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060-064 FD+vitesse:Affiancate

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uomini e barche/ronin<br />

passo importante che per l’entità Un’altra immagine del Ronin alla Ro-<br />

dell’impresa e la complessità delma per 2. In basso: gli interni totall’operazione,<br />

mi resi subito conmente ridisegnati dal suo nuovo arto<br />

che avrebbe comportato matore secondo lo stile statunitense<br />

un’infinita serie di problemi e<br />

grattacapi da risolvere”. A quel punto inizia infatti l'opera di restyling<br />

che coinvolge amici e conoscenti, restauro dai tempi lunghissimi anche<br />

in virtù degli impegni lavorativi del suo nuovo proprietario, “costretto”<br />

ad emigrare qualche mese ad Auckland per la Coppa America<br />

1999. Un periodo nel quale il pensiero va quotidianamente all'oggetto<br />

dei sogni parcheggiato su un invaso nelle valli nebbiose di Comacchio.<br />

“Una volta rientrato in Italia, ha avuto inizio una tenace<br />

quanto ininterrotta fase di progettazione e realizzazione finalizzata alla<br />

trasformazione di Vitesse in Ronin, che in giapponese significa “uomo<br />

onda” (Ronin era il samurai che, nel periodo feudale giapponese,<br />

quando moriva il suo signore, il daymio, cominciava a vagare trasformandosi<br />

in avventuriero spesso benefattore, un guerriero senza padrone<br />

mosso da grandi slanci e valori etici cavallereschi messi a disposizione<br />

dei più deboli, Ndr). Mi sono avvalso della collaborazione tecnica<br />

dell’amico Fabio Soleri, titolare di uno dei cantieri più preparati<br />

nella lavorazione dei materiali compositi, per dare una forma alla nuova<br />

prua e a realizzare i primi rinforzi longitudinali in carbonio alla coperta<br />

e allo scafo. Poi abbiamo portato la barca a Ostia, ospitata al cantiere<br />

Canados, e lì è iniziata la fase definitiva e più impegnativa dei lavori.<br />

Il cantiere gestito dal gentilissimo Terry Grosso è diventata la mia<br />

meta quotidiana per tre anni, il tempo necessario per dare forma al mio<br />

LE DOMANDE DI FV<br />

Ma l’ex Vitesse era la barca di Bianchetti?<br />

No, l’indimenticato Simone Bianchetti, scomparso 4 anni fa dopo essere<br />

stato il primo italiano a concludere un giro del mondo in solitario<br />

senza scalo, aveva utilizzato Vitesse per una serie di regate in<br />

Adriatico, fra cui la 24h di San Marino, la Barcolana e la Rimini-Corfù.<br />

Vitesse nasce come prototipo di 50’ costruito nel 1987 dall’Ingegnere<br />

Ben Andersen nel cantiere Danese Lm, realizzato in composito sotto<br />

la cura dei tecnici della Sp System di Cowes e cotto al forno a 60° per<br />

tre giorni: un piccolo capolavoro di alta tecnologia per quei tempi.<br />

Viene commissionato nell’86 dal campione di ciclismo Curt Andersen,<br />

poi nel ‘90 è trasferito in Italia e modificata adeguandosi ai canoni del<br />

gigantismo imperante in quegli anni nelle regate in Adriatico.<br />

64 FARE VELA NOVEMBRE 07<br />

Gli interventi<br />

Per riportare Vitesse alle sue forme originali, senza stravolgimenti<br />

e aumentando la robustezza delle strutture e attrezzature, è stato<br />

fatto uno studio approfondito dello scafo nel suo insieme grazie ai<br />

consigli e la consulenza di Paolo Cori, progettista eclettico e geniale<br />

precursore degli Open adriatici. La coperta è stata completamente<br />

rilaminata e dopo aver smontato l’attrezzatura, rinforzata<br />

con kevlar e carbonio messi in opera sotto vuoto. Sono stati ridisegnati<br />

alcuni particolari dell’attrezzatura per migliorare la conduzione<br />

e la gestione dell’imponente piano velico, tra cui la riduzione<br />

dell’altezza dell’albero. Drizze e manovre correnti sono state<br />

commissionate alla ditta Gottifredi e Maffioli, mentre è stato montato<br />

un bompresso telescopico rastremato e un timone a barra gigantesco<br />

ma leggerissimo, tutte e due in carbonio. Custom tutto o<br />

quasi quello che riguarda l’attrezzatura di coperta. Molte parti dell’attrezzatura<br />

sono volutamente in acciaio più affidabile e sicure<br />

nel tempo. Un lavoro certosino poi è stato effettuato per ultimare<br />

gli interni, all’americana, laccati bianchi con tanto di cornici di teck<br />

verniciate con trasparente satinata.<br />

progetto”. Un restyling eseguito perfettamente, che ha trasformato la<br />

barca da un quasi rudere a un mezzo scintillante. “Un lavoro davvero<br />

ben fatto”, conferma Guazzini, “e di questo devo ringraziare tutti gli<br />

amici che mi hanno aiutato: Gianni Santagà, Gianpaolo Spera, Luigi<br />

Ciccarone, Bert Mauri, Giovanni Grispo, Luigi Aldini, Gianni Sorci,<br />

Paolo Munzi e altri che sicuramente mi sono scordato. È anche grazie<br />

a loro se oggi posso emozionarmi ogni volta che salgo a bordo della<br />

mia creatura”. Emozione più che giustificata, perché Ronin è davvero<br />

una barca bellissima che trasuda passione, impegno e perseveranza, è il<br />

risultato concreto di un sogno che si realizza e che ha preso forma piano<br />

piano solo ed esclusivamente grazie all’amore per la vela di Guazzini<br />

e del team di amici che lo ha supportato in questa impresa. Una<br />

squadra che si è ritrovata in occasione del varo, avvenuto nel marzo del<br />

2006 con una cerimonia ovviamente all’orientale. “È stato bellissimo”,<br />

ricorda, “sono venuti sette monaci buddisti, per la prima volta di passaggio<br />

in Italia, a officiare la cerimonia di benedizione con tanto di<br />

paramenti sacri e strumenti, tutto sulla foce del biondo Tevere, a un<br />

passo dal mare che gli stessi monaci vedevano per la prima volta nella<br />

loro vita. Adesso poi, quando salgo a bordo, è come se si verificasse una<br />

sorta d’incantesimo, il ripetersi di un magico rituale vissuto profondamente.<br />

E non posso fare a meno di riflettere, di comprendere come<br />

questo guscio di noce galleggiante, con le sue forme ammalianti, le sue<br />

linee slanciate, con la sua storia alle spalle, gli anni d’interminabili lavori<br />

e sacrifici, rappresenti per me qualcosa di più di una semplice imbarcazione<br />

da usare per le vacanze. Ronin”, conclude Guazzini, “è il<br />

prodotto di una straordinaria passione, un atto d’amore per una barca<br />

fuori dagli schemi, nata per offrire emozioni forti”.

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