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Psicogeriatria 110 SUPP Cop 1 - Città di Torino

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22 PSICOGERIATRIA 2010; I - <strong>SUPP</strong>LEMENTO<br />

Una seconda motivazione è legata alla necessità<br />

pressante <strong>di</strong> definire il peso che le problematiche<br />

psicogeriatriche giocano nel con<strong>di</strong>zionare gli obiettivi<br />

ed i risultati dell’intervento riabilitativo. Si pensi,<br />

ad esempio, alla <strong>di</strong>fferente traiettoria <strong>di</strong> recupero<br />

funzionale che potrebbero avere due pazienti con<br />

lo stesso carico <strong>di</strong> patologie somatiche, ma <strong>di</strong>fferenti<br />

profili cognitivi od affettivi, o ancora a quanto singoli<br />

deficit cognitivi (<strong>di</strong>sfunzioni attentive od esecutive)<br />

possano con<strong>di</strong>zionare i processi <strong>di</strong> riappren<strong>di</strong>mento<br />

<strong>di</strong> schemi motori. Si pensi,infine,alla struttura<br />

<strong>di</strong> personalità dell’anziano ed al suo contesto<br />

psico-sociale, che può portare alla pre<strong>di</strong>sposizione o<br />

meno verso un impegno riabilitativo. In quest’ottica<br />

andranno riviste anche le misure <strong>di</strong> outcome tra<strong>di</strong>zionalmente<br />

utilizzate che, essendo perlopiù derivate<br />

dall’ambito clinico per acuti e quin<strong>di</strong> basate sulla<br />

guarigione, lamentano scarsa specificità in riabilitazione<br />

e <strong>di</strong>fferente applicabilità nella pratica clinica<br />

ove l’anziano, pur recuperando in parte o in tutto,<br />

non guarisce.<br />

Una terza motivazione è relativa al fatto che alcune<br />

problematiche emergenti da un punto <strong>di</strong> vista dell’epidemiologia<br />

dei bisogni trovano oggi, purtroppo,<br />

ancora poco spazio o soltanto risposte frammentarie<br />

ed aspecifiche nei setting riabilitativi. Si pensi,<br />

ad esempio, alla riabilitazione del paziente oncologico<br />

ed alle problematiche <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne psicologico che<br />

spesso ne complicano il trattamento e l’iter riabilitativo.<br />

Un ambito <strong>di</strong> ulteriore interesse è quello della<br />

qualità della vita e della resilienza. Non esistono ad<br />

oggi stu<strong>di</strong> che affrontano in modo sistematico e ragionato<br />

la questione delle risorse emotive del soggetto<br />

anziano e delle sue capacità <strong>di</strong> affrontare le<br />

avversità, mentre sono invece molteplici gli stu<strong>di</strong><br />

che denunciano le criticità del percorso riabilitativo<br />

e le possibili barriere ad un recupero funzionale e fisico<br />

ottimale. Eppure, la letteratura segnala con chiarezza<br />

che le risorse psicologiche del paziente adulto<br />

con<strong>di</strong>zionano in misura importante l’outcome riabilitativo,<br />

e svolgono un ruolo protettivo a lungo termine,<br />

prezioso ai fini del mantenimento dei traguar<strong>di</strong><br />

raggiunti. La loro rilevazione nell’anziano in riabilitazione<br />

merita quin<strong>di</strong> un’attenzione maggiore <strong>di</strong><br />

quella finora de<strong>di</strong>cata.<br />

Un’ultima motivazione è <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne prettamente<br />

“ideologico”. Ancora oggi infatti vi è un atteggiamento<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ffuso “ageismo”, che talora assume i connotati<br />

<strong>di</strong> un vero e proprio “nichilismo riabilitativo”, nei<br />

confronti dei pazienti anziani ed una certa tendenza<br />

a banalizzare i problemi <strong>di</strong> natura psicologica o<br />

cognitiva che possono caratterizzarne la gestione.<br />

Non è infrequente sentire trattare da parte degli ope-<br />

ratori i <strong>di</strong>sturbi dell’umore e d’ansia oppure i deficit<br />

cognitivi come se fossero “esterni” alla problematica<br />

riabilitativa e dunque non pertinenti al progetto <strong>di</strong><br />

recupero. Allo stesso modo non vi è l’abitu<strong>di</strong>ne a<br />

coinvolgere il caregiver attivamente nell’iter riabilitativo<br />

(valutazione delle risorse <strong>di</strong>sponibili, educazione<br />

e sostegno psicologico), con tutte le conseguenze<br />

che ciò comporta una volta che il paziente<br />

è rientrato al domicilio.<br />

Motivazioni specifiche<br />

Seppure in modo schematico, è possibile delineare<br />

una serie <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni che collegano le funzioni dell’encefalo<br />

con la riabilitazione motoria nella persona<br />

anziana. Sullo sfondo vi è una problematica ancora<br />

aperta, cioè l’interpretazione se l’atto riabilitativo sia<br />

fondamentalmente bottom-up o top-down, se cioè i<br />

risultati che si ottengono siano dovuti ad una modulazione<br />

della funzione cerebrale indotta dalla periferia<br />

o se l’encefalo gioca un ruolo autonomo nel guidare<br />

il processo riabilitativo. In questo contesto gli<br />

stu<strong>di</strong> sui neuroni mirror hanno aperto scenari nuovi.<br />

È stato infatti <strong>di</strong>mostrato che l’organizzazione somatotopica<br />

della nostra corteccia cerebrale è tanto<br />

legata all’osservazione quanto all’esecuzione del movimento<br />

stesso, e che i neuroni interessati colgono il<br />

goal dell’azione effettuata purché ci siano gli elementi<br />

con i quali ricostruire l’azione. In altre parole <strong>di</strong>venta<br />

anche fondamentale l’osservazione (oltre che<br />

la esecuzione) del movimento e che questo movimento<br />

sia “conosciuto dal paziente” (faccia cioè parte<br />

della propria memoria procedurale). Ciò ha importanti<br />

ripercussioni sulle modalità <strong>di</strong> erogazione<br />

del trattamento riabilitativo. Da un lato, infatti, <strong>di</strong>venta<br />

quasi essenziale che il riabilitatore sfrutti le capacità<br />

mimiche del paziente: tanto più il paziente sarà<br />

poco compliante all’intervento riabilitativo, tanto<br />

più sarà utile “mostrargli” come deve essere effettuato<br />

il movimento. Inoltre dovrà privilegiare movimenti<br />

già “conosciuti” dal paziente. Infine <strong>di</strong>venterà fondamentale<br />

finalizzare l’intervento riabilitativo al “senso<br />

dell’azione”: se infatti il paziente sarà ingaggiato in<br />

attività riabilitative <strong>di</strong> cui coglie lo scopo (“goal and<br />

person-oriented”), l’intervento sarà più efficace dal<br />

punto <strong>di</strong> vista del risultato, non soltanto per questioni<br />

<strong>di</strong> tipo motivazionale, ma anche e soprattutto per<br />

questioni <strong>di</strong> neuroplasticità cerebrale.<br />

Una seconda motivazione riguarda l’apparente querelle<br />

tra riabilitazione neuromotoria e riabilitazione<br />

cognitiva. Da tempo è presente una sorta <strong>di</strong> dualismo<br />

tra i due approcci, quasi fosse un “non sense”<br />

pensarne un impiego combinato. Le ragioni <strong>di</strong> que-

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