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Un adulto chiamato Capo Parte II - Agesci

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Ci vuole una relazione …<br />

Negli interventi che seguono si esamina il ruolo del <strong>Capo</strong> nei confronti del<br />

ragazzo a partire dal concetto di relazione educativa: è la sua qualità e i suoi aspetti<br />

peculiari sullo scautismo che possono portare ad un’azione educativa efficace. Così<br />

Maria Luisa Ferrario ritiene che la pratica educativa dello scautismo non sia<br />

“depositario-trasmissiva”(l’educatore “trasmette”, l’educando recepisce<br />

passivamente), in quanto educatore ed educando entrambi si educano in un rapporto<br />

di dialogo.<br />

Stefano Pirovano evidenzia i capisaldi della comunicazione educativa nello<br />

scautismo e sottolinea il necessario ruolo del <strong>Capo</strong> nel provocare, riconoscere e<br />

unificare il cammino educativo di ciascuno (se le modalità di comunicazione son<br />

chiare e collaudate).<br />

Riccardo Massa identifica, con parole forse un po’ difficili, tre aspetti della<br />

comunicazione educativa nello scautismo: la condivisione esperienziale, la<br />

concretezza dell’istruzione scout, l’empatia generazionale (mettersi nella pelle dei<br />

ragazzi, saperli veramente ascoltare).<br />

Flavio Bettanin interpreta l’ask the boy come l’avvio di una relazione ove il <strong>Capo</strong><br />

sa leggere le esperienze del ragazzo per proporgli compiti mirati e significativi in un<br />

contesto di reciproca fiducia, di pratica del metodo scout e dell’ambiente educativo<br />

della vita all’aperto. Il <strong>Capo</strong> può arrivare a saper anticipare la propria proposta:<br />

non solo conosce l’ “ask the boy” ma anche l’ “art of asking”.<br />

Il rapporto interpersonale in educazione<br />

La qualità della relazione educativa non può che fondarsi sul ridurre sempre più il<br />

divario fra ciò che si è e ciò che si propone agli altri di essere.<br />

Potrebbe essere utile avviare una riflessione in Comunità Capi. sulla figura del<br />

capo da questa angolatura, proponendo come stimolo l’affermazione di Paulo Freire 3<br />

ne ‘La pedagogia degli oppressi’ secondo cui: “Nessuno educa nessuno e neppure se<br />

stesso: gli uomini si educano in comunione, attraverso la mediazione del mondo”.<br />

<strong>Parte</strong>ndo dalla concretezza di tante situazioni che la pratica educativa nello<br />

scautismo offre ai capi si dovrebbe analizzare insieme:<br />

- che cosa significa attuare un modello di relazione educatore-educando, in cui<br />

l’educatore non è solo colui che educa, ma colui che, mentre educa, è educato nel<br />

dialogo con l’educando, il quale a sua volta -mentre è educato - anche educa.<br />

Questa prima riflessione potrebbe logicamente sfociare su come la pratica<br />

educativa dei capi, spesso prevalentemente depositario-trasmissiva, possa<br />

3 Paul Freire, (1921-1997), pedagogista brasiliano, teorico della pedagogia degli oppressi, ovvero dell’importanza di preservare<br />

l’originalità della cultura nativa, rispetto a forme pedagogiche più tradizionali.

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