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Un adulto chiamato Capo Parte II - Agesci

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In questo senso, quando si parla del rapporto educativo come di un rapporto<br />

circolare (nel senso che qualcosa passa dal capo al ragazzo e qualcosa dal ragazzo al<br />

capo) si dice una cosa sostanzialmente esatta: purché si tenga presente che le due<br />

cose - i due semicerchi del circolo - non saranno mai (neanche in branca rover/<br />

scolte) perfettamente omogenei. Giacché il capo è fratello, ma resta maggiore.<br />

Questo ci porta alla critica di un altro falso profilo, quello della non direttività,<br />

ispirato alle idee dello psicologo e psichiatra americano Carl Rogers: il capo che<br />

accetta incondizionatamente i difetti di ciascuno e i desideri del gruppo, quali che essi<br />

siano, e che si limita a vivere in mezzo al gruppo e a cercare di «crescere insieme»,<br />

astenendosi da un intervento attivo.<br />

A parte il fatto che il suo stesso autore non l’applicava pienamente (2), la teoria<br />

della non direttività mi pare addirittura improponibile nel contesto dell’<strong>Agesci</strong>. Se il<br />

capo infatti adottasse tanto sul fondo che nella forma un atteggiamento come quello<br />

descritto, rinunciando quindi a far «passare», con i mezzi del metodo, i valori in cui<br />

crede, si avrebbe un gruppo totalmente abbandonato a se stesso: si tratterebbe non di<br />

non-direttività, ma di passività, di lassismo, di inammissibile abdicazione<br />

dell’educatore scout rispetto alla proposta educativa espressa nel Patto Associativo.<br />

Ciò non significa che la polemica sulla non-direttività sia stata del tutto inutile:<br />

essa ci ha aperto gli occhi su un dirigismo troppo oppressivo e invadente, che<br />

pretendeva fissare non solo i valori educativi ma anche gli obiettivi intermedi ed i<br />

mezzi per raggiungerli; che nella pratica riempiva ogni minuto libero senza lasciare ai<br />

ragazzi il giusto spazio creativo. Anche di tale atteggiamento - che nasceva in fondo<br />

da una sfiducia nella capacità del ragazzo di esser protagonista della propria storia -<br />

non mancano in passato gli esempi specie nell’ASCI (mentre ho l’impressione che<br />

l’AGI lasciasse in genere più possibilità di attività spontanee, di momenti di<br />

riflessione, di calma, di distensione).<br />

Ma anche qui la lettura di B.-P. ci riserva sorprese:<br />

«Il principio su cui lavora lo scautismo è quello di studiare le idee del ragazzo e<br />

di incoraggiarlo ad educarsi da sé invece di venire istruito.<br />

<strong>Un</strong> sistema con cui il capo può scoprire attività che interessano i ragazzi è quello<br />

di risparmiare il proprio cervello servendosi delle orecchie... In linea generale<br />

quando siete a corto di idee non cercate di imporre ai vostri scouts attività che,<br />

secondo voi, essi dovrebbero apprezzale, ma scoprire, ascoltandoli o interrogandoli,<br />

quali sono le attività che li interessano di più... » (Il Libro dei Capi, pp. 48 e 50-51).<br />

In altre parole, B.-P. dà la parola al ragazzo, mettendolo al centro delle attività<br />

scout. E oseremo dire che il senso del suo discorso va oltre un mero suggerimento<br />

pratico per il capo a corto di idee, investendo invece le basi stesse del rapporto<br />

pedagogico capo-ragazzo.<br />

Ossia, se non-direttività ha il senso, più limitato, di sapersi mettere in ascolto del<br />

ragazzo, allora anche B.-P. è un non-direttivo. Tutta la vita egli non si stancò di<br />

ripetere a chi gli chiedeva come fare per aggiornare la proposta scout, le parole «Ask<br />

the Boy», chiedilo al ragazzo. E noi crediamo sia rimanere fedeli allo spirito del suo<br />

consiglio lo sforzarsi di percepire i valori personali di cui ogni singolo ragazzo è

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