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collezionisti e da un pubblico ampio di conoscitori.<br />
Da tempo siamo convinti che il gioiello debba recuperare<br />
il valore di opera, svincolarsi dalla riproducibilità illimitata,<br />
liberarsi del lacciolo della brandizzazione omologante.<br />
Così abbiamo identificato il luogo più importante nel<br />
mondo per l’arte contemporanea: l’Art Zone 798 di<br />
Pechino, un distretto industriale dell’epoca maoista<br />
riqualificato in tempi recenti e affidato agli artisti.<br />
L’abbiamo studiato e ne abbiamo recepito le potenzialità.<br />
Il gioiello in uno spazio dell’arte contemporanea?<br />
Comprendo lo stupore. In effetti si è disabituati a vedere<br />
il gioiello come forma d’arte. Ma la nostra non è presunzione,<br />
semmai un ragionamento logico. Il gioiello si è<br />
gradualmente trasformato in un bene di consumo.<br />
I marchi del lusso si sono adeguati alla standardizzazione,<br />
abbandonando la loro originaria propensione a servire<br />
clienti esigenti. Oggi è prevista solo la serializzazione<br />
e i sogni non possono essere fatti in serie. Un pubblico<br />
sempre più ampio di clienti facoltosi, desiderosi di<br />
distinguersi, ha dirottato il proprio interesse dal gioiello<br />
all’arte, riconoscendo a quest’ultima un valore che il<br />
gioiello non ha più.<br />
In tal senso la nostra sfida è rivolta ad un recupero che è<br />
scritto nella storia, basta studiarla per capire come<br />
risolvere i problemi dell’uomo e non cadere in errori che<br />
per l’essere umano sono ciclici.<br />
Abbiamo costruito un’idea percorribile: riportare il<br />
gioiello nello spazio dell’arte, farlo dialogare con la<br />
misura gigante dei linguaggi dell’arte contemporanea;<br />
trasformare questo limite in vantaggio: l’estetica del<br />
piccolo come recupero del particolare, costringere con il<br />
mezzo del gioiello a riconquistare attenzione per le piccole<br />
cose preziose e non essere distratti dal vuoto di ciò<br />
che stupisce solo per la dimensione. E questo sembra<br />
essere il momento migliore. Nello stesso ambito dell’arte<br />
contemporanea si critica la “bulimia del gigantismo”. Il<br />
L ’ I N T E R V I S T A<br />
gioiello può farsi promotore di una rinascita di valori e<br />
quindi rivestire anche un potenziale sociologico oltre<br />
che artistico. Del resto Roberto Almagno ha presentato<br />
a Pechino un’opera che parla di questo nuovo corso: la<br />
sua installazione fatta di esili legni vibranti in dialogo<br />
con la luce, si propone anche come “forma-segno” per<br />
una pregevole collezione di gioielli ed entrambe le proposte<br />
si possono definire poetiche espressioni di un pensiero<br />
unico e distintivo.<br />
Insomma sembra di essere proiettati in un’altra<br />
dimensione: arte, sociologia, emozioni, certo tutto ciò<br />
appare stimolante, ma è realisticamente percorribile?<br />
Quali risultati produce in tal senso l’esperienza di<br />
Pechino?<br />
In ARRO abbiamo sempre pensato in termini pratici.<br />
Seppure qualcuno possa pensare che la cultura sia un<br />
elemento accessorio è in realtà la parte innervante di<br />
una efficiente comunicazione marketing. Il sociologo<br />
Giampaolo Fabris ha più volte introdotto il tema dei<br />
“valori immateriali” come gli unici che possono stimolare<br />
il pubblico all’acquisto di un prodotto. Ma per arrivare<br />
ad identificare questi “valori immateriali” è utile una<br />
strategia che possa essere applicata correttamente al<br />
settore di riferimento.<br />
Il gioiello è fatto prima di emozione poi di materiali preziosi.<br />
Svilirlo in serializzazioni illimitate e ridurlo a semplice<br />
“logo” equivale a svuotarlo di contenuti, di interesse.<br />
Cosa è successo invece a Pechino: abbiamo scelto uno<br />
PRIMAVERA/ESTATE 2009<br />
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