il palazzo di Giantommaso Carafa. Dal 1478,<br />

abbiamo nella via di Mezzocannone un’altra casa con giardino appartenente alla famiglia<br />

Carafa: tale residenza era adiacente al convento di San Girolamo. In piazza<br />

San Domenico Maggiore, laddove sorgeva il palazzo Del Balzo, Antonello Petrucci,<br />

intorno al 1470 47 , fa realizzare il proprio palazzo di cui permane “la scala ad archi e<br />

pilastri ottagoni, aperta nel cortile”: uno dei maggiori esempi di struttura catalana a<br />

Napoli.<br />

Verso la fine <strong>del</strong> secolo XV, la chiesa di San Pietro a Majella subisce un “notevole ampliamento<br />

verso nord-ovest, spostando in avanti il muro <strong>del</strong>la facciata, in maniera da<br />

svolgere lungo la navata una successione di cinque cappelle per lato […], si ripetettero<br />

nella parte aggiunta le forme preesistenti” 48 . Tale intervento fu dovuto dal proposito<br />

di Alfonso II di costruirsi una villa (la Duchesca) nel sito <strong>del</strong> monastero <strong>del</strong>la<br />

Maddalena. Si verificò , allora, il trasferimento a San Pietro a Majella dei frati di Santa<br />

Caterina a Formiello, che avevano ceduto il loro monastero alle monache <strong>del</strong>la Maddalena.<br />

In quello stesso periodo (1490-1492), Giovanni Pontano fa erigere, in prossimità<br />

<strong>del</strong>la chiesa di Santa<br />

Maria Maggiore, una cappella,<br />

opera di Francesco di<br />

Giorgio Martini, come<br />

tempio funerario per la<br />

moglie Adriana Sassone 49 .<br />

Non distante da detta cappella<br />

si ha testimonianza, in<br />

età rinascimentale, dei palazzi<br />

di Andrea d’Aponte e<br />

<strong>del</strong>la famiglia de Curtis 50 .<br />

Se la politica edilizia ed urbanistica<br />

di don Pedro da<br />

9<br />

Il Complesso di Sant’Antonio a<br />

Portalba e il Palazzo Bideri: lettura<br />

sincronica e diacronica.


Nicola Pisacane<br />

Toledo aveva consentito un aumento di densità edilizia all’interno <strong>del</strong> centro antico<br />

pur lasciando ampie zone verdi, di tutt’altro tipo fu l’amministrazione degli altri vicerè.<br />

La politica <strong>del</strong>le “prammatiche”, assieme allo spostamento <strong>del</strong>le famiglie patrizie<br />

nella zona di via Toledo, aveva creato squilibri notevoli di densità abitativa insieme<br />

ad un enorme espansione <strong>del</strong>l’edilizia ecclesiastica.<br />

L’edilizia ecclesiastica, già fortemente diffusa, ebbe un ulteriore incremento; parallelamente,<br />

minori quantitativamente, ma certamente non qualitativamente, furono gli<br />

interventi di architettura civile.<br />

Tra questi, degni di menzione sono il palazzo Corigliano, costruito nel 1506 dal duca<br />

Giovanni de Sangro 51 , e l’adiacente e coevo palazzo Sangro di Sansevero, voluto dal<br />

principe di Sansevero don Paolo de Sangro 52 . Entrambi subirono modifiche nel ‘700:<br />

il primo subì un rifacimento <strong>del</strong>la facciata ad opera <strong>del</strong>l’architetto Genovese 53 , il secondo<br />

fu completamente ricostruito dal principe Raimondo. Va inoltre ricordato il<br />

passaggio a Fabrizio Colonna, nel 1504, <strong>del</strong> palazzo, presso le rampe di San Giovanni<br />

Maggiore, che appartenne agli Orsini di Nola 54 . Gli altri interventi di rilievo, in tale<br />

luogo e in tale periodo, sono tutti a carattere religioso: verso la metà <strong>del</strong> ‘500, venne<br />

istituito il collegio dei Gesuiti sull’area <strong>del</strong> palazzo di Giantommaso Carafa che i monaci<br />

acquistarono nel<br />

1540 55 . I lavori per la costruzione<br />

<strong>del</strong> chiostro <strong>del</strong><br />

Salvatore iniziarono nel<br />

1571 su disegno <strong>del</strong>l’architetto<br />

gesuita Giovanni de<br />

Rosis, a tale complesso era<br />

annessa una chiesa officiata<br />

a San Salvatore realizzata,<br />

tra il 1605 e il 1624, dall’architetto<br />

gesuita Pietro<br />

Provedi 56 . All’anno 1567 si<br />

ascrive un altro notevole intervento:<br />

la fusione dei<br />

10 Il Complesso di Sant’Antonio a<br />

Portalba e il Palazzo Bideri: lettura<br />

sincronica e diacronica. 10<br />

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L’Università nel Centro Storico di Napoli<br />

conventi dei Santissimi Marcellino e Pietro e dei Santissimi Festo e Desiderio. La<br />

causa di tale unione è da rintracciare principalmente nella soppressione <strong>del</strong> secondo<br />

di tali monasteri a causa <strong>del</strong>la povertà <strong>del</strong>le sue rendite e <strong>del</strong>le vocazioni. Le monache<br />

vennero così trasferite nel vicino convento. Il 2 agosto 1567, venne affidata a<br />

G.Vincenzo Della Monica la trasformazione <strong>del</strong> chiostro; i lavori, terminati verso la<br />

fine <strong>del</strong>’500, restituirono alle monache benedettine un ampio chiostro con archi su<br />

pilastri in piperno su tre lati -il quarto era aperto sul panorama <strong>del</strong> golfo- e con terrazze<br />

e ballatoi su archi su mensole ai livelli superiori.<br />

Nello stesso periodo, anche il vicino complesso di Santa Maria Monteverginella, subì<br />

notevoli trasformazioni che portarono alla totale ricostruzione <strong>del</strong>la chiesa, nonché al<br />

ridisegno <strong>del</strong> chiostro trecentesco. Stesso destino toccò alla chiesa di Santa Maria Donnaròmita<br />

che fu completamente ricostruita, su disegno <strong>del</strong>l’architetto Giovanni Francesco<br />

di Palma, tra il 1535 e il 1540. Da non dimenticare, inoltre, tutte la vicende<br />

che interessarono la chiesa di Sant’Angelo a Nilo a partire dal 1427, anno <strong>del</strong>la morte<br />

di Rinaldo Brancaccio. A seguito di tale evento, i fratelli <strong>del</strong> cardinale cedettero l’ospedale<br />

e l’annessa cappella, allora officiata ai Santissimi Angelo e Andrea, ai nobili<br />

<strong>del</strong> seggio di Nido. Nel 1476, però, i nobili di Nido acquistarono dalle monache di<br />

Donnaròmita il suolo per<br />

la costruzione <strong>del</strong> nuovo<br />

seggio necessario per un sedile<br />

di tale prestigio. I lavori<br />

furono ultimati solo<br />

nel 1507, pertanto è da ritenere<br />

che solo nel 1535,<br />

data in cui si ha notizia di<br />

alcuni interventi presso la<br />

chiesa, iniziò la costruzione<br />

<strong>del</strong>l’abside nell’area <strong>del</strong><br />

preesistente seggio.<br />

Nel 1685, la chiesa di San<br />

Giovanni Maggiore viene<br />

11 Il Complesso di Sant’Antonio a<br />

Portalba e il Palazzo Bideri: lettura<br />

sincronica e diacronica.


Nicola Pisacane<br />

completamente rifatta in veste barocca da Dionisio Lazzari 57 ; la chiesa di San Girolamo<br />

<strong>del</strong>le Monache modificò completamente il suo aspetto a seguito degli interventi,<br />

iniziati nel XVII secolo, necessari per il notevole aumento <strong>del</strong>le monache. Il nuovo<br />

impianto planimetrico, opera di Francesco Antonio Picchiatti, prevedeva una navata<br />

unica con cappelle laterali 58 .<br />

Presso il decumano maggiore, la chiesa <strong>del</strong>la Pietrasanta, su incarico dei Chierici Regolari<br />

Minori che allora la gestivano, viene completamente ristrutturata tra il 1653 e<br />

il 1678 da Cosimo Fanzago.<br />

Non molto distante, nel 1534, Andrea Sbarra con la consorte Cremona Spinelli, entrambi<br />

lucchesi, fondarono un monastero carmelitano e una chiesa denominata “Croce<br />

di Lucca” 59 perché dedicato alla santa croce “sotto la forma com’è venerata a Lucca”.<br />

La chiesa attuale, sostituendosi alla primitiva che era interna al monastero, fu costruita<br />

tre il 1643 e il 1649 su disegno <strong>del</strong>l’architetto Francesco Antonio Picchiatti. Tale riedificazione<br />

fu dovuta al principe di Cellammare, Nicola Giudice, in occasione <strong>del</strong><br />

“monacarsi di cinque sue figlie in quel monastero”. A monte di tale complesso, sorse,<br />

agli inizi <strong>del</strong> XVI secolo, presso la strada Marmorata, oggi via <strong>del</strong>la Sapienza, un edificio<br />

presso il quale il cardinale Oliviero Carafa offriva ricovero agli studenti poveri e<br />

dove “loro insegnate si fossero le scienze e i buoni costumi” 60 . L’opera benefica, a somiglianza<br />

di quella già esistente in Roma, fu detta “la Sapienza”. Nel 1511, alla morte<br />

<strong>del</strong> cardinale, tale istituzione cessò di prestare questi servizi: gli eredi fondarono, in<br />

quel luogo, il monastero di clarisse nominato Santa Maria <strong>del</strong>la Sapienza. Ancora più<br />

a nord, presso l’altura di Sant’Aniello a Caponapoli, fu fondato, tra il 1580 e il 1587,<br />

per volontà di quattro nobildonne, aspiranti suore, figlie <strong>del</strong> notaio Leonardo Parascandolo,<br />

un convento <strong>del</strong>l’ordine di Sant’Agostino dedicato a Sant’Andrea e da allora<br />

chiamato <strong>del</strong>le Dame o <strong>del</strong>le Monache a memoria <strong>del</strong>le loro fondatrici 61 .<br />

Sebbene siano scarsi, in questa zona, gli interventi durante le dominazioni austriaca,<br />

borbonica e francese, il nucleo fondativi <strong>del</strong>la città di Napoli iniziò a subire proprio<br />

in questo secolo e mezzo alcune trasformazioni che ne hanno influenzato la sua successiva<br />

storia fino ai giorni nostri. Infatti, incominciano ad insediarsi, sin dal 1777,<br />

alcune facoltà universitarie 62 . E’ proprio in questo anno che l’Università si trasferisce<br />

dal Palazzo degli Studi (attuale Museo Archeologico Nazionale) nei locali <strong>del</strong> Salva-<br />

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786<br />

L’Università nel Centro Storico di Napoli<br />

tore, che prima avevano ospitato il Collegio Massimo dei Gesuiti. Tale trasformazione<br />

comportò un fecondo riordinamento degli istituti, con il conseguente aumento di alcune<br />

cattedre (matematica) e l’introduzione di nuove discipline (diritto di natura e<br />

<strong>del</strong>le genti). Si crearono nuove facoltà (Lettere e Scienze naturali) e si impiantarono<br />

le prime cliniche 63 .<br />

Un successivo sviluppo <strong>del</strong>l’Università di Napoli si ebbe con Giuseppe Bonaparte e<br />

con il suo successore Gioacchino Murat che istituirono la “Scuola di applicazione degli<br />

ingegneri di ponti e strade” che si insediò nel vicino complesso di Santa Maria<br />

Donnaròmita 64 .<br />

Un’altra istituzione a carattere educativo fu il “2° Reale Educandato” presso il convento<br />

dei Santissimi Marcellino e Festo. Proprio in tale complesso, è da ricordare il<br />

pregevole intervento, <strong>del</strong> 1772, di Luigi Vanvitelli: l’Oratorio <strong>del</strong>la Scala Santa.<br />

Intervento minore ma degno di menzione è, inoltre, il “vandalico arrotondamento”<br />

<strong>del</strong>l’angolo nord-est <strong>del</strong>la chiesa di San Pietro a Majella per agevolare il traffico sulla<br />

piazzetta (1838) 65 .<br />

Gli interventi per il risanamento dei quartieri di Porto, Pendino, Mercato e Vicaria 66 ,<br />

e le conseguenti opere per l’apertura di corso Umberto I, di ampliamento di via Mezzocannone<br />

e di sistemazione <strong>del</strong>la “citta<strong>del</strong>la universitaria”, trasformarono notevolmente,<br />

nel modo che tuttora vediamo, questa zona.<br />

L’apertura <strong>del</strong> corso Umberto I, infatti, rappresentò l’occasione per risistemare l’area<br />

universitaria che dal 1777 si era andata ad insediare, come si è detto, nel vicino con-


Nicola Pisacane<br />

vento <strong>del</strong> Salvatore; inoltre, la necessità di una degna sistemazione<br />

<strong>del</strong> Rettorato e <strong>del</strong>la Facoltà di Lettere e Giurisprudenza,<br />

nonché un conveniente ampliamento <strong>del</strong>la<br />

sede <strong>del</strong>la Facoltà di Medicina, rendevano necessario un<br />

progetto sia per il riutilizzo di edifici esistenti, sia per la<br />

costruzione di nuovi edifici 67 . Il progetto doveva prevedere:<br />

la costruzione di un edificio lungo il corso Umberto<br />

I per la sede <strong>del</strong> Rettorato, la costruzione di un<br />

edificio a via Mezzocannone per la sede degli Istituti di<br />

Chimica e Fisica, il restauro degli edifici <strong>del</strong> Salvatore e<br />

di Santa Patrizia, la costruzione di edifici, che sostituissero<br />

i complessi conventuali <strong>del</strong>la Croce di Lucca e di<br />

Santa Maria <strong>del</strong>la Sapienza, da adibire a cliniche universitarie<br />

e, infine, il riutilizzo <strong>del</strong> complesso di Sant’Andrea<br />

<strong>del</strong>le Dame 68 .<br />

A seguito di una lunga discussione, venne approvato, nel<br />

1892, il progetto degli ingegneri Pier Paolo Quaglia e<br />

Guglielmo Melisurgo: il primo curò la parte artistica, il<br />

secondo quella costruttiva. Le vicende <strong>del</strong> progetto per<br />

l’ampliamento degli edifici <strong>del</strong>l’Università di Napoli sono<br />

narrate dall’ingegnere Quaglia nella relazione allegata al<br />

progetto di massima. Quaglia scrive che in seguito alle<br />

pressanti richieste <strong>del</strong> “Consesso <strong>del</strong>le Facoltà Universitarie”<br />

per l’ampliamento e il miglioramento degli edifici<br />

<strong>del</strong>l’Ateneo, soprattutto <strong>del</strong>le facoltà di Medicina, Chirurgia<br />

e scienze fu varata la Legge Bacelli che prevedeva<br />

la cessione all’Università degli ex conventi di Santa Patrizia<br />

e Sant’Andrea <strong>del</strong>le Dame. Successivamente venne<br />

istituito il Consorzio tra le Province Napoletane per finanziare<br />

l’ampliamento <strong>del</strong>l’Università o la costruzione<br />

di un nuovo Policlinico presso il Rione San Lorenzo a<br />

12<br />

Pier Paolo Quaglia, in collaborazione<br />

con Oreste Marangio, Progetto<br />

di massima pel riordina-<br />

13<br />

Pier Paolo Quaglia, in collabomento<br />

ed ampliamento dei locali razione con Guglielmo Melisurgo,<br />

necessari alle facoltà universitarie L’ampliamento e sistemazioni de-<br />

di Napoli, 1892. gli edifizi universitari, 1893-96.<br />

13<br />

787


788<br />

L’Università nel Centro Storico di Napoli<br />

ridosso <strong>del</strong>l’Orto Botanico. La <strong>del</strong>ocalizzazione <strong>del</strong>la sede universitaria sollevò una serie<br />

di polemiche e critiche soprattutto da parte <strong>del</strong> corpo docente reputandolo troppo<br />

costoso e considerano inadeguata l’area perché troppo umida e lontana dal centro cittadino.<br />

Fu il “Progetto per ridurre Castel Capuano in palazzo di Giustizia”, redatto<br />

alcuni mesi prima <strong>del</strong> progetto per la sede <strong>del</strong>l’Università, ad ispirare un nuovo “Progetto<br />

di ampliamento e sistemazione degli edifici universitari”.<br />

Numerose furono sia le polemiche sia le modifiche al progetto originario. Il Melisurgo,<br />

nel 1944, pubblicò un breve scritto nel quale chiariva tutte le controversie che<br />

erano nate, soprattutto intorno all’edificio sul “Rettifilo”; infatti, il disegno originario<br />

<strong>del</strong> prospetto su tale strada subì differenti modifiche, soprattutto a seguito <strong>del</strong>la<br />

morte di Pier Paolo Quaglia, ad opera, probabilmente, <strong>del</strong> Prof. Lomonaco 69 .<br />

Notevoli critiche furono mosse anche al progetto <strong>del</strong>le cliniche: nel 1903, un gruppo<br />

di studiosi pubblicò, su Napoli Nobilissima 70 , uno scritto di protesta, affinché si risparmiasse<br />

dalle demolizioni per la costruzione dei padiglioni universitari la chiesa<br />

<strong>del</strong>la Croce di Lucca che aveva già subito una mutilazione nella parte absidale. Tra le<br />

altre critiche vanno menzionate, quella <strong>del</strong> prof. Luciano Armanni, sul grave errore<br />

che si era compiuto nell’avere impiantato le cliniche universitarie nel “cuore <strong>del</strong>la<br />

città”; oltre a quella di Camillo Guerra 71 che attaccò notevolmente la scelta <strong>del</strong>l’abbattimento<br />

dei conventi <strong>del</strong>la Croce di Lucca, ma soprattutto, di quello di Santa Maria<br />

<strong>del</strong>la Sapienza che per le loro dimensioni, oltre che per il loro pregio artistico,<br />

erano notevolmente più importanti degli edifici per i quali il progetto prevedeva il<br />

riutilizzo (Sant’Andrea <strong>del</strong>le Dame, Collegio Medico, Santa Patrizia). Il progetto <strong>del</strong>le<br />

cliniche venne, nonostante tutte le critiche, realizzato: esso prevedeva tre padiglioni<br />

(di cui oggi ne rimangono solo due) nell’area dei conventi <strong>del</strong>la Croce di Lucca e<br />

Santa Maria <strong>del</strong>la Sapienza; fu realizzato, inoltre, come prevedeva il progetto, l’ampliamento<br />

<strong>del</strong> vico <strong>del</strong> Sole. A monte <strong>del</strong> decumano superiore, invece, fu realizzato<br />

un quarto padiglione (clinica di Pediatria) e sistemato, per gli Istituti di Ortopedia e<br />

di Odontoiatria, l’ex Collegio Medico. Entrambi gli edifici erano prospicienti il complesso<br />

di Sant’Andrea <strong>del</strong>le Dame per il quale, oltre a prevedere un adattamento ad<br />

usi universitari, si realizzò anche una facciata su via Santa Maria di Costantinopoli.


Nicola Pisacane<br />

Un’ulteriore trasformazione fu l’inclusione <strong>del</strong> complesso dei Santissimi Marcellino e<br />

Festo nella “citta<strong>del</strong>la universitaria”: questo per soddisfare i continui incrementi che<br />

si verificavano presso l’Università di Napoli in quei tempi.<br />

Come si è detto, il progetto <strong>del</strong>la Società per il Risanamento prevedeva anche un ampliamento<br />

<strong>del</strong>la sezione stradale di via Mezzocannone, da realizzarsi mediante l’abbattimento<br />

<strong>del</strong>la cortina edilizia sul lato occidentale di tale strada. La realizzazione di<br />

tale intervento causò la distruzione e la mutilazione di fabbriche di notevole pregio:<br />

all’altezza di via Sedile di Porto venne raso al suolo un grande arco angioino sede <strong>del</strong>l’omonimo<br />

seggio 72 ; all’incrocio con la strada che conduce alle rampe San Giovanni<br />

Maggiore venne distrutto il palazzo che appartenne a Fabrizio Colonna di cui si reimpiegò<br />

“malamente” 73 il portale per la sistemazione <strong>del</strong>l’ingresso laterale degli edifici<br />

universitari 74 . La chiesa di San Girolamo <strong>del</strong>le Monache subì un’inversione <strong>del</strong>l’impianto<br />

planimetrico: l’accesso, che era dal vico San Girolamo, fu spostato su via Mezzocannone;<br />

tale scelta comportò la realizzazione di una rampa di scale per superare il<br />

dislivello esistente tra la chiesa e la strada.<br />

Nella parte terminale di tale via venne distrutta la cappella <strong>del</strong>l’Arciconfraternita di<br />

Santa Maria <strong>del</strong>la Purificazione e, inoltre, venne distrutto l’ultimo “modulo” di Palazzo<br />

Casacalenda 75 . Il progetto di tale intervento, autorizzato sin dal 1891, venne<br />

realizzato oltre trenta anni dopo 76 .<br />

Note<br />

1 Per il concetto di “fabbrica <strong>del</strong>la conoscenza”, cfr. C. GAMBARDELLA, Atlante <strong>del</strong> Cilento, Na-<br />

poli 2009<br />

2 Il confronto sulla destinazione <strong>del</strong> centro antico di Napoli si è svolto in diversi contesti<br />

scientifici, si ricordi “Conoscenza e Patrimonio /Knowledge and Heritage” promosso dalla Seconda<br />

Università degli Studi di Napoli nel dicembre 2007.<br />

3 R. PANE, Napoli imprevista, Torino 1949, p.29<br />

4 G. RUSSO, Napoli come città, ivi 1966<br />

5 B. CAPASSO, Napoli greco-romana, ivi 1905<br />

789


790<br />

6 ibidem<br />

7 Quella via prese il nome di strada degli Alessandrini a causa <strong>del</strong>la vicinanza <strong>del</strong>la colonia egiziana.<br />

8 B. CAPASSO, Il Palazzo di Fabrizio Colonna a Mezzocannone, in “Napoli Nobilissima”, Is, vol.III,<br />

ivi 1894, p.1<br />

9 B. CAPASSO, Napoli cit., pp.93-94<br />

10 E. GABRICI, Contributo archeologico alla topografia di Napoli, ivi 1951<br />

11 F. CASTAGNOLI, Ippodamo da Mileto e l’urbanistica a pianta ortogonale, Roma 1956<br />

12 M. NAPOLI, Napoli greco-romana, ivi 1959<br />

13 Ivi, p.94<br />

14 ibidem.<br />

15 Ivi, p.95; cfr., inoltre, M. Napoli, op. cit., pp.172-176<br />

16 B. CAPASSO, op. cit., pp.95-96<br />

17 R. PANE, Architettura <strong>del</strong>l’età barocca in Napoli, ivi 1939, p.176.<br />

18 B. CAPASSO, op. cit., p.97<br />

19 Cfr. A. VENDITTI, L’architettura <strong>del</strong>l’Alto Medioevo, in Storia di Napoli, ivi 1969, p.806<br />

20 B. CAPASSO, op.cit. p.98. Dopo gli interventi Risanamento, la tavola di Orione fu collocata<br />

sulla facciata <strong>del</strong>l’edificio tra via Sedile di Porto, via Mezzocannone e Corso Umberto I: il luogo<br />

più vicino a quello <strong>del</strong> suo ritrovamento.<br />

21 R. PANE, Napoli imprevista, Torino 1949, p.13<br />

22 G. RUSSO, op. cit., p.30<br />

23 C. DE SETA, Napoli, Bari 1981, p.31<br />

24 B. CAPASSO, Topografia <strong>del</strong>la città di Napoli nell’XI secolo, ivi 1895. Cfr., inoltre, B. Capasso,<br />

Il Palazzo di F. Colonna cit., p1.<br />

25 B. CAPASSO, Topografia cit., p.115. Il nome Abaciro deriva dalla fusione <strong>del</strong>la parola dignità<br />

(abba) con il nome <strong>del</strong> santo (Cirus)<br />

26 Cfr. A. VENDITTI, op.cit., p.806<br />

27 B. CAPASSO, Il Palazzo di F. Colonna cit., p.2<br />

28 B. CAPASSO, Topografia cit., p.193.<br />

L’Università nel Centro Storico di Napoli<br />

29 A. VENDITTI, Urbanistica e architettura angioina, in Storia di Napoli, ivi 1969, vol.III, p.731


Nicola Pisacane<br />

30 Probabilmente tale chiesa era privata ed apparteneva ad un’importante famiglia che abitava<br />

nella “regio”.<br />

31 A. VENDITTI, L’arch. <strong>del</strong>l’Alto Med. cit., p.840<br />

32 B. CAPASSO, op.cit. Cfr., inoltre, A. Colombo, Il monastero e la chiesa di S.Maria <strong>del</strong>la Sapienza,<br />

in “Napoli Nobilissima”, ivi 1901, Is., vol.X, p.145, nota 1.<br />

33 B. CAPASSO, Il palazzo di F. Colonna cit., p.2<br />

34 B. CAPASSO, Topografia cit., p.116<br />

35 B. CAPASSO, Il palazzo di F. Colonna cit., p.2<br />

36 A. VENDITTI, Urb. e arch. angioina cit., p.782<br />

37 B. CAPASSO, op. cit., p.116<br />

38 B. CAPASSO, Il palazzo di F. Colonna cit., p.2.<br />

39 Il portale di tale palazzo è stato reimpiegato nella facciata <strong>del</strong>l’università su via Mezzocannone.<br />

40 B. CAPASSO, op. cit., p.5.<br />

41 Il palazzo di G. de Haya passò poi alla famiglia dei Conti di Celano che diede il nome alla<br />

via (ora Pallonetto Santa Chiara) sul quale il palazzo si apriva. B. Capasso, op. cit., p.3<br />

42 A. VENDITTI, Urb. e arch. angioina cit., pp.731 segg.<br />

43 R. PANE, Napoli imprevista cit., p.13.<br />

44 B. CAPASSO, op. cit., pp.34 segg.<br />

45 A riguardo, Alisio individua tale costruzione nell’edificio, tuttora esistente, lungo le rampe di<br />

San Giovanni Maggiore. Nel cortile di tale edificio sono visibili “archi di piperno a tutto sesto<br />

sorretti da massicci pilastri quadrati sormontati da una trabeazione”. Cfr. G.ALISIO, Napoli e il<br />

Risanamento. Recupero di una struttura urbana, ivi 1980, p.245.<br />

46 L. CONFORTI JR., Le fontane di Napoli, Mezzocannone, in Napoli Nobilissima, ivi 1892, Is. ,<br />

vol.I, pp.44 segg.<br />

47 R. PANE, Il Rinascimento nell’Italia Meridionale, Milano 1975, vol.I, p.221<br />

48 A. VENDITTI, Urb. e arch. angioina cit., p.782<br />

49 R. PANE, op. cit., vol.II, p.199 segg.<br />

50 R. PANE, Architettura <strong>del</strong> Rinascimento a Napoli, ivi 1937, pp.52-54<br />

51 AA.VV., Palazzo Corigliano tra archeologia e storia, Napoli 1994, p.93.<br />

52 G. DORIA, I palazzi di Napoli, ivi 1986, p.93.<br />

791


792<br />

53 Della struttura cinquecentesca <strong>del</strong>la facciata si conservò solo il primo ordine.<br />

54 B. CAPASSO, op.cit., pp.51 segg. Cfr.,inoltre, L. CATALANI, I palazzi di Napoli, ivi 1845, pp.22-23<br />

55 B. CAPASSO, op.cit., p.5.<br />

56 G.A. GALANTE, Guida sacra <strong>del</strong>la città di Napoli, ivi 1872<br />

57 A. VENDITTI, L’arch. <strong>del</strong>l’Alto Med. cit., p.806.<br />

58 G.A. GALANTE, op.cit.<br />

59 A. MIOLA, Croce di Lucca, in “Napoli Nobilissima”, ivi 1903, Is., vol.XII, p.99.<br />

60 Il monastero e la chiesa di S.Maria <strong>del</strong>la Sapienza, in “Napoli Nobilissima”, ivi 1901, Is., vol.X, p.145.<br />

61 G.A. GALANTE, op.cit.<br />

62 AA.VV. Storia <strong>del</strong>l’Università di Napoli, ivi 1924.<br />

63 Ibidem. Cfr., inoltre, G. RUSSO, op. cit., pp.162-163<br />

64 Ibidem.<br />

65 A. VENDITTI, Urb. e arch. angioina cit.,p.785.<br />

66 C. DE SETA, op.cit.,p.267.<br />

67 C. GUERRA, La città universitaria di Napoli, in “Quaderni di Architettura e Urbanistica napo-<br />

letana”, ivi 1944.<br />

68 G. MELISURGO, L’università, le cliniche, gli istituti scientifici di Napoli, ivi 1944<br />

69 C. GUERRA, op.cit. Cfr., inoltre, A. Miola, Il progetto per gli edificii universitarii, in “Napoli<br />

Nobilissima”, ivi 1894, Is., vol.III, pp.12 segg.<br />

70 AA.VV. Per la “Croce di Lucca”, in “Napoli Nobilissima”, ivi 1903, Is., vol.XII, pp.97 segg.<br />

71 C. GUERRA, op.cit.<br />

72 G.ALISIO, op.cit.,pp.221 segg.<br />

73 A.VENDITTI, Presenze ed influenze catalane nell’architettura napoletana <strong>del</strong> Regno d’Aragona, in<br />

“Napoli Nobilissima”, ivi 1974, IIIs., vol. XIII, p.15.<br />

74 G. ALISIO, op.cit., pp.225 segg.<br />

75 G. ALISIO, op.cit., pp.343 segg.<br />

76 G. RUSSO, op.cit. p.104<br />

L’Università nel Centro Storico di Napoli


Nicola Pisacane<br />

* Le immagini a corredo <strong>del</strong> presente saggio sono tratte dalla n.1 alla n.6 dalla Tesi di Laurea di<br />

Vincenza Golia, L’Università nel Centro Storico di Napoli - Relatore Prof. Carmine Gambar<strong>del</strong>la,<br />

Co-relatore Prof. Nicola Pisacane (Laboratorio di Sintesi Finale in Rappresentazione e Analisi<br />

Multicriteri@ <strong>del</strong>l’Ambiente Naturale e Costruito - anno accademico 2007/2008) e dalla n.7<br />

alla n.11 dalla Tesi di Laurea di Domenica Cretella, Il Complesso di Sant’Antonio a Portalba e<br />

Palazzo Bideri nel Centro Storico di Napoli - Relatore Prof. Carmine Gambar<strong>del</strong>la, Co-relatore<br />

Prof. Nicola Pisacane (Laboratorio di Sintesi Finale in Rappresentazione e Analisi Multicriteri@<br />

<strong>del</strong>l’Ambiente Naturale e Costruito - anno accademico 2007/2008).<br />

Bibliografia<br />

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DE FUSCO, Il centro antico come citta<strong>del</strong>la degli studi. Restauro e innovazione <strong>del</strong>la neapolis grecoromana,<br />

Napoli 2009<br />

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VENDITTI, L’architettura <strong>del</strong>l’Alto Medioevo, ivi 1969<br />

VENDITTI, Urbanistica e architettura angioina, ivi 1969<br />

L’Università nel Centro Storico di Napoli


LA SCRITTURA DELLO SPAZIO<br />

RAPPRESENTAZIONE DEL PENSIERO<br />

di MANUELA PISCITELLI<br />

Talvolta c’è meno pensiero nel discorso<br />

filosofico o nell’insegnamento che<br />

in un disegno.<br />

Jacques Derrida<br />

architettura, intesa come struttura e sintassi, forma e funzione, ha spesso un forte<br />

L’ valore simbolico, ponendosi come il luogo materiale in cui i fondamenti <strong>del</strong> pensiero<br />

trovano la loro concreta espressione nell’idea stessa <strong>del</strong> progetto. In tal senso, si<br />

costituisce come un procedimento di “scrittura <strong>del</strong>lo spazio”, divenendo essa stessa<br />

un mezzo di rappresentazione e comunicazione di un pensiero non solo tecnico e spaziale,<br />

ma anche scientifico, filosofico, religioso, simbolico, <strong>del</strong>la società che le ha prodotte.<br />

La percezione e l’interpretazione spazio sono strettamente dipendenti dalle nostre concezioni<br />

scientifiche e mutano, comportando di conseguenza la trasformazione <strong>del</strong>l'architettura<br />

nei tempi, <strong>nelle</strong> epoche ed al variare degli strumenti che ne consentono<br />

la realizzazione. Tali strumenti fondamentali che danno forma all'architettura non<br />

sono solo i materiali, le tecniche costruttive, le funzioni, ma soprattutto le concezioni<br />

spaziali e scientifiche. La conoscenza matematica, geometrica e scientifica <strong>del</strong>lo spazio<br />

si trasforma in costruzione fisica, si concretizza attraverso l'architettura. In tale ottica<br />

le piramidi egizie possono essere lette come la materializzazione di alcune nozioni<br />

di geometria e di trigonometria, senza le quali la forma <strong>del</strong>la piramide non sarebbe<br />

stata neppure concepibile. Allo stesso modo, il Pantheon<br />

può essere interpretato come il frutto di un calcolo geometrico<br />

sofisticatissimo, di una visione <strong>del</strong>lo spazio e <strong>del</strong><br />

calcolo sotto forma di geometria che evidentemente avevano<br />

i romani, e senza la quale l’edificio non sarebbe<br />

stato immaginabile neppure come forma mentale.<br />

Alcuni di questi rapporti tra la concezione scientifica <strong>del</strong>lo<br />

spazio, le tecniche <strong>del</strong>la rappresentazione e l’architettura<br />

sono evidenti, come quello tra l'universo tolemaico, la<br />

prospettiva e l'architettura <strong>del</strong>l'umanesimo, o quello tra<br />

1 Piramide e sfinge, 2500 a. C.<br />

circa, Giza.<br />

1


2<br />

796<br />

La scrittura <strong>del</strong>lo spazio, rappresentazione <strong>del</strong> pensiero<br />

lo spazio cartesiano, il sistema proiettivo di Monge e la progressiva nascita di un'architettura<br />

prima aprospettica, e poi sempre più astratta e analitica. 1<br />

Bisogna allora riflettere, nel momento in cui si analizza e si disegna un’architettura<br />

esistente, anche su come e quanto nell’oggetto <strong>reale</strong> si rispecchi il modo che i suoi<br />

contemporanei avevano di rappresentarlo. Questa considerazione renderebbe evidente<br />

che sono le conoscenze stesse, spaziali e tecniche, che si riflettono nell'oggetto architettonico<br />

influenzandone la forma.<br />

Siamo spesso portati a considerare irrilevante il mezzo su cui abbiamo proiettato il<br />

pensiero: un foglio di carta, un videoterminale, un mo<strong>del</strong>lo tridimensionale o una<br />

formula matematica. Il mezzo, come ci insegnano gli studiosi di linguistica, è invece<br />

fondamentale, non solo perché senza un supporto non si potrebbero effettuare operazioni<br />

logiche complesse, ma soprattutto perché ogni strumento, il foglio di carta, il<br />

disegno, il computer, impone alla lunga le proprie leggi. Adoperando un certo strumento,<br />

piuttosto che un altro, il pensiero si snoda seguendo i percorsi suggeriti da<br />

quel mezzo espressivo.<br />

L’ultimo strumento in ordine di tempo che ha cambiato il nostro modo di strutturare<br />

il pensiero è stata l’informatica, che ha fatto emergere tecniche, modalità, possibilità<br />

e strumenti propri <strong>del</strong> computer (le interconnessioni dinamiche, le animazioni,<br />

i database, le simulazioni, i mo<strong>del</strong>li). In questo caso si è innestato un rapporto tra<br />

progetto e strumento guidato da una complessità che questi nuovi mezzi consentono.<br />

L'architettura si sta trasformando come processo ideativo e come esito in edifici profondamente<br />

ed intimamente diversi dai precedenti. L’influenza <strong>del</strong>la forza innovativa <strong>del</strong>lo<br />

strumento informatico sulla progettazione architettonica è stata da molti studiosi paragonata<br />

a quella <strong>del</strong>l’invenzione <strong>del</strong>la prospettiva; in ogni caso, le nuove spazialità<br />

che stanno emergendo possono essere comprese solo analizzandole congiuntamente<br />

alle tecniche di rappresentazione che le hanno generate e ne hanno reso possibile la<br />

realizzazione.<br />

Come scrive Carmine Gambar<strong>del</strong>la, “Lo spazio <strong>virtuale</strong> non è una sfida alla teoria<br />

<strong>del</strong>la rappresentazione, ma costituisce un momento sintetico<br />

che integra, assimila, supera e amplifica la pro-<br />

2 Dupérac: Il Campidoglio dopo<br />

la sistemazione michelangiolesca.


Manuela Piscitelli<br />

spettiva e l’assonometria. Il contributo dei software, in questa direzione, permette di<br />

rappresentare il pensiero <strong>del</strong>l’uomo, il progetto nella sua complessità, come mai era<br />

stato possibile sino ad oggi, spostando il punto di vista sopra, sotto, da ogni lato ma<br />

anche dentro l’oggetto. La nuova cassetta degli utensili è più ricca e flessibile perché<br />

può indagare a perfezione la cosa, coglierne la matrice numerica e geometrica, ma<br />

anche trasmettere possibilità alternative alla costruzione <strong>del</strong>la forma <strong>del</strong> pensiero, che<br />

contemporaneamente idea e prova quella forma in un determinato materiale o assemblaggio<br />

di materiali”. 2<br />

Se l’informatica è lo strumento caratteristico <strong>del</strong> nostro tempo, la teoria scientifica<br />

più innovativa e carica di ricadute in ogni campo <strong>del</strong> sapere e <strong>del</strong>la conoscenza è la<br />

cosiddetta “teoria <strong>del</strong> caos”. Nel linguaggio corrente e nei dizionari, caos è sinonimo<br />

di disordine; l’uso scientifico attuale implica però altri significati, derivati dall’osservazione<br />

<strong>del</strong> comportamento dei sistemi dinamici e dall’imprevedibilità che li contraddistingue.<br />

La teoria <strong>del</strong> caos riconosce l’esistenza di una complessità di relazioni, di fronte alla<br />

quale non è più possibile adoperare il ragionamento analitico, la visione <strong>del</strong> mondo<br />

disciplinare, le conoscenze di natura enciclopedica. Non è possibile continuare ad<br />

estrapolare in modo lineare i dati <strong>del</strong> passato, mentre le evoluzioni che viviamo sono<br />

non lineari, ma esponenziali, in costante accelerazione. I processi, le reti, i sistemi si<br />

intrecciano in modo inestricabile, e per analizzarli abbiamo bisogno non solo di nuovi<br />

strumenti, ma di nuove categorie di pensiero.<br />

La nuova visione <strong>del</strong> mondo emersa dalla teoria <strong>del</strong> caos e <strong>del</strong>la complessità permette<br />

un riavvicinamento tra due modi complementari di analisi e di azione: il metodo analitico,<br />

nato dal procedimento cartesiano, e l’approccio sistemico, derivato dalla cibernetica<br />

e dalla teoria dei sistemi. René Descartes ci ha aiutato a comprendere meglio<br />

la complessità <strong>del</strong> mondo riducendola ad un certo numero di elementi semplici, che<br />

è possibile studiare singolarmente. Questo metodo scientifico, tuttora applicato, ha<br />

frammentato il sapere, privandolo di una sintesi <strong>del</strong>le conoscenze. Come scrive Edgar<br />

Morin, “L’intelligenza parcellizzata, compartimentata,<br />

meccanicistica, disgiuntiva, riduzionistica, spezza il com-<br />

3 Immagini <strong>del</strong>la reazione di<br />

Belousov-Zhabotinskij, che dimostra<br />

che non tutte le reazioni<br />

chimiche tendono all’equilibrio,<br />

ma talvolta i reagenti - la materia<br />

- si autorganizzano in strutture<br />

complesse che hanno la<br />

forma <strong>del</strong>la vita in evoluzione.<br />

797<br />

3


4<br />

798<br />

La scrittura <strong>del</strong>lo spazio, rappresentazione <strong>del</strong> pensiero<br />

plesso <strong>del</strong> mondo in frammenti disgiunti, fraziona i problemi, separa quel che è collegato,<br />

rende unidimensionale il multidimensionale”. 3<br />

Se il metodo analitico consiste <strong>del</strong> suddividere la complessità in elementi distinti, il<br />

metodo sistemico ricombina il tutto a partire dai suoi elementi, tenendo conto <strong>del</strong>le<br />

loro interdipendenze e <strong>del</strong>la loro evoluzione nel tempo.<br />

Un sistema complesso è caratterizzato dal numero degli elementi che lo costituiscono<br />

e dalla natura <strong>del</strong>le interazioni tra questi elementi. La rivoluzione moderna apportata<br />

dalla scienza <strong>del</strong>la complessità è la comprensione dei processi che danno vita a tali sistemi<br />

a partire da leggi semplici. 4<br />

La scoperta <strong>del</strong> caos è una scoperta che ci riconduce al tutto, poiché nel caos tutto è<br />

in relazione, tutto interagisce, l’isolamento <strong>del</strong>le cose dal proprio ambiente è solo una<br />

semplificazione illusoria. La complessità ci fa vedere l’ordine che si annida nel caos,<br />

nell’inesauribile complessità <strong>del</strong>le strutture generate dall’autorganizzazione <strong>del</strong>la materia.<br />

La possibilità di rappresentare queste organizzazioni complesse a partire da leggi semplici<br />

è stata studiata dalla geometria frattale, resa popolare dal matematico Benoit<br />

Man<strong>del</strong>brot. I frattali sono strutture geometriche che risultano da equazioni semplici<br />

ricalcolate un gran numero di volte dal computer e che producono risultati sotto<br />

forma di numeri a cui si possono associare linee o colori. Questo approccio matematico<br />

sembra tradurre in<br />

immagini il processo di autorganizzazione<br />

<strong>del</strong>la materia,<br />

e permette di riconoscere<br />

nella complessità <strong>del</strong>le<br />

forme naturali un ordine<br />

nascosto.<br />

Nella progettazione, la geometria<br />

frattale, considerata<br />

oggi un valido strumento<br />

di analisi e comprensione<br />

<strong>del</strong>le forme naturali e <strong>del</strong>la<br />

4 Particolare di un insieme di<br />

Mal<strong>del</strong>brot.


Manuela Piscitelli<br />

conformazione territoriale, è stata consapevolmente utilizzata nell'opera di alcuni architetti<br />

contemporanei di fama mondiale, come Frank O. Gehry, Daniel Libeskind,<br />

Zahad Hadid.<br />

La teoria <strong>del</strong> caos e le geometrie frattali portano ad una visione unificata <strong>del</strong>la natura.<br />

Grazie a questi nuovi approcci alla complessità, si riesce a spiegare l’emergere di<br />

strutture, funzioni, reti e sistemi, che caratterizzano il nostro ambiente. Il caos di cui<br />

oggi si parla è un ordine nuovo, imprevedibile perché influenzato da fattori troppo<br />

complessi per essere analizzati, ma determinato ed esplorabile nella sua intrinseca armonia.<br />

La scoperta che ordine e forma sono sempre presenti accende la speranza in<br />

un rapporto tra uomo e natura meno conflittuale, meno distante, “una nuova alleanza”,<br />

secondo la definizione di Prigogine. 5<br />

Le teorie scientifiche ci riportano inoltre, ancora una volta, ad una lettura <strong>del</strong>l’architettura<br />

come materializzazione<br />

<strong>del</strong> pensiero, come si<br />

evince dal discorso di<br />

Bohm: “Il pensiero è un<br />

processo materiale il cui<br />

contenuto è la risposta<br />

complessiva <strong>del</strong>la memoria,<br />

che include emozioni, reazioni<br />

muscolari e sensazioni<br />

fisiche che sgorgano<br />

da tale risposta e si fondono<br />

in essa. Di fatto, tutte le caratteristiche<br />

<strong>del</strong> nostro ambiente<br />

che sono opera<br />

umana sono, in questo<br />

senso, estensioni <strong>del</strong> pensiero,<br />

in quanto la loro<br />

forma e l’ordine <strong>del</strong> loro<br />

movimento hanno origine<br />

5 Un cristallo di pirite.<br />

6 Daniel Libeskind, ampliamento<br />

<strong>del</strong> Victoria and Albert<br />

museum, Londra, 1996-2001.<br />

799<br />

5<br />

6


7<br />

800<br />

La scrittura <strong>del</strong>lo spazio, rappresentazione <strong>del</strong> pensiero<br />

nel pensiero e sono incorporate nell’ambiente dal lavoro umano, che è guidato dallo<br />

stesso pensiero. Viceversa la forma e l’ordine di movimento di ogni cosa presente nell’ambiente,<br />

naturale o artificiale, si riversa in noi attraverso la percezione e genera impressioni<br />

la cui traccia nella memoria costituisce la base di ulteriore pensiero. [...] Ambiente<br />

e memoria perciò partecipano a un unico processo totale, dove l’analisi in parti<br />

separate (per esempio, pensiero e cosa) non ha significato”. 6<br />

Le parole di Bohm ci confermano come la comprensione e la rappresentazione <strong>del</strong>l’architettura<br />

non possa mai essere disgiunta dall’analisi <strong>del</strong> pensiero che l’ha generata,<br />

in un processo infinito e slegato dalla singola epoca, in quanto la memoria, generata<br />

dalla percezione di quell’architettura, diventa il fondamento per un nuovo pensiero.<br />

Se dunque l’informatica è il nuovo strumento che ci consente una rappresentazione<br />

dinamica e multidimensionale <strong>del</strong>le componenti, dei valori e <strong>del</strong>le relazioni<br />

materiali ed immateriali <strong>del</strong>l’architettura, <strong>del</strong>l’ambiente o <strong>del</strong>la città; le nuove teorie<br />

scientifiche sono il supporto concettuale ad un’analisi che ci permetta davvero, come<br />

ci indica il tema di questo<br />

convegno, di “rappresentare<br />

la conoscenza”, intendendo<br />

per conoscenza sia le<br />

informazioni che siamo<br />

stati in grado di rilevare, sia<br />

il pensiero di cui quella particolare<br />

forma di scrittura<br />

<strong>del</strong>lo spazio è intrinsecamente<br />

portatrice.<br />

7 Haresh Lalvani, studio per<br />

una struttura architettonica a<br />

partire da un procedimento industriale<br />

guidato da computers.


Manuela Piscitelli<br />

Note<br />

1 M. EMMER, Mathland. Dal mondo piatto alle ipersuperfici (La rivoluzione Informatica), Te-<br />

sto&Immagine Torino 2003.<br />

2 C. GAMBARDELLA, Ecogeometria in Venafro, ESI, Napoli 2001, p. 34.<br />

3 E. MORIN e A. B. KERN, Terra-Patria, Raffaello Cortina Editore, 1994, p. 165.<br />

4 J. DE ROSNAY, L’uomo, Gaia e il cibionte. Viaggio nel Terzo millennio, Dedalo, Bari 1997.<br />

5 I. PRIGOGINE, I. STENGERS, La nuova alleanza. Metamorfosi <strong>del</strong>la scienza, Einaudi, Torino 1993.<br />

6 D. BOHM, Universo, Mente e Materia, Red Edizioni, Como 1996.<br />

Bibliografia<br />

BOHM D., Universo, Mente e Materia, Red Edizioni, Como 1996.<br />

BRIGGS J., L’estetica <strong>del</strong> caos, Red, Como 1993.<br />

DE ROSNAY J., L’uomo, Gaia e il cibionte. Viaggio nel Terzo millennio. Dedalo, Bari 1997.<br />

EMMER M., Mathland. Dal mondo piatto alle ipersuperfici (La rivoluzione Informatica), Testo&Immagine,<br />

Torino 2003.<br />

GAMBARDELLA C., Ecogeometria in Venafro, ESI, Napoli 2001, p. 34.<br />

MANDELBROT BENOIT B., La geometria <strong>del</strong>la natura. Sulla teoria dei frattali, Theoria, Roma-Napoli<br />

1989.<br />

MORIN E. e KERN A.B., Terra-Patria, Raffaello Cortina Editore, 1994.<br />

PORTOGHESI P., Natura e architettura, Skira, Milano 1999.<br />

PORTOGHESI P., Geoarchitettura, Skira, Milano 2005.<br />

I. PRIGOGINE, I. STENGERS, La nuova alleanza. Metamorfosi <strong>del</strong>la scienza, Einaudi, Torino 1993.<br />

PRIGOGINE I., Le leggi <strong>del</strong> caos, Laterza, Bari 1999.<br />

801


ARCHITETTURA CATALANA NEL CENTRO DI BUSACHI<br />

SU CUNVENTU, RIVIVERE IL PASSATO NEL PRESENTE<br />

di CLAUDIA PISU<br />

Una <strong>del</strong>le caratteristiche più affascinanti <strong>del</strong>l’isola sarda è la sua storia che trova le<br />

radici <strong>nelle</strong> epoche più remote <strong>del</strong>la presenza <strong>del</strong>l’uomo sulla terra. La sua posizione<br />

baricentrica rispetto alle altre terre affacciate sul Mediterraneo ha determinato<br />

l’introduzione di numerose altre culture sul proprio suolo. Si è trovata infatti al centro<br />

di una fitta rete di scambi sia commerciali che culturali che al contempo l’ha esposta<br />

a diversi tentativi di conquista da parte degli altri popoli. Nei territori dei vari comuni,<br />

in particolare quelli <strong>del</strong>l’interno, sono ancora presenti le testimonianze <strong>del</strong>le<br />

civiltà più antiche, a partire da quella nuragica. Nei centri storici si trovano le tracce<br />

dei diversi dominatori avvicendatisi nell’arco dei secoli. In questi luoghi sono presenti,<br />

oltre le architetture autoctone, manufatti rappresentativi di altre civiltà e culture<br />

sintetizzate in oggetti architettonici unici, a creare dei mo<strong>del</strong>li <strong>del</strong> tutto originali.<br />

Nell’ambito <strong>del</strong>la ricerca svolta negli ultimi tre anni1 , attraverso il rilievo architettonico<br />

e urbano e lo studio geometrico <strong>del</strong>l’architettura dei centri situati nel cuore <strong>del</strong>la<br />

Sardegna, sono stati studiati alcuni edifici ai quali non viene data nessuna rilevanza<br />

negli attuali testi di architettura, ma che costituiscono un enorme patrimonio culturale<br />

ancora completamente sconosciuto. Nella tutela dei centri storici è fondamentale<br />

individuare le peculiarità caratterizzanti di ogni centro per consentirne una conservazione<br />

mirata e soprattutto un riutilizzo congruo con<br />

le esigenze odierne. La valorizzazione <strong>del</strong>le singole realtà<br />

architettoniche che costituiscono l’identità dei paesi è l’elemento<br />

più importante <strong>del</strong>l’azione di salvaguardia, ma<br />

spesso viene posto in secondo piano rispetto ai criteri<br />

generali di recupero. Lo studio dei singoli episodi architettonici<br />

aggiunge un tassello fondamentale alla storia<br />

di un luogo e contribuisce alla sua evoluzione futura.<br />

Alcuni degli edifici studiati si trovano nel paese di Busachi,<br />

piccolo borgo nei pressi <strong>del</strong> lago Omodeo, posto<br />

al centro <strong>del</strong> Barigadu, di cui storicamente è stato il capoluogo<br />

e che mantiene intatto il fascino <strong>del</strong> passato, in<br />

particolare nella tipologia <strong>del</strong>le case in trachite rossa che<br />

1 Su Cunventu: facciata principale.<br />

1


2<br />

804<br />

2 Su Cunventu: schema planimetrico.<br />

Architettura catalana nel centro di Busachi<br />

ancora oggi vi si trovano. All’interno di questa forte identità territoriale si sono innestati<br />

stilemi d’arte d’oltre mare, in particolare provenienti dalle coste occidentali<br />

<strong>del</strong>la Spagna, dominatrice <strong>del</strong>l’isola per circa quattrocento anni. Le ibridazioni prodotte<br />

dai diversi dominatori hanno dato luogo ad una architettura assolutamente originale<br />

e affascinante ancora visibile solo in queste zone più interne <strong>del</strong>l’isola. Vi sono<br />

due interessanti esempi, entrambi edificati a cura di Gerolamo Torresani, conte di Sedilo<br />

e marchese di Busachi 2 : il chiostro-cenobio <strong>del</strong> XVI secolo, denominato Collegiu,<br />

oggi quasi completamente ristrutturato con annessa la chiesa intitolata a Santa<br />

Maria <strong>del</strong>le Grazie, in buona parte crollata, affidato ai Gesuiti che l’abbandonarono<br />

dopo sette anni, e la struttura denominata Cunventu, posta nella piazza principale <strong>del</strong><br />

paese, affidata ai Domenicani e poi anch’essa inspiegabilmente abbandonata. Quest’ultima,<br />

edificata nel 1571, comprendeva un grande complesso di cui oggi rimane<br />

solo la chiesa, che nel suo piccolo è un gioiello di arte sardo-spagnola. Sconsacrato e<br />

lasciato decadere, dopo accurati restauri è ora sede di una raccolta di oggetti etnografici<br />

e <strong>del</strong> Museo <strong>del</strong> costume e <strong>del</strong> lino. L’edificio è un interessante esempio <strong>del</strong>l’architettura<br />

di influenza catalana e pur essendo di modeste dimensioni conserva al<br />

suo interno tutte le caratteristiche <strong>del</strong> repertorio architettonico e decorativo di questo<br />

filone culturale. A pianta rettangolare, ad unica navata, presenta una cappella laterale<br />

con volta a crociera costolonata ricca di motivi ornamentali scolpiti direttamente<br />

sulla trachite degli elementi portanti quali colonne angolari e archi, cornicioni<br />

dentellati, nicchie con colonnine rudentate sormontate da timpano. La facciata è semplice<br />

e lineare con terminale piatto, rosone, di cui oggi rimane solo la ghiera, e lo<br />

stemma dei Torresani in trachite locale sopra il portone d’ingresso. Sul lato sinistro<br />

si trova il campanile a pianta quadrata terminante in una cornice, con monofore su<br />

due lati e una bifora e una trifora sugli altri due. L’aula è coperta con tetto a capanna<br />

sorretto da quattro arconi a tutto sesto in pietra. Direttamente dall’aula, attraverso<br />

una ripida scala in pietra ad<br />

una rampa, si può accedere<br />

al campanile.<br />

Questo è uno dei casi piut-


Claudia Pisu<br />

tosto ricorrenti nell’isola in cui vi è la commistione tra gli elementi decorativi tipicamente<br />

catalani e quelli classicheggianti di gusto rinascimentale, che da luogo ad un<br />

interessante stile architettonico composito. Collegiu e Conventu, dopo essere caduti in<br />

rovina, hanno perso la loro principale funzione ma, testimoniano ancora oggi gli antichi<br />

fasti di Busachi, perfettamente reinseriti nella vita culturale <strong>del</strong> paese: nel primo<br />

vengono organizzate mostre estemporanee, rappresentazioni teatrali e spettacoli legati<br />

alla tradizione locale; Conventu, che fino a poco tempo fa ospitava le riproduzioni<br />

<strong>del</strong>le opere <strong>del</strong> pittore Filippo Figari, è stato adibito a museo permanente <strong>del</strong> Lino e<br />

<strong>del</strong> Costume. Il paese in se stesso costituisce una vera e propria fabbrica <strong>del</strong>la conoscenza.<br />

Semplicemente percorrendo il centro abitato, insieme all’architettura in trachite<br />

rossa che ha conservato nel tempo le caratteristiche originali, si possono ammirare<br />

i pittoreschi costumi tradizionali indossati quotidianamente, con elegante naturalezza,<br />

dalle donne busachesi che, con sapiente e costante laboriosità, hanno permesso<br />

che gli usi e i costumi locali non venissero dimenticati.<br />

805<br />

3 Su Cunventu: capilla major,<br />

cappella laterale.<br />

4 Su Cunventu: colonna decorata<br />

<strong>del</strong>la cappella laterale.<br />

3-4


5-6<br />

806<br />

5 Su Cunventu: aula principale.<br />

6 Su Cunventu: ambiente adiacente<br />

la cappella laterale.<br />

Note<br />

1 C. PISU, L’architettura di influenza catalana nei paesi <strong>del</strong> centro Sardegna: rilievi, analisi grafiche<br />

e confronti, Tesi di dottorato, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Cagliari,<br />

A.A. 2005-2008, XXI ciclo.<br />

2 ANGIUS-CASALIS, Dizionario storiografico statistico commerciale degli statuti di S.M. Il Re di Sar-<br />

degna, vol. I, Torino 1833, p.189..<br />

Architettura catalana nel centro di Busachi


SISTEMI "PRODUTTIVI" NEL PAESAGGIO RURALE SICILIANO<br />

di MARIA RITA PIZZURRO<br />

Nelle trame <strong>del</strong> paesaggio rurale siciliano in epoca pre-industriale si sono sviluppate,<br />

in base alla conformazione geo-morfologica dei luoghi e alla disponibilità<br />

di materie prime, diverse attività imprenditoriali produttive che hanno contributo alla<br />

crescita socio-economica locale.<br />

Particolarmente fruttuose si sono rilevate le produzioni legate alla tecnologia dei mulini<br />

ad acqua. Sorti lungo i versanti di valli ricche di sorgenti e di corsi d’acqua, tali<br />

apparati idraulici ingegneristici adottavano -in relazione alle connotazioni orografiche<br />

<strong>del</strong> sito e alle risorse idriche presenti- tipologie di funzionamento ad asse verticale o<br />

ad asse orizzontale.<br />

Nel territorio agricolo di Sicilia, per la ridotta portata <strong>del</strong>le reti fluviali, si sviluppò<br />

maggiormente l’impianto di mulini ad asse verticale con ruota idraulica orizzontale a<br />

pale. Con ingegnosi sistemi di canalizzazioni, le acque fluviali, addotte in grandi vasche<br />

verticali di carico (vutti), erano convogliate in uno stretto condotto (cannedda)<br />

dal quale uscivano a forte pressione investendo le pale <strong>del</strong>la ruota e generando così<br />

energia meccanica dal moto rotatorio1 .<br />

La ricerca in itinere indaga le interessanti tracce <strong>del</strong> sistema di mulini ad azionamento<br />

idraulico ricadenti, nell’entroterra palermitano, nella Valle <strong>del</strong>lo Jato, utilizzati prevalentemente<br />

per la molitura <strong>del</strong> grano.<br />

La Valle in esame, circondata da un suggestivo anfiteatro naturale di cime emergenti2 ,<br />

è segnata ancor oggi dal sinuoso scorrere <strong>del</strong>l’omonimo fiume che, pur dividendo fisicamente<br />

in due parti il territorio, ne ha costituito per<br />

secoli elemento di aggregazione e di vitalità economica<br />

e commerciale. L’abbondanza di acqua, di fauna, di pesci,<br />

di flora e la fertilità <strong>del</strong> suolo hanno incentivato, sin<br />

da epoca preistorica, la colonizzazione territoriale di popolazioni<br />

di diverse etnie e culture che hanno disegnato<br />

e plasmato gradualmente il paesaggio naturale3 . Reticoli<br />

idraulici e canalizzazioni di acque sorgive per usi urbani<br />

ed agricoli, coltivazioni erbacee ed essenze arboree sono<br />

intessuti tra le maglie regolari e irregolari dei campi. Viot-<br />

1 Congegni idraulici per mulini<br />

ad acqua, disegni in proiezioni ortogonali<br />

(da Essai sur la maniere<br />

la plus avantageuse de costruire les<br />

machines hidrauliques, et in particulier<br />

les moulins a bled, Paris<br />

M. DCC. LXXXIII, tavola PL III).<br />

1


2<br />

808<br />

Sistemi "produttivi" nel paesaggio rurale siciliano<br />

toli mulattieri, reti stradali di diversa configurazione ed importanza, linee ferroviarie<br />

si intrecciano tra le pieghe naturali <strong>del</strong> suolo. Installazioni infrastrutturali, centri abitati<br />

di piccole dimensioni ed insediamenti sparsi di architetture rurali differenti emergono<br />

nel complesso sistema territoriale.<br />

L’opportunità di avvalersi <strong>del</strong>la risorsa naturale di energia offerta dal fluente fiume<br />

Jato ha fatto, ovviamente, da volano per un progressivo e capillare propagarsi di numerose<br />

strutture antropiche produttive di sfruttamento idrico che ancor oggi -pur in<br />

disuso e in abbandono- costituiscono risorse storico-culturali collettive dai caratteri<br />

morfo-tipologici connotanti l’identità <strong>del</strong> luogo.<br />

Procedendo lungo l’alveo <strong>del</strong> fiume Jato, da monte a valle, seguiamo, con un percorso<br />

grafico-esplorativo, i segni dei dismessi mulini alimentati ad acqua, inseriti in posizioni<br />

strategiche nell’ambiente naturale. Simboli <strong>del</strong>la cultura rurale locale, gli antichi mulini<br />

<strong>del</strong>la Valle (mulino <strong>del</strong>la Chiusa, mulino <strong>del</strong>la Provvidenza, mulino <strong>del</strong> Principe, mulino<br />

Jato e mulino Giambascio) -come si evince dalle cartografie<br />

storiche illustranti le proprietà ecclesiastiche <strong>del</strong>l’Arcivescovato<br />

di Mon<strong>reale</strong>- erano inglobati in vasti feudi<br />

sorti lungo le sponde <strong>del</strong> fiume. Funzionanti fino al XX<br />

secolo, tali opere idrauliche sono oggi, in alcuni casi in<br />

parte o <strong>del</strong> tutto conservate, in altri incluse in organismi<br />

architettonici tipologicamente differenti e in altri ancora<br />

in parte o interamente scomparse.<br />

Il funzionamento tecnologico, tipologicamente a ruota<br />

orizzontale, dei sistemi molitori analizzati (caratterizzati<br />

da volumi elementari e da forme geometriche comunemente<br />

squadrate) avveniva tramite una solida torretta addossata<br />

al corpo <strong>del</strong> mulino -costituita da una botte di<br />

carico a sezione conica- dalla quale l’acqua, diretta in un<br />

condotto verticale, percorreva a forte pressione un cannello<br />

che azionava una turbina ad acqua che, attraverso<br />

un albero di trasmissione, metteva in moto le macine.<br />

2 In alto. Il territorio <strong>del</strong>l'Arcivescovato<br />

di Mon<strong>reale</strong>, con i feudi<br />

ricadenti nella Valle <strong>del</strong>lo Jato,<br />

(evidenziati nella figura con un retino),<br />

in una cartografia <strong>del</strong> 1597<br />

(da G.L. LELLO, Historia <strong>del</strong>la Chiesa<br />

di Mon<strong>reale</strong>, Roma 1596, ristampa<br />

anastatica Bologna 1967). In<br />

basso. Il territorio <strong>del</strong>l'Arcivesco-<br />

vato di Mon<strong>reale</strong>, con i feudi ricadenti<br />

nella Valle <strong>del</strong>lo Jato,<br />

(evidenziati nella figura con un retino),<br />

in una cartografia di autore<br />

ed incisore ignoto <strong>del</strong> 1702 (da M.<br />

DEL GIUDICE, Notizie <strong>del</strong>lo stato antico<br />

e presente <strong>del</strong>le Possessioni e<br />

Diocesi <strong>del</strong>l'Arcivescovato di Mon<strong>reale</strong>,<br />

Palermo 1702).


Maria Rita Pizzurro<br />

Immerso in una folta vegetazione tipicamente mediterranea, a valle <strong>del</strong> monte Mirabella,<br />

il Mulino <strong>del</strong>la Chiusa, esistente dal 1702, è inserito, nell’omonimo ex feudo,<br />

insieme con la vicina masseria, trasformata recentemente in agriturismo. Resti di macchinari<br />

per la molitura <strong>del</strong> grano e una ruota ad acqua in robusta pietra sono i caratteristici<br />

segni residui <strong>del</strong>l’attività molitoria <strong>del</strong> manufatto rurale.<br />

Tracce di un condotto per il convogliamento <strong>del</strong>le acque fluviali consentono di collocare<br />

topograficamente il Mulino <strong>del</strong>la Provvidenza, non più esistente dal 1979. Inserito<br />

nell’ex feudo Dammusi, appartenne fino al 1767, come attestato dalle fonti documentarie,<br />

ai Gesuiti di Palermo.<br />

Il Mulino <strong>del</strong> Principe, inserito, insieme all’omonima masseria, nell’ex feudo Signora,<br />

deve la denominazione odierna a Giuseppe Beccatelli, principe di Campo<strong>reale</strong>. L’edificio<br />

di archeologia pre-industriale, con struttura a martello, si affaccia, dal lato porticato,<br />

sul fiume dal quale dista circa cinquanta metri. Cessate le attività produttive<br />

dalla metà <strong>del</strong> Novecento, il mulino è stato abbandonato. L’accesso al sito è oggi difficoltoso<br />

essendo pericolante e non più percorribile un ponte di ferro che consentiva<br />

l’attraversamento carrabile <strong>del</strong> fiume. Ancora visibili sono le mole per la produzione<br />

<strong>del</strong>la farina e un cilindro pulitore. Particolarmente scenografico è l’acquedotto ad arcate<br />

ogivali in conci di calcarenite che convogliava le acque sorgive, alimentate da un<br />

809<br />

3 Il sistema dei mulini ad acqua<br />

nella Valle <strong>del</strong>lo Jato (Pa). Mulini<br />

Giambascio, Jato, <strong>del</strong> Principe e<br />

<strong>del</strong>la Chiusa, immagini fotografiche<br />

e individuazione cartografica.<br />

3


4<br />

810<br />

Sistemi "produttivi" nel paesaggio rurale siciliano<br />

laghetto artificiale, in vasche di raccolta trapezoidali a triplice imbuto.<br />

Tra i resti <strong>del</strong> Mulino Jato, inserito nell’ex feudo Fellamonica, nei pressi <strong>del</strong>l’omonima<br />

masseria, inizialmente di proprietà <strong>del</strong>l’Arcidiocesi di Mon<strong>reale</strong>, spicca una solida<br />

torre cilindrica.<br />

Per quanto concerne il Mulino Giambascio, detto anche Quarto Mulino, inattivo dal<br />

1943, rimangono ancora, ma parzialmente in rovina, la botte di carico, il blocco rettangolare<br />

<strong>del</strong>l’edificio adibito alla molitura <strong>del</strong> grano con i resti dei due molitori, il<br />

locale adiacente per la produzione <strong>del</strong>la pasta e residui muri perimetrali di un deposito<br />

di materiali.<br />

L’itinerario culturale di conoscenza<br />

visualizza, in diversi<br />

stadi grafici di approfondimenti<br />

tematici,<br />

percorsi storici, tipologiche<br />

edilizie, soluzioni costruttive,<br />

meccanismi tecnologici<br />

di funzionamento <strong>del</strong>le<br />

strutture idrauliche esaminate,<br />

nell’intento di contribuire<br />

alla rifunzionalizzazione<br />

prevalentemente<br />

ecomuseale dei siti, emblematici<br />

<strong>del</strong> sistema economico<br />

siciliano.<br />

4 San Giuseppe Jato (Pa). Mulino<br />

<strong>del</strong> Principe, planimetria, piante,<br />

prospetto, sezioni e vista assonometrica.


Maria Rita Pizzurro<br />

Note<br />

1 H. BRESC, P. DI SALVO, Mulini ad acqua in Sicilia, Palermo 2001.<br />

2 Monte Jato, monte Pagnocco, monti Maya e Pelavet, monte la Pizzuta, creste Mirabella, pizzo<br />

Mirabella, monte Dammusi, monte Signora e monte <strong>del</strong>la Fiera.<br />

3 Abitata in epoca preistorica da popolazioni indigene -che hanno lasciato le loro tracce all’interno<br />

di grotte (si pensi, in particolare, alla grotta di Mirabella) e in numerose necropoli <strong>del</strong><br />

territorio- la Valle <strong>del</strong> fiume Jato fu amministrata, tra il X sec. a.C. ed il IV sec. a.C., da popolazioni<br />

elime, sicane e puniche (particolarmente interessante è, in questo periodo storico, la<br />

fondazione, sul monte Jato, <strong>del</strong>l’antica Jetas, città fortificata, posta in posizione elevata per dominare,<br />

da un versante, la Valle). Nel III secolo a.C., sotto il dominio di Roma, il paesaggio<br />

naturale si ricoprì di dorate distese di campi di grano. Ai romani seguì un breve periodo di dominazione<br />

bizantina di cui non si hanno notizie documentate. La presenza degli arabi -stanziatisi<br />

nel territorio <strong>del</strong>la Valle dall’827- è, invece, testimoniata dalle tracce di numerosi casali<br />

(Balat, Elcumeit, Licheni, Beluin, Salah, Rahaluta, Rahalgadid, Menselsarcun, etc.), e dal fiorire,<br />

nel territorio agrario, di nuove colture supportate da tecniche innovative di coltivazione e<br />

di irrigazione <strong>del</strong> suolo (A.I. LIMA, Atlante storico <strong>del</strong>le città italiane, Sicilia, Mon<strong>reale</strong>, Palermo<br />

1991, p. 11, p. 61). Alla fine <strong>del</strong> XII sec., l’intera Valle era inserita nella Magna Divisa Iati, che<br />

insieme con la Magna Divisa Corilionis e con Kalatatrasi formava il vasto territorio <strong>del</strong>l’Arcivescovato<br />

di Mon<strong>reale</strong>. In questo periodo, popolazioni di diverse etnie (cristiani, arabi, greci) risiedevano<br />

nei casali, nei castelli e nei borghi, aventi forme di matrice araba. Nel XIII secolo,<br />

sotto il regno di Federico II, si assistette a violenti scontri tra angioini, aragonesi, svevi, papato<br />

e baroni feudali per il possesso <strong>del</strong>le terre. Nei secoli successivi, la Valle, di proprietà <strong>del</strong>la diocesi<br />

di Mon<strong>reale</strong>, dovette affrontare alienazioni di feudi, epidemie di peste, saccheggi. Il paesaggio,<br />

particolarmente variegato, si presentava costellato da diverse masserie, molte <strong>del</strong>le quali<br />

edificate sui luoghi dei distrutti casali arabi. Nei pressi di tali architetture rurali -denominate<br />

frequentemente con i nomi dei feudi nei quali erano inserite- erano solitamente presenti, vigneti,<br />

giardini, pozzi e abbeveratoi. Le masserie più ricche di acque erano provviste di mulini<br />

(i due mulini <strong>del</strong>la Chiusa, il mulino <strong>del</strong>la Provvidenza, il mulino Fellamonica, il mulino Jato,<br />

il mulino Giambascio) e di cartiere (cartiera <strong>del</strong>la Chiusa); talvolta erano dotate anche di torre<br />

di avvistamento, come nel caso <strong>del</strong>la Torre Ferrara. Lontano dai grossi centri abitati di Mon<strong>reale</strong>,<br />

Partinico ed Alcamo, fino al 1700, il territorio era ancora poco industrializzato ed urbanizzato<br />

ed attraversato da poche strade e da tortuose mulattiere.<br />

811


812<br />

Bibliografia<br />

BRESCH H., DI SALVO P., Mulini ad acqua in Sicilia, Palermo 2001.<br />

Sistemi "produttivi" nel paesaggio rurale siciliano<br />

GAMBARDELLA C., a cura di, Le vie dei Mulini. Territorio ed Impresa, Napoli 2003.<br />

GIUFFRIDA A., Permanenza tecnologica ed espansione territoriale <strong>del</strong> mulino ad acqua siciliano (XVI-<br />

XVIII), in “Archivio Storico per la Sicilia orientale”, 1978, LXIX.<br />

LIMA A.I., Atlante storico <strong>del</strong>le città italiane, Sicilia, Mon<strong>reale</strong>, Palermo 1991.


CONOSCENZA È CREATIVITÀ<br />

di FRANCA RESTUCCIA, MARIATERESA GALIZIA, CETTINA SANTAGATI<br />

La creatività e la sua interazione con l'economia e la conoscenza<br />

di FRANCA RESTUCCIA<br />

Creatività, parola dalle tante sfaccettature che evoca pensieri di creazione, di energia<br />

vitale, di produzione, è un’azione con capacità di innovare e inventare operando<br />

in modo attivo su realtà preesistenti per farne sorgere di nuove e originali. È<br />

la “rigenerazione <strong>del</strong>le qualità” che nella progettazione urbanistica diventa capacità di<br />

sviluppo <strong>del</strong>la città attraverso l’elaborazione di piani d’internalizzazione (eventi culturali,<br />

sportivi, festival, Expo, mostre, distretti, multinazionali d’arte); di promozione<br />

<strong>del</strong>le tecnologie; di attrattività di investimenti strategici attuando soluzioni alimentate<br />

dal “talento dei luoghi”.<br />

Associata al progetto, attività nettamente di creazione, la creatività vista come declinazione<br />

<strong>del</strong>l’innovazione che immette nuova linfa dalle proprie radici, porta in chi<br />

opera nel campo <strong>del</strong> produrre, <strong>del</strong>la tutela e <strong>del</strong>la valorizzazione a una revisione degli<br />

strumenti cognitivi e interpretativi <strong>del</strong>la realtà mutevole. Una riflessione critica a<br />

funzione <strong>del</strong> progettista per attivare processi ricognitivi secondo rimodulate esigenze<br />

e forme di insediamento e nuove istanze di conservazione, di città policentriche disperse<br />

a rete, di nuove dinamiche sociali e interculturali. Affrontare cioè nuovi scenari<br />

che si vanno dispiegando nel mondo globale, avviando processi creativi di rigenerazione<br />

urbana, rivitalizzazione economica, etica sociale e di azioni progettuali efficaci<br />

sugli aspetti intangibili <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>la vita (offerte culturali, di tempo libero,<br />

di relazioni), nella declinazione <strong>del</strong>la triade progetto/città/creatività.<br />

L’attività d’analisi nella lettura <strong>del</strong>la città, <strong>del</strong> territorio, <strong>del</strong> paesaggio, che è azione i cui<br />

esiti divengono stimolo creativo, superando i tradizionali approcci valutativi, operando<br />

nella trasversalità dei processi di mutazione, diventa di fatto uno strumento virtuoso di<br />

conoscenza propedeutica al progetto, atto a produrre la modificazione e attivare strategie<br />

di promozioni dei luoghi, secondo i termini <strong>del</strong>la pianificazione urbana di “trasformazione<br />

creativa”, in grado di favorire le nuove attività economiche e sociali.<br />

È quella creatività che per Borges “nasce dalla memoria e dall’oblio”, dalla capacità<br />

di selezionare ciò che serve <strong>del</strong> <strong>reale</strong> e che l’oblio rende più sfumato e essenziale, in


814<br />

Conoscenza è creatività<br />

cui l’immaginazione e la fantasia producono innovazione senza trasformare, rigenerando<br />

senza stravolgimenti.<br />

È la metafora che rimanda alla qualità <strong>del</strong> progetto <strong>del</strong> nuovo o di interventi che nasce<br />

dal patrimonio di conoscenze, unitamente alla coerenza di azioni volte ad attività<br />

creative che consolidano in continuità i luoghi, che determinano nuove dinamiche urbane.<br />

Che stimola le idee adeguandole ai tempi che cambiano. A immaginare il futuro<br />

attraverso rinnovati strumenti che perseguono processi di trasformazione verso nuovi<br />

valori e multi identità urbane sempre in evoluzione, utilizzando il valore <strong>del</strong>le differenze,<br />

attenzionando quello <strong>del</strong>le preesistenze. Di “varietà senza perdere l’identità”, di “innovazione<br />

che non trasformi ma modifichi”. Verso cioè la declinazione di una nuova creatività<br />

capace di produrre effetti sostantivi sulla struttura urbana e sul progetto.<br />

Creatività, paradigma <strong>del</strong>la contemporaneità, generatrice di forme e relazioni nuove<br />

che, coniugate con lo sviluppo economico e il potenziamento <strong>del</strong>le attività culturali<br />

(moda design arte), diventa elemento propulsore per la rigenerazione <strong>del</strong>la città rendendola<br />

attrattiva e competitiva, contribuendo al benessere dei suoi cittadini rilanciando<br />

“economie creative”. Trasformando le risorse immateriali legate alla creatività<br />

in “risultati materiali nel dominio <strong>del</strong>la economia e <strong>del</strong>la qualità urbana”.<br />

Sono questi i termini <strong>del</strong>la “città creativa” e la conoscenza, quale acquisizione di consapevolezza<br />

che stimola processi di innovazione progettuale, è anch’essa un’azione creativa,<br />

con valenza di attrattore urbano e di sviluppo, di innesco per nuove economie.<br />

In questo scenario evolutivo, in questa dinamica di mutamento, di fatto, si è convinti<br />

come sia necessario il riconoscimento <strong>del</strong> ruolo primario <strong>del</strong>la conoscenza. Conoscenza<br />

che genera valore a partire dalle risorse tangibili e intangibili esistenti -fisiche,<br />

spaziali, architettoniche, sociali e relazionali- reinventandole e rimettendole in<br />

gioco creativamente, coniugando i valori <strong>del</strong>la storia e “le sorti progressive”.<br />

Creatività è infatti -l’andare oltre- di un processo di conoscenza per costruire il processo<br />

<strong>del</strong> mutamento, in riferimento allo spazio fisico, agli interventi alla scala architettonica,<br />

urbana e ambientale. Nel contempo è guardare -più indietro- nel radicato<br />

<strong>del</strong>l’identità per rintracciarne le matrici, per rendere operativa la regola e rinnovare<br />

con continuità. Valorizzare la tradizione vuol dire essere creativi nel presente.


Franca Restuccia, Mariateresa Galizia, Cettina Santagati<br />

Questa strategia di sviluppo con funzione rigeneratrice <strong>del</strong>l’identità dei luoghi ha le<br />

sue basi sul capitale umano di conoscenza: la “città <strong>del</strong>la conoscenza” ed i “progettisti<br />

analisti”, quale valore aggiunto.<br />

-Città creative- cioè, che nell’ottica <strong>del</strong>l’urbanistica contemporanea si propongono come<br />

laboratori di progettazione a partire dalle preesistenze con esiti di iniziative economiche,<br />

e uomini -creativi urbani- con conoscenze che declinano in nuovi obiettivi il valore<br />

<strong>del</strong>le risorse. Che sinergicamente rinnovano le identità di nuove geografie riproponendo<br />

il cambiamento nella continuità, la storia nel progetto, l’eredità culturale.<br />

Valore urbano e capitale umano, dunque, che portano a nuove idee, prodotti, servizi,<br />

indici di potenzialità trasformative che immessi nel circuito virtuoso <strong>del</strong>l’economia<br />

<strong>del</strong>la conoscenza contribuiscono tra radici e contemporaneità allo sviluppo economico<br />

e qualitativo <strong>del</strong>la città e <strong>del</strong> territorio; all’internalizzazione e all’attivazione <strong>del</strong><br />

processo di rigenerazione di nuove economie urbane. Che unitamente alle diverse culture,<br />

ai nuovi modi <strong>del</strong>l’abitare e nei termini <strong>del</strong>l’eco compatibilità e <strong>del</strong>l’impatto<br />

energetico sono in grado di generare valore e qualità nel formulare il progetto e il ridisegno<br />

<strong>del</strong>le città <strong>del</strong> futuro.<br />

Creatività tra radici e innovazione nel disegno urbano di Enna<br />

di MARIATERESA GALIZIA<br />

La creatività non sta nel trovare nuovi paesaggi,<br />

ma nell’avere occhi nuovi.<br />

Marcel Proust<br />

Ordine, chiarezza e razionalità sono le qualità che connotano la composizione architettonico-urbanistica<br />

<strong>del</strong>la piazza <strong>del</strong> Governo a Enna, uno spazio monumentale espressione<br />

<strong>del</strong> regime fascista in cui la creatività è intesa non solo come fatto progettuale<br />

istantaneo, dettato da ardore di sentimento, ma come azione innovativa che attinge<br />

nel radicato <strong>del</strong>l’identità storica per rintracciarne nessi, valori, matrici compositive.<br />

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1<br />

816<br />

Conoscenza è creatività<br />

Il progetto <strong>del</strong>la piazza, affidato nel 1935 all’architetto palermitano Salvatore Caronia<br />

Roberti, è un progetto <strong>del</strong> nuovo che nasce dalla conoscenza profonda dei luoghi e <strong>del</strong>l’Architettura,<br />

in cui il progettista reinterpreta la tradizione per costruire l’innovazione.<br />

Assecondando la naturale azione <strong>del</strong> nostro cervello che seleziona gli eventi, le informazioni,<br />

le esperienze, secondo un lavoro che comporta una cernita e quindi dimenticanza<br />

e cancellazione di ciò che non è utile, il Caronia utilizza la memoria <strong>del</strong><br />

passato come forza produttiva, capace di destare in ognuno di noi i ricordi necessari<br />

all’azione. Il suo progetto persegue l’intuizione immediata, simultanea e sintetica <strong>del</strong>lo<br />

schema logico aderente alla funzione, al fine di generare relazioni empatiche fondate<br />

sulla percezione e comunicazione di emozioni umane profonde, suscitate dalla creatività<br />

che “nasce dalla memoria e dall’oblio”, necessariamente complementari e connesse<br />

tra loro in un’azione costruttiva: è “l’invenzione <strong>del</strong> nuovo”.<br />

Il Caronia, di fatto, traduce pienamente la politica fascista di gerarchizzazione degli<br />

spazi, in cui la piazza si colloca al vertice <strong>del</strong>la struttura urbana e diventa scena <strong>del</strong><br />

potere politico, attingendo e reinterpretando il ruolo rappresentativo e di socializzazione<br />

<strong>del</strong>la piazza nel Medioevo e nel Rinascimento.<br />

Il progetto a scala urbana risponde a un processo di ammodernamento e di restyling di<br />

alcuni spazi urbani e di nuove strade a seguito <strong>del</strong> nuovo ruolo <strong>del</strong>la cittadina di Castrogiovanni<br />

a capoluogo di provincia 1 con l’antico nome di Enna.<br />

L’area interessata è un grande invaso rappresentativo <strong>del</strong> Regime degli anni ‘30, che doveva<br />

accogliere degnamente gli edifici pubblici sedi <strong>del</strong><br />

potere politico istituzionale ed economico-finanziario.<br />

Nella trama dei segni <strong>del</strong> tessuto storico urbano, tra le<br />

strette e irregolari strade medievali che si adagiano sul terreno<br />

fortemente scosceso, il Caronia interviene operando<br />

una nuova monumentalità novecentesca che connette spazi<br />

nuovi a vecchi, addizionando il centro storico di un nuovo<br />

luogo altamente rappresentativo che ruota intorno ad una<br />

piazza monumentale, in stretta competizione con i monumenti<br />

<strong>del</strong> passato sul piano <strong>del</strong>l’espressività.<br />

Tra elementi simbolici turriti attinti dall’architettura me-<br />

1 Mappa catastale <strong>del</strong>l'antica Castrogiovanni-1887.<br />

Nella mappa<br />

sono evidenziati l'invaso <strong>del</strong>la<br />

nuova piazza <strong>del</strong> Governo e le<br />

nuove architetture.


Franca Restuccia, Mariateresa Galizia, Cettina Santagati<br />

dievale e linee e volumi puri <strong>del</strong> contemporaneo razionalismo, in una sovrapposizione<br />

e reinterpretazione di stilemi il Caronia assurge a perfetto mediatore tra identità e innovazione,<br />

modificazione e trasformazione, classicismo e razionalismo. Egli progetta<br />

un moderno centro-città nei pressi <strong>del</strong>la centrale via Roma, in cui non media gli<br />

spazi storicizzati al nuovo intervento ma li collega, li raccorda, secondo un percorso<br />

logico-intuitivo, utilizzando e reinterpretando gli elementi storico-architettonici simbolici<br />

<strong>del</strong> luogo, che costituiscono il patrimonio di appartenenza culturale dei cittadini.<br />

Il progettista predispone un intervento urbanistico-ambientale nell’ampia area settentrionale<br />

in cui sorgeva il vecchio Ospedale Civico, uno spazio occupato da orti e<br />

vecchie case rurali, fortemente vincolato alle esigenze ambientali <strong>del</strong>la zona.<br />

L’impianto compositivo planimetrico è affidato al rigore geometrico, un grande vuoto<br />

urbano che non cancella e non devasta la memoria dei luoghi sventrando parti di storia<br />

<strong>del</strong>la città, come spesso si verifica all’epoca in altre parti d’Italia 2 , ma che di contro<br />

recupera, con la svettante torre <strong>del</strong> palazzo <strong>del</strong> Governo, lo storico profilo altimetrico<br />

<strong>del</strong>la parata di architetture monumentali prospicienti il versante settentrionale<br />

<strong>del</strong>la rupe da cui domina l’intera città di Enna.<br />

L’area interessata è infatti una vasta superficie che si affaccia<br />

sul ripido versante a nord un tempo controllato<br />

dalle compatte architetture difensive e dalle turrite emergenze<br />

<strong>del</strong> castello di Lombardia, <strong>del</strong>l’impianto <strong>del</strong><br />

Duomo, <strong>del</strong> fortificato palazzo Pollicarini e <strong>del</strong>la torre<br />

campanile <strong>del</strong>la chiesa di S. Francesco con l’adiacente<br />

palazzo Chiaramonte.<br />

Traendo spunto quindi dalle memorie passate il Caronia<br />

studia lo spazio urbano come una scatola architettonica<br />

che rappresenta e si rappresenta allo stesso tempo,<br />

all’interno <strong>del</strong>la quale sono messe in scena le imponenti<br />

e squadrate architetture al contorno, che ritagliano all’esterno<br />

lo spazio <strong>del</strong> progetto con una quinta scenica<br />

che mantiene intatto il dialogo con la monumentalità<br />

2 Decodificazione <strong>del</strong>la matrice<br />

geometrico-visuale <strong>del</strong> progetto<br />

<strong>del</strong>la piazza <strong>del</strong> Governo.<br />

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2


3<br />

4<br />

5<br />

818<br />

Conoscenza è creatività<br />

<strong>del</strong>le architetture medievali esistenti.<br />

Partendo dal riferimento costante alla classicità, alla misura greca <strong>del</strong>la perfezione, all’euritmie<br />

e simmetrie, a cui si ispirarono la gran parte dei progettisti che operarono<br />

in epoca fascista, il Caronia Roberti, progetta un impianto planimetrico dalla geometria<br />

trapezoidale i cui lati obliqui convergono prospetticamente sulla facciata <strong>del</strong><br />

palazzo <strong>del</strong> Governo, come la cinquecentesca piazza <strong>del</strong> Campidoglio disegnata da<br />

Michelangelo sulla geometria <strong>del</strong> trapezio che enfatizza la prospettiva verso il fuoco<br />

visivo costituito dal palazzo Senatorio.<br />

Inoltre il progettista per accentuare la visione scenografica sulla torre <strong>del</strong> palazzo <strong>del</strong><br />

Governo disegna, su un tracciato preesistente, secondo il gusto classico dei grandi rettifili,<br />

dei giardini all’italiana (Versailles, Stupinigi) che anticipano la sorpresa, la nuova<br />

via Maestro Chiaramonte (tangente al preesistente palazzo Geracello) in asse alla slanciata<br />

“torre”, simbolo sedimentato di autorità e di controllo<br />

nella storia di Enna.<br />

L’ampia cultura <strong>del</strong> progettista, allievo <strong>del</strong> palermitano<br />

Ernesto Basile, incaricato oltre che <strong>del</strong> piano urbanistico<br />

anche alla progettazione di due nuovi edifici -il palazzo<br />

<strong>del</strong> Governo e quello <strong>del</strong> Consiglio provinciale <strong>del</strong>le Corporazioni-<br />

che <strong>del</strong>ineano l’invaso-piazza, riesce con “occhi<br />

nuovi” a reinterpretare l’atmosfera <strong>del</strong> luogo, rileggendo<br />

in chiave moderna i principi e gli elementi compositivi<br />

che nei secoli hanno caratterizzato la città.<br />

In maniera colta il Caronia rimedita i mo<strong>del</strong>li <strong>del</strong> passato<br />

più adatti al senso attuale <strong>del</strong>l’ “ambientalismo come<br />

scopo <strong>del</strong>l’architettura, cioè dar voce in armonia con il<br />

genius loci alle esigenze <strong>del</strong>l’oggi”<br />

e rivisita il passato<br />

come “veicolo per raggiungere<br />

l’espressione personale”<br />

3 , reiterando e reinterpretando<br />

il mo<strong>del</strong>lo me-<br />

3 Prospettiva <strong>del</strong> Palazzo <strong>del</strong> Governo<br />

dalla via Maestro Chiaramonte<br />

(Fondazione S. Caronia Roberti,<br />

Palermo).<br />

4 Plastico degli edifici prospicienti<br />

la piazza <strong>del</strong> Governo ad<br />

Enna (Fondazione S. Caronia Roberti,<br />

Palermo).<br />

5 L'invaso monumentale <strong>del</strong>la<br />

piazza <strong>del</strong> Governo predomina sul<br />

tessuto storicizzato <strong>del</strong> centro urbano<br />

di Enna.


Franca Restuccia, Mariateresa Galizia, Cettina Santagati<br />

dievale degli elementi turriti locali, senza scadere in neologismi. Tra passato e presente,<br />

tra storia e contemporaneità, tra classicismo e razionalismo, infatti, ridisegna<br />

con creatività un tassello mancante <strong>del</strong>la storia di Enna che ripropone l’architettura<br />

razionale <strong>del</strong> tempo attingendo dalle matrici classiche locali, a memoria <strong>del</strong> suo ruolo<br />

di urbs inexpugnabilis.<br />

Un laboratorio di progettazione architettonica creativa a Enna<br />

La riorganizzazione <strong>del</strong>le circoscrizioni provinciali operata negli anni ‘20 <strong>del</strong> secolo<br />

scorso dal regime fascista assegna ad Enna il ruolo di capoluogo di provincia innescando<br />

così un processo virtuoso di trasformazione <strong>del</strong>la struttura economica, sociale<br />

e culturale <strong>del</strong>la cittadina, creando nuovi poli dirigenziali di riferimento a servizio <strong>del</strong><br />

nuovo livello provinciale.<br />

Il progetto <strong>del</strong> centro direzionale <strong>del</strong>la città ad opera <strong>del</strong>l’architetto Salvatore Caronia<br />

Roberti con la realizzazione <strong>del</strong>la Piazza <strong>del</strong> Governo e degli edifici su di essa prospicienti,<br />

rappresenta un’importante occasione di sperimentazione <strong>del</strong> “moderno” per<br />

i progettisti coinvolti che attingono, in alcuni casi felici, alle radici <strong>del</strong>la tradizione<br />

per rinnovare con continuità, attuando soluzioni alimentate dal “talento dei luoghi”.<br />

In questo contesto, il ruolo di regista e attore principale è svolto da Salvatore Caronia<br />

Roberti i cui progetti, per il Palazzo <strong>del</strong> Governo e<br />

il Palazzo <strong>del</strong> Consiglio Provinciale <strong>del</strong>l’Economia Corporativa,<br />

influenzano l’operato degli altri progettisti che<br />

operano sull’invaso <strong>del</strong>la piazza l’ingegnere Rocco Giglio<br />

6 Rendering degli edifici prospicienti<br />

la piazza: a sn il Palazzo <strong>del</strong><br />

Governo (1935-40, arch. S. Caronia),<br />

a ds il Palazzo <strong>del</strong>la Banca<br />

d'Italia (1935-39, ing. R. Giglio).<br />

di CETTINA SANTAGATI<br />

La memoria conta veramente per gli individui, la collettività, solo se tiene insieme<br />

l’impronta <strong>del</strong> passato e il progetto <strong>del</strong> futuro, se permette di fare<br />

senza dimenticare quel che si voleva fare, di diventare senza smettere di essere,<br />

di essere senza smettere di diventare.<br />

Italo Calvino<br />

819<br />

6


7<br />

820<br />

Conoscenza è creatività<br />

(Palazzo <strong>del</strong>la Banca d’Italia) e l’ingegnere Simone Di Stefano (restyling <strong>del</strong>la facciata<br />

<strong>del</strong> preesistente Palazzo Geracello).<br />

I due progetti <strong>del</strong> Caronia pur ideati nello stesso arco temporale manifestano le contraddizioni<br />

di un progettista, da un lato chiamato a dar espressione ad una ideologia<br />

di “regime” che negli edifici simbolo <strong>del</strong> potere fascista si manifesta secondo mo<strong>del</strong>li<br />

formali omologati e aderenti alla poetica piacentiniana (basti pensare alle assonanze<br />

tra il prospetto <strong>del</strong> Palazzo <strong>del</strong> Governo e le coeve realizzazioni nel resto d’Italia),<br />

mentre dall’altro c’è la volontà di esprimere la propria capacità creativa di abile innovatore<br />

attento nell’ambientazione <strong>del</strong>le proprie opere ai suggerimenti <strong>del</strong> locus.<br />

Nel progetto <strong>del</strong> Palazzo <strong>del</strong> Governo (oggi sede <strong>del</strong>la Prefettura e <strong>del</strong>la Provincia),<br />

posto sul lato settentrionale <strong>del</strong>la piazza quasi a difesa <strong>del</strong>l’abitato e in bella mostra<br />

con le aquile imperiali sulla vallata verso Calascibetta 4 , è evidente il richiamo stilistico<br />

e cromatico alla grandiosità e monumentalità <strong>del</strong>le costruzioni romane cui il Caronia<br />

sembra aderire in toto, reinterpretandole in chiave attuale e con riferimento agli<br />

elementi turriti, simboli sedimentati di controllo e autorità nel radicato storico ennese.<br />

La maestosa facciata <strong>del</strong> palazzo è caratterizzata da un alto basamento in marmo<br />

bianco destinato ad accogliere il piano rialzato, la parte superiore, conclusa da una<br />

bianca cornice, è invece rivestita con clinker simile al mattone a vista in cotto ed è<br />

scandita ritmicamente da un’alternanza di pieni e di vuoti. La prevalenza <strong>del</strong> ritmo<br />

orizzontale è ottenuta raggruppando “i vani allineati in verticale” 5 attraverso il sapiente<br />

utilizzo di pannelli<br />

in travertino, fissati alla parete<br />

con “borchie” déco,<br />

che per effetto figura<br />

sfondo vengono percepiti<br />

come una figura unitaria .<br />

Infine, la posizione assiale<br />

<strong>del</strong>la torre-campanile, simbolo<br />

<strong>del</strong> potere fascista, segna<br />

il centro <strong>del</strong>la compo-<br />

7 L'inaugurazione <strong>del</strong> Palazzo <strong>del</strong><br />

Governo a Littoria (Latina), 18 dicembre<br />

1932.


Franca Restuccia, Mariateresa Galizia, Cettina Santagati<br />

sizione conferendo così maggiore unitarietà e monumentalità all’insieme.<br />

L’utilizzo di materiali che non appartengono alla tradizione siciliana (clinker e pietra<br />

chiara) per quanto apprezzati dal progettista per gli effetti cromatici che riescono a<br />

conferire, “…un paramento così ritmato vibra sotto la luce con una vivacità che nessun<br />

violento colore potrà mai dare e, vibrando, anima la composizione assai meglio<br />

di una preziosa materia” 6 , verrà rinnegato negli anni <strong>del</strong>la maturità, come si evince<br />

dall’analisi <strong>del</strong> testo Introduzione allo studio <strong>del</strong>la Composizione Architettonica 7 in cui<br />

il Caronia trasmette il suo credo poetico ai giovani studenti <strong>del</strong>l’ateneo palermitano.<br />

Le cromie, i materiali, la composizione volumetrica e la scansione ritmica <strong>del</strong> Palazzo<br />

<strong>del</strong> Governo sono riprese dal l’ingegnere Rocco Giglio 8 , progettista <strong>del</strong> Palazzo <strong>del</strong>la<br />

Banca d’Italia posto sul lato orientale <strong>del</strong>la piazza e che a tutt’oggi fa da pendant all’adiacente<br />

Palazzo <strong>del</strong> Governo. Di fatto, l’ingegnere Giglio realizza un edificio caratterizzato<br />

da un alto basamento in marmo bianco (che accoglie gli uffici bancari) e,<br />

nella parte superiore, da un fondo uniforme di mattoni<br />

in cotto su cui si stagliano per contrasto i tagli netti <strong>del</strong>le<br />

aperture dei piani superiori, legate in unico sintagma architettonico<br />

dalle bianche cornici che le <strong>del</strong>imitano. La<br />

simmetria <strong>del</strong> fronte sulla piazza è accentuata anch’essa<br />

dall’aggettante torre <strong>del</strong> corpo scala rivestito in marmo.<br />

Anche l’ingegnere Simone Di Stefano, chiamato a dare una<br />

nuova facies al preesistente Palazzo Geracello resasi necessaria<br />

a seguito <strong>del</strong> “taglio” <strong>del</strong> fronte <strong>del</strong> palazzo sulla realizzanda<br />

piazza, confrontandosi con il genio creativo <strong>del</strong> Caronia ne<br />

subisce l’influenza e raggruppa verticalmente le aperture degli<br />

ultimi due piani in un’unità, legandole insieme con una cornice<br />

fissata idealmente alla parete con “borchie” dèco.<br />

Se il progetto <strong>del</strong> Palazzo <strong>del</strong> Governo è saldamente ancorato<br />

alla poetica piacentiniana, di ben più ampio respiro<br />

è il progetto per il Palazzo <strong>del</strong> Consiglio Provinciale<br />

<strong>del</strong>l’Economia Corporativa (oggi Camera di Com-<br />

8 Disegno di progetto <strong>del</strong> Palazzo<br />

<strong>del</strong> Consiglio Provinciale <strong>del</strong>l'Economia<br />

Corporativa (Archivio Fondazione<br />

S. Caronia Roberti, Palermo).<br />

9 Rendering degli edifici prospicienti<br />

la piazza: a sn il Palazzo<br />

Geracello, a ds il Palazzo <strong>del</strong> Consiglio<br />

Provinciale <strong>del</strong>l'Economia<br />

Corporativa (1936-40, arch. S. Caronia<br />

Roberti).<br />

821<br />

8<br />

9


822<br />

Conoscenza è creatività<br />

mercio), posto sul lato meridionale <strong>del</strong>la piazza e adiacente al preesistente palazzo<br />

I.N.C.I.S., posto lungo il margine occidentale <strong>del</strong>la piazza.<br />

Nell’ideazione di questa architettura il Caronia sente nel suo animo la “speciale storicità<br />

<strong>del</strong>l’ambiente” ennese e, ispirandosi alle tradizioni costruttive locali, utilizza materiali<br />

e cromie quali la pietra lavica di Catania, la pietra Sabucina di Caltanissetta e<br />

la pietra Billiemi di Trapani inserendo così la sua opera armonicamente rispetto alle<br />

preesistenze, in continuità innovativa.<br />

L’edificio, un puro ed essenziale volume geometrico in cui la plasticità tridimensionale<br />

<strong>del</strong>le forme è ottenuta per sottrazione, è l’applicazione concreta <strong>del</strong>l’ideale astratto<br />

di classicità, di assoluto, di proporzioni, di matematica e di spirito greco che nobilita<br />

con “l’indefinibile e astratta perfezione <strong>del</strong> puro ritmo, la semplice costruttività che<br />

da sola non sarebbe bellezza” 9 avvicinandosi così, più degli altri edifici da lui progettati,<br />

a “quell’ideale di perfezione metafisica” 10 cui il Caronia aspirava.<br />

Il perfetto dado di pietra è ritmato armonicamente da un’alternanza di pieni e di<br />

vuoti, secondo una sequenza esastila di semicolonne lungo il prospetto principale e<br />

di paraste nei prospetti laterali, il netto taglio orizzontale che segna il volume in prossimità<br />

<strong>del</strong>la sua conclusione risolve egregiamente il coronamento al cielo <strong>del</strong>l’edificio,<br />

rendendo così superflua la presenza di un cornicione marcapiano che avrebbe compromesso<br />

l’unitaria percezione tridimensionale <strong>del</strong>l’insieme.<br />

“Nella logica <strong>del</strong>l’eterno presente è questa, probabilmente, la migliore opera di Caronia,<br />

nella sua coraggiosa intenzione di raggiungere valori assoluti, atemporali, ma ambientati<br />

nella storia attualizzata <strong>del</strong>la sicilianità” 11 operando attivamente su una realtà<br />

esistente e rigenerandone le qualità, e offrendo così ai posteri gli esiti di una valida<br />

sperimentazione progettuale.<br />

La piazza così conclusa e definita costituisce, di fatto, nella sua unitarietà e omogeneità<br />

un <strong>reale</strong> laboratorio progettuale innovativo che, da elementi e nessi noti, rigenera<br />

nuovi sistemi di valori, nuove identità fecondate con continuità creatrice, nuove<br />

forme di qualità che valorizzano il luogo.


Franca Restuccia, Mariateresa Galizia, Cettina Santagati<br />

Note<br />

1 Il 6.12.1926 il Consiglio dei Ministri, su proposta di Benito Mussolini, eleva la città a capoluogo<br />

di provincia, a sfavore <strong>del</strong>la vicina Piazza Armerina (già sede di sottoprefettura e città capoluogo<br />

di circondario), considerata sovversiva per la presenza <strong>del</strong> vescovo Sturzo oppositore<br />

<strong>del</strong> regime insieme al fratello Luigi, fondatore <strong>del</strong> Partito Popolare. Il 27.10.1927 la città di<br />

Castrogiovanni riprende, con Regio Decreto, ope legis l’antico nome di Enna.<br />

2 Lo spazio urbano <strong>del</strong>la piazza richiama il progetto <strong>del</strong>la piazza <strong>del</strong>la Vittoria a Brescia, costruita<br />

fra il 1927 e il 1932 su progetto <strong>del</strong>l’architetto Marcello Piacentini attraverso la demolizione di<br />

una parte <strong>del</strong> centro storico medievale. il quartiere <strong>del</strong>le Pescherie, lembo meridionale <strong>del</strong> quartiere<br />

<strong>del</strong> Carmine che versava in pessime condizioni ambientali, sociali e igienico-sanitarie.<br />

3 Cfr. M. C. RUGGIERI TRICOLI, Salvatore Caronia Roberti, Grifo, Palermo 1987.<br />

4 Cfr. A. SPOSITO, Demetra ennese e i fasci littori, in “Aghaton”, n. 2, Palermo 2008, pp. 9-16.<br />

5 S. CARONIA ROBERTI, Indroduzione allo studio <strong>del</strong>la Composizione Architettonica, Edizioni Pan-<br />

tea, Palermo 1947 p. 145.<br />

6 Ivi, p. 13.<br />

7 “da pochi anni è sorto a Palermo […] un edificio in travertino con fondi in mattoni di cotto;<br />

le linee sono corrette, ma la stridente nota cromatica presenta l’insieme come qualcosa di spaesato,<br />

e vien di pensare che il suo autore sia stato un architetto romano che abbia <strong>del</strong> tutto trascurato<br />

l’ambientamento <strong>del</strong>la sua opera”, ivi, p. 181.<br />

8 L’ingegnere Rocco Giglio fa parte <strong>del</strong>l’Ufficio Tecnico <strong>del</strong>la Banca d’Italia e viene chiamato a<br />

realizzare diverse sedi.<br />

9 Gruppo 7, Architettura, in “Rassegna Italiana”, IX, serie II, n. 103, dicembre 1926, pp. 852-<br />

853.<br />

10 M. C. RUGGIERI TRICOLI, op. cit., Palermo 1987, p. 78.<br />

11 Ivi, p. 80.<br />

823


824<br />

Bibliografia<br />

AA.VV., Vocabolario <strong>del</strong>la Lingua Italiana, Istituto <strong>del</strong>la Enciclopedia Treccani, Milano 1986, p.1030.<br />

DI NUCCI L., Fascismo e spazio urbano, Il Mulino, Bologna 1992.<br />

DUFOUR L., Nel segno <strong>del</strong> Littorio, Città e campagne siciliane nel ventennio, Edizioni Lussografica,<br />

Caltanissetta, 2005.<br />

MAGGIO F., Analisi grafica di un’opera di Salvatore Caronia Roberti Palazzo Rindone a Catania,<br />

“Ikhnos”, Lombardi editore, Siracusa 2006.<br />

PAGNANO G., Presentazione, “Ikhnos”, n. 1, Lombardi editore, Siracusa 2003.<br />

RUGGIERI TRICOLI M. C., Salvatore Caronia Roberti, Grifo, Palermo1987.<br />

SEVERINO C., Enna la città al centro, Gangemi Editore, Roma 1996.<br />

SPOSITO A., Demetra ennese e i fasci littori, in “Aghaton”, n. 2, Palermo 2008.<br />

Conoscenza è creatività


ANALISI GRAFICO-VISUALI DELLE TRASFORMAZIONI URBANISTICHE<br />

DELL'AREA DI PORTA NAPOLI A TARANTO<br />

di GABRIELE ROSSI, MASSIMO LESERRI<br />

Coniugare quanto c’è di storiografico, di grafico e di metrico può produrre interessanti<br />

risultati soprattutto se ci si avvale di strumenti efficaci quali le tecniche di<br />

analisi grafica, di ricostruzione grafica, di mo<strong>del</strong>lazione architettonica, o come in questo<br />

caso, urbana. Si sperimenta qui una metodologia di indagine che integra documenti<br />

scritti, iconografici e dei dati desunti dal rilievo; gli strumenti di indagine propri <strong>del</strong>lo<br />

storico <strong>del</strong>la città integrati a quelli di analisi e di rappresentazione <strong>del</strong>l’architetto.<br />

Oggetto <strong>del</strong>la ricerca è l’area urbana sviluppatasi a oltre<br />

il ponte di Porta Napoli a Taranto di forma triangolare<br />

<strong>del</strong>imitata a nord dalla linea ferroviaria, ad est da Mar<br />

Piccolo e a sud da Mar Grande1 .<br />

La città antica di Taranto sorge infatti su una lingua di<br />

terra tra due mari, quello esterno Mar Grande è <strong>del</strong>imitato<br />

dalle Isole Cheradi e si congiunge con quello interno<br />

Mar Piccolo mediante due canali, uno naturale ad<br />

occidente e uno artificiale ad oriente in direzione di Lecce.<br />

Il primo è attraversato dal ponte di Porta Napoli, l’altro<br />

è solcato dal ponte girevole.<br />

Una porzione di terra, quella <strong>del</strong> nucleo antico, attualmente<br />

isolata dalla terraferma ma originariamente ad essa<br />

congiunta. La città moderna si è sviluppata sulle due<br />

porzioni di terra ferma a ridosso <strong>del</strong>l’isola; sono così sorti<br />

il borgo orientale fuori Porta Lecce e quello occidentale<br />

fuori Porta Napoli.<br />

Il primo si è sviluppato in maniera sproporzionata contribuendo<br />

a spostare il baricentro <strong>del</strong>la città ed in esso hanno<br />

trovato collocazione le principali istituzioni cittadine.<br />

Il secondo è stato invece a lungo trascurato dagli strumenti<br />

pianificatori divenendo, a causa <strong>del</strong>la sua marginalità, luogo<br />

in cui insediare le principali attività industriali e produttive<br />

che hanno contribuito a degradarla ulteriormente.<br />

1 Foto area <strong>del</strong>l'area di studio.<br />

2 "Piano Generale <strong>del</strong>la città. Rilevato<br />

nel periodo decorso tra il<br />

1806 e il 1820".<br />

1<br />

2


826<br />

Analisi grafico-visuali <strong>del</strong>le trasformazioni urbanistiche <strong>del</strong>l'area di Porta Napoli a Taranto<br />

Approccio metodologico<br />

Si è pertanto proceduto ripercorrendo a ritroso le trasformazioni urbane dall’inizio<br />

‘800 sino ai giorni nostri individuando una serie di momenti significativi di sviluppo<br />

<strong>del</strong>la porzione urbana in oggetto.<br />

Sono stati, secondo questa logica, raccolti tutta una serie di documenti grafici e iconografici<br />

costituiti dal repertorio di vedute e rappresentazione <strong>del</strong>la città 2 , dal corpus<br />

di immagini fotografiche 3 (in parte già pubblicato ed in parte reperito presso gli archivi<br />

privati di vecchi fotografi) e dal fondo di documenti/elaborati grafici relativo<br />

alle vicende <strong>del</strong>la città conservati presso l’Archivio di Stato di Taranto e l’Archivio<br />

Storico Comunale 4 .<br />

Questi documenti, di natura diversa spesso non confrontabili tra loro, sono stati successivamente<br />

schedati ed ordinati cronologicamente cominciando da quelli di data<br />

nota, per procedere successivamente a collocare anche quelli privi di riferimenti cronologici.<br />

Per far questo si è analizzata la configurazione spaziale/formale di ogni singola<br />

immagine, riuscendo a collocarla ante quem o post quem quelle di cui si conosce<br />

la datazione. Attraverso una datazione indiretta sulla base dei soggetti e degli oggetti<br />

rappresentati sono stati ordinati strati di immagini 5 <strong>del</strong>l’area riuscendo a prefigurare<br />

le corrispondenti configurazioni <strong>del</strong>lo spazio.<br />

Tale operazione si può paragonare a quella <strong>del</strong>l’archeologo, in quanto ha richiesto anch’essa<br />

uno scavo stratigrafico, ovviamente non nei luoghi effettivi ma nel terreno metaforico<br />

<strong>del</strong>le immagini che le diverse configurazioni urbane e gli edifici hanno provocato<br />

con la loro presenza 6 .<br />

Il processo di ricostruzione in senso contrario al normale susseguirsi degli eventi prende<br />

avvio dalla attuale configurazione e si ferma a inizio Ottocento.<br />

È bene tuttavia cogliere i limiti di tale operazione; le rappresentazioni ricostruttive si<br />

devono intendere infatti come esplorazioni di mondi possibili poiché non potremo<br />

mai conoscere completamente ciò che non è più oggettivamente presente, ed è proprio<br />

perciò che queste rappresentazioni non potranno mai essere definitive, anzi il<br />

loro pregio sta proprio nel carattere di ipotesi da sottoporre ad aggiornamento a se-


Gabriele Rossi, Massimo Leserri<br />

guito di nuove conoscenze ed a modifiche conseguenti all’approfondimento <strong>del</strong>l’analisi<br />

e <strong>del</strong>le teorie di interpretazione.<br />

I confini tra una interpretazione sana ed una sovrainterpretazione risultano spesso<br />

molto labili, non è facile cogliere la differenza tra ricostruzioni grafiche guidate da rigorosità<br />

scientifica e quelle caratterizzate da forte espressività. È proprio per l’assenza<br />

di tali confini che l’operazione ricostruttiva, tendenzialmente collocata in ambito scientifico,<br />

è attratta in quello artistico, restando in definitiva una pratica, che si è consolidata<br />

nell’uso senza assumere mai forme precise e codificate 7 .<br />

Il processo di ricostruzione in senso contrario al normale susseguirsi degli eventi prende<br />

avvio dalla attuale configurazione di questa porzione urbana, desunta sulla base <strong>del</strong><br />

rilievo aereofotogrammetrico e dei nuovi dati di rilievo acquisiti, e si ferma a inizio<br />

Ottocento.<br />

La ricerca, infatti, evidenzia un progressivo rarefarsi <strong>del</strong>la documentazione nella misura<br />

in cui si retrocede nel tempo; da qui la scelta di limitare a questa data l’indagine<br />

a ritroso.<br />

La configurazione ottocentesca cui si giunge è oltretutto, per il nucleo originario <strong>del</strong>l’abitato<br />

sull’isola, la fase conclusiva di un lento processo di trasformazioni che va dal<br />

Medioevo alla seconda metà <strong>del</strong> Cinquecento; per l’area sulla terra ferma <strong>del</strong> Borgo<br />

di Porta Napoli è l’inizio di un attività edificatoria che trova il suo culmine negli interventi<br />

<strong>del</strong> regime fascista e successivamente nell’espansione edilizia oltre la linea ferroviaria<br />

<strong>del</strong> Quartiere Tamburi in epoca più recente.<br />

La documentazione analizzata individua una molteplicità di fasi ed una successiva valutazione<br />

<strong>del</strong>le più significative trasformazioni <strong>del</strong>l’area consente di individuare le fasi<br />

ritenute più rappresentative. Procedendo in ordine cronologico inverso si individuano<br />

così sette fasi.<br />

La prima fase è la configurazione spaziale di fine Settecento, poi quella <strong>del</strong>la nascita<br />

<strong>del</strong> Regno d’Italia e successivamente quella compresa tra il 1883 ed il 1885 immediatamente<br />

successiva all’alluvione, al crollo <strong>del</strong> vecchio ponte ed alla completa scomparsa<br />

<strong>del</strong> sistema <strong>del</strong>le fortificazione <strong>del</strong>la città vecchia. Si giunge poi agli anni a cavallo<br />

<strong>del</strong> 1900 fase in cui sono condensate le trasformazioni <strong>del</strong>l’ultimo quindicen-<br />

827


3<br />

828<br />

Il valore documentario <strong>del</strong> materiale<br />

iconografico consultato è da considerarsi<br />

in relazione al loro grado di<br />

iconicità, cioè in funzione <strong>del</strong>la maggiore<br />

o minore verosimiglianza <strong>del</strong>l'immagine<br />

rappresentata rispetto al<br />

<strong>reale</strong> denotato. L'immagine ricavata<br />

dalla foto d'epoca ha pertanto il<br />

grado maggiore di iconicità e costi-<br />

tuisce documento di grande attendibilità<br />

in quanto traccia <strong>del</strong>la luce lasciata<br />

sulla pellicola e memoria di<br />

qualcosa che esisteva e che ora non<br />

c'è più.<br />

In alcuni casi le informazioni deducibili<br />

da tale materiale risultano ambigue<br />

o addirittura in alcuni casi contraddittorie.<br />

Si rende necessario in<br />

Analisi grafico-visuali <strong>del</strong>le trasformazioni urbanistiche <strong>del</strong>l'area di Porta Napoli a Taranto<br />

questi casi valutare le diverse soluzioni<br />

possibili e scegliere quella che<br />

si ritiene più coerente sulla base anche<br />

di una valutazione <strong>del</strong>l'attendibilità/qualità<br />

stessa <strong>del</strong> materiale<br />

iconografico.<br />

Si propone, a fine esemplificativo, il<br />

caso <strong>del</strong>l'originario ponte di Porta Napoli,<br />

ubicato in posizione diversa ri-<br />

spetto a quello attuale.<br />

Il ponte compare in numerose rappresentazioni<br />

sia di natura planimetria<br />

che in vedute, si è proceduto pertanto<br />

col mettere a confronto le diverse<br />

immagini <strong>del</strong> ponte riportate<br />

nel materiale iconografico.


Gabriele Rossi, Massimo Leserri<br />

nio <strong>del</strong> secolo, certamente meno significative rispetto a quelle <strong>del</strong> periodo compreso<br />

tra gli inizi e la fine degli anni ‘30, fase quest’ultima senza alcun dubbio che ha maggiormente<br />

contribuito a modificare l’assetto urbano <strong>del</strong> borgo ed in cui si collocano<br />

tutti gli interventi <strong>del</strong> regime fascista. Si conclude con la fase compresa tra gli anni<br />

‘60 e ‘70 <strong>del</strong>la più recente edilizia ed infine con lo stato attuale con la costruzione<br />

<strong>del</strong>la sopraelevata e la demolizione <strong>del</strong>le ingombrati palazzine <strong>del</strong>l’IACP.<br />

Le principali trasformazioni <strong>del</strong>l’area<br />

L’abitato medioevale di Taranto si sviluppa interamente su quella lingua di terra staccata<br />

dalla terraferma a costituire un isola che divide i due specchi d’acqua di Mar Piccolo<br />

e Mar Grande.<br />

Nella seconda metà <strong>del</strong> ‘500 si allarga e approfondisce il fossato <strong>del</strong> castello al fine<br />

di renderlo navigabile e si crea una batteria avanzata sulla terra ferma.<br />

Lo sviluppo urbano <strong>del</strong>la città sino alla fine <strong>del</strong> ‘700 coincide con quello medioevale/rinascimentale.<br />

Con la Restaurazione e lo spegnersi degli interessi mediterranei, la riduzione di Taranto<br />

da “piazza di guerra” a “piazza di seconda classe” non giustifica più la militarizzazione<br />

di tutta la rada e sembrerebbe finalmente potersi avviare l’espansione <strong>del</strong>la<br />

città contenuta sino a quel momento nei limiti <strong>del</strong> borgo antico 8 .<br />

Questo non avviene per i problemi di natura strategica, militare ed economica e l’espansione<br />

viene ulteriormente rinviata 9 .<br />

Con il trascorrere degli anni, con l’aumento <strong>del</strong>la popolazione e le cattive condizioni<br />

igienico-sanitarie, la necessità di espansione <strong>del</strong>la città sulla terra ferma diventa più<br />

pressante, ma si dovrà attendere il progetto redatto dall’architetto Conversano incaricato<br />

direttamente dal Sottintendente, per porre fine a quasi un ventennio di tentativi<br />

non andati in porto 10 .<br />

Con l’Unità d’Italia è presentata al nuovo Governo una richiesta di sistemazione urbana;<br />

ma si dovrà aspettare la nuova rielaborazione <strong>del</strong>l’architetto Conversano adottata<br />

l’8 luglio 1865 che risolve le incertezze <strong>del</strong>la precedente proposta 11 .<br />

829


830<br />

Analisi grafico-visuali <strong>del</strong>le trasformazioni urbanistiche <strong>del</strong>l'area di Porta Napoli a Taranto<br />

Rimane tuttavia sospesa la definizione <strong>del</strong> nuovo sobborgo di Porta Napoli che, secondo<br />

le previsioni iniziali, deve insediare un numero di residenti maggiore rispetto<br />

al borgo orientale di Porta Lecce.<br />

Il ritardo però nella definizione <strong>del</strong>l’area è determinato dall’indugio nell’individuazione<br />

<strong>del</strong>la sede ferroviaria e <strong>del</strong>la conseguente ubicazione <strong>del</strong>la stazione.<br />

In realtà nell’area esiste già, attestata sin dai primi anni ‘60, la linea ferroviaria Calabro-Sicula<br />

la cui stazione di testa è collocata in prossimità <strong>del</strong>l’attuale Chiesa di Santa<br />

Maria di Costantinopoli. L’antica chiesetta è invece ubicata alcune decine di metri<br />

più a nord, spostata poi per l’espansione <strong>del</strong>la nuova stazione 12 .<br />

Nel 1867 Taranto non ha ancora la nuova stazione; dopo due anni transita il primo<br />

convoglio, per la stazione si dovrà attendere ancora un decennio 13 .<br />

Al ritardo nel definire il nuovo borgo di Porta Napoli contribuiscono le condizioni<br />

igieniche e geologiche <strong>del</strong> suolo 14 che rinviano lo sviluppo di quello che doveva essere<br />

il più popoloso borgo. Ritardo che diventa incolmabile con la costruzione <strong>del</strong>l’Arsenale<br />

Militare Marittimo nel borgo orientale di Porta Lecce tra il 1869 e il 1883<br />

che diviene polo di gravitazione di tutta una serie di attività ad esso collegate, centro<br />

di attrazione residenziale e quindi, di sviluppo edilizio 15 . Di questi stessi anni è l’intervento<br />

per il canale navigabile e la costruzione <strong>del</strong> ponte girevole 16 .<br />

Il fervore che caratterizza il borgo orientale pone in secondo piano quello occidentale<br />

il cui sviluppo finisce con diventare secondario e marginale.<br />

Negli stessi anni si cerca di affrancare Taranto dalle “servitù militari”, si dovrà attendere<br />

il Reale Decreto <strong>del</strong> 1 settembre 1865 con cui il governo scioglie e libera la città<br />

dall’antica cerchia di mura.<br />

I lavori di demolizione <strong>del</strong> sistema difensivo rinascimentale procedono lentamente per<br />

risorse economiche quasi <strong>del</strong> tutto assorbite dalle esigenze <strong>del</strong> nuovo borgo.<br />

Crolla intanto a seguito di un alluvione nel 1883 il vecchio ponte di Porta Napoli e<br />

per alcuni anni viene sostituito da un struttura provvisoria in legno. Si prefigura già in<br />

questi anni l’idea di un asse prospettico che colleghi l’antico borgo con la nuova stazione<br />

ferroviaria, ma si dovrà attendere gli anni ‘30 per vedere attuata tale proposta.<br />

Del 1893 è il piano Galeone che conferma le linee <strong>del</strong> Piano Conversano e rilancia<br />

4 Vista assonometrica occidentale<br />

in sequenza 1800, 1860, 1885,<br />

1900.<br />

5 Vista assonometrica occidentale<br />

in sequenza 1900, 1930/40,<br />

1960 e stato attuale.


Gabriele Rossi, Massimo Leserri<br />

l’espansione <strong>del</strong> quartiere di Porta Napoli ubicato altre la ferrovia 17 . Il piano tarda ad<br />

essere approvato fino al nuovo elaborato <strong>del</strong> 1899 che cancella le previsioni di espansione<br />

per il borgo occidentale 18 .<br />

Del 1897 è il “Progetto di massima dei lavori da eseguirsi in diversi periodi di tempo<br />

per la costruzione di un porto mercantile in Taranto” sulla cui base nei primi anni <strong>del</strong><br />

‘900 è realizzato l’imponente molo di ponente.<br />

Del 1915 è il “Progetto di costruzione <strong>del</strong> rettifilo dal Ponte in muratura a Porta Napoli<br />

alla Stazione Ferroviaria” che intende attuare una proposta di fine Ottocento, secondo<br />

la quale si intende ricostruire il ponte di Porta Napoli ed allo stesso tempo eliminare<br />

e sistemare l’accesso alla stazione ferroviaria il cui andamento risultava “tortuoso<br />

ed irregolare, per la indisciplinata disposizione <strong>del</strong>le costruzioni esistenti, alcune provvisorie,<br />

altre antichissime, offre a chi giunge alla Stazione ferroviaria uno spettacolo poco<br />

831<br />

4-5


832<br />

Analisi grafico-visuali <strong>del</strong>le trasformazioni urbanistiche <strong>del</strong>l'area di Porta Napoli a Taranto<br />

edificante tanto per quanto riguarda la sicurezza <strong>del</strong> traffico quanto per ciò che si riferisce<br />

all’estetica ed al decoro <strong>del</strong>la città” 19 .<br />

Per l’attuazione complessiva <strong>del</strong>l’intervento si giunge alla fine degli anni ‘30 quando,<br />

con una serie di interventi si giunge alla configurazione attuale di questo importante<br />

asse di percorrenza <strong>del</strong> borgo occidentale 20 .<br />

Nel frattempo, nel 1921, si incarica l’urbanista Giulio Tian <strong>del</strong>la redazione <strong>del</strong> nuovo<br />

piano regolatore che, anche se non adottato, influenza le scelte pianificatorie successive.<br />

Anche nel piano Tian il borgo occidentale è messo in secondo piano e trascurato 21 .<br />

Per soddisfare l’esigenza di nuovi alloggi e porre fine alla crisi edilizia <strong>del</strong> primo dopoguerra<br />

si istituisce l’Ente consortile autonomo per la costruzione e l’amministrazione di<br />

case popolari; questo redige un programma di sviluppo di edilizia popolare che si configura<br />

come intervento di sventramento e di risanamento <strong>del</strong> centro storico 22 .<br />

Tale intervento prende avvio nel 1934 23 ; sono invece successivi di alcuni anni gli interventi<br />

sempre di edilizia popolare con la realizzazione di enormi volumi residenziali<br />

in prossimità <strong>del</strong> ponte di Porta Napoli. Questi edifici sono demoliti negli anni ottanti<br />

per volontà <strong>del</strong>l’Amministrazione Comunale a causa <strong>del</strong>le pessime condizioni<br />

igienica e strutturale.<br />

La realizzazione <strong>del</strong>la strada sopraelevata che oltrepassa la ferrovia è in qualche modo<br />

collegata alla Variante <strong>del</strong> Piano Regolatore Generale redatta dall’arch. Barbin e l’ing.<br />

Vinciguerra. Detta pianificazione prevedeva la realizzazione di una strada che, attraverso<br />

un secondo ponte vicino a quello di Porta Napoli, consenta alla viabilità proveniente<br />

dalla città vecchia di evitare l’attraversamento <strong>del</strong> borgo.


Gabriele Rossi, Massimo Leserri<br />

Note<br />

1 Questo contributo è risultato parziale di una ricerca condotta nell’ambito <strong>del</strong> Prize New EPOCs<br />

(reNEWing Economic prosperity for POrt Cities) con obiettivo la conservazione <strong>del</strong> patrimonio<br />

e <strong>del</strong>l’identità culturale <strong>del</strong>l’area portuale di Taranto.<br />

2 CARLONE G., BLASI O., La Provincia di Taranto. Atlante storico <strong>del</strong>la Puglia, vol. 3, Cavallino<br />

(LE) 1987; Il Castello di Taranto. Immagini e Progetto. Mostra documentaria promossa in occasione<br />

<strong>del</strong> quinto centenario <strong>del</strong>la ricostruzione aragonese <strong>del</strong> Castello di Taranto, Taranto, Castello<br />

Aragonese, 28 nov. - 18 dic.. Galatina (LE) 1992; in MARIO CONGEDO, a cura di, Puglia Romantica,<br />

Lecce 2005.<br />

3 Ci si riferisce al volume di COFANO R., Saluti da Taranto, Taranto 2003.<br />

4 Si coglie l’occasione per ringraziare la Dott.ssa Chirico <strong>del</strong>l’Archivio di Stato di Taranto e la<br />

Dott.ssa Fornaro <strong>del</strong>l’Archivio Storico Comunale di Taranto.<br />

5 AMBROSI A., L’architettura nel suo statuto di rappresentazione, in P. PELLEGRINO, a cura di,L’arte<br />

e le arti, Lecce 1996, p. 12.<br />

6 G. ROSSI, Piazza dei Mercadanti a Lecce. Indagini grafico-visuali sulle trasformazioni urbanistiche<br />

di Piazza Sant’Oronzo, Lecce 2003.<br />

7 AMBROSI A., Il rilievo come ricostruzione ideale, in “XY - dimensioni <strong>del</strong> disegno”, anno V, n.<br />

12-13, p. 96.<br />

8 PORSIA F., SCIONTI, M., Taranto, Op. cit., p. 81. Sembrerebbe anche che con la riduzione <strong>del</strong>la<br />

piazza di Taranto a “piazza di seconda classe” gli interventi promossi dal Governo si limitassero<br />

alla semplice difesa <strong>del</strong>le mura, con il restauro <strong>del</strong> castello, dei terrapieni <strong>del</strong>l’avanzata, <strong>del</strong>le<br />

porte di accesso alla città, Porta Napoli e Porta Lecce, e la regolazione degli orari di apertura<br />

<strong>del</strong>le stesse porte.<br />

9 PORSIA F., SCIONTI, M., Taranto, Op. cit., p. 97. Del 1817 è la proposta di Giovanni Bois per<br />

un nuovo sistema di fortificazioni <strong>del</strong>la rada che prevedeva l’ampliamento <strong>del</strong> borgo antico ad<br />

oriente ed occidente protetti da un sistema di terrapieni e di fortificazioni.<br />

10 PORSIA F., SCIONTI, M., Taranto, Op. cit., p. 99.<br />

11 PORSIA F., SCIONTI, M., Taranto, Op. cit., p. 102-105.<br />

12 Sulle orme dei viaggiatori. Luoghi <strong>del</strong>la città di Taranto attraverso i documenti, catalogo <strong>del</strong>la mostra<br />

tenutasi a Taranto, nel Castello Aragonese dal 19 ott. Al 2 nov. 1996, p.5. Il nuovo Regno<br />

833


834<br />

d’Italia in materia di trasporto ferroviario è orientato per una politica privatistica ed affida alla<br />

Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali la realizzazione <strong>del</strong>la dorsale adriatica e la linea<br />

Taranto - Bari e alla Società Vittorio Emanuele per le Strade Ferrate Calabro - Sicule, divenuta<br />

poi Società Italiana per le Strade Ferrate <strong>del</strong> Mediterraneo, la dorsale tirrenica di cui faceva<br />

parte la tratta Taranto - Metaponto e Taranto - Brindisi.<br />

13 Sulle orme dei viaggiatori Op. cit., p. 5.<br />

14 IMPORTUNO G., Taranto: gli albori <strong>del</strong> “Borgo”, in “Rinascenza Salentina”, anno IX, 1941,<br />

Lecce, p. 15.<br />

15 IMPORTUNO G., Taranto: Art. Cit., p. 15.<br />

16 PORSIA F., SCIONTI M., Taranto. Op. cit., p. 104.<br />

17 PORSIA F., SCIONTI M., Taranto. Op. cit., p. 123.<br />

18 PORSIA F., SCIONTI M., Taranto. Op. cit., p. 125.<br />

19 A.S.C.T. cat. X, b. 50. Relazione al “Progetto per la costruzione <strong>del</strong> Rettifilo di accesso alla stazione<br />

ferroviaria” a firma <strong>del</strong>l’ing. F. Bonavolta <strong>del</strong> 2 giugno 1927.<br />

20 A.S.C.T. cat. X, b. 50.<br />

Analisi grafico-visuali <strong>del</strong>le trasformazioni urbanistiche <strong>del</strong>l'area di Porta Napoli a Taranto<br />

21 PORSIA F., SCIONTI M., Taranto. Op. cit., p. 135.<br />

22 PORSIA F., SCIONTI M., Taranto. Op. cit., p. 140.<br />

23 PORSIA F., SCIONTI M., Taranto. Op. cit., p. 145.


L'ARCHIVIO DELLA MEMORIA<br />

IMMAGINE, STORIA E MEMORIA NEL MUSEO DIGITALE DE LA VILLETTA A PARMA<br />

di MICHELA ROSSI<br />

Il lavoro di ricerca in corso da anni sul patrimonio cimiteriale <strong>del</strong>la città di Parma<br />

ha prodotto nel suo svolgimento risultati che hanno costituito la premessa per i<br />

successivi approfondimenti. Gli studi che ne sono scaturiti si sono sviluppati secondo<br />

finalità parallele che hanno prodotto sistemi di dati compatibili tra loro, ma organizzati<br />

in modo specifico, destinati a confluire in una macro-struttura articolata in<br />

tre piani distinti, con attori diversi:<br />

- il piano operativo interessa la gestione e si rivolge ad una utenza tecnica e ai diversi<br />

utenti <strong>del</strong> cimitero;<br />

- il piano scientifico interessa la definizione degli strumenti operativi da parte di ricercatori<br />

di discipline diverse e vede coinvolte le Soprintendenze;<br />

- il piano divulgativo1 interessa la valorizzazione culturale verso un’utenza non specialistica,<br />

ma è fondamentale alla sensibilizzazione <strong>del</strong>l’importanza <strong>del</strong> monumento, diventando<br />

funzionale ai primi.<br />

La Villetta conserva un patrimonio inaspettato di oggetti che raccontano l’arte e il<br />

costume di una città e <strong>del</strong>la sua gente: l’architettura celebra<br />

la storia, l’arredo illustra il gusto, le epigrafi raccontano<br />

fatti e persone; i simboli e l’ornamento descrivono<br />

i valori di una società che in meno di due secoli<br />

ha vissuto il susseguirsi di cambiamenti profondi nell’organizzazione<br />

civile, nella struttura economica, nei rapporti<br />

interpersonali e nel modo di abitare.<br />

Se i singoli monumenti raccontano le persone, nel loro insieme<br />

i sepolcri esprimono la collettività e il cimitero diviene<br />

il contenitore dei segni fisici che celebrano la memoria civica,<br />

che condivide lo stesso spazio di quella privata. La concezione<br />

formale <strong>del</strong>le strutture manifesta questa doppia valenza<br />

e il rilievo la documenta nel passaggio di scala di manufatti<br />

contenuti gli uni negli altri come scatole cinesi, che<br />

l’uso e il riuso hanno assortito in modo caotico e casuale,<br />

offrendo ogni volta nuove scoperte al visitatore.<br />

1 Finalità.<br />

2 Articolazione.<br />

1<br />

2


836<br />

L'archivio <strong>del</strong>la memoria<br />

L’architettura chiusa <strong>del</strong> cimitero diventa un archivio <strong>del</strong>la memoria, dove un’infilata di<br />

oggetti si contrappone ai percorsi non lineari <strong>del</strong> ricordo e un insieme di riferimenti individuali<br />

racconta le trasformazioni <strong>del</strong>la società contemporanea; molteplici sono quindi<br />

le chiavi di lettura <strong>del</strong> monumento nel suo insieme, nel quale si sedimentano e si mischiano<br />

i ricordi <strong>del</strong>la storia civica e nazionale, l’identità sociale <strong>del</strong>le comunità urbane,<br />

innumerevoli riferimenti formali alla città dei vivi, appena fuori <strong>del</strong> camposanto.<br />

La qualità dei monumenti celebra la memoria trasformando il cimitero in un museo<br />

vitale che non deve essere lasciato morire, preservandone la continuità d’uso e condividendone<br />

la conoscenza con strumenti appropriati. Rilevare il cimitero significa dipanare<br />

la matassa di riferimenti che raccontano la storia di una città e i valori di riferimento<br />

<strong>del</strong>la sua popolazione; restituire di questa conoscenza implica il ricorso a mo<strong>del</strong>li<br />

rappresentativi complessi, capaci di offrire un’immagine efficace non solo degli elementi<br />

fisici <strong>del</strong>le sue architetture, ma anche dei valori astratti che queste ricordano.<br />

La difficoltà di restituire la molteplicità <strong>del</strong>le chiavi di lettura <strong>del</strong>l’architettura come<br />

documento <strong>del</strong>la storia e <strong>del</strong> costume, trova soddisfazione negli strumenti <strong>del</strong>l’informatica,<br />

con la creazione di un archivio digitale, ovvero di un museo <strong>virtuale</strong> a struttura<br />

bidimensionale, nel quale sia possibile raccogliere le informazioni disponibili, e<br />

quindi consultarle secondo percorsi e livelli di approfondimento personali.<br />

La risposta è quindi quella di riflettere la memoria costruita nel cimitero fisico nella<br />

dimensione <strong>virtuale</strong> di un museo digitale, capace di estendersi all’infinito, mantenendo<br />

le tracce <strong>del</strong>le continue trasformazioni e assecondare la libera associazione <strong>del</strong>le<br />

immagini mentali con i riferimenti<br />

concreti evocati<br />

dai monumenti funebri, secondo<br />

percorsi personali.<br />

Infatti è impossibile dare<br />

un ordine logico ai racconti<br />

<strong>del</strong> cimitero, perché il ricordo<br />

non segue percorsi lineari<br />

e ogni volta rincorre<br />

3 3 Archivio <strong>virtuale</strong>, concezione.


Michela Rossi<br />

in modo diverso le tracce <strong>del</strong>la memoria, inseguendo suggestioni che prendono forma<br />

nei segni che il rilievo raccoglie e l’archivio digitale conserva e descrive.<br />

Lo sviluppo <strong>del</strong> progetto adotta un mo<strong>del</strong>lo espositivo bidimensionale nel quale gli<br />

approfondimenti sono anticipati da percorsi emozionali e visivi: i differenti livelli di<br />

lettura sono direttamente accessibili dal “cuore” <strong>del</strong> museo e graficamente ordinati intorno<br />

ad esso, con un approccio dinamico di suggestioni costruite con suoni e immagini<br />

che introducono una guida a oggetti e personaggi, organizzata in percorsi georeferenziati<br />

liberi. Dopo un avvicinamento “emozionale”, la fruizione <strong>del</strong>la conoscenza<br />

avviene attraverso la presentazione statica di testi e immagini, che lasciano al “visitatore”<br />

il tempo necessario alla consultazione <strong>del</strong> materiale, costituito da schede descrittive,<br />

immagini e riproduzioni di documenti di archivio riferiti agli oggetti e schede<br />

biografiche riferite ai defunti, visualizzabile secondo percorsi tematici legati all’arte e<br />

alla storia, oltre ad una serie di approfondimenti critici e apparati di vario genere. La<br />

struttura informatica è un data-base, simile a quello già utilizzato per la schedatura<br />

architettonica <strong>del</strong>le unità contenute nel cimitero, ma aperto all’inserimento di nuove<br />

informazioni da parte <strong>del</strong> pubblico.<br />

837<br />

4 Archivio <strong>virtuale</strong>, struttura e<br />

interfaccia.<br />

4


838<br />

La scelta <strong>del</strong>l’organizzazione bidimensionale, che prevede comunque la possibilità di<br />

costruire in seguito un mo<strong>del</strong>lo fotografico interattivo, è motivata dall’intenzione di<br />

privilegiare la condivisione di valori storico-documentari alla ricostruzione artificiale<br />

di spazi virtuali che è possibile fruire nella loro realtà fisica e la cui qualità principale<br />

non può essere colta dalla percezione immediata <strong>del</strong>la spazialità, ma deve essere assaporata<br />

scoprendo poco per volta i tesori segreti custoditi nel cimitero.<br />

L’archivio <strong>del</strong>la memoria non intende sostituirsi al cimitero, ma affiancarlo, integrandone<br />

la visita con la possibilità di seguire percorsi tematici e trovare facilmente informazioni<br />

che permettano al visitatore di leggere valori e riferimenti. Così il museo digitale<br />

<strong>del</strong>la Villetta è allo stesso tempo un racconto <strong>del</strong>la storia civica recente e un invito<br />

aperto ad arricchire un archivio in perenne costruzione.<br />

Il museo digitale non intende simulare lo spazio <strong>reale</strong>, ma restituire alla conoscenza<br />

comune le informazioni e le relazioni che spiegano le architetture <strong>del</strong>l’Ottagono e da<br />

queste si dipanano, raccontando fatti e persone <strong>del</strong>la storia civica e come documento<br />

accessibile dalla rete esso può diventare un biglietto da visita <strong>del</strong>la città e <strong>del</strong>la sua<br />

storia. La rappresentazione digitale sullo schermo diventa così, come lo è il disegno,<br />

lo strumento per la visualizzazione di uno spazio mentale all’interno <strong>del</strong> quale ognuno<br />

può ricostruire le molteplici relazioni <strong>del</strong>la memoria e il continuo riflesso tra la città<br />

dei morti e quella dei vivi, come restituzione di un rilievo complesso di un bene culturale<br />

nel quale la qualità esula dall’architettura che ne raccoglie i riferimenti.<br />

Note<br />

L'archivio <strong>del</strong>la memoria<br />

1 Il museo digitale è il frutto <strong>del</strong>la rielaborazione di progetti di studio e ricerca condotti da Università<br />

di Parma, Dipartimento di Ingegneria, Civile <strong>del</strong>l’Ambiente, <strong>del</strong> Territorio e Architettura,<br />

Dipartimento di Chimica, Dipartimento di Storia e Istituto d’Arte Paolo Toschi (schedatura<br />

artistica curata da Giancarlo Gonizzi per ADE spa), condotti e coordinati per conto <strong>del</strong><br />

Comune di Parma dal dott. Gabriele Righi. Il progetto esecutivo è stato sviluppato da Erika<br />

Alberti e Donatella Bontempi, che hanno portato avanti i rilievi e gli studi di Cecilia Tedeschi,<br />

Carmen Nuzzo, Stefano Alfieri, Silvia Ombellini, Federica Ottoni, Elisa Adorni e Simone Riccardi<br />

(dottorandi e dottori di ricerca), la struttura informatica è opera <strong>del</strong>l’ing Giacomo Rabaglia<br />

di It City Spa.


IL PIANO DELLE STRADE ROTABILI<br />

DELLA PENISOLA SORRENTINA-AMALFITANA DEL 1840<br />

di MARIA ARCHETTA RUSSO<br />

Fino ai primi decenni <strong>del</strong>l’Ottocento, la Penisola Sorrentina-Amalfitana fu priva di<br />

percorsi veicolari, in quanto le comunicazioni tra i centri litoranei si svolgevano<br />

per mare, mentre una fitta rete di disagevoli mulattiere, in gran parte di origine medievale,<br />

permetteva di inoltrarsi fino al golfo di Castellamare ed alla piana <strong>del</strong> Sarno1 .<br />

Di conseguenza, per tutto il secolo, le popolazioni locali avanzarono ripetute istanze,<br />

perché venissero creati idonei collegamenti terrestri con Salerno e con Napoli, soprattutto<br />

in vista <strong>del</strong> potenziamento degli scambi commerciali.<br />

Il programma di viabilità, varato nel 1806 dal governo francese, contemplò la congiunzione<br />

di Amalfi alla capitale, mediante una rotabile finanziata dalle comunità interessate,<br />

per la quale si propose il transito per Agerola, verso Castellammare di Stabia,<br />

oppure per Maiori e Tramonti, fino al valico di Chiunzi e da qui a Nocera.<br />

Dopo accesi dibattiti, si optò per quest’ultima soluzione e, nel 1811, si avviarono i<br />

lavori. Le molteplici difficoltà incontrate nell’attraversamento <strong>del</strong>l’impervia valle tramontana<br />

costrinsero, nel 1828, all’abbandono dei tratti ultimati ed alla decisione di<br />

far procedere l’intera arteria lungo la costa, innestandola a Vietri sulla Strada Regia<br />

per le Calabrie.<br />

Il nuovo progetto fu affidato, nel 1835, all’ing. Luigi Giordano e completato entro<br />

il 18532 .<br />

Nel frattempo, anche in seguito alle richieste dei comuni <strong>del</strong> versante occidentale, che<br />

sollecitavano il prolungamento almeno con una cavalcabile fino a Positano, il tecnico<br />

<strong>del</strong>ineò un organico piano, ad integrazione <strong>del</strong>la carrozzabile per Sorrento -da lui<br />

ideata ed appena conclusa3- e <strong>del</strong>la Amalfi-Vietri, in avanzata realizzazione.<br />

Il programma fu riprodotto<br />

su una planimetria a colori,<br />

di notevole qualità formale,<br />

comprendente l’ambito che<br />

va da Pagani al mare e da<br />

Capo d’Orso a Piano di<br />

Sorrento4 .<br />

Grazie alla puntuale messa<br />

1 L. Giordano, Pianta di una<br />

parte <strong>del</strong>la Penisola Sorrentina con<br />

la designazione <strong>del</strong>le due strade di<br />

Sorrento e di Amalfi <strong>del</strong>le altre che<br />

si progettano…, Napoli 27 ottobre<br />

1840, scala palmi 1/14.000, Biblioteca<br />

Nazionale di Napoli, Sezione<br />

manoscritti, B.a 5c-50.<br />

1


2<br />

840<br />

Il piano <strong>del</strong>le strade rotabili <strong>del</strong>la penisola sorrentina-amalfitana <strong>del</strong> 1840<br />

in evidenza <strong>del</strong>l’altimetria, dal grafico emergono con immediatezza la piatta estensione<br />

<strong>del</strong>la valle <strong>del</strong> fiume Sarno -raffigurato nell’ultimo sinuoso tratto prima <strong>del</strong>la<br />

foce- nonché l’accidentato sviluppo dei Monti Lattari, segnati da profonde gole accoglienti<br />

i corsi d’acqua a regime torrentizio che scandiscono il territorio. Di essi sono<br />

riconoscibili il Regina Maior che, alimentato da molteplici affluenti, percorre la conca<br />

di Tramonti fino a Maiori e lo Schiatro che, scendendo dall’altopiano di Agerola,<br />

sbocca nel pittoresco fiordo di Furore.<br />

Molto interessante è il disegno degli abitati, sparsi ed aggregati, dei quali è palese la<br />

condizione orografica e la struttura urbana.<br />

Com’è logico, il maggiore rilievo fu riservato alla rete stradale, riportando gli antichi<br />

tragitti, i recenti e quelli previsti. Con una linea rossa, l’ingegnere indicò le rotabili<br />

convergenti a Maiori: il Nuovo tracciato per Capo d’Orso, proveniente da Vietri,<br />

e la Nuova strada di Amalfi, che estese mediante la Nuova linea di congiungimento per<br />

lo Scaricatoio, la stazione doganale ad ovest di Positano, dalla quale, con una ripida<br />

gradinata, scalcando il promontorio, si raggiungeva Meta.<br />

Da qui svoltava e con un serpeggiante andamento collinare si raccordava a Piano di<br />

Sorrento con la appena costruita Strada per Sorrento e, ritornata sulla costa, confluiva<br />

sulla Strada di Castellammare, diretta a Napoli. Ad essa si legava la futura Linea per<br />

Quisisana a Castellammare che, passato il casino <strong>reale</strong>, toccava Gragnano, Casola, Depugliano,<br />

Fuscolo e S. Nicola<br />

<strong>del</strong> Vaglio, formando<br />

la Nuova congiungente per<br />

Chiunso, condotta al di sopra<br />

di Corbara fino al valico.<br />

Quindi, andava ad allacciarsi<br />

alla Antica strada<br />

per Chiunso, abbandonata<br />

da oltre dieci anni, che calando<br />

tortuosamente per i<br />

borghi di Tramonti, scaval-<br />

2 L. Giordano, Pianta…, particolare.<br />

L'abitato di Maiori con la<br />

confluenza <strong>del</strong>le rotabili dirette ad<br />

Amalfi, Vietri e Tramonti.


Maria Archetta Russo<br />

cava il Reginna ed intersecava, finalmente, l’asse litoraneo sul lungomare di Maiori.<br />

Naturalmente gli sviluppi erano puramente indicativi, ma corrispondono grossomodo<br />

a quanto venne effettivamente concretizzato nel periodo post-unitario, come nel caso<br />

<strong>del</strong>la Amalfi-Positano e <strong>del</strong>la Maiori-Tramonti-Corbara.<br />

Comunque, la tavola costituisce un fondamentale elemento cartografico per l’individuazione<br />

<strong>del</strong>le metamorfosi ambientali indotte nella zona dalle successive infrastrutture.<br />

Note<br />

1 Sul tema cfr.: M. RUSSO, L’avvento <strong>del</strong>le strade rotabili ed il loro impatto con il paesaggio, G.<br />

FIENGO, a cura di, La Costa di Amalfi nel secolo XIX. Metamorfosi ambientale tutela e restauro<br />

<strong>del</strong> patrimonio architettonico, Atti <strong>del</strong> Convegno (Amalfi 2001), vol. II, Centro di Cultura e Storia<br />

Amalfitana, Amalfi 2005, pp. 15-64 (a cui si rimanda per i riferimenti bibliografici ed archivistici);<br />

ID, Infrastrutture territoriale ed urbane in Costiera Amalfitana tra Otto e Novecento,<br />

S. D’AGOSTINO, a cura di, Storia <strong>del</strong>l’Ingegneria, Atti <strong>del</strong> 2° Convegno nazionale (Napoli 7-9<br />

aprile 2008), t. II, Cuzzolin, Napoli 2008, pp. 1301-1310; ID, Progetti ottocenteschi di potenziamento<br />

<strong>del</strong>la rete carrabile<br />

<strong>del</strong>la Costiera Amalfitana,<br />

Atti <strong>del</strong> 3° Convegno nazionale<br />

di Storia <strong>del</strong>l’Ingegneria,<br />

Napoli 19-21 aprile<br />

2010 (in corso di stampa).<br />

2 L. GIORDANO, La strada di<br />

Amalfi da Vietri per Capo<br />

d’Orso a Majori, in “Annali<br />

civili <strong>del</strong> Regno <strong>del</strong>le due Sicilie”,<br />

LIX (1857), pp. 152-<br />

159.<br />

3 Pianta topografica di una<br />

parte <strong>del</strong>la Penisola Sorrentina<br />

con la designazione geometrica<br />

<strong>del</strong>la nuova strada ro-<br />

3 L. Giordano, Pianta…, particolare.<br />

La carrozzabile tra Minori<br />

ed Amalfi ed il prolungamento per<br />

lo Scaricatoio; alle spalle i centri<br />

collinari di Scala e Ravello.<br />

841<br />

3


4<br />

842<br />

4 L. Giordano, Pianta…, particolare.<br />

Castellammare con le progettate<br />

strade per il Real Casino<br />

di Quisisana e di "Congiungimento<br />

per Chiunso".<br />

Il piano <strong>del</strong>le strade rotabili <strong>del</strong>la penisola sorrentina-amalfitana <strong>del</strong> 1840<br />

tabile, Napoli 27 marzo 1833, ingegnere Luigi Giordano, scala palmi 1/14.000, Biblioteca Nazionale<br />

di Napoli, Sezione manoscritti, B.a 19-71. La via era al termine nel 1837 (C. MELE,<br />

Nuova strada tra Salerno e Amalfi, in “L’Iride”, IV (1837), p. 145).<br />

4 Pianta di una parte <strong>del</strong>la Penisola Sorrentina con la designazione <strong>del</strong>le due strade di Sorrento e di<br />

Amalfi <strong>del</strong>le altre che si progettano per congiungerle e di una comunicazione rotabile da Gragnano<br />

per Quisisana a Castellammare, ingegnere Luigi Giordano, Napoli 27 ottobre 1840, scala palmi<br />

1/14.000, Biblioteca Nazionale di Napoli, Sezione manoscritti, B.a 5c-50.


ARCHITETTURA È ARTE<br />

di CHIARA SCALI<br />

“Oggi l’arte si fa con tutto e ovunque, senza confini linguistici e<br />

territoriali. È un fare diffuso” 1 .<br />

architettura, come l’arte, è chiamata a istituire un criterio formale che codifichi<br />

L’ il linguaggio verbale e lo tramuti in immagine. In quanto rappresentazione, ogni<br />

forma di espressione artistica, un dipinto, una scultura ma anche un video, una fotografia,<br />

e d’altro canto qualsiasi tipo di rappresentazione architettonica, uno schizzo,<br />

un disegno, un mo<strong>del</strong>lo digitale o una maquette, hanno il preciso scopo di rendere<br />

materiale una “visione”.<br />

Il rapporto tra architettura e scultura, architettura e pittura e, in uno, il rapporto tra<br />

l’architettura e le arti visive, fa parte <strong>del</strong> nostro scenario culturale globale.<br />

Sono evidenti gli sconfinamenti artistici di tanta parte dei moderni pittori, scultori,<br />

fotografi nel mondo <strong>del</strong>l’architettura, quanto le omologhe digressioni di architetti<br />

<strong>nelle</strong> arti visive, in quelle discipline che condividono il progetto di una radicale quanto<br />

alle volte visionaria estetica trasformazione <strong>del</strong>la realtà.<br />

Un’avventura lunga secoli, in bilico tra sperimentazione ed utopia, che vede architetti e<br />

artisti progettare e realizzare edifici, spazi, volumi, percorsi<br />

ideali in cui i materiali, i colori, le forme non derivano esclusivamente<br />

dall’uso o dalla funzione ma nascono da una creatività<br />

pura e contaminata allo stesso tempo, da indagini visive<br />

e plastiche, tipiche di espressioni artistiche che hanno<br />

in comune il sogno di intervenire sul mondo e sulla vita<br />

comune, modificandoli.<br />

Le arti, dunque, si contagiano a vicenda, condividendo obiettivi,<br />

strumenti e procedure. Uno per tutti il Disegno, ovvero<br />

il campo multidisciplinare che si occupa <strong>del</strong>le teorie e<br />

<strong>del</strong>le tecniche di rappresentazione, al servizio <strong>del</strong>le arti.<br />

L’odierno rapporto tra arti e architettura si trova nell’interesse<br />

per l’immagine e per l’apparire. L’attuale pratica<br />

architettonica si è avvicinata quanto mai alle sem-<br />

1 Frank O. Gehry, DG Bank Building,<br />

Berlino.<br />

1


2<br />

844<br />

Architettura è arte<br />

bianze di un fenomeno artistico: i nuovi valori <strong>del</strong> fare architettura sono diventati la<br />

raffigurabilità e la rappresentazione di un procedimento costruttivo che si affida sempre<br />

più all’impatto <strong>del</strong>l’iconico. L’architettura si “mette in mostra” affidando all’edificio<br />

la funzione di veicolare messaggi che spesso non riguardano soltanto l’uso o l’abitare<br />

ma piuttosto la pubblicità e la promozione.<br />

È così che, a discapito <strong>del</strong>la interiorità e <strong>del</strong>le intime ragioni alla base <strong>del</strong>la nascita di<br />

un progetto, conta di più la rapidità di identificazione e la forza comunicativa <strong>del</strong> gesto<br />

architettonico, in nome di un’esteriorità che ha assunto un posto preminente nella<br />

recente teoria progettuale. L’architettura si è avvicinata così all’arte pubblica, alla scultura,<br />

ma ancora di più all’essenza <strong>del</strong> monumento: doppia rappresentazione scenografica,<br />

<strong>del</strong> committente e <strong>del</strong> progettista.<br />

L’arte più pratica, l’architettura, è nata come necessità di difendere l’uomo dalla natura,<br />

e nel tempo ha assunto il compito di mo<strong>del</strong>lare ciò che lo circonda, costruendo<br />

l’immagine dei luoghi e insieme l’immagine <strong>del</strong>lo spirito umano.<br />

L’architettura è divenuta l’arte decisamente provocatoria <strong>del</strong> nostro tempo: terreno di<br />

sperimentazioni formali e concettuali. È edificio ma allo stesso tempo non è più soltanto<br />

quello, intraprende nuove e molteplici strade, seguendo percorsi che la introducono<br />

ad altre discipline essa, abbraccia le complessità <strong>del</strong>la città contemporanea,<br />

coinvolge gruppi di persone più ampi e si occupa di<br />

aspetti tanto materiali quanto immateriali.<br />

L’architettura è artefatto. In una duplice accezione: in<br />

quanto prodotto <strong>del</strong>la creazione umana e in quanto “fatto<br />

di arte”. Quello <strong>del</strong>l’architettura è uno dei rari, concreti<br />

ambiti in cui l’atto creativo si completa con l’uso pratico<br />

<strong>del</strong>la tecnica. La propria essenza si sostanzia nella<br />

compresenza dei due significati antitetici <strong>del</strong>l’artefatto:<br />

da un lato il fare ad arte, in cui ogni azione è finalizzata,<br />

è propositiva e quindi positiva, dall’altra l’artificio,<br />

il trucco, l’espediente con cui dissimulare, portatore, dunque,<br />

di un’accezione negativa.<br />

2 Claes Oldenburg, Coosje Van<br />

Bruggen, Architect's handkerchief,<br />

1999, New York.


Chiara Scali<br />

Ugualmente, volendo ribaltare tale logica, anche il concetto di arte mostra, a proposito<br />

<strong>del</strong>l’architettura, la sua derivazione dal concetto greco di tecnh (tèchne) e da<br />

quello latino di ars. Entrambi vengono tradotti con il significato di “arte <strong>del</strong>la produzione”<br />

ma includono cose assai diverse. Come già accennato la tèchne è intesa come<br />

l’insieme <strong>del</strong>le conoscenze e <strong>del</strong>le capacità tecniche che consentono di istruire la realizzazione<br />

pratica di un’idea. Il termine greco tecnh è stato tradotto dai latini col<br />

vocabolo ars, poi divenuto il nostro termine “arte”. Seppure usati nella stessa accezione,<br />

i termini tèchne, ars e l’italiano arte, non sono affatto sinonimi. D’altra parte<br />

non sarebbe possibile parlare veramente di arte se non a partire dal Rinascimento,<br />

momento in cui l’artista, divenuto a pieno titolo un intellettuale, comincia a distinguersi<br />

dalla figura di artigiano, vista la nuova distinzione tra la concezione <strong>del</strong>l’opera,<br />

il suo progetto ed invece la sua realizzazione tecnica. È in questo momento che pittura,<br />

scultura e architettura vengono accomunate dall’unica denominazione di “arti<br />

<strong>del</strong> disegno”, conferendo in tal modo, alla disciplina <strong>del</strong> disegno un doppio ruolo:<br />

quello di mera rappresentazione <strong>del</strong>la realtà da un lato, ma anche e soprattutto quello<br />

di fulcro <strong>del</strong>la fase di conoscenza, di progettazione, di concezione teorica di questa<br />

stessa realtà 2 .<br />

3 Eduardo Souto de Moura, Angelo<br />

de Sousa, Out Here: Disquieted<br />

Architecture, 11. Mostra Internazionale<br />

di Architettura, Padiglione<br />

<strong>del</strong> Portogallo, Venezia,<br />

2008, interni.<br />

845<br />

3


4<br />

846<br />

4 Gordon Matta-Clark, Splitting,<br />

1974.<br />

Note<br />

1 GERMANO CELANT, Artmix, Feltrinelli, Milano, 2008.<br />

Architettura è arte<br />

2 Si veda V. UGO, Fondamenti <strong>del</strong>la rappresentazione architettonica, Esculapio, Bologna, 1994.

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