2. 1.2008 - Edit
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4 palcoscenico<br />
Mercoledì, 2 gennaio 2008 Mercoledì, 2 gennaio 2008<br />
Un certo signor G L’una e l’altra<br />
Menopause, The musical<br />
Libertà è partecipazione. Credo<br />
Personalmente ho sempre amato Giorgio Gaber,<br />
per quella sua capacità di essere critico senza<br />
essere acrimonioso; di essere contro, coinvolgendo<br />
e portando tutti nel suo mondo di canzoni che,<br />
in un virtuale collage, costituiscono un manifesto<br />
alla vita, o meglio, per la vita. L’ultima sua tournée<br />
fu un grande successo e contribuì fortemente<br />
a far sì che lo rimpiangessimo ancora più dolorosamente<br />
quando scomparve prematuramente.<br />
Erano gli anni Novanta, verso la fi ne, quando la<br />
politica e la società mostravano sempre più visibilmente<br />
lacerazioni e contrasti violenti sul niente,<br />
l’assenza di etica e morale. La televisione, a cui<br />
Gaber aveva voltato le spalle già da tanto, cadeva<br />
sempre più in basso nella rincorsa alla volgarità.<br />
E lui arrivava in scena, davanti a platee sempre<br />
stracolme, cantando “Ma cos’è la destra cos’è<br />
la sinistra... L’ideologia, malgrado tutto credo<br />
ancora che ci sia, è la passione, l’ossessione della<br />
tua diversità che al momento dove è andata non si<br />
sa.”. Un inno di denuncia per il vuoto che le idee,<br />
se c’erano, rappresentavano e però anche la speranza<br />
che la passione degli uomini tornasse a farsi<br />
vedere da qualche parte.<br />
Attore, autore teatrale, uomo di cultura ma soprattutto<br />
uno spirito libero e critico che ha sempre<br />
affrontato con ironia, intelligenza e lucidità le<br />
contraddizioni del nostro tempo, sia quelle di carattere<br />
personale che quelle di carattere sociale, si<br />
esprimeva da cantautore nei teatri con il semplice<br />
intento di insinuare il “dubbio” in chi l’ascoltava.<br />
Pensavo che non avrei mai più rivissuto l’emozione<br />
della sua ultima esibizione e invece è riaccaduto<br />
assistendo allo spettacolo “Un certo Signor G”<br />
che Neri Marcorè assieme a due valenti musiciste<br />
Gloria Clemente e Vicky Schaetzinger sta portando<br />
in giro e in questi giorni è approdato al Rossetti<br />
di Trieste. Marcorè è noto ai più nei<br />
panni del comico, ultimamente ha condotto<br />
qualche intelligente programma<br />
di cultura alla televisione, è un attore<br />
affermato, ma non avrei mai pensato<br />
che reggesse benissimo i panni<br />
di Gaber. Intendiamoci Giorgio Gaber<br />
è inimitabile, lui era<br />
amaro pur riu-<br />
scendo ad insinuare un bagliore ottimistico che<br />
invadeva e sfumava quel sentimento negativo.<br />
A Marcorè questa qualità è preclusa, ma ciò<br />
non toglie che in scena spiega in musica, cantando,<br />
recitando e suonando la chitarra, tutto il gaber-pensiero,<br />
facendo divertire e rifl ettere un pubblico<br />
grato. E attraverso le più famose canzoni<br />
“L’ingranaggio”, “C’è un’aria” e “L’odore” incomincia<br />
a descrivere l’uomo vittima di un meccanismo<br />
che lo stritola, di un consumismo che lo invoglia<br />
ad avere sempre di più, a non accontentarsi<br />
mai, perdendo il senso e il valore delle cose, di una<br />
società alla mercè dell’informazione costruita a<br />
tavolino, sempre uguale, tanto da fargli dire “Lasciateci<br />
il gusto dell’assenza, lasciatemi da solo<br />
con la mia esistenza che se mi raccontate la mia<br />
vita di ogni giorno fi nisce che non credo neanche<br />
a ciò che ho intorno”.<br />
Di questo uomo, ne “La nave” è racchiusa la<br />
sua più brutale descrizione. La nave è come la<br />
vita, canta, ma sulla nave ci sono “prima classe,<br />
seconda classe, terza classe e poi i disoccupati,<br />
gli extracomunitari, gli albanesi, gli slavi…<br />
una battaglia che cresce: quelli di prima vomitano<br />
su quelli di seconda, quelli di seconda su quelli<br />
di terza. Lo scontro è sfrenato, violento, la gente<br />
rimanda, reagisce, boccheggia…. Quelli di sopra<br />
hanno la meglio, si sporgono per vomitare, una<br />
vera cascata… la nave è tutta piena… Avanti,<br />
avanti, avanti, si può spingere di più insieme nella<br />
vita a testa in su”. E poi l’amore ne “Il narciso”,<br />
in “Quando sarò capace di amare” e nel “Il<br />
dilemma”, divertente ma anche doloroso dilemma<br />
sulla incomprensione tra uomo e donna, condannati<br />
a far sesso senza sapere se si amano, fi no a<br />
fargli dire che “se vuoi rovinare un’amicizia facci<br />
l’amore”. E poi la società, la dittatura e la democrazia,<br />
ma quale democrazia. Nelle canzoni<br />
“Si può”, “Io non mi sento italiano”,<br />
“Quello che perde i pezzi” e “Se<br />
ci fosse un uomo”, dalla spietata<br />
analisi della realtà che gli fa dire<br />
“sono una merda, ma per un momento<br />
ho avuto paura di non essere<br />
neanche una merda” poche<br />
speranze restano per noi mortali<br />
destinati a vivere su questa terra.<br />
Ma basta il ritornello, cantato<br />
tra i bis richiesti e applauditi,<br />
“la libertà non<br />
è star sopra un albero<br />
non è neanche un gesto<br />
o un’invenzione<br />
la libertà non è uno<br />
spazio libero, libertà<br />
è partecipazione”<br />
per farci riandare<br />
agli anni in cui veramentepensavamo<br />
che per avere<br />
la democrazia bastasse<br />
molto poco,<br />
ce ne siamo illusi;<br />
chissà all’inizio<br />
si è illuso anche<br />
Gaber. Oggi<br />
Marcorè ci ha<br />
raccontato un’altra<br />
storia, quella di<br />
un uomo che vedeva<br />
troppo bene dentro il<br />
mondo, aveva capito tutti gli inganni<br />
e le trappole, cercava ferocemente<br />
la sua semplicità, come<br />
l’unica forma per liberarci da<br />
quella cupola di oppressione che ci<br />
stritola giorno dopo giorno. Lo faceva<br />
con la leggerezza di una canzone<br />
e con il ritmo di una ballata senza<br />
tempo. (rp)<br />
E l’altro e i fi gli...<br />
di Rossana Poletti<br />
Trieste. Politeama Rossetti.<br />
Ogni tanto, soprattutto quando<br />
la frequentazione teatrale è assidua<br />
e costante, si sente l’esigenza<br />
di assistere a spettacoli scritti<br />
da autori contemporanei. Basta<br />
con i soliti classici! si è portati a<br />
pensare; e giustamente visto che<br />
la fantasia dei registi e produttori<br />
di questi tempi spesso non è<br />
fervida. Quanti Amleti, Antigoni<br />
e Pirandelli, Shakespeare, Goldoni,<br />
e l’elenco potrebbe allungarsi<br />
inutilmente, abbiamo visto<br />
più e più volte nella nostra vita<br />
a teatro. Poi ogni tanto, come<br />
è successo l’anno scorso con<br />
“Processo a Dio” protagonista<br />
Ottavia Piccolo, abbiamo la fortuna<br />
di assistere a un bel testo<br />
nuovo, originale, ben scritto, ben<br />
rappresentato e allora il nostro<br />
cuore si apre alla speranza. La<br />
mente sviluppa velocemente pensieri<br />
ed elaborazioni impreviste,<br />
guarda al palcoscenico con quel-<br />
presto nuovi stimoli. Ma poi capita,<br />
come questa volta, che sul<br />
palcoscenico approdi uno degli<br />
ultimi scritti di Botho Strauss,<br />
del 2005, e allora le valutazioni<br />
sono diverse.<br />
Di lui si scrive sulla Garzantina<br />
e su Wikipedia: “nato a<br />
Naumburg nel 1944. Tema centrale<br />
della sua opera è la frustrazione<br />
del desiderio di contatto<br />
umano a causa di una nevrotica<br />
incapacità di comunicazione.<br />
Esso si realizza nei primi drammi<br />
attraverso una vena grottesco-surreale<br />
che sovrappone psicoanalisi<br />
e letteratura di consumo:<br />
Gli ipocondriaci (1972), Volti<br />
noti, sentimenti misti (1974).<br />
Con Trilogia del rivedersi (1976),<br />
Kalldewey: farsa (1981), e Il parco<br />
(1983), il mondo poetico di<br />
Strauss acquista maggiore concretezza<br />
psicologica. Il linguaggio<br />
si fa ricco di sfumature e allusioni<br />
letterarie. Altri romanzi<br />
e racconti sviluppano in variazioni<br />
sempre nuove la perdita di<br />
un rapporto signifi cativo con la<br />
realtà, che coincide con la dissoluzione<br />
della propria identità”.<br />
Allora uno potrebbe obiettare<br />
che letto questo non ci si può<br />
aspettare niente di allegro. Ma<br />
tra il non allegro e l’ossessivo,<br />
frantumato, “schizzato”, maniacale…<br />
passa una bella differenza.<br />
Se ad aggravare la già tragica<br />
situazione del testo ci si mette lo<br />
zampino del regista (Cesare Lievi),<br />
che evidentemente non manca<br />
del suo, la frittata è fatta. Vi<br />
basti sapere che a teatro, su una<br />
platea di circa mille persone ne<br />
restavano in sala all’inizio del<br />
secondo tempo poco più di duecento.<br />
Personalmente mi rifi uto<br />
di pensare che settecento e più<br />
persone siano tutte defi cienti. La<br />
storia è di quelle grottesche e paradossali,<br />
che non stupiscono ai<br />
giorni nostri. Una donna, Insa,<br />
contende all’altra, Lissie, il marito,<br />
entrambe fanno con l’uomo<br />
un fi glio, la ragazza Elaine e il<br />
ragazzo Timmi. L’uomo scompare<br />
abbandonando entrambe.<br />
I due fi gli non sanno l’uno dell’esistenza<br />
dell’altra, si conoscono<br />
e per ironia della sorte si<br />
innamorano, sconfi nando nel-<br />
il bicchiere in mano, recrimina<br />
e cerca invano ciò che non ha e<br />
probabilmente non ha mai avuto.<br />
Lissie la insegue a metà strada<br />
tra fenomeno da baraccone<br />
e da centro d’assistenza sociale.<br />
Per non dire di Elaine, macabra<br />
masochista, che lambisce il sogno<br />
di una crocifi ssione, messa<br />
in atto sulla scena con una crudeltà<br />
e freddezza senza appello.<br />
C’è un tentativo di usare umorismo<br />
e ironia per “alleggerire il<br />
clima”, ma è inutile, anzi probabilmente<br />
controproducente. La<br />
vita di Botho Strauss è solo disperazione,<br />
dramma, solitudine,<br />
incomprensione. Per fortuna,<br />
per quanto dura sia la realtà non<br />
è proprio così.<br />
Il lavoro, prodotto dal Teatro<br />
Stabile di Brescia, si avvale della<br />
recitazione di Paola Mannoni e<br />
Ludovica Modugno (a loro si aggiungono<br />
Leonardo De Colle e<br />
Paola Di Meglio nel ruolo rispettivamente<br />
di Timmi e Elaine);<br />
da citare perché molto effi caci<br />
le luci spiazzanti di Gigi Saccomandi<br />
e le scene di Margherita<br />
Palli, con i loro tagli e frammentazioni<br />
rendono il senso dello<br />
spettacolo ancor più vicino alla<br />
realtà dell’autore.<br />
Unite da scomode vampate<br />
Donne di tutto il mondo… unitevi? Grazie, abbiamo<br />
già dato. Bionde, more, rosse, longilinee,<br />
oversize, intellettuali, casalinghe, innamorate, illuse,<br />
deluse, ci accomuna la menopausa. Sì, quella<br />
stagione di repentini sbalzi di umore, sudate anche<br />
davanti ad un frigorifero; la stagione che introduce<br />
all’autunno…ehi, ehi, ehi, autunno un corno! Andiamoci<br />
piano. Potrebbe essere un inizio, no? Chi<br />
l’ha detto che per forza di cose deve essere un mezzo<br />
(se non di più) dramma? Ma prendiamo la faccenda<br />
con un po’ di fi losofi a! Ridiamoci su. Tanto, con gli<br />
sbalzi d’umore, tra un attimo ci lacrimeremo su.<br />
Ridiamoci e ragioniamoci su, intanto, con “Menopause.<br />
Il musical”, da un’idea dell’americana<br />
Jeanie Linders e riadattato per questa parte dell’oceano<br />
da Manuela Metri, Antonella Laganà e<br />
Paola Tiziana Cruciani.<br />
Lo spettacolo è andato in scena sui più importanti<br />
palcoscenici d’Italia riscuotendo un successo<br />
a cinque stelle.<br />
La storia coinvolge una casalinga, una manager,<br />
un’attrice di soap e una sessantottina, quattro<br />
donne apparentemente molto diverse tra loro, ma<br />
con qualcosa in comune: la menopausa della quale<br />
dicevamo. Donne interpretate da Marisa Laurito,<br />
Fioretta Mari, Marina Fiordaliso e Manuela Metri<br />
L’attrice, Marina Fiordaliso, è una donna attraente,<br />
dal fi sico palestrato, con una maniacale<br />
cura di sé. Da anni, davanti alla telecamera interpreta<br />
il ruolo di un’ingenua ragazza in una famosa<br />
soap opera, anche se ha oltrepassato l’età<br />
per essere credibile. Perennemente in lotta contro<br />
l’avanzare degli anni, punta tutto sull’aspetto<br />
esteriore, oscillando tra la frustrazione e la paura.<br />
Marisa Laurito impersona la tipica casalinga<br />
del sud, formosa, impacciata, goffa, dal gusto provinciale.<br />
Arriva a Roma (dove si svolge l’azione)<br />
al seguito del marito che partecipa ad una convention,<br />
con la speranza che la breve vacanza lontano<br />
da casa riporti un po’ di romanticismo nel<br />
suo matrimonio e soprattutto una ventata di vitalità<br />
tra le lenzuola.<br />
Manuela Metri è “fi glia dei fi ori”, sopravvissuta<br />
ai turbolenti anni ‘60-’70, salutista, vegana, erborista<br />
e astrologa; vive in una fattoria-comunità<br />
della Toscana, con il suo compagno. Un po’ abbondante,<br />
senza preoccupazione per il suo aspetto<br />
fi sico, è alla ricerca di una serenità e di un equilibrio<br />
interiore; semplice, diretta, affettuosa, ha<br />
sempre con il sorriso sulle labbra.<br />
Fioretta Mari è la donna-manager, ambiziosa e<br />
arrabbiata, in eterno confronto con gli uomini per<br />
la supremazia professionale, ha scelto la realizzazione<br />
nel lavoro castigando gli affetti familiari (la<br />
fi glia e la madre).<br />
Le quattro donne che più diverse non si piò, si<br />
incontrano al reparto lingerie della Rinascente di<br />
Roma. Tutte hanno l’età nella quale non si chiede<br />
più l’età, qualcuna veste taglie che non è lecito<br />
dichiarare e soffrono di quelle imbarazzanti condizioni<br />
regalate da vampate, ormoni impazziti, sudorazioni<br />
notturne. Comune denominatore di 72 milioni<br />
di donne europee e 42 milioni negli Stati Uniti.<br />
Donna signifi ca, spesso, antagonista, concorrenza,<br />
ma la menopausa appiana questi potenziali rischi;<br />
alla base di molte amicizie e altrettante complicità<br />
c’è la menopausa. Tra reggiseni e mutandine in<br />
saldo, nasce la complicità che le porterà a raccontare<br />
le loro storie e il loro modo di vivere la condizione.<br />
E così cambiano: l’attrice sul viale del tramonto<br />
imparerà che la bellezza va oltre l’aspetto fi sico,<br />
spesso menzognero; la sessantottina capirà di amare<br />
e di essere amata, di avere cioè qualcosa che attrae<br />
la gente. La manager capirà che potrà controllare<br />
gli affari ma che gli ormoni sfuggono al suo<br />
polso: potrà, nell’evenienza, usarli per stare meglio.<br />
La casalinga, un po’ in fuga dal ruolo tradizionalista<br />
di madre e moglie capirà che appunto in questi<br />
stanno la sua forza e la sua realizzazione.<br />
E vissero a lungo serene e felici. Beh, perchè<br />
no? In fondo, per vivere bene basta essere se stessi.<br />
Per “Menopause”, Vincenzo Incenzo e Tony<br />
Fornari hanno riscritto, in modo dissacratorio e<br />
originale, alcuni grandi successi pop e melodici, italiani<br />
e internazionali, dagli anni Sessanta agli Ottanta:<br />
“Maledetta primavera” di Loretta Goggi diventa<br />
“Maledetto climaterio”, “La Bamba” dei Los<br />
Lobos diventa “La Vampa”, “Only you” dei Platters<br />
“Soltanto tu mi infi ammi sempre più”, “Sentimental”<br />
di Wanda Osiris “Ormoni adieu”, “Night Fever”<br />
dei Bee Gees “Suderai”.<br />
Ottima introduzione il fi lmato iniziale, con interviste<br />
realizzate per strada, a donne e uomini: la prova<br />
provata che c’è poca informazione sul tema della<br />
menopausa, delle sue conseguenze, dei sintomi. Per<br />
non dire della terminologia scientifi ca che la caratterizza.<br />
“Lei è in menopausa?”, la domanda fatta ad<br />
un uomo. Risposta: “Sì, certo”. Ancora: “Che cos’è<br />
il climaterio?”. Sentite qua: “Una medicina”. Gli<br />
estrogeni, invece, “Malattie gravissime”. (ro)<br />
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