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20-q20_Acque2 - Udine Cultura

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■ Decapodi<br />

Nella fauna italiana i decapodi stigobi<br />

sono rappresentati solamente da due<br />

generi presenti in acque carsiche di<br />

base: Troglocaris (Carso isontino e<br />

triestino) e Typhlocaris (Puglia).<br />

Secondo le più recenti ricerche, esistono<br />

in Italia due specie di gamberetti<br />

afferenti al genere Troglocaris apparte-<br />

Troglocaris anophthalmus<br />

nenti al gruppo anophthalmus, di difficile<br />

distinzione morfologica, ma nettamente<br />

separabili con metodi di biologia<br />

molecolare e conviventi in alcune<br />

grotte. Queste potrebbero essere riferibili<br />

a T. anophthalmus (Carso goriziano)<br />

e T. planinensis (Carso triestino),<br />

ma la posizione tassonomica del<br />

materiale italiano necessita ancora di<br />

essere chiarita. Per le specie stigobie<br />

del genere Troglocaris era stata postu-<br />

Typhlocaris salentina<br />

lata una diretta origine da progenitori<br />

marini. Un recentissimo studio di biologia molecolare condotto dall’Università<br />

di Lubiana ha permesso di datare la divergenza del gruppo anophthalmus,<br />

più occidentale, da quello dinarico-caucasico a 6-11 milioni di anni fa e l’inizio<br />

della speciazione all’interno del gruppo anophthalmus tra 3,7 e 5,3 milioni<br />

di anni fa, postulando pertanto un’origine marina molto antica ed una colonizzazione<br />

delle acque sotterranee da parte di popolazioni già presenti nelle<br />

acque dolci superficiali.<br />

La terza specie italiana di decapodi stigobi, Typhlocaris salentina, è, invece,<br />

endemica di grotte pugliesi. Scoperta per la prima volta nella Grotta Zinzulusa<br />

a Castro Marina nel 1922, è stata trovata successivamente in varie altre grotte<br />

del Salento, delle Murge e del Gargano. L’eccezionalità di questo gambero,<br />

cieco e depigmentato, risiede nelle sue dimensioni (può raggiungere una lunghezza<br />

di ben 13 cm). Si tratta di un predatore che si nutre di misidacei o organismi<br />

stigosseni.<br />

Al genere Typhlocaris appartengono altre due specie stigobie presenti in<br />

acque sotterranee di Israele e Libia: si tratta forse di un antico elemento paleomediterraneo,<br />

relitto di una fauna superficiale pre-pliocenica, legata a climi<br />

sub-tropicali, ormai estinta. Per questo genere purtroppo non esistono ancora<br />

dati molecolari.<br />

■ Anfibi<br />

Il proteo (Proteus anguinus) è l’unico anfibio stigobio della fauna paleartica. Il<br />

pétit dragon delle grotte di Postumia (Slovenia), scoperto dal Valvasor nel lontano<br />

1689 e descritto dal Laurenti nel 1768, è il più noto degli animali sotterranei<br />

sinora descritti e forse, per certi versi, il più affascinante. Il corpo è anguilliforme;<br />

gli occhi negli adulti sono atrofici e nascosti sotto la pelle; il colore è<br />

biancastro tendente al rosato.<br />

Il proteo, però, è noto soprattutto per la neotenia, obbligatoria ed irreversibile:<br />

raggiunge infatti la maturità sessuale pur mantenendo caratteri larvali, tra cui<br />

spiccano le appariscenti branchie esterne rosse, che conserverà per tutta la<br />

vita. Il proteo è un predatore e si ciba prevalentemente di altri organismi<br />

acquatici, anche stigosseni.<br />

Il proteo è oviparo: le uova vengono deposte in natura una alla volta nell’arco<br />

di circa un mese, in numero di <strong>20</strong>-80, attaccate sulle rocce e sotto le pietre. Le<br />

larve, grigiastre, possiedono occhi ben distinti sino all’età di circa due mesi e<br />

fino a 3 si nutrono esclusivamente delle riserve del sacco vitellino. In natura la<br />

riproduzione avviene raramente prima del decimo anno di età.<br />

L’origine ed antichità del proteo è spesso dibattuta. Resti fossili di proteidi<br />

sono stati trovati a Bernissart in Belgio assieme a quelli degli iguanodonti e<br />

risalgono al Cretaceo inferiore: in quel periodo vivevano nelle acque superficiali.<br />

La colonizzazione delle acque carsiche sotterranee dell’area dinarica ove<br />

Le acque carsiche di base del Carso goriziano ospitano il proteo<br />

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