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Alessandro Soddu - Paolo

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I PÁPEROS (“POVERI”) NELLA SARDEGNA GIUDICALE (XI-XII SECOLO) ...<br />

se non uno a stagione 53 ; e tali servi avrebbero dovuto vivere insieme ai servi dei<br />

paperos 54 .<br />

Il terzo documento, redatto in lingua sarda nel 1173, riguarda, come detto,<br />

l’accordo tra Benedetto, operarius dei beni e redditi della Chiesa di S. Maria di Pisa<br />

in Sardegna, ed il vescovo di Civita Bernardo riguardo al possesso di una serie di<br />

chiese e domos (S. Maria di Vignola, S. Anastasia di Marraiano, S. Pietro e S. Maria<br />

di Surake, S. Lussorio di Oruviar e S. Maria di Larathanos; domos di Viddalba e<br />

Gisalle), con le relative pertinenze 55 : a S. Maria di Pisa pervengono le chiese di<br />

S. Maria di Larathanos, S. Lussorio di Oruviar, S. Pietro e S. Maria di Surake, S.<br />

Maria di Vignola, «cun onnia pertinenthia issoro e cun so populu de Surake e de<br />

Vingnolas cun sa eclethia paupera», pur mantenendovi la giurisdizione ecclesiastica il<br />

vescovato 56 . La menzione della «eclethia paupera» rimanda ad una chiesa di Vignola<br />

53. Nel documento si legge chiaramente áárenu (sic), da interpretare come un calco dal greco<br />

ωραιον (hōraion: “della stagione”, “stagionale”), aggettivo neutro, corrispondente al latino horaeus; la<br />

presenza degli apici sulle “a” iniziali è attribuibile al fatto che la lettera “ω” reca in apice il segno di<br />

spirito aspro ad indicare l’aspirazione (la geniale intuizione è dell’amico e collega Enrico Basso, al<br />

quale va la mia gratitudine). L’ipotesi è avvalorata dalla presenza di una piccola pergamena in caratteri<br />

greci cucita al presente documento (mai segnalata in letteratura) e dal signifi cativo precedente della<br />

cosiddetta carta sardo-greca, ovvero il documento scritto in sardo ma in caratteri greci (databile agli<br />

anni 1081-1089) con cui il giudice di Cagliari confermava una donazione in favore della chiesa di S.<br />

Saturno di Cagliari: cfr. E. CAU, Peculiarità e anomalie della documentazione sarda tra XI e XIII secolo<br />

cit., pp. 361-362 e nota 112, tav. 16 (p. 421); E. BLASCO FERRER, Crestomazia sarda dei primi secoli<br />

cit., I, pp. 51-62; G. PAULIS, Lingua e cultura nella Sardegna bizantina. Testimonianze linguistiche<br />

dell’infl usso greco, Sassari 1983. Devo la notizia della presenza di questa ulteriore pergamena all’amica<br />

e collega Paola Crasta, che qui ringrazio. Il documento sarà oggetto di un prossimo studio.<br />

54. Secondo Giulio Paulis, che utilizza le edizioni del documento di Muratori e Tola, «i servi oggetto<br />

della donazione non potranno stornare (turbari) alcuna prestazione d’opera (gimilioni) dovuta<br />

a Santa Maria di Pisa, se non limitatamente all’equivalente di una certa somma si non unu aerem, per<br />

far fronte a un eventuale tributo (zerga) imposto dal signore del territorio»: G. PAULIS, “Studi sul sardo<br />

medioevale”, in Offi cina linguistica, I (1997), p. 77. Sul gimilioni cfr. E. PUTZULU, “Sul contenuto<br />

giuridico del vocabolo medievale ‘gimilioni’”, in Studi Sardi, XX (1968), pp. 240-269; F. ARTIZZU,<br />

“Su due prestazioni personali nella Sardegna giudicale e sulla loro trasformazione in epoca successiva<br />

(roatia-gimilioni)”, in Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico, 11-13 (1980),<br />

pp. 339-349.<br />

55. Cfr. la recente edizione del documento in E. BLASCO FERRER, Crestomazia sarda dei primi<br />

secoli cit., I, pp. 177-181, al quale si rimanda per la precedente bibliografi a.<br />

56. Recita il documento: «pro aver-inde su pisscopatu pro su populu sa iustithia e obedienthia<br />

sua canta li dittat» (ivi, p. 177). A S. Simplicio, cattedrale di Civita, vanno la chiesa di S. Anastasia di<br />

Marraiano e le due domos di Viddalba e Gisalle.<br />

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