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Un adulto chiamato Capo Parte II - Agesci

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schemi teorici, colui che pur nei limiti e negli insuccessi quotidiani, gode di essere<br />

‘scout’, di realizzare gli ideali sognati e perseguiti giorno per giorno.<br />

Anche se manca il comando preciso o il divieto perentorio, se non c’è più il peso<br />

del precetto da osservare meticolosamente, c’è -ed è più intenso- il richiamo di una<br />

esperienza realizzata, il fascino di una personalità serena e libera che segue con gioia<br />

la linea tante volte sognata e cantata nei bivacchi e nelle cerimonie sempre così<br />

suggestive. È questo il compito del capo, non un autoritarismo che si impone, né una<br />

presenza passiva e silente, e nemmeno una dipendenza dai ragazzi stessi, quasi a<br />

rimorchio delle loro scelte nella illusione di rispettare la loro personalità: ma la gioia<br />

di vivere l’ideale scout nella propria realtà di <strong>adulto</strong>, di avere dato un volto preciso<br />

alla propria vita aperta al servizio in tutte le direzioni, di costruire già quel 2mondo<br />

un po’ migliore di come è stato trovato” che è il perenne criterio della propria<br />

condotta. Così il capo svolge un compito immancabile nel cammino del rover e della<br />

scolta, un compito che scende nell’intimo della persona perché si tratta non di<br />

comandi né di imposizioni cervellotiche, ma di scelte e atteggiamenti vissuti in prima<br />

persona. Il capo vive la sua scelta scout come orientamento integrale della propria<br />

vita, come caratterizzazione della propria persona: quando è insieme ai suoi rover e<br />

scolte, nei capitoli, nelle riunioni, nelle routes, il suo ‘stile’ - cioè tutto il suo modo di<br />

fare, di parlare, di gestire, il suo rapporto con gli altri e con le cose- attua l’ideale<br />

scout, rende viva quella ‘legge’ che è diventata abitudine ed espressione di sé.<br />

È così che l’obbedienza non è un’adesione acritica o una sottomissione forzata,<br />

quanto il gusto di appropriarsi di quelle caratteristiche particolari presenti nel capo e<br />

da lui godute come elementi fondamentali del vivere.<br />

Che capo sei?<br />

don Giorgio Basadonna, R/S Servire, 1995, n.1, pp.17-18<br />

Sono fondamentali, direi addirittura irrinunciabili, alcuni strumenti di cui lo<br />

scautismo è sempre stato maestro e a cui non deve in alcun modo rinunciare. Mi<br />

riferisco in particolare all’avventura, intesa come apertura al nuovo, all’imprevisto e<br />

persino al rischio (naturalmente controllato), che suscitano emozione e stupore,<br />

mettendo in moto tutte le capacità di un individuo nella gestione di sé e delle cose che<br />

sta facendo, capacità che altrimenti è molto probabile che rimarrebbero sopite e come<br />

schiacciate.<br />

L’apertura o la disponibilità all’avventura distingue il piccolo uomo”, che si<br />

accontenta di vivere nell’immediato vicinissimo, dall’uomo autentico che non si<br />

accontenta di un presente rassicurante ma ripetitivo. L’avventura è il saper andare<br />

oltre il già dato e il già conosciuto: rottura del quotidiano, ma non uri rifiuto del<br />

quotidiano, al quale si deve e sì può tornare con uno spirito diverso e con una<br />

capacità di a esso un senso ben più unificativo.<br />

Il gioco è avventura se non e ripetitivo, ma se sa mettere alla prova in forme<br />

nuove le capacità dei ragazzi. Così sono avventura le attività di uscita, quelle del

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