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Un adulto chiamato Capo Parte II - Agesci

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quelli che hanno maturato una più seria convinzione di giocare il loro servizio in età<br />

adulta come capi; e che se ne vanno coloro che tale convinzione non hanno maturato.<br />

La spiegazione è ardua e non è qui affrontabile in poche righe. Dal momento però<br />

che uno dei fattori citati da chi se ne va è quello della fatica, avanzo la proposta di<br />

giocare il servizio di capo con un po’ più di calma, con realizzazioni forse meno<br />

complete ed appariscenti, forse con qualche inadeguatezza rispetto a quello che, a<br />

tavolino, sembrava opportuno fare. Insomma, la politica dei piccoli passi, con l’idea<br />

di farne però tanti, per arrivare molto lontano. Dal noto slogan: «i meglio è spesso<br />

nemico del bene» a «Il bene fatto più a lungo è meglio».<br />

Competenza e passione. E’ fuori di dubbio che chi fa il capo nello scautismo può<br />

sviluppare una discreta competenza in campi molto disparati, dove altri ci giocano in<br />

veste professionale o nel tempo libero. La prova è che ogni ex-scout vi citerà sempre<br />

almeno due o tre cose del suo lavoro nelle quali si è trovato avvantaggiato grazie allo<br />

scautismo e che, ad una festa o durante una passeggiata in montagna con sconosciuti,<br />

scoprirete fra quelli che più sanno divertirsi un vecchio capo squadriglia.<br />

Dunque sappiamo che la nostra competenza di capi ci servirà anche nella nostra<br />

vita di relazione. Questo non basta però per scatenare in noi la passione. Essa<br />

deriverà invece dalla consapevolezza che la nostra competenza farà la felicità degli<br />

altri e dunque la nostra. Vale dunque la pena!<br />

Convinzione. Ci si riferisce qui alla convinzione sulla validità del proprio compito<br />

di capi e sulla bellezza di tale ruolo.<br />

Per essere convinti della validità, è sufficiente un po’ di osservazione sulle cose<br />

del mondo. Non c’è ambito nel quale si ricerchi il miglioramento della qualità della<br />

vita in cui non venga tirata in ballo l’educazione. Essa viene sempre citata come uno<br />

degli interventi a lungo termine, di quelli che agiscono sulle cause e non solo<br />

semplicemente sugli effetti. Dunque non se ne può fare a meno realmente, non perché<br />

lo abbia pensato un ufficiale inglese 75 anni fa.<br />

Per essere convinti della bellezza del ruolo di capo, lo sforzo di osservazione è un<br />

po’ più difficile, perché va risolto un dilemma. Da un lato, sappiamo che<br />

l’appagamento per ciò che si fa deriva anche dal poter toccare con mano dei risultati;<br />

dall’altro, continuiamo a dire che in campo educativo i risultati si manifesteranno in<br />

tempi molto lunghi e che è sbagliato volerli vedere o, peggio ancora, misurare.<br />

Ora, di questa seconda affermazione io non sono del tutto convinto. E’ vero che i<br />

tempi per il cambiamento sono lunghi, ma questo vale per i grandi cambiamenti; e<br />

proprio in questo caso io ritengo impossibile osservare i risultati: nel tempo lungo<br />

avranno interagito sulla stessa persona diversi rapporti educativi e sarebbe dunque<br />

pura presunzione attribuirsi poi in futuro il merito (o la colpa) di alcuni cambiamenti<br />

evidenti. Non resta dunque che la possibilità di osservare i piccoli cambiamenti verso<br />

gli obiettivi intermedi che sono stati definiti. I cambiamenti sono spesso<br />

impercettibili, mascherati, ambigui, dunque tutt’ altro che facili da osservare. Ma è<br />

un’abilità che bisogna perseguire, anche per abituarsi a valutare la bontà del nostro<br />

lavoro educativo. Molto spesso, dietro la frase: «Ah, ma tanto i risultati non sono<br />

immediatamente visibili» nascondiamo l’assenza di risultati derivante da una nostra<br />

incompetenza educativa.

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