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14 Raffaella Bertazzoli (Mito-dAnnunzio).pdf - BOLbusiness

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19] Il riuso del mito: l’“Ercole” di D’Annunzio<br />

365<br />

4. Abbiamo detto all’inizio del nostro discorso che D’Annunzio<br />

non tornerà più sul mito di Ercole, se non per cenni<br />

fugaci. L’assunzione della linea virile rimane condizionata a<br />

quella stagione della poesia, dove Ercole incarna, sì, l’eroe che<br />

passa il limite, ma solo quello della performance sessuale, eroe<br />

muscolare senza dimensione tragica. Gli eredi di Alcide “eroi<br />

della giovinezza” (ricordiamo il matrimonio di Ercole con<br />

Ebe), superando la fase vitalistica, si riconosceranno nel mito<br />

superomistico di stampo nietzschiano.<br />

Il commento al poemetto, di per sé inerte, ci autorizza a<br />

compiere un velocissimo percorso sul riuso del mito nell’opera<br />

dannunziana. Chiusa la prima stagione poetica, cui La tredicesima<br />

fatica si lega, il rapporto con il mito muta radicalmente,<br />

mutamento dovuto soprattutto al viaggio in Grecia del 1895 27 .<br />

Tendenza subito affermata nel rifacimento del Canto novo del<br />

’96, dove la vicenda amorosa stagionale, divisa con Lalla, della<br />

prima edizione del 1882, si traduce in una vera e propria esperienza<br />

mitica, in cui l’io poetico, il ‘Giovine’ si identifica nel<br />

‘Dio’ grecizzato.<br />

La Grecia diviene la sede dei grandi modelli tragici e mitici,<br />

dove il mito è rivissuto e totalmente risolto nell’identificazio-<br />

27 Da Primo vere fino, grosso modo, al Poema Paradisiaco D’Annunzio<br />

usa il mito in chiave carducciana o estetico-preraffaelita. Narra la nostalgia<br />

e il culto dell’antico, come nei versi di Suavia in Primo vere (1878): “Emergon<br />

trepide da’ flutti vitrei / l’ude Nereidi ne ’l vel di porpora, / e canti armoniosi<br />

/ giù pe’ declivi mescono”, vv. 33-36. Oppure ne assume la caratterizzazione<br />

estetizzante, di decor, come cesellatura dell’artifex. <strong>Mito</strong> come arabesco e favola,<br />

secondo una lettura della classicità filtrata dal Parnasse, il cui modello<br />

esemplare sono i Poèmes antiques di Leconte de Lisle. In questo senso si<br />

leggano i versi di un mito caro a D’Annunzio, quello dell’ermafrodito, narrato<br />

nell’Andrògine della Chimera: “Ermafrodìto, il semidio procace, / sta<br />

ne la fonte immerso / come in un letto d’oro; ed il ben terso / corpo dona<br />

a l’abbraccio di Salmace”, vv. 1-4. O quelli della Diana inerme (Chimera)<br />

che si anima in un paesaggio tutto sotto il segno numinoso delle teofanie:<br />

“Oh de le antiche iddie presente spirito! / Non quivi un giorno, in libero /<br />

D’erbe e di fior profondo letto, giacquero / Donne possenti e amarono? /<br />

[...] È Diana: così dorme da secoli. / Ma pur, quando a le tiepide / Lunazioni<br />

estive i boschi odorano, / si sveglia ella”, vv. 21-24 2 vv. 29-32.

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