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L'economia cognitiva di Alessandro Innocenti Carocci ... - LabSi

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L’economia <strong>cognitiva</strong><br />

<strong>di</strong> <strong>Alessandro</strong> <strong>Innocenti</strong><br />

<strong>Carocci</strong> E<strong>di</strong>tore<br />

INDICE<br />

1. Introduzione<br />

1.1. Che cos’è l’economia <strong>cognitiva</strong>?<br />

1.2. L’economia come scienza sperimentale<br />

2. Le critiche alla teoria della scelta razionale<br />

2.1. La razionalità assiomatica<br />

2.2. Le violazioni della razionalità<br />

2.3. La razionalità dell’agente cognitivo<br />

3. Le reazioni costruttive<br />

3.1. La teoria dei prospetti <strong>di</strong> Tversky e Kahneman<br />

3.2. Come funziona la mente?<br />

3.3. La neuroeconomia<br />

4. Le applicazioni<br />

4.1. È possibile prevedere che cosa acquisterò?<br />

4.2. Investire in borsa è una decisione razionale?<br />

4.3. Autocontrollo e scelta intertemporale<br />

4.4. Quanto contano gli altri nelle mie decisioni?<br />

4.5. Perché ci fi<strong>di</strong>amo degli altri?<br />

4.6. È razionale imitare?<br />

1


Conclusioni<br />

Bibliografia<br />

2


1. Introduzione<br />

1.1. Che cos’è l’economia <strong>cognitiva</strong>? Com’è accaduto in tutte le scienze sociali, anche gli<br />

economisti hanno de<strong>di</strong>cato molto tempo a definire l’oggetto della propria <strong>di</strong>sciplina. Uno<br />

dei motivi che ha reso particolarmente faticoso questo compito è il fatto che, dalla metà del<br />

secolo scorso, la teoria economica si è caratterizzata come una scienza fondata sulla<br />

matematica e sull’impiego <strong>di</strong> modelli logico-deduttivi, che hanno imposto <strong>di</strong> tradurre in<br />

termini generali e astratti i fatti empirici analizzati. A questa motivazione metodologica se<br />

n’è aggiunta un’altra <strong>di</strong> tipo linguistico. La traduzione <strong>di</strong> termini coniati in inglese ha<br />

talvolta causato l’uso improprio <strong>di</strong> alcuni concetti, rendendo <strong>di</strong>fficile non solo la<br />

comunicazione con stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> <strong>di</strong>scipline <strong>di</strong>verse, ma talvolta anche il confronto tra<br />

economisti <strong>di</strong> paesi <strong>di</strong>versi. La combinazione <strong>di</strong> tali cause spiega perché questo libro, che<br />

intende introdurre il lettore ai contenuti <strong>di</strong> un’area <strong>di</strong> ricerca relativamente recente, debba<br />

innanzitutto affrontare la non semplice questione <strong>di</strong> che cosa s’intende per economia<br />

<strong>cognitiva</strong>.<br />

Un primo problema da risolvere è a quale termine inglese sia opportuno fare riferimento. Se<br />

si <strong>di</strong>gitano su un motore <strong>di</strong> ricerca i termini cognitive economics, la maggior parte delle<br />

pagine web evidenziate farà riferimento a contributi <strong>di</strong> autori europei. Digitando invece<br />

behavioral economics, oltre ad ottenere un numero molto più alto <strong>di</strong> segnalazioni, si avrà<br />

accesso prevalentemente a lavori <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi statunitensi. Questo semplice esercizio rivela<br />

che, <strong>di</strong>etro una questione terminologica, si nascondono problemi più complessi.<br />

L’attuale status metodologico dell’economia ha, in effetti, iniziato a delinearsi in un periodo<br />

in cui la collocazione geografica degli economisti era <strong>di</strong>scriminante rispetto all’appartenenza<br />

alle <strong>di</strong>verse scuole <strong>di</strong> pensiero. Non è un caso che la fondazione dell’economia come scienza<br />

matematica si debba ad alcuni stu<strong>di</strong>osi europei (Gerard Debreu, John Harsanyi, Jacob<br />

3


Marschak, Oskar Morgenstern, John von Neumann), che emigrarono negli Stati Uniti prima<br />

della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, portando con sé un bagaglio <strong>di</strong> strumenti e <strong>di</strong> idee innovative<br />

per la comunità americana. In quegli anni, il <strong>di</strong>battito, non solo sul metodo ma anche sui<br />

contenuti delle scienze economiche, si articolava su più <strong>di</strong>mensioni nazionali, nelle quali<br />

economisti <strong>di</strong> scuola austriaca, francese, italiana e tedesca proponevano approcci originali<br />

rispetto alle scuole <strong>di</strong> origine anglosassone e statunitense. Dopo gli anni cinquanta, questa<br />

eterogeneità si è progressivamente affievolita e la comunità scientifica statunitense ha in<br />

breve assunto un ruolo egemonico, continuando ad attrarre stu<strong>di</strong>osi da oltreoceano.<br />

Questa evoluzione storica ha fatto sì che la scienza economica si sia dotata in pochi decenni<br />

<strong>di</strong> un corpus teorico compatto e autoreferenziale, noto con il termine <strong>di</strong> teoria della scelta<br />

razionale. Ciò che fonda, in estrema sintesi, questo approccio è l’ipotesi che l’agente<br />

economico, termine volutamente astratto e generale per identificare una tipologia d’in<strong>di</strong>viduo<br />

che segue regole <strong>di</strong> comportamento definibili matematicamente, adotti criteri <strong>di</strong> scelta<br />

perfettamente coerenti, in relazione ad una serie <strong>di</strong> regole definite a priori, detti assiomi (cfr.<br />

il riquadro <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento).<br />

Il metodo assiomatico<br />

Le teorie assiomatiche possono essere definite come sistemi formali composti da un proprio<br />

alfabeto, dalle regole <strong>di</strong> formazione, dagli assiomi e dalle regole <strong>di</strong> trasformazione.<br />

L’alfabeto è composto da tutti i segni che compaiono nel sistema. Le regole <strong>di</strong> formazione<br />

del sistema in<strong>di</strong>cano come i segni dell’alfabeto possono essere combinati in formule<br />

accettabili per il sistema. Gli assiomi sono le formule principali o primitive del sistema. Le<br />

regole <strong>di</strong> trasformazione, o <strong>di</strong> inferenza, specificano infine in quale modo le formule possono<br />

essere trasformate in altre formule.<br />

4


Il contenuto del sistema formale è quin<strong>di</strong> arbitrario purché rispetti le regole <strong>di</strong> formazione e<br />

<strong>di</strong> trasformazione che esso stesso si impone. Rispettata questa con<strong>di</strong>zione, una formula è<br />

provabile nel sistema se le trasformazioni che la producono sono accettabili e usano solo<br />

assiomi ammessi. Un sistema è completo se per ogni formula generica f, nel sistema si può<br />

provare o f o la sua negazione ma non entrambi. L’economia usa un approccio assiomatico<br />

quando <strong>di</strong>stingue tra la teoria e le sue interpretazioni. La prima è fondata sugli assiomi e la<br />

seconda dà origine agli assiomi.<br />

Questa assunzione permette l’introduzione in economia <strong>di</strong> modelli fondati sul ragionamento<br />

deduttivo che, partendo da ipotesi generali e astratte, producono conclusioni altrettanto<br />

generali e astratte attraverso l’uso della logica e della matematica. Proprio perché, a prima<br />

vista, questo metodo sembra implicare che l’economia abbia l’obiettivo <strong>di</strong> definire quali<br />

decisioni sono razionali, e quin<strong>di</strong> valide dal punto <strong>di</strong> vista normativo, il suo utilizzo per fini<br />

descrittivi e pre<strong>di</strong>ttivi è ancora oggi l’oggetto <strong>di</strong> accese controversie. Ed è proprio questo<br />

<strong>di</strong>battito alla base della fondazione sia della behavioral economics sia della cognitive<br />

economics, termini traducibili rispettivamente come economia comportamentale ed economia<br />

<strong>cognitiva</strong>.<br />

Con il termine <strong>di</strong> economia comportamentale si definisce un’area <strong>di</strong> ricerca che ha l’obiettivo<br />

<strong>di</strong> introdurre nelle scienze economiche i risultati empirici e le teorie induttive proposte dagli<br />

psicologi del comportamento umano (Camerer, 1999). Questo progetto <strong>di</strong> unificazione <strong>di</strong><br />

economia e psicologia è associato a una revisione <strong>di</strong> alcune ipotesi, ma non del metodo, della<br />

teoria della scelta razionale. Gli economisti comportamentali assumono che gli agenti<br />

economici possano comportarsi in modo non razionale e non correggano sistematicamente i<br />

propri errori <strong>di</strong> calcolo e <strong>di</strong> inferenza logico-deduttiva. L’indebolimento dell’ipotesi <strong>di</strong><br />

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azionalità perfetta è ottenuto ammettendo che le preferenze, su cui gli agenti fondano le<br />

proprie scelte, possano rivelarsi incoerenti, in linea con quanto teorizzato e verificato<br />

sperimentalmente dalla psicologia comportamentale (Rabin, 1998). All’indebolimento <strong>di</strong><br />

un’ipotesi centrale della teoria della scelta razionale non corrisponde però una mo<strong>di</strong>fica della<br />

natura <strong>di</strong> scienza matematica e deduttiva dell’economia. Anche se l’economia<br />

comportamentale impiega l’evidenza empirica e il ragionamento induttivo per definire le<br />

assunzioni su cui si fondano i suoi modelli, l’efficacia delle sue teorie non <strong>di</strong>pende<br />

<strong>di</strong>rettamente dal loro isomorfismo con la realtà ma, come avviene per la teoria della scelta<br />

razionale, dalla correttezza del modo in cui queste teorie sono ricavate deduttivamente dalle<br />

assunzioni fatte.<br />

L’economia <strong>cognitiva</strong> si propone invece <strong>di</strong> sovvertire l’assetto metodologico della teoria<br />

della scelta razionale. Secondo questa impostazione, lo stu<strong>di</strong>o dei comportamenti economici<br />

deve adottare un approccio inter<strong>di</strong>sciplinare, che utilizzi gli strumenti elaborati dalle scienze<br />

cognitive. Le scienze cognitive vengono fondate negli anni cinquanta del Novecento, quando<br />

alcuni ricercatori <strong>di</strong> varia provenienza ed estrazione iniziano a proporre teorie<br />

inter<strong>di</strong>sciplinari sul funzionamento della mente, integrando cinque <strong>di</strong>verse aree <strong>di</strong> ricerca: la<br />

psicologia <strong>cognitiva</strong>, la filosofia della mente, la linguistica, l’intelligenza artificiale e le<br />

neuroscienze. L’economia <strong>cognitiva</strong> è una sesta <strong>di</strong>sciplina che entra a far parte delle scienze<br />

cognitive alla fine degli anni settanta, apportando un proprio patrimonio d’idee e <strong>di</strong> strumenti<br />

in un processo <strong>di</strong> fertile interscambio.<br />

L’elemento unificante <strong>di</strong> un così ampio contenitore è lo stu<strong>di</strong>o degli stati mentali che<br />

sovrintendono ai processi <strong>di</strong> raccolta ed elaborazione dell’informazione, <strong>di</strong> creazione della<br />

conoscenza, <strong>di</strong> formazione delle preferenze e, infine, <strong>di</strong> presa della decisione. In ambito<br />

economico, questo fine viene perseguito rimuovendo un’ipotesi metodologica fondamentale<br />

della teoria della scelta razionale. Invece <strong>di</strong> ricavare le preferenze degli in<strong>di</strong>vidui dalle scelte<br />

6


effettivamente compiute con un processo <strong>di</strong> induzione all’in<strong>di</strong>etro, l’economia <strong>cognitiva</strong> si<br />

propone <strong>di</strong> analizzare i processi mentali che danno origine alle preferenze e, sulla base <strong>di</strong><br />

questa analisi, ricostruire come si determinano le decisioni. Questo vero e proprio<br />

capovolgimento metodologico rappresenta la principale <strong>di</strong>fferenza tra economia <strong>cognitiva</strong> ed<br />

economia comportamentale. Nell’economia <strong>cognitiva</strong> i processi attraverso i quali gli<br />

in<strong>di</strong>vidui raccolgono, elaborano e utilizzano l’informazione per formare le preferenze e<br />

prendere le decisioni <strong>di</strong>ventano il principale oggetto <strong>di</strong> analisi. Nell’economia<br />

comportamentale, al contrario, i processi che precedono e determinano le scelte sono<br />

semplicemente ignorati e l’oggetto d’indagine è rappresentato dalle scelte effettivamente<br />

compiute, dalle quali si deducono i sistemi <strong>di</strong> preferenze che le hanno determinate secondo il<br />

principio delle preferenze rivelate.<br />

Questo cambiamento <strong>di</strong> prospettiva ha un’altra importante conseguenza. Nonostante sia<br />

l’economia comportamentale sia quella <strong>cognitiva</strong> con<strong>di</strong>vidano il principio<br />

dell’in<strong>di</strong>vidualismo metodologico (cfr. riquadro <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento), l’economia <strong>cognitiva</strong><br />

parte dall’assunzione che gli in<strong>di</strong>vidui sono eterogenei tra loro, nel senso che il loro<br />

comportamento è il risultato <strong>di</strong> processi <strong>di</strong>fferenziati da in<strong>di</strong>viduo a in<strong>di</strong>viduo, nei quali il<br />

contesto materiale e istituzionale svolge un ruolo decisivo.<br />

L’in<strong>di</strong>vidualismo metodologico<br />

La teoria dell’in<strong>di</strong>vidualismo metodologico sostiene che i fenomeni sociali possono essere<br />

descritti e spiegati efficacemente a partire dagli in<strong>di</strong>vidui che formano la società.<br />

Originariamente formulato dalla scuola degli economisti austriaci (Carl Menger, Ludwig von<br />

Mises e Friedrich von Hayek), esso assume che i fatti economici siano il risultato dell’azione<br />

umana, ma non <strong>di</strong> progetti costantemente voluti e riconosciuti. Sono quin<strong>di</strong> gli in<strong>di</strong>vidui che,<br />

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spinti da motivazioni <strong>di</strong> utilità personale, interagiscono tra loro creando in maniera non<br />

intenzionale le istituzioni economiche. I comportamenti economici sono quin<strong>di</strong> motivati<br />

esclusivamente dagli interessi in<strong>di</strong>viduali. Ciò implica che i soggetti collettivi, come le<br />

famiglie, le imprese, le società o le nazioni, non sono portatori <strong>di</strong> interessi economici<br />

autonomi dai singoli in<strong>di</strong>vidui che li compongono. Questa semplificazione metodologica<br />

permette all’economia <strong>di</strong> ignorare l’effetto delle comunità sociali sui comportamenti<br />

economici e la <strong>di</strong>fferenzia dalle altre scienze sociali.<br />

Questa ipotesi implica che, a livello collettivo, ogni decisione in<strong>di</strong>viduale ha effetti che<br />

possono essere analizzati solo considerando esplicitamente le modalità <strong>di</strong> relazione tra gli<br />

in<strong>di</strong>vidui. Per investigare lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> fenomeni così complessi che avvengono sia all’interno<br />

sia all’esterno dell’in<strong>di</strong>viduo, l’economia <strong>cognitiva</strong> fa propria l’impostazione della psicologia<br />

<strong>cognitiva</strong> e delle neuroscienze, utilizzando estesamente il metodo sperimentale.<br />

1.2. L’economia come scienza sperimentale L’indebolimento del para<strong>di</strong>gma teorico della<br />

scelta razionale è da attribuire principalmente all’introduzione in economia dei meto<strong>di</strong><br />

sperimentali <strong>di</strong> laboratorio. Fino agli anni quaranta, i dati utilizzati nella costruzione e nella<br />

verifica delle teorie economiche erano ottenuti esclusivamente attraverso indagini statistiche<br />

e ricerche sul campo. La fondazione, negli anni cinquanta, dell’economia sperimentale ha<br />

reso <strong>di</strong>sponibile per gli economisti una nuova tipologia <strong>di</strong> dati, creati in un laboratorio per<br />

finalità scientifiche e in con<strong>di</strong>zioni controllate.<br />

Ma come si svolge concretamente un esperimento <strong>di</strong> laboratorio in economia? Nel caso più<br />

comune, il laboratorio non è altro che un’aula universitaria, <strong>di</strong> solito attrezzata con una rete <strong>di</strong><br />

computer, in cui studenti universitari, reclutati con criteri casuali, prendono alcune decisioni.<br />

Alla fine <strong>di</strong> ogni esperimento, gli studenti ricevono un compenso monetario determinato in<br />

8


funzione delle decisioni prese durante l’esperimento, in modo da variare in maniera<br />

significativa da studente a studente e da fornire un incentivo a ottenere il guadagno più alto<br />

possibile.<br />

Quella che potrebbe apparire, a prima vista, solo una duplicazione artificiosa <strong>di</strong> ambienti reali<br />

molto più complessi ha progressivamente assunto un ruolo importante nella formulazione e<br />

nella verifica delle teorie economiche. In generale, un esperimento economico non deve<br />

replicare fedelmente la realtà, ma solo le principali assunzioni contenute nei modelli, per<br />

verificare se, e in quali con<strong>di</strong>zioni, le implicazioni comportamentali <strong>di</strong> queste assunzioni sono<br />

confermate. In questo modo, il metodo sperimentale aggira il problema principale delle<br />

indagini statistiche ed econometriche, i cui risultati sono resi ambigui dalla molteplicità e<br />

dalla non controllabilità dei fattori che determinano gli eventi reali. A questo vantaggio se ne<br />

aggiunge un altro ugualmente importante: attraverso gli esperimenti <strong>di</strong> laboratorio è possibile<br />

ricercare regolarità empiriche ine<strong>di</strong>te, che consentono <strong>di</strong> scoprire e definire nuovi fatti<br />

stilizzati. Questa natura euristica del metodo sperimentale è forse la più rilevante per gli<br />

obiettivi dell’economia <strong>cognitiva</strong>, come sarà <strong>di</strong>scusso nei prossimi capitoli. Ma prima <strong>di</strong><br />

addentrarsi nei contenuti dell’economia <strong>cognitiva</strong>, è utile soffermarsi a definire le con<strong>di</strong>zioni<br />

che rendono valido un esperimento in economia.<br />

Secondo una visione largamente con<strong>di</strong>visa (Davis, Holt, 1992; Friedman, Sunder, 1994), un<br />

esperimento deve sod<strong>di</strong>sfare cinque requisiti fondamentali: la regolarità procedurale, il<br />

parallelismo, la teoria del valore indotto, la correttezza e la calibratura.<br />

Come in ogni scienza che utilizzi il metodo sperimentale, anche in economia una<br />

precon<strong>di</strong>zione essenziale per la vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> un esperimento è la replicabilità delle con<strong>di</strong>zioni<br />

sperimentali. Quest’obiettivo non può però essere perseguito adottando gli stessi<br />

accorgimenti delle scienze fisiche o chimiche. Gli esperimenti in economia non possono<br />

infatti svolgersi in ambienti “sottovuoto”. Gli studenti o, più in generale, i soggetti<br />

9


sperimentali sono esposti a sollecitazioni ambientali e interpersonali non totalmente<br />

controllabili. Una modalità in<strong>di</strong>retta ma efficace <strong>di</strong> approssimare questo risultato è <strong>di</strong> rendere<br />

le procedure sperimentali il più possibile uniformi e con<strong>di</strong>vise. Tanto più queste procedure<br />

sono dettagliate e, al tempo stesso, <strong>di</strong> semplice descrizione e facile esecuzione, tanto<br />

maggiore sarà la replicabilità <strong>di</strong> un certo <strong>di</strong>segno sperimentale. In pratica, gli esperimenti in<br />

economia prevedono una serie <strong>di</strong> regole procedurali esattamente co<strong>di</strong>ficate. Per esempio, le<br />

istruzioni impartite ai soggetti sperimentali vengono lette ad alta voce e rappresentano l’unica<br />

modalità <strong>di</strong> comunicazione tra chi conduce e chi partecipa all’esperimento. Nelle istruzioni<br />

deve essere inoltre incluso in modo chiaro e semplice ogni dettaglio che sia rilevante ai fini<br />

delle scelte da effettuare e del compenso dato ai soggetti sperimentali.<br />

Il secondo requisito sperimentale è quello del parallelismo, secondo il quale l’esperimento<br />

deve essere strutturato in modo da rappresentare adeguatamente le principali assunzioni del<br />

modello economico da verificare. Come il modello teorico è uno strumento che seleziona un<br />

numero molto limitato <strong>di</strong> variabili tra quelle che determinano un certo comportamento o<br />

evento, così gli esperimenti economici evitano le <strong>di</strong>fficoltà proprie dell’indagine sul campo<br />

semplificando il più possibile le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> laboratorio, in modo da renderle controllabili e<br />

misurabili. Il requisito del parallelismo non può comunque essere esteso senza limitazioni<br />

neppure al modello teorico in sé, in quanto le persone reali presenti in laboratorio non<br />

coincidono con gli agenti economici della teoria. L’utilità <strong>di</strong> un esperimento, come quella <strong>di</strong><br />

un modello, <strong>di</strong>pende dal fatto che le variabili ritenute importanti dallo sperimentatore (e dal<br />

teorico) siano quelle che sono determinanti nel comportamento reale degli in<strong>di</strong>vidui.<br />

Parafrasando il premio Nobel per l’economia Vernon Smith (1982), le proposizioni sul<br />

comportamento degli in<strong>di</strong>vidui e sulla performance delle istituzioni testate in economie <strong>di</strong><br />

laboratorio si applicano anche a microeconomie non <strong>di</strong> laboratorio nella misura in cui vale la<br />

con<strong>di</strong>zione ceteris paribus. Che poi sia tutt’altro che facile determinare con esattezza quando<br />

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la con<strong>di</strong>zione “a parità <strong>di</strong> tutte le altre circostanze” è rispettata, è altrettanto evidente ma<br />

questa critica è esten<strong>di</strong>bile a ogni forma d’indagine non sperimentale.<br />

Secondo il principio del valore indotto, un esperimento deve prevedere l’utilizzo <strong>di</strong> un mezzo<br />

<strong>di</strong> ricompensa tale da permettere allo sperimentatore <strong>di</strong> indurre caratteristiche prespecificate<br />

nei partecipanti all’esperimento, in modo che le loro caratteristiche innate <strong>di</strong>ventino<br />

largamente irrilevanti. Per ottenere questo risultato, il mezzo <strong>di</strong> ricompensa deve sod<strong>di</strong>sfare<br />

tre con<strong>di</strong>zioni. La prima con<strong>di</strong>zione, detta <strong>di</strong> monotonicità e <strong>di</strong> non sazietà, richiede che la<br />

ricompensa sia abbastanza alta da dominare i costi soggettivi (principalmente <strong>di</strong> fatica<br />

mentale e d’impiego del tempo) sostenuti per partecipare all’esperimento e che non esistano<br />

livelli così alti del mezzo <strong>di</strong> ricompensa tali che un soggetto possa non preferirne quantità<br />

maggiori. La seconda con<strong>di</strong>zione, la salienza, impone che la ricompensa ricevuta dal soggetto<br />

<strong>di</strong>penda dalle azioni che egli compie e che il soggetto sia in grado <strong>di</strong> percepire correttamente<br />

tale relazione. Infine, la terza con<strong>di</strong>zione, la dominanza, richiede che i cambiamenti<br />

nell'utilità che il soggetto ottiene dall'esperimento debbano provenire in modo predominante<br />

dalla sua ricompensa, tanto da rendere trascurabile l'effetto <strong>di</strong> altri fattori come, per esempio,<br />

i guadagni ottenuti dagli altri soggetti. In economia sperimentale, il mezzo <strong>di</strong> ricompensa<br />

utilizzato per sod<strong>di</strong>sfare queste tre con<strong>di</strong>zioni è il denaro e, in effetti, questa rappresenta la<br />

principale <strong>di</strong>fferenza tra gli esperimenti economici e quelli effettuati in psicologia.<br />

Il quarto requisito (la correttezza) richiede che gli esperimenti siano strutturati in modo che<br />

non vi sia alcun comportamento che i soggetti percepiscano come corretto o atteso.<br />

Quest’obiettivo viene ottenuto anche facendo gestire l'esperimento da assistenti dello<br />

sperimentatore, che non sono a conoscenza degli obiettivi dell'esperimento, o strutturando<br />

l’esperimento in modo che lo stesso sperimentatore non sia in grado <strong>di</strong> associare le scelte<br />

fatte all’in<strong>di</strong>viduo che le ha compiute (cfr. riquadro <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento).<br />

11


Esperimento double-blind<br />

Un esperimento double blind è costruito in modo tale che né i soggetti sottoposti<br />

all’esperimento né<br />

lo sperimentatore siano in grado <strong>di</strong> associare le decisioni prese in<br />

laboratorio al soggetto che le ha prese. Questa con<strong>di</strong>zione è imposta per minimizzare l’effetto<br />

dell’experimenter bias, secondo il quale le azioni dello sperimentatore possono, anche<br />

inconsciamente, in<strong>di</strong>care ai soggetti sperimentali come essi dovrebbero comportarsi in<br />

relazione alle caratteristiche del design sperimentale, influenzando e quin<strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficando le<br />

loro decisioni spontanee. Un effetto simile è noto come participant bias o demand<br />

characteristic, che si verifica quando i partecipanti all’esperimento mo<strong>di</strong>ficano i loro<br />

comportamenti per conformarsi a quelli che ritengono siano i fini scientifici dell’esperimento.<br />

Anche in questo caso, la vali<strong>di</strong>tà scientifica dell’esperimento ne risulta seriamente<br />

con<strong>di</strong>zionata. Queste due <strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> bias (<strong>di</strong>storsione) sono <strong>di</strong>fferenziate dal fatto<br />

che il primo è relativo a qualche caratteristica personale e visibile dello sperimentatore,<br />

mentre il secondo si riferisce genericamente al design sperimentale. In entrambi i casi,<br />

l’interpretazione dei dati sperimentali deve necessariamente tenerne conto.<br />

Lo stesso requisito viene rispettato nella stesura delle istruzioni sperimentali, che devono<br />

evitare espressioni suggestive o giu<strong>di</strong>zi espliciti.<br />

Infine, l’ultimo dei requisiti, quello della calibratura, impone che un buon esperimento debba<br />

dotarsi <strong>di</strong> un metodo chiaro ed esplicito per comparare i risultati sperimentali e le ipotesi da<br />

investigare, in modo che le pre<strong>di</strong>zioni in laboratorio <strong>di</strong> teorie alternative siano chiaramente<br />

<strong>di</strong>stinguibili tra loro. La definizione dei parametri quantitativi che supportano o confutano<br />

una proposizione teorica deve quin<strong>di</strong> precedere e non essere successiva allo svolgimento<br />

dell’esperimento.<br />

12


Il rispetto <strong>di</strong> questi principi rende utile l’uso dei meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> laboratorio in economia perché<br />

consente, come nelle scienze fisiche e naturali, <strong>di</strong> raccogliere dati controllabili, replicabili e<br />

non viziati da errori <strong>di</strong> misurazione. Inoltre, in questo modo l’economista <strong>di</strong>venta<br />

<strong>di</strong>rettamente responsabile della vali<strong>di</strong>tà e della cre<strong>di</strong>bilità scientifica dei dati raccolti.<br />

A fronte <strong>di</strong> questi aspetti positivi, l’uso del metodo sperimentale in economia è comunque<br />

sottoponibile a critiche significative. In primo luogo, l’utilizzo <strong>di</strong> studenti per indagare il<br />

funzionamento <strong>di</strong> mercati complessi, in cui operano in<strong>di</strong>vidui esperti e professionali, può<br />

rappresentare un’eccessiva semplificazione. Poiché in questi mercati i decisori sono sempre<br />

più sofisticati <strong>di</strong> quelli osservati in laboratorio, ogni scelta potrebbe essere <strong>di</strong>storta<br />

dall’impossibilità <strong>di</strong> replicare i processi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento che avvengono nella realtà. A<br />

questa critica è stato ribattuto che quando i soggetti professionali sono utilizzati in laboratorio<br />

tendono ad applicare le regole procedurali costruite nella pratica quoti<strong>di</strong>ana (regole del<br />

pollice), reagendo quin<strong>di</strong> alle situazioni reali evocate dall’esperimento piuttosto che ai<br />

parametri ambientali definiti nelle istruzioni sperimentali (Roth, 1987). Gli studenti<br />

universitari, al contrario, garantiscono non solo impermeabilità a tali con<strong>di</strong>zionamenti esterni,<br />

ma anche velocità <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento, bassi costi opportunità e facilità <strong>di</strong> reclutamento.<br />

Una critica <strong>di</strong> eccessiva semplificazione della realtà può essere rivolta anche al metodo<br />

sperimentale in sé. Quest’argomento sostiene che i mercati reali sono molto più complicati <strong>di</strong><br />

quelli ricostruiti in laboratorio e la con<strong>di</strong>zione ceteris paribus non sarebbe mai verificata. A<br />

questa critica è stato replicato che, se una teoria è falsificata in un ambiente semplice, non si<br />

vede perché non lo debba essere in un ambiente più complesso e, allo stesso modo, se una<br />

teoria è provata in un ambiente semplice, è compito della teoria stessa determinare quali<br />

integrazioni possono renderla valida anche in ambienti, sperimentali o reali, più complessi.<br />

Inoltre, anche in laboratorio esistono <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> controllo dell'ambiente sperimentale che<br />

possono rendere dubbia la vali<strong>di</strong>tà dei risultati. Per esempio, le modalità <strong>di</strong> reclutamento o <strong>di</strong><br />

13


utilizzo dei soggetti sperimentali possono avere effetti <strong>di</strong>storsivi, sistematici e non misurabili<br />

sulla significatività dei risultati sperimentali. O ancora, dettagli apparentemente secondari,<br />

come l’uso <strong>di</strong> termini evocativi o suggestivi nelle istruzioni o le definizioni dei ruoli e delle<br />

scelte, possono con<strong>di</strong>zionare negativamente la correttezza dell’esperimento.<br />

Nonostante questi appunti critici, l’economia sperimentale ha svolto un ruolo fondamentale<br />

nel recente sviluppo delle scienze economiche. Questa storia, ancora tutta da scrivere, è<br />

iniziata alla fine degli anni quaranta del Novecento con le prime semplici simulazioni <strong>di</strong><br />

laboratorio delle contrattazioni <strong>di</strong> mercato ed è oggi in rapida evoluzione, proprio per la<br />

novità rappresentata dallo stu<strong>di</strong>o dei processi cognitivi. Per raccontare questa storia, è utile<br />

partire dagli eventi che l’hanno preceduta, spiegando nel prossimo capitolo perché alcuni<br />

stu<strong>di</strong>osi statunitensi si siano convinti, alla fine degli anni settanta, della necessità <strong>di</strong> aprire la<br />

scatola nera delle cosiddette preferenze rivelate.<br />

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2. Le critiche alla teoria della scelta razionale<br />

2.1. La razionalità assiomatica La definizione del concetto <strong>di</strong> razionalità sembrerebbe un<br />

compito più appropriato per un filosofo che per un economista. In realtà, la definizione<br />

formale <strong>di</strong> razionalità strumentale si deve ad alcuni economisti matematici, che hanno creato<br />

negli anni cinquanta un para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong>ventato centrale anche per la riflessione filosofica.<br />

Una scelta può essere definita razionale in funzione dei mezzi necessari per realizzare<br />

determinati fini. Il punto <strong>di</strong> partenza del principio <strong>di</strong> scelta razionale è <strong>di</strong> chiarire le<br />

caratteristiche generali che questi fini, o preferenze, devono avere, applicando poi alle<br />

preferenze un’assunzione comportamentale e derivando infine deduttivamente quali mezzi, o<br />

decisioni, definiscono una scelta come razionale.<br />

Le preferenze sono definite come scelte ipotetiche tra una coppia <strong>di</strong> oggetti generici, o beni, x<br />

e y. Una prima con<strong>di</strong>zione da rispettare è che ogni agente economico sia in grado <strong>di</strong><br />

esprimere la sua preferenza o in<strong>di</strong>fferenza tra questi beni. Una volta che ne è stata assunta<br />

l’esistenza, le preferenze devono sod<strong>di</strong>sfare alcune regole, o assiomi, che rappresentano<br />

requisiti <strong>di</strong> coerenza logica.<br />

Il primo assioma <strong>di</strong> or<strong>di</strong>namento richiede che le preferenze siano asimmetriche e transitive.<br />

Le preferenze sono simmetriche se è possibile che il bene x sia preferito al bene y e<br />

contemporaneamente y sia preferito a x. Sono non transitive se, quando x è preferito a y e y è<br />

preferito a un altro bene z, allora z è preferito a x. Escludendo queste due possibilità,<br />

l’assioma <strong>di</strong> or<strong>di</strong>namento assicura che l’agente abbia preferenze consistenti e non<br />

contrad<strong>di</strong>ttorie.<br />

Il secondo assioma <strong>di</strong> continuità impone che l’agente sia capace <strong>di</strong> associare a ognuno dei<br />

due beni una probabilità che esso sia effettivamente <strong>di</strong>sponibile per la scelta. In questo modo<br />

l’agente può avere preferenze non solo sulla coppia <strong>di</strong> beni, ma anche su ogni estrazione, o<br />

15


lotteria, che assegni a entrambi i beni una certa probabilità <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>sponibile. Se la lotteria<br />

è definita sulla coppia <strong>di</strong> beni x e y e la probabilità con cui è considerato <strong>di</strong>sponibile un bene<br />

x è p, allora la probabilità con cui l’agente considera <strong>di</strong>sponibile l’altro bene y è (1-p). Con<br />

questa con<strong>di</strong>zione, l’assioma impone che, quando x è preferito a y e y è preferito a z, sia<br />

sempre possibile definire due probabilità, p e q, tali che la lotteria con cui x è <strong>di</strong>sponibile con<br />

probabilità p e z con probabilità (1-p) sia preferita a y e che, a sua volta, y sia preferito alla<br />

lotteria con cui y è <strong>di</strong>sponibile con probabilità q e z con probabilità (1-q).<br />

Intuitivamente, l’assioma richiede che l’agente abbia preferenze tali che esista sempre una<br />

<strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> probabilità che rende un bene preferito a un qualsiasi altro bene o lotteria <strong>di</strong><br />

beni. Il termine “continuità” va quin<strong>di</strong> inteso nel senso che le preferenze siano tali che ogni<br />

or<strong>di</strong>namento <strong>di</strong> preferenza sulle lotterie dei due beni sia possibile. Questo assioma non<br />

sarebbe valido, per esempio, nel caso in cui un bene fosse considerato così poco desiderato<br />

da non poter essere mai scelta una lotteria in cui vi fosse anche una probabilità estremamente<br />

piccola che questo bene sia <strong>di</strong>sponibile.<br />

Infine il terzo assioma (in<strong>di</strong>pendenza) richiede che se x è preferito a y, allora la lotteria con<br />

cui x è <strong>di</strong>sponibile con probabilità p e z con probabilità (1-p) sia preferita alla lotteria con cui<br />

y è <strong>di</strong>sponibile con probabilità p e z con probabilità (1-p). In altri termini, le preferenze<br />

devono essere tali che, se due lotterie includono uno stesso bene, or<strong>di</strong>nano le lotterie nello<br />

stesso modo in cui or<strong>di</strong>nano i due beni.<br />

Se questi tre assiomi sono rispettati, è possibile <strong>di</strong>mostrare che esiste una funzione, detta<br />

funzione <strong>di</strong> utilità attesa, tale che se x è preferito a y allora il valore <strong>di</strong> utilità attesa associato<br />

a x è maggiore del valore <strong>di</strong> utilità attesa associato a y. Nel caso <strong>di</strong> una lotteria, il valore della<br />

sua funzione <strong>di</strong> utilità attesa è dato dalla somma delle utilità associate a ogni bene che<br />

compone la lotteria moltiplicate per le probabilità con cui i beni sono effettivamente<br />

<strong>di</strong>sponibili:<br />

16


Utilità attesa (lotteria x,y) = p x U(x) + p y U(y)<br />

Sulla funzione così definita, gli economisti applicano una prescrizione comportamentale<br />

apparentemente molto semplice: un agente è razionale se massimizza il valore della sua<br />

funzione <strong>di</strong> utilità attesa. L’agente non può quin<strong>di</strong> preferire beni o lotterie a cui non<br />

corrisponde il massimo valore possibile della funzione <strong>di</strong> utilità attesa, né le sue preferenze<br />

<strong>di</strong>pendono dalla funzione <strong>di</strong> utilità degli altri agenti.<br />

Secondo la teoria della scelta razionale, essere razionali significa quin<strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re a ben<br />

precise regole logico-deduttive. L’agente economico deve essere dotato <strong>di</strong> preferenze non<br />

contrad<strong>di</strong>ttorie sulle scelte binarie tra beni e lotterie, in modo tale che sia possibile costruire<br />

una funzione numerica <strong>di</strong> utilità attesa, con cui or<strong>di</strong>nare tutte le scelte a <strong>di</strong>sposizione. Inoltre<br />

l’agente deve determinare le sue scelte in modo da massimizzare il valore della funzione così<br />

determinata.<br />

Un aspetto che, già a prima vista, appare problematico in questa definizione è la complessità<br />

dei compiti che l’agente dovrebbe essere in grado <strong>di</strong> svolgere per comportarsi in modo<br />

razionale. In realtà, gli in<strong>di</strong>vidui non sono in grado né <strong>di</strong> definire sempre con esattezza le<br />

proprie preferenze, né tanto meno hanno preferenze coerenti e complete. Sia un semplice<br />

ragionamento introspettivo sia l’osservazione empirica <strong>di</strong>mostrano che gli in<strong>di</strong>vidui<br />

utilizzano criteri <strong>di</strong> scelta molto più semplici <strong>di</strong> quanto previsto dalla teoria della scelta<br />

razionale. Essi non sembrano quin<strong>di</strong> comportarsi razionalmente o, se lo fanno, ciò avviene in<br />

contesti e in situazioni molto particolari. Questa considerazione sembrerebbe implicare che la<br />

teoria della scelta razionale, pur mantenendo un valore prescrittivo, perda gran parte della sua<br />

rilevanza descrittiva.<br />

17


Questa critica può essere meglio apprezzata prendendo in considerazione il concetto <strong>di</strong><br />

preferenze rivelate. Fondando il criterio <strong>di</strong> razionalità su una serie <strong>di</strong> assiomi costruiti su<br />

scelte ipotetiche, non si formula alcuna ipotesi sui fini effettivi che l’agente si propone. Ogni<br />

scelta è ammissibile se rispetta gli assiomi necessari a definire la funzione <strong>di</strong> utilità attesa. Se<br />

la funzione <strong>di</strong> utilità è massimizzata, la decisione che ne consegue è da considerarsi<br />

razionale, e quin<strong>di</strong> valida dal punto <strong>di</strong> vista normativo, in<strong>di</strong>pendentemente dai fini per cui<br />

questa decisione è stata presa. Le preferenze sono quin<strong>di</strong> rivelate, nel senso che le preferenze<br />

più appropriate per i fini dell’agente sono esattamente quelle che egli manifesta con le sue<br />

scelte. Il problema <strong>di</strong> quale comportamento debba essere adottato per perseguire i fini che<br />

l’agente si propone è semplicemente aggirato dalle modalità con cui viene costruita la<br />

funzione <strong>di</strong> utilità attesa.<br />

La teoria della scelta razionale è quin<strong>di</strong> concettualmente inattaccabile proprio rispetto al suo<br />

principale obiettivo, che è <strong>di</strong> scegliere i mezzi più appropriati per realizzare i fini<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo, perché i fini non sono determinati ex ante ma solo ricavati deduttivamente ex<br />

post. Non sorprende perciò che le critiche principali alla teoria della scelta razionale siano<br />

scaturite dai tentativi <strong>di</strong> investigare se gli assiomi postulati, e le assunzioni che<br />

implicitamente ne derivano, sono confermati o violati quando, dal modello astratto, si passa<br />

alle scelte effettuate in laboratorio.<br />

2.2. Le violazioni della razionalità Il progetto <strong>di</strong> ricerca che ha dato origine all’economia<br />

<strong>cognitiva</strong> è proprio la verifica degli assiomi postulati dalla teoria della scelta razionale. In<br />

alcuni articoli pubblicati alla fine degli anni settanta, due stu<strong>di</strong>osi statunitensi, Daniel<br />

Kahneman e Amos Tversky, presentarono una serie <strong>di</strong> dati ottenuti sottoponendo alcune<br />

scelte ipotetiche a studenti universitari, le cui risposte erano in chiaro contrasto con quanto<br />

18


previsto dalla teoria. Poco più tar<strong>di</strong>, un altro economista, Richard Thaler (1980), estese e<br />

sistematizzò questo insieme <strong>di</strong> dati.<br />

Una delle scelte proposte da Kahneman e Tversky (1979) chiedeva agli studenti <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care<br />

quale opzione preferissero tra le seguenti due alternative:<br />

a) una vincita certa <strong>di</strong> 30 dollari;<br />

b) una vincita <strong>di</strong> 45 dollari con probabilità 80%.<br />

La maggior parte degli studenti interpellati (78%) espresse la propria preferenza per<br />

l’opzione a. Agli stessi studenti venne anche chiesto <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care la loro preferenza tra le<br />

seguenti alternative:<br />

c) una vincita <strong>di</strong> 30 dollari con probabilità 25%;<br />

d) una vincita <strong>di</strong> 45 dollari con probabilità 20%.<br />

In questo caso, la maggioranza degli studenti (58%) <strong>di</strong>chiarò <strong>di</strong> preferire l’opzione d. Queste<br />

risposte rappresentavano una prima violazione della teoria della scelta razionale. Applicando<br />

il concetto <strong>di</strong> funzione <strong>di</strong> utilità attesa, la preferenza <strong>di</strong> a rispetto a b implicava che l’utilità<br />

ottenuta con a fosse maggiore <strong>di</strong> quella ottenuta con b:<br />

(1)U(30) > (0,80)U(45)<br />

La preferenza <strong>di</strong> d rispetto a c implicava invece che l’utilità attesa ottenuta con c fosse<br />

minore <strong>di</strong> quella ottenuta con d:<br />

(0,25)U(30) < (0,20)U(45)<br />

Trasformando le due <strong>di</strong>sequazioni e combinandole si ottiene:<br />

19


0,80 U(30)<br />

0,20<br />

0,80<br />

1 U (45) 0,25<br />

Le preferenze espresse dagli studenti universitari davano quin<strong>di</strong> luogo ad una contrad<strong>di</strong>zione:<br />

il rapporto tra le due utilità non poteva essere maggiore e uguale allo stesso valore. Anche<br />

quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> fronte a decisioni molto semplici, gli studenti compivano scelte in contrasto con gli<br />

assiomi della teoria della scelta razionale. Nel caso specifico, essi mostravano una tendenza a<br />

preferire il risultato certo a rispetto al risultato incerto b, in contrad<strong>di</strong>zione con il valore<br />

monetario atteso delle due opzioni (30 vs. 36), mentre <strong>di</strong> fronte a due alternative entrambe<br />

incerte la loro scelta <strong>di</strong> d rispetto a c risultava coerente con i valori monetari attesi (9 vs. 7,5).<br />

Un’altra decisione sottoposta agli studenti da Kahneman e Tversky (1979, pp. 265-266) era la<br />

seguente:<br />

Immagina <strong>di</strong> dovere effettuare le seguenti scelte. Esamina prima tutte le decisioni che dovrai prendere e<br />

poi in<strong>di</strong>ca per ognuna <strong>di</strong> esse l’opzione che preferisci:<br />

Decisione (1)<br />

a) un guadagno sicuro <strong>di</strong> 240 dollari;<br />

b) una lotteria in cui puoi vincere 1.000 dollari con una probabilità del 25% e non perdere niente con<br />

una probabilità del 75%.<br />

Decisione (2)<br />

c) una per<strong>di</strong>ta sicura <strong>di</strong> 750 dollari;<br />

d) una lotteria in cui puoi perdere 1.000 dollari con una probabilità del 25% e non perdere niente con<br />

una probabilità del 75%.<br />

Decisione (3)<br />

e) una lotteria in cui puoi vincere 240 dollari con una probabilità del 25% e perdere 760 dollari con una<br />

probabilità del 75%;<br />

20


f) una lotteria in cui puoi vincere 250 dollari con una probabilità del 25% e perdere 750 dollari con una<br />

probabilità del 75%.<br />

La maggior parte degli studenti <strong>di</strong>chiarò <strong>di</strong> preferire a rispetto a b, d rispetto a c e f rispetto a<br />

e. Queste scelte erano però in contrasto con il fatto che l’opzione e era data dalla<br />

combinazione <strong>di</strong> a e d, mentre l’opzione f dalla combinazione <strong>di</strong> b e c. Anche in questo caso,<br />

l’esito finale dei calcoli che gli studenti <strong>di</strong>mostravano <strong>di</strong> effettuare era in contrasto con i<br />

principi della teoria della scelta razionale. Essi sceglievano ancora una vincita certa rispetto a<br />

una vincita incerta <strong>di</strong> valore atteso superiore, ma preferivano anche una lotteria con una<br />

piccola probabilità <strong>di</strong> vincere rispetto a una per<strong>di</strong>ta certa <strong>di</strong> uguale valore atteso.<br />

I test <strong>di</strong> Kahneman e Tversky (1979, pp. 265-268) includevano anche situazioni più<br />

realistiche come la seguente:<br />

Immagina che hai deciso <strong>di</strong> assistere a uno spettacolo teatrale il cui biglietto <strong>di</strong> entrata costa 10 dollari.<br />

Prima <strong>di</strong> entrare a teatro scopri che hai perso una banconota da 10 dollari. Pagheresti ancora 10 dollari<br />

per il biglietto?<br />

Adesso immagina che hai deciso <strong>di</strong> vedere uno spettacolo teatrale e che hai già acquistato il biglietto <strong>di</strong><br />

entrata. Prima <strong>di</strong> entrare a teatro ti accorgi che hai perso il biglietto <strong>di</strong> entrata. I posti non sono numerati<br />

e quin<strong>di</strong> il biglietto non può essere recuperato. Pagheresti 10 dollari per un altro biglietto?<br />

L’88% degli studenti si <strong>di</strong>chiarò <strong>di</strong>sponibile a comprare il biglietto nel primo caso, mentre<br />

solo il 46% <strong>di</strong>chiarò che avrebbe riacquistato il biglietto nel secondo caso. Le modalità <strong>di</strong><br />

rappresentazione della scelta mo<strong>di</strong>ficavano quin<strong>di</strong> l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> preferenza <strong>di</strong> una scelta che, in<br />

base al principio <strong>di</strong> razionalità, sarebbe dovuta rimanere immutata.<br />

21


In scelte ipotetiche come queste, i soggetti sperimentali tendevano quin<strong>di</strong> a mo<strong>di</strong>ficare le loro<br />

decisioni in funzione del modo in cui venivano presentate le <strong>di</strong>verse opzioni e <strong>di</strong>mostravano<br />

varie forme <strong>di</strong> incoerenza, in contrad<strong>di</strong>zione con gli assiomi della teoria della scelta<br />

razionale.<br />

Risultati analoghi erano già stati evidenziati nei decenni precedenti in esperimenti <strong>di</strong><br />

laboratorio con scelte reali e incentivi monetari (Allais, 1953; May, 1954; Edwards, 1953).<br />

Anche questi test <strong>di</strong>mostravano come, sottoponendo a soggetti reali scelte binarie come<br />

quelle ipotizzate dalla teoria della scelta razionale, si ottenessero sistemi <strong>di</strong> preferenza non<br />

coerenti e in contrasto con la massimizzazione della funzione <strong>di</strong> utilità (cfr. riquadro <strong>di</strong><br />

approfon<strong>di</strong>mento).<br />

Il paradosso <strong>di</strong> Allais<br />

Il paradosso <strong>di</strong> Allais è probabilmente il più celebrato risultato nella storia dell’economia<br />

sperimentale. Nel 1953 l’economista francese Maurice Allais pubblicò sulla rivista<br />

“Econometrica” un articolo in cui esponeva i risultati <strong>di</strong> un esperimento in cui i soggetti<br />

sperimentali dovevano esprimere la loro preferenza tra le seguenti alternative:<br />

a) una vincita certa <strong>di</strong> 100 milioni <strong>di</strong> franchi;<br />

b) una lotteria in cui si poteva guadagnare 500 milioni <strong>di</strong> franchi con una probabilità del<br />

10%, guadagnare 100 milioni con una probabilità dell’89% e non guadagnare niente con una<br />

probabilità dell’1%.<br />

Agli stessi soggetti era poi chiesto <strong>di</strong> scegliere tra:<br />

c) una lotteria in cui si poteva guadagnare 100 milioni <strong>di</strong> franchi con una probabilità<br />

dell’11% e non guadagnare niente con una probabilità dell’89%;<br />

d) una lotteria in cui si poteva guadagnare 500 milioni <strong>di</strong> franchi con una probabilità del 10%<br />

e non guadagnare niente con una probabilità del 90%.<br />

22


L’evidenza <strong>di</strong> laboratorio mostrava che i soggetti preferivano d a c, ma non preferivano b ad<br />

a, nonostante il valore atteso <strong>di</strong> queste scommesse espresso in milioni <strong>di</strong> franchi fosse uguale<br />

a:<br />

a = 100 > b = 139; c = 11 < d = 50.<br />

Secondo Allais, questa evidenza <strong>di</strong>mostrava che la definizione assiomatica <strong>di</strong> razionalità non<br />

permetteva né <strong>di</strong> descrivere né <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>re le decisioni economiche. Il suo contributo ottenne<br />

scarsa attenzione tra gli economisti statunitensi fino alla fine degli anni settanta. Un chiaro<br />

segnale del cambiamento avvenuto negli anni successivi fu il premio Nobel assegnato a<br />

Maurice Allais nel 1988.<br />

In effetti, che una teoria generale e astratta come quella della scelta razionale potesse essere<br />

contraddetta dalle scelte effettuate in situazioni reali non era <strong>di</strong> per sé sorprendente. Sia gli<br />

esperimenti degli anni cinquanta sia i questionari <strong>di</strong> Kahneman e Tversky erano importanti<br />

non tanto perché producevano evidenza contraria a un modello logico-matematico, quanto<br />

perché imponevano la ricerca euristica <strong>di</strong> spiegazioni teoriche <strong>di</strong>verse da quelle formulate in<br />

passato. Se gli in<strong>di</strong>vidui interpellati deviavano con tale regolarità dalle pre<strong>di</strong>zioni della teoria<br />

razionale in scelte tanto semplici, quali altri principi decisionali potevano descrivere le<br />

modalità con cui si determinavano le scelte in con<strong>di</strong>zioni più complesse come quelle reali?<br />

Una risposta a questa domanda poteva essere ottenuta solo rimuovendo l’assunzione delle<br />

preferenze rivelate. Se le scelte economiche non sono il risultato <strong>di</strong> un calcolo razionale<br />

rappresentabile tramite modelli logico-matematici, ma l’esito <strong>di</strong> un continuo processo <strong>di</strong><br />

appren<strong>di</strong>mento in cui le con<strong>di</strong>zioni ambientali e le rappresentazioni mentali delle alternative a<br />

<strong>di</strong>sposizione influenzano le decisioni, allora sia una loro descrizione sia una loro<br />

giustificazione normativa può provenire solo dall’analisi dei processi attraverso i quali si<br />

formano le preferenze. L’evidenza sperimentale, anche se non può produrre evidenza<br />

23


conclusiva o sistematica, ha <strong>di</strong>mostrato che esiste una molteplicità <strong>di</strong> fattori mentali e<br />

psicologici che influenzano sia l’or<strong>di</strong>namento delle preferenze sia i processi decisionali. Per<br />

tenerne conto, è necessario indagare prima i meccanismi mentali attraverso cui l’in<strong>di</strong>viduo<br />

definisce i propri obiettivi e solo dopo è possibile determinare se le decisioni sono razionali<br />

in relazione ai fini. In questo modo, le scelte economiche <strong>di</strong>ventano, come tutte le altre scelte,<br />

il risultato <strong>di</strong> un processo che coinvolge le funzioni sensoriali, la raccolta e l’elaborazione<br />

delle informazioni, le rappresentazioni mentali, la memoria, il linguaggio, gli impulsi e le<br />

pulsioni emotive.<br />

L’analisi <strong>di</strong> questo complesso insieme <strong>di</strong> attività permette non solo <strong>di</strong> investigare le cause<br />

delle violazioni della teoria razionale, ma anche <strong>di</strong> comprendere come gli in<strong>di</strong>vidui reali sono<br />

in grado <strong>di</strong> svolgere in modo efficiente compiti complessi, per i quali non sembrano<br />

apparentemente possedere le capacità logiche o computazionali necessarie. Per portare avanti<br />

questo programma <strong>di</strong> ricerca è però necessario un approccio inter<strong>di</strong>sciplinare che è in<br />

contrasto con l’autoreferenzialità propria <strong>di</strong> gran parte della teoria economica. Ponendo al<br />

centro della propria attenzione il comportamento dell’agente cognitivo, piuttosto che quello<br />

dell’agente economico, l’economia <strong>cognitiva</strong> fa propria una concezione <strong>di</strong> razionalità <strong>di</strong>versa<br />

da quella della teoria della scelta razionale.<br />

2.3. La razionalità dell’agente cognitivo Sebbene l’economia <strong>cognitiva</strong> non si sia ancora<br />

dotata <strong>di</strong> una definizione largamente con<strong>di</strong>visa <strong>di</strong> razionalità, alcuni contributi recenti hanno<br />

proposto una visione integrata dei principi generali che la <strong>di</strong>fferenziano dalla teoria della<br />

scelta razionale. L’articolo <strong>di</strong> Camerer, Loewenstein e Prelec, pubblicato nel 2005 sul<br />

“Journal of Economic Literature”, rappresenta un vero e proprio manifesto dell’economia<br />

<strong>cognitiva</strong> e <strong>di</strong> una sua recente filiazione, la neuroeconomia. Un secondo contributo utile in<br />

24


questa <strong>di</strong>rezione è rappresentato dalla Nobel Lecture <strong>di</strong> Daniel Kahneman, i cui contenuti<br />

sono esposti in Kahneman e Frederick (2002).<br />

La visione proposta da Camerer, Loewenstein e Prelec si fonda su una rappresentazione<br />

stilizzata dei processi mentali, che vengono classificati come mostrato in tabella 1.<br />

Tabella 1<br />

Una caratterizzazione bi<strong>di</strong>mensionale del funzionamento neuronale della mente<br />

Processi cognitivi<br />

Processi emotivi<br />

Processi controllati I II<br />

Processi automatici III IV<br />

Ogni casella della tabella corrisponde a una combinazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> processi mentali.<br />

Nella prima casella sono incluse le decisioni razionali, che sono il frutto <strong>di</strong> processi mentali<br />

consapevoli, fondati sulla conoscenza elaborata in modo cosciente dall’in<strong>di</strong>viduo. La seconda<br />

casella raccoglie quei processi con i quali s’inducono volontariamente e consapevolmente<br />

processi emotivi, come la rabbia, la tristezza o l’entusiasmo, in sé e negli altri. La terza<br />

casella comprende i processi mentali che innescano le reazioni automatiche conseguenti agli<br />

stimoli esterni, come quelli che provocano gran parte dei cambiamenti e dei movimenti del<br />

corpo. La quarta casella è, infine, quella che include tutte le reazioni emotive istintive non<br />

me<strong>di</strong>ate dai processi cognitivi, come, per esempio, la paura, il dolore, l’attrazione sessuale.<br />

L’ipotesi da cui partono Camerer, Loewenstein e Prelec è che la mente sia un organo dotato<br />

<strong>di</strong> capacità <strong>di</strong> risposta automatica agli stimoli esterni. Queste reazioni si attivano in tempi più<br />

brevi <strong>di</strong> quelli richiesti per il calcolo razionale, tanto che i processi del terzo e del quarto<br />

quadrante sono esclusi dalla deliberazione volontaria propria della teoria della scelta<br />

razionale. Inoltre, questa rappresentazione assume che ogni processo decisionale coinvolga,<br />

25


contemporaneamente e in parallelo, <strong>di</strong>verse aree cerebrali, che svolgono attività <strong>di</strong>stinte e<br />

specializzate, secondo un’organizzazione <strong>di</strong> tipo modulare. Ciò implica che, per descrivere e<br />

prevedere le decisioni economiche, è necessario in<strong>di</strong>viduare quali aree della mente si attivano<br />

in ciascuna delle <strong>di</strong>verse tipologie decisionali. Per esempio, l’amigdala, un’area posta alla<br />

base del nostro cervello, mostra <strong>di</strong> attivarsi quando l’in<strong>di</strong>viduo prova sensazioni <strong>di</strong><br />

avversione o propensione, anche senza avere consapevolezza delle cause <strong>di</strong> queste<br />

sensazioni. Un’altra regione cerebrale, l’ipotalamo, sembra attivarsi in funzione del livello<br />

dei bisogni primari dell’in<strong>di</strong>viduo, provocando decisioni impulsive e irrazionali. Lo stesso<br />

riconoscimento delle opzioni tra cui si sceglie è la conseguenza <strong>di</strong> processi automatici<br />

collocati nella corteccia posteriore del cervello, che ha il compito <strong>di</strong> deco<strong>di</strong>ficare i segnali<br />

ricevuti dal nervo ottico in base a rappresentazioni semplificate delle esperienze <strong>di</strong> scelta<br />

passate.<br />

Le regioni cerebrali si caratterizzano inoltre per un’alta plasticità, nel senso che l’unità <strong>di</strong><br />

funzionamento del cervello, il neurone, si mo<strong>di</strong>fica costantemente e irreversibilmente durante<br />

i processi <strong>di</strong> reazione alle sollecitazioni esterne, mo<strong>di</strong>ficando le proprie funzioni e quin<strong>di</strong><br />

l’efficienza nello svolgimento dei propri compiti (cfr. riquadro <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento).<br />

La plasticità cerebrale<br />

La plasticità è una caratteristica innata del sistema cerebrale. Il cervello è infatti progettato<br />

per adattarsi all’ambiente esterno e per risolvere i problemi che affronta quoti<strong>di</strong>anamente.<br />

Nel 1949 lo psicologo canadese Donald Hebb <strong>di</strong>mostrò che, se due neuroni sono collegati e<br />

sono attivi nel medesimo istante, la connessione tra loro, sinapsi, ne risulterà potenziata.<br />

Hebb utilizzò questa scoperta per spiegare le modalità <strong>di</strong> funzionamento della memoria e i<br />

processi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento. In generale, questa caratteristica del cervello implica che il suo<br />

26


funzionamento è solo in parte preprogrammato dall’evoluzione. Un ruolo altrettanto<br />

importante è giocato dalle esperienze vissute, che producono una continua rigenerazione<br />

delle cellule cerebrali. La sperimentazione sugli animali ha mostrato infatti che questi<br />

processi <strong>di</strong> cambiamento sono rappresentati da mo<strong>di</strong>ficazioni irreversibili dei processi <strong>di</strong><br />

trasmissione elettrica tra un neurone e l’altro. Benché il numero <strong>di</strong> neuroni presenti nel nostro<br />

cervello sia definitivamente stabilito fin dalla prima infanzia, il cervello continua a mostrare<br />

fin dall’adolescenza un fenomeno detto plasticità neuronale, che consiste nella produzione o<br />

eliminazione <strong>di</strong> sinapsi, nella mo<strong>di</strong>fica delle caratteristiche funzionali e strutturali dei<br />

neuroni. Per esempio l’elaborazione dell’informazione è un processo irreversibile, nel senso<br />

che nuova informazione mo<strong>di</strong>fica le connessioni neuronali secondo modalità che <strong>di</strong>pendono<br />

dall’or<strong>di</strong>ne in cui le informazioni vengono elaborate. Ciò implica che i processi <strong>di</strong><br />

appren<strong>di</strong>mento sono influenzati anche dall’informazione che dopo essere stata raccolta ed<br />

elaborata viene scartata come inutile o ridondante.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista economico, ciò implica che la percezione visuale e il riconoscimento degli<br />

oggetti svolgono un ruolo decisivo nel determinare le preferenze e le conseguenti decisioni,<br />

più dello stesso calcolo razionale dei costi e dei benefici ipotizzati dalla teoria della scelta<br />

razionale. Questa caratteristica fa sì che i processi cognitivi e <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento <strong>di</strong>pendano<br />

strettamente dai contesti in cui si svolgono e dalle esperienze passate e che si <strong>di</strong>fferenzino da<br />

in<strong>di</strong>viduo a in<strong>di</strong>viduo. Per analizzare questi meccanismi cerebrali è necessario prima dotarsi<br />

<strong>di</strong> una concezione generale <strong>di</strong> come è strutturata la mente, che è oggetto del lavoro dei<br />

filosofi della mente, e poi stu<strong>di</strong>arne in laboratorio il funzionamento, ricorrendo agli strumenti<br />

messi a punto dalla psicologia <strong>cognitiva</strong> e dalle neuroscienze.<br />

Il secondo contributo utile per comprendere il metodo dell’economia <strong>cognitiva</strong> proviene da<br />

uno dei fondatori della <strong>di</strong>sciplina, Daniel Kahneman. Sviluppando una teoria proposta dagli<br />

27


psicologi cognitivi Stanovich e West (2000), Kahneman e Frederick (2001) interpretano<br />

l’apparente incoerenza dei processi decisionali come l’esito dell’interazione <strong>di</strong> due sistemi<br />

cognitivi <strong>di</strong>stinti, riportati nella tabella 2.<br />

Tabella 2<br />

I due sistemi cognitivi e i processi associati<br />

Sistema 1 (intuitivo)<br />

Sistema 2 (riflessivo)<br />

Caratteristiche dei processi Automatici Controllati<br />

Senza sforzo<br />

Con sforzo<br />

Associativi<br />

Deduttivi<br />

Rapi<strong>di</strong> e paralleli<br />

Lenti e seriali<br />

Inconsapevoli<br />

Consapevoli<br />

Abilità esperienziali Applicazione <strong>di</strong> regole<br />

Oggetto dei processi Emozioni Neutrali<br />

Inclinazioni casuali Valutazioni statistiche<br />

Concreti, specifici<br />

Astratti<br />

Prototipi<br />

Insiemi<br />

Questa rappresentazione riprende una delle idee più <strong>di</strong>ffuse nella storia della psicologia,<br />

secondo la quale ogni processo decisionale è il frutto non solo della ragione, ma anche<br />

dell’intuizione, che s’interpone fra i processi percettivi e il ragionamento consapevole. Se è<br />

evidente che i confini tra queste <strong>di</strong>fferenti <strong>di</strong>mensioni dei processi cognitivi sono labili, è<br />

comunque con<strong>di</strong>visa la percezione che molte reazioni alle sollecitazioni esterne sono<br />

percepite come articolate in fasi e tempi successivi e, inoltre, che esiste un elemento intuitivo,<br />

tanto più importante quanto più la situazione decisionale è concreta, suscita emozioni o<br />

richiama esperienze significative. Allo stesso tempo, l’introspezione mostra che un approccio<br />

più me<strong>di</strong>tato – e quin<strong>di</strong> tendenzialmente più razionale – prevale quando le decisioni da<br />

prendere riguardano situazioni ignote, concetti astratti o richiedono l’applicazione <strong>di</strong> regole<br />

imposte dall’esterno.<br />

28


Una recente riproposizione della <strong>di</strong>stinzione tra intuizione e ragione è quella che va sotto il<br />

nome <strong>di</strong> “teoria dei processi duali”, la cui ipotesi fondante è che i processi cognitivi sono<br />

l’esito <strong>di</strong> due componenti <strong>di</strong>stinte e complementari. Secondo quest’approccio, ripreso da<br />

Kahneman e Frederick, ogni decisione sarebbe il risultato della combinazione <strong>di</strong> due <strong>di</strong>stinti<br />

sistemi cognitivi, detti Sistema 1 e Sistema 2. Il Sistema 1 comprenderebbe le reazioni<br />

imme<strong>di</strong>ate, automatiche e quin<strong>di</strong> al <strong>di</strong> fuori del controllo consapevole del decisore, che si<br />

attivano nei processi iniziali <strong>di</strong> raccolta delle informazioni e <strong>di</strong> formazione delle preferenze.<br />

Il Sistema 2 avrebbe invece il compito <strong>di</strong> controllare ed eventualmente mo<strong>di</strong>ficare le risposte<br />

automatiche del Sistema 1, attraverso una valutazione successiva, ragionata e consapevole.<br />

Ogni preferenza, giu<strong>di</strong>zio o decisione adottati senza che il Sistema 2 mo<strong>di</strong>fichi la risposta<br />

data dal Sistema 1 sarebbe così definita come intuitiva.<br />

Con questa rappresentazione dei processi decisionali <strong>di</strong>venta essenziale indagare come certe<br />

reazioni automatiche o determinate associazioni mentali si manifestino in presenza <strong>di</strong><br />

specifiche situazioni ambientali. Secondo Kahneman e Frederick, ciò corrisponde ad<br />

esaminare le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> accessibilità, attraverso cui si definiscono le modalità con cui la<br />

mente reagisce spontaneamente agli stimoli esterni. Ciò che è importante sottolineare è che i<br />

due sistemi non sono in realtà due <strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> razionalità, ma sono invece altrettante<br />

procedure operative attraverso cui l’in<strong>di</strong>viduo determina le proprie scelte. Non c’è quin<strong>di</strong><br />

nessuna garanzia che i due sistemi non entrino in conflitto: anche se entrambi sono il frutto<br />

del processo evolutivo che li determina in funzione della loro capacità <strong>di</strong> adattarsi in modo<br />

efficiente all’ambiente, la loro interazione non produce necessariamente scelte coerenti né<br />

tanto meno in linea con la teoria della scelta razionale. Per esempio, in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> forte<br />

partecipazione emotiva, in situazioni che evocano esperienze passate e in situazioni <strong>di</strong><br />

pericolo o urgenza, il Sistema 2 può funzionare in modo scorretto o incompleto e non<br />

intervenire sulle risposte automatiche del Sistema 1. Oppure, il Sistema 1 può interpretare in<br />

29


modo impreciso gli stimoli esterni e generare impressioni <strong>di</strong>storte, che possono determinare<br />

calcoli errati da parte del Sistema 2.<br />

Nel loro articolo, Kahneman e Frederick <strong>di</strong>scutono una serie <strong>di</strong> esempi in cui queste<br />

impressioni errate, generate automaticamente e inconsapevolmente dal Sistema 1, riguardano<br />

attributi degli oggetti osservati, come la <strong>di</strong>stanza, la <strong>di</strong>mensione, la somiglianza, e nelle quali<br />

i giu<strong>di</strong>zi elaborati dal Sistema 2 restano inesatti anche in presenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrazioni esterne<br />

che ne evidenziano la scorrettezza. Questi processi sono definiti come “sostituzione<br />

dell’attributo”, nel senso che ogni giu<strong>di</strong>zio è me<strong>di</strong>ato dalla procedura euristica che viene più<br />

prontamente alla mente, in modo solitamente inconsapevole e non facilmente correggibile. È<br />

quin<strong>di</strong> chiaro che i veri e propri errori decisionali sono la conseguenza del fallimento dei due<br />

sistemi contemporaneamente, il Sistema 1 che genera l’errore elaborando un’intuizione<br />

sbagliata e il Sistema 2 che fallisce nel monitorarlo e nel correggerlo.<br />

Ciò che, più in generale, <strong>di</strong>stingue la teoria dei processi duali da quella della scelta razionale<br />

è che, secondo la prima, le decisioni sono il risultato <strong>di</strong> una congerie <strong>di</strong> fattori ignorati dalla<br />

seconda.<br />

In primo luogo, la funzione <strong>di</strong> utilità e la sua definizione assiomatica ignorano del tutto la<br />

componente percettiva ed emotiva delle scelte. In con<strong>di</strong>zioni d’incertezza, le scelte sono<br />

spesso il frutto <strong>di</strong> associazioni intuitive o del ricordo <strong>di</strong> situazioni analoghe, piuttosto che il<br />

frutto <strong>di</strong> un calcolo ponderato delle conseguenze associate alle alternative a <strong>di</strong>sposizione. Ma<br />

se le intuizioni sono così <strong>di</strong>pendenti dal contesto, il processo <strong>di</strong> massimizzazione dell’utilità<br />

non può più essere considerato l’esito <strong>di</strong> una rappresentazione esaustiva e puntuale delle<br />

alternative a <strong>di</strong>sposizione, ma piuttosto la conseguenza dei fattori che determinano<br />

l’accessibilità alle caratteristiche della situazione decisionale. Più alta è l’accessibilità, più<br />

alta è la probabilità che l’intuito o l’emozione influenzi le preferenze e le decisioni<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo.<br />

30


In secondo luogo, il modello della teoria della scelta razionale è viziato dal fatto <strong>di</strong> essere<br />

in<strong>di</strong>pendente dalle caratteristiche dell’ambiente in cui viene presa la decisione. Secondo<br />

l’approccio proprio dell’economia <strong>cognitiva</strong>, il valore assegnato a un certo bene varia invece<br />

in funzione del modo in cui il bene è percepito, che è soggettivo e <strong>di</strong>pendente dal contesto.<br />

Questa visione implica un’agenda per la ricerca strettamente inter<strong>di</strong>sciplinare, in cui la<br />

comprensione <strong>di</strong> come l’agente cognitivo forma le proprie preferenze e determina le proprie<br />

decisioni è ottenuta attraverso la descrizione delle modalità <strong>di</strong> interazione tra questi due<br />

Sistemi, entrambi collocati nella mente, e dalla loro interazione con l’ambiente esterno.<br />

Ciò che emerge dai due contributi <strong>di</strong>scussi in questo capitolo è che l’economia <strong>cognitiva</strong> si<br />

origina da una profonda critica alla teoria della scelta razionale, ma a questa <strong>di</strong>mensione<br />

critica se ne affianca una costruttiva, che è l’oggetto dei prossimi capitoli.<br />

31


3. Le reazioni costruttive<br />

3.1. La teoria dei prospetti <strong>di</strong> Kahneman e Tversky La pars costruens dell’economia<br />

<strong>cognitiva</strong>, il cui obiettivo principale è <strong>di</strong> aprire la scatola nera delle preferenze rivelate, ha<br />

seguito un’evoluzione storica sud<strong>di</strong>visa in tre fasi. A un periodo iniziale in cui gli economisti<br />

cognitivi hanno recepito e adattato le teorie e i fatti empirici mutuati principalmente dalla<br />

psicologia <strong>cognitiva</strong>, è seguita una fase in cui l’apporto più rilevante è provenuto dalla<br />

riflessione filosofica e dai teorici del connessionismo e della mente. Infine, la storia più<br />

recente è stata caratterizzata dall’introduzione dei nuovi strumenti d’indagine resi <strong>di</strong>sponibili<br />

dalle neuroscienze.<br />

Non è sorprendente che siano stati proprio due psicologi come Kahneman e Tversky a<br />

proporre il primo para<strong>di</strong>gma teorico alternativo a quello della scelta razionale. Nella parte<br />

costruttiva del loro contributo hanno <strong>di</strong>mostrato come l’indagine empirica possa essere utile<br />

euristicamente per definire un modello del comportamento economico valido anche dal punto<br />

<strong>di</strong> vista descrittivo. La loro teoria dei prospetti (prospect theory), proposta alla fine degli anni<br />

settanta, è fondata sull’osservazione che le <strong>di</strong>stribuzioni <strong>di</strong> probabilità percepite dagli<br />

in<strong>di</strong>vidui che prendono decisioni in con<strong>di</strong>zioni d’incertezza non sono invarianti rispetto alle<br />

con<strong>di</strong>zioni ambientali.<br />

Un primo esempio <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>pendenza dal contesto è il fatto che un guadagno o una per<strong>di</strong>ta<br />

incerta vengono valutati in relazione alla ricchezza posseduta dall’in<strong>di</strong>viduo. L’utilità attesa<br />

dei soggetti non viene quin<strong>di</strong> calcolata in base ai valori monetari che compongono la<br />

<strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> probabilità, ma piuttosto sullo scostamento <strong>di</strong> questi valori dallo status quo,<br />

che corrisponde alla ricchezza o alla dotazione dell’in<strong>di</strong>viduo. A <strong>di</strong>fferenti livelli <strong>di</strong> ricchezza<br />

possono quin<strong>di</strong> corrispondere or<strong>di</strong>namenti <strong>di</strong> preferenza sulla stessa coppia <strong>di</strong> beni<br />

contrad<strong>di</strong>ttori tra <strong>di</strong> loro. Kahneman e Tversky imputano questo comportamento ai processi<br />

32


percettivi che, in modo simile a quanto avviene per il suono e la luce, elaborano le<br />

informazioni sugli eventi incerti prendendo come riferimento la situazione alla quale<br />

l’in<strong>di</strong>viduo si è precedentemente adattato. Si tratta <strong>di</strong> un’idea non nuova in economia, già<br />

proposta alla fine degli anni quaranta da James Duesenberry con la teoria del red<strong>di</strong>to relativo<br />

(cfr. riquadro <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento), ma che viene riproposta in una prospettiva originale. In<br />

particolare, Kahneman e Tversky mettono in evidenza le motivazioni psicologiche <strong>di</strong> questa<br />

<strong>di</strong>storsione percettiva, mostrando come anche la descrizione e la comprensione delle<br />

decisioni economiche non possa prescindere dall’analisi del funzionamento dei processi<br />

mentali.<br />

Teoria del red<strong>di</strong>to relativo<br />

La teoria del red<strong>di</strong>to relativo, proposta nel 1949 da James Duesenberry, è fondata su due<br />

assunzioni. La prima è che le funzioni <strong>di</strong> utilità <strong>di</strong> due in<strong>di</strong>vidui appartenenti allo stesso<br />

gruppo sociale sono inter<strong>di</strong>pendenti fra loro; la seconda è che ogni funzione <strong>di</strong> utilità è<br />

inter<strong>di</strong>pendente per lo stesso in<strong>di</strong>viduo in <strong>di</strong>fferenti istanti nel tempo.<br />

Le funzioni <strong>di</strong> utilità sono socialmente determinate perché all’interno <strong>di</strong> ogni gruppo <strong>di</strong><br />

red<strong>di</strong>to viene definito uno standard <strong>di</strong> vita considerato come abituale. Tutti gli in<strong>di</strong>vidui<br />

appartenenti a questo gruppo tenderanno a conformarsi a questo red<strong>di</strong>to anche in presenza <strong>di</strong><br />

variazioni del red<strong>di</strong>to <strong>di</strong>sponibile. Coloro che <strong>di</strong>sporranno <strong>di</strong> red<strong>di</strong>ti inferiori, spenderanno<br />

quin<strong>di</strong> una percentuale maggiore del loro red<strong>di</strong>to comprimendo i risparmi.<br />

Questo stesso effetto vale anche a livello in<strong>di</strong>viduale. Se un in<strong>di</strong>viduo sperimenta un aumento<br />

del red<strong>di</strong>to anche temporaneo, tende a mo<strong>di</strong>ficare rapidamente le proprie abitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong><br />

consumo per sfruttare la maggiore <strong>di</strong>sponibilità economica. Anche se il red<strong>di</strong>to dovesse<br />

33


tornare al suo livello originale, l’in<strong>di</strong>viduo non ritornerà altrettanto velocemente alle abitu<strong>di</strong>ni<br />

<strong>di</strong> consumo precedenti.<br />

Anche un secondo importante elemento della teoria dei prospetti, la <strong>di</strong>fferente attitu<strong>di</strong>ne degli<br />

in<strong>di</strong>vidui ai guadagni e alle per<strong>di</strong>te, è in chiara contrad<strong>di</strong>zione con la teoria della scelta<br />

razionale. L’evidenza empirica mostra che la prospettiva <strong>di</strong> subire per<strong>di</strong>te monetarie innesca<br />

negli in<strong>di</strong>vidui reazioni proporzionalmente più intense rispetto alla possibilità <strong>di</strong> ottenere<br />

guadagni <strong>di</strong> pari <strong>di</strong>mensioni. L’utilità in<strong>di</strong>viduale non sembra quin<strong>di</strong> rispondere in modo<br />

matematicamente corretto a opzioni <strong>di</strong> uguale grandezza ma <strong>di</strong> segno opposto, che vengono<br />

invece valutate come se fossero qualitativamente <strong>di</strong>fferenti.<br />

Sulla base <strong>di</strong> queste osservazioni, Kahneman e Tversky costruiscono una nuova funzione<br />

decisionale, che ha appunto il fine <strong>di</strong> offrire una rappresentazione induttiva dei processi<br />

cognitivi che determinano le scelte economiche. In questo senso, la teoria dei prospetti può<br />

essere considerata un modello descrittivo, senza implicazioni <strong>di</strong> tipo normativo o prescrittivo.<br />

La funzione decisionale ha due componenti principali: la prima è una funzione <strong>di</strong><br />

ponderazione delle decisioni π (p), che trasforma le probabilità assegnate da ogni agente agli<br />

eventi possibili in pesi decisionali; la seconda è una funzione <strong>di</strong> valore v, che sostituisce la<br />

funzione <strong>di</strong> utilità della teoria della scelta razionale. Nel modello <strong>di</strong> Kahneman e Tversky, la<br />

combinazione <strong>di</strong> questi due valori permette <strong>di</strong> rappresentare correttamente gran parte delle<br />

anomalie decisionali evidenziate dai risultati sperimentali.<br />

La funzione <strong>di</strong> ponderazione π (p) ha la forma in<strong>di</strong>cata dalla curva in grassetto nella figura 1.<br />

34


Pesi Decisionali π (p)<br />

Figura 1 La funzione <strong>di</strong> ponderazione π (p)<br />

Fonte: Kahneman, Tversky (1979).<br />

Probabilità <strong>di</strong>chiarata (p)<br />

La funzione π (p) trasforma le probabilità matematiche nelle probabilità percepite dai<br />

soggetti. In primo luogo, essa assume che gli in<strong>di</strong>vidui percepiscano le probabilità molto<br />

piccole come se fossero più alte del loro effettivo valore numerico. In secondo luogo, la<br />

funzione ipotizza che le gran<strong>di</strong> probabilità siano sottovalutate rispetto al loro valore<br />

numerico. Infine le probabilità contigue ai due estremi 0 e 1 non sono percepite come tali e<br />

sono quin<strong>di</strong> escluse dalla funzione <strong>di</strong> ponderazione, che presenta una <strong>di</strong>scontinuità in<br />

prossimità degli estremi.<br />

35


La funzione <strong>di</strong> valore v incorpora altre tre importanti regolarità osservate da Kahneman e<br />

Tversky. La prima è che i soggetti attribuiscono valore alle <strong>di</strong>stribuzioni <strong>di</strong> probabilità attese<br />

<strong>di</strong>scriminando tra per<strong>di</strong>te attese e guadagni attesi. La seconda è che gli in<strong>di</strong>vidui mostrano<br />

una sensibilità marginale decrescente ai cambiamenti in entrambe le <strong>di</strong>rezioni. Infine, la terza<br />

è che il valore negativo delle per<strong>di</strong>te è maggiore in termini assoluti del valore positivo dei<br />

guadagni <strong>di</strong> uguale <strong>di</strong>mensione. Queste caratteristiche sono riprodotte nella figura 2, nella<br />

quale sull’asse delle or<strong>di</strong>nate è riportato il valore della funzione v, mentre su quello delle<br />

ascisse sono riportati i guadagni e le per<strong>di</strong>te in termini monetari.<br />

PER IL SERVICE: SOSTITUIRE Value con Valore; Losses con Per<strong>di</strong>te e Gains con<br />

Guadagni<br />

In linea con la prima caratteristica, la funzione <strong>di</strong> valore cambia curvatura, da convessa a<br />

concava, in corrispondenza dell’origine degli assi. Sia in <strong>di</strong>rezione positiva (guadagni) che<br />

negativa (per<strong>di</strong>te), la variazione del valore associata a uguali incrementi o decrementi del<br />

36


valore decresce man mano che ci si allontana dall’origine, come previsto dalla seconda<br />

osservazione. Infine, la terza caratteristica implica che il tratto della funzione <strong>di</strong> valore posto<br />

nel quadrante in basso a sinistra (quello delle per<strong>di</strong>te) abbia un’inclinazione maggiore del<br />

tratto posto nel quadrante in alto a destra (quello dei guadagni).<br />

Come reso evidente dal metodo <strong>di</strong> costruzione, la teoria dei prospetti rappresenta uno<br />

strumento <strong>di</strong> lavoro, più che un vero e proprio modello teorico. Come esito <strong>di</strong> un<br />

proce<strong>di</strong>mento puramente induttivo, la sua vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong>pende dalla robustezza dei riscontri<br />

empirici, e l’evidenza raccolta in laboratorio mostra altre importanti violazioni alla teoria<br />

della scelta razionale. Come già <strong>di</strong>scusso nel capitolo precedente, gli in<strong>di</strong>vidui sono avversi o<br />

propensi al rischio in funzione delle modalità <strong>di</strong> presentazione della lotteria. Nell’esempio<br />

riportato nel capitolo 2, gli studenti intervistati preferivano una lotteria con un risultato certo<br />

(la vincita certa <strong>di</strong> 30 dollari) a una lotteria con stati incerti anche se con un valore atteso più<br />

alto (una vincita <strong>di</strong> 45 dollari con probabilità 80%), ma l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> preferenza corretto si<br />

ripristinava se entrambe le opzioni riguardavano due <strong>di</strong>stribuzioni <strong>di</strong> probabilità (una vincita<br />

<strong>di</strong> 30 dollari con probabilità 25% e una vincita <strong>di</strong> 45 dollari con probabilità 20%). In casi<br />

come questo, le preferenze sembrano <strong>di</strong>pendere più dalle rappresentazioni mentali che dalle<br />

caratteristiche oggettive delle alternative <strong>di</strong>sponibili, tanto che due decisioni che un soggetto<br />

razionale dovrebbe considerare equivalenti vengono valutate <strong>di</strong>versamente.<br />

Gli in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong>mostrano quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> adottare criteri qualitativi per giu<strong>di</strong>care scelte quantitative<br />

come quelle analizzate dalla teoria della scelta razionale, con il fine <strong>di</strong> rendere meno gravoso<br />

lo sforzo associato a un calcolo complesso e comunque non imme<strong>di</strong>atamente evidente. Per<br />

quest'anomalia decisionale Kahneman e Tversky coniano il termine <strong>di</strong> “effetto cornice”<br />

(framing effect). Dal punto <strong>di</strong> vista cognitivo, un modo per giustificare questa <strong>di</strong>storsione è<br />

<strong>di</strong> considerare le scelte come un compromesso tra l’obiettivo <strong>di</strong> prendere una decisione<br />

corretta e quello <strong>di</strong> minimizzare lo sforzo mentale. La stessa ponderazione dei valori associati<br />

37


alle <strong>di</strong>stribuzioni <strong>di</strong> probabilità si trasferisce in questo modo dall’io cosciente dell’in<strong>di</strong>viduo<br />

alla <strong>di</strong>mensione fisiologica del funzionamento della sua mente, come organo che consuma e<br />

che quin<strong>di</strong> mette in atto meccanismi automatici per risparmiare energie. Altre interpretazioni<br />

(Maule, 1995) sostengono che l’effetto cornice sia la conseguenza d’impulsi emotivi<br />

in<strong>di</strong>viduali, come paure o desideri, che possono innescare reazioni della mente automatiche e<br />

non consapevoli, come potrebbe avvenire per l’avversione alle per<strong>di</strong>te. In ogni caso, per<br />

comprendere le cause <strong>di</strong> questi comportamenti è necessario stu<strong>di</strong>are come funziona il<br />

cervello, che in base all’evidenza sperimentale non sembra adottare regole stabili, generali e<br />

in<strong>di</strong>pendenti dal contesto, come quelle <strong>di</strong> tipo logico-deduttivo. In questa prospettiva, la<br />

teoria <strong>di</strong> Kahneman e Tversky, più che una semplice lista delle violazioni alla scelta<br />

razionale, <strong>di</strong>mostra come la comprensione dei processi decisionali in economia debba<br />

necessariamente provenire dalla conoscenza delle modalità <strong>di</strong> funzionamento della mente.<br />

3.2. Come funziona la mente? La ricostruzione dei processi mentali ha tra i suoi più<br />

importanti precursori il lavoro sulla computabilità <strong>di</strong> Alan Turing, considerato uno dei<br />

fondatori delle scienze cognitive. Negli anni trenta, Turing elaborò una “macchina teorica”<br />

che prese il suo nome. La macchina <strong>di</strong> Turing era in grado, in linea <strong>di</strong> principio, <strong>di</strong> calcolare<br />

ogni compito che fosse descritto attraverso un algoritmo, cioè per mezzo <strong>di</strong> un elenco finito<br />

<strong>di</strong> istruzioni appropriate. La macchina consisteva <strong>di</strong> un nastro su cui erano riportati solo due<br />

simboli, uno spazio vuoto e una barra trasversale, uno scanner per leggere il nastro e quattro<br />

operazioni, che corrispondevano a “muovere a destra”, “muovere a sinistra”, “cancellare la<br />

barra” e “aggiungere la barra”.<br />

Questa architettura elementare fu utilizzata pochi anni dopo per costruire il primo computer<br />

<strong>di</strong>gitale, ma fu anche la causa <strong>di</strong> una svolta importante nella storia delle scienze cognitive. In<br />

particolare, Donald Hebb (1949), sviluppando il lavoro <strong>di</strong> Turing, <strong>di</strong>mostrò come il<br />

38


funzionamento del cervello potesse essere stu<strong>di</strong>ato analizzando le connessioni tra i neuroni,<br />

che formano catene lungo le quali viene trasmesso un segnale elettrofisiologico. Il contributo<br />

<strong>di</strong> Hebb fu fondamentale per superare il tra<strong>di</strong>zionale dualismo tra mente e cervello e per<br />

descrivere fenomeni complessi quali la percezione, il ragionamento e l’appren<strong>di</strong>mento come<br />

processi combinatori <strong>di</strong> unità elementari. Per rappresentare formalmente questi meccanismi è<br />

stato coniato il termine <strong>di</strong> connessionismo, che identifica i modelli secondo i quali il<br />

funzionamento <strong>di</strong> sistemi complessi come il cervello è il risultato delle connessioni tra le<br />

singole unità che li compongono. Le reti neurali, che vengono formate attraverso i legami tra<br />

i neuroni, sono appunto il modello adottato per rappresentare i cambiamenti e gli adattamenti<br />

che avvengono nel cervello. I neuroni, come la macchina <strong>di</strong> Turing, operano come unità<br />

binarie, che possono cioè attivarsi o non attivarsi, e il loro funzionamento è simile a quello <strong>di</strong><br />

un’unità logica che trasmette informazioni simboliche sulla base <strong>di</strong> regole predeterminate.<br />

Secondo il connessionismo, la mente riprodurrebbe quin<strong>di</strong> il funzionamento <strong>di</strong> un computer,<br />

che produce inferenze e associazioni mentali attraverso processi computazionali. Questo<br />

implicherebbe che il funzionamento della mente <strong>di</strong>pende dalla combinazione delle sue parti<br />

componenti, visione che non è in contrasto con la tesi che esistano due sistemi cognitivi<br />

<strong>di</strong>stinti e autonomi, come i Sistemi 1 e 2 <strong>di</strong>scussi nel capitolo precedente. Lo stesso modello<br />

può essere esteso anche ai processi <strong>di</strong> raccolta dell’informazione, che sono caratterizzati da<br />

una separazione tra l’informazione raccolta ed elaborata dalle funzioni percettive e quella<br />

utilizzata successivamente dai processi cognitivi.<br />

Al <strong>di</strong> là delle possibili critiche alla visione connessionista, che riconduce ogni processo<br />

mentale a meccanismi <strong>di</strong> tipo algoritmico simili a quelli dei computer, la sua ipotesi<br />

principale è che il cervello elabori informazioni con il fine <strong>di</strong> produrre percezioni, credenze e<br />

decisioni, utilizzando una rete costituita dal sistema nervoso. Il funzionamento <strong>di</strong> questa rete<br />

è largamente autonomo dal nostro controllo cosciente ed è attivato attraverso impulsi elettrici<br />

39


trasmessi tramite i neuroni, che formano la sostanza grigia <strong>di</strong> cui è composto il cervello. Il<br />

neurone è una cellula composta da un corpo cellulare con un nucleo, che contiene<br />

l’informazione genetica organizzata in cromosomi, e altri due elementi, i dendriti e l’assone.<br />

I primi sono deputati alla raccolta degli impulsi elettrici, o input, che arrivano al neurone, i<br />

secon<strong>di</strong> all’emissione degli output. Mentre i dendriti sono estensioni del corpo cellulare <strong>di</strong><br />

piccola <strong>di</strong>mensione (inferiore al millimetro <strong>di</strong> lunghezza) specializzati nella ricezione degli<br />

impulsi elettrici, l’assone è una lunga protuberanza, che può raggiungere in alcuni casi anche<br />

un metro <strong>di</strong> lunghezza, che fuoriesce dal corpo del neurone e che ha la funzione <strong>di</strong><br />

trasmettere uno stimolo elettrochimico, solitamente verso i dendriti <strong>di</strong> un altro neurone (cfr.<br />

fig. 3).<br />

Figura 3 La struttura del neurone<br />

DARE TITOLETTO<br />

40


Come tutte le reti, anche il sistema nervoso è dotato <strong>di</strong> alcuni no<strong>di</strong> specializzati nel<br />

raccogliere informazioni provenienti dall’esterno della rete (i sensi), che traducono le<br />

sollecitazioni provenienti dall’ambiente esterno nel linguaggio della rete, rappresentato dalle<br />

scariche elettriche. Questi impulsi sono inviati ai neuroni, che si trasmettono lo stesso<br />

impulso l’un l’altro attraverso le sinapsi, in una rete complessa e in continua evoluzione (cfr.<br />

riquadro <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento).<br />

Il Sé sinaptico<br />

Secondo Joseph LeDoux, uno dei più importanti neurobiologi statunitensi, le sinapsi non<br />

sono solo i canali <strong>di</strong> comunicazione tra i neuroni, ma la sede della personalità. Nel suo libro<br />

più noto Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa <strong>di</strong>ventare quelli che siamo, LeDoux<br />

<strong>di</strong>fende la sua posizione con parole che illustrano con grande efficacia la svolta impressa<br />

dalle neuroscienze al <strong>di</strong>battito sulla concezione dell’Io: «La mia nozione <strong>di</strong> personalità è<br />

davvero semplice: il tuo Sé, l’essenza <strong>di</strong> quello che tu sei, rispecchia i pattern <strong>di</strong><br />

interconnettività tra neuroni nel tuo cervello. Le connessioni tra neuroni, note come sinapsi,<br />

sono i principali canali <strong>di</strong> flusso e <strong>di</strong> immagazzinamento delle informazioni nel cervello. La<br />

maggior parte <strong>di</strong> ciò che il cervello fa è svolta dalla trasmissione sinaptica tra neuroni e dal<br />

recupero dell’informazione co<strong>di</strong>ficata da una pregressa trasmissione attraverso le sinapsi.<br />

Data l’importanza della trasmissione sinaptica nel funzionamento cerebrale, dovrebbe essere<br />

in pratica un truismo <strong>di</strong>re che il Sé è sinaptico. Cos’altro potrebbe essere?» (LeDoux, 2002,<br />

p. 4).<br />

Senza entrare nei particolari del funzionamento <strong>di</strong> questi sistemi, ciò che rende importante<br />

questa rappresentazione è che il cervello non funziona secondo meccanismi <strong>di</strong>retti <strong>di</strong> stimolo<br />

41


e reazione, ma piuttosto attraverso processi <strong>di</strong> trasformazione complessi, in gran parte ancora<br />

da decifrare e ricostruire. Anche l’appren<strong>di</strong>mento <strong>di</strong>venta così l’esito <strong>di</strong> un sistema non<br />

lineare, che si evolve continuamente secondo leggi in gran parte estranee al controllo<br />

cosciente dell’in<strong>di</strong>viduo. Anche i compiti e le decisioni più complesse non sono quin<strong>di</strong> il<br />

risultato <strong>di</strong> procedure logiche e <strong>di</strong> calcolo, come quelle ipotizzate dalla teoria della scelta<br />

razionale, ma sono largamente delegate all’esecuzione <strong>di</strong> procedure automatiche <strong>di</strong> risposta<br />

agli stimoli esterni. In questo processo <strong>di</strong> reazione e adattamento, il cervello si mo<strong>di</strong>fica<br />

continuamente attraverso l’irrobustimento delle connessioni sinaptiche che collegano un<br />

neurone all’altro.<br />

Questa rappresentazione ha dato luogo a una revisione sostanziale delle teorie sul<br />

funzionamento della mente, che si è concretizzata nel contributo <strong>di</strong> due tra gli stu<strong>di</strong>osi più<br />

influenti nelle scienze cognitive, Jerry Fodor e Antonio Damasio. Il primo è un filosofo della<br />

mente statunitense che, in una serie <strong>di</strong> libri e articoli pubblicati negli anni ottanta, ha proposto<br />

e sistematizzato la teoria della mente modulare; il secondo è un neurobiologo <strong>di</strong> origini<br />

portoghesi emigrato negli Stati Uniti, che negli anni novanta ha aperto la strada<br />

all’introduzione della <strong>di</strong>mensione emotiva nei processi decisionali.<br />

L’idea <strong>di</strong> modularità della mente prende spunto dalla macchina <strong>di</strong> Turing come modello <strong>di</strong><br />

riferimento per i processi cognitivi. La considerazione critica da cui parte Fodor (1983) è che,<br />

mentre la macchina <strong>di</strong> Turing è da considerarsi un sistema computazionale chiuso, nel senso<br />

che i suoi calcoli avvengono solo all’interno della macchina, la principale funzione della<br />

mente è scambiare informazioni con l’ambiente esterno. Per comprendere il suo<br />

funzionamento è quin<strong>di</strong> necessario chiarire quali meccanismi sovrintendono a queste<br />

interazioni.<br />

La principale affinità tra la mente e la macchina <strong>di</strong> Turing consiste nel fatto che anche la<br />

mente assorbe e co<strong>di</strong>fica le informazioni che riceve dall’esterno attraverso l’uso <strong>di</strong> simboli.<br />

42


In questo modo le informazioni possono essere conservate e “trasdotte” all’interno della<br />

mente per dare luogo alla formazione e alla fissazione delle congetture. Ma l’aspetto centrale<br />

del concetto <strong>di</strong> modularità è che questo processo <strong>di</strong> trasmissione simbolica dell’informazione<br />

è caratterizzato da automatismi al <strong>di</strong> fuori del controllo dell’in<strong>di</strong>viduo. Per esempio, non si<br />

può evitare <strong>di</strong> u<strong>di</strong>re una frase pronunciata in una lingua che conosciamo o evitare <strong>di</strong> vedere<br />

uno stimolo visivo che consiste <strong>di</strong> oggetti <strong>di</strong>stribuiti nello spazio, o ancora non percepire il<br />

contatto tattile con un oggetto. Tutti questi “sistemi <strong>di</strong> input”, come li chiama Fodor, si<br />

attivano in<strong>di</strong>pendentemente dalla volontà dell’in<strong>di</strong>viduo, producendo letture e interpretazioni<br />

autonome dei segnali che provengono dall’esterno. Questi automatismi sono resi necessari<br />

dal fatto che le sollecitazioni ambientali sono rapi<strong>di</strong>ssime e in grande quantità, tanto da non<br />

poter essere in alcun modo elaborate razionalmente.<br />

Con questa rappresentazione a moduli del funzionamento della mente, il principale problema<br />

da risolvere <strong>di</strong>venta quello <strong>di</strong> riconciliare la frammentata raccolta <strong>di</strong> input sensoriali con le<br />

congetture dell’in<strong>di</strong>viduo. In altre parole, dove è possibile porre il confine tra osservazione e<br />

inferenza, o tra percezione e cognizione, che non sono l’esito <strong>di</strong> un processo unitario e<br />

centralizzato, come postulato dalla teoria della scelta razionale? La risposta <strong>di</strong> Fodor è<br />

articolata in tre punti. In primo luogo, i vari sistemi <strong>di</strong> input, cui sono delegati i processi<br />

percettivi, sono impermeabili rispetto ai processi cognitivi. È in questa fase modulare che le<br />

percezioni sono integrate attraverso sistemi computativi che sono “incapsulati<br />

informativamente”, nel senso che ogni modulo non elabora tutta l’informazione <strong>di</strong>sponibile,<br />

ma solo una sottoclasse specifica <strong>di</strong> stimoli esterni, <strong>di</strong>stinta e isolata da quelle degli altri<br />

sistemi <strong>di</strong> input. Nella fase successiva, le rappresentazioni parziali fornite dai vari sistemi <strong>di</strong><br />

input vengono elaborate dalla mente, insieme alle informazioni già in memoria, attraverso un<br />

processo <strong>di</strong> fissazione delle congetture percettive, che è tipicamente non modulare. Per<br />

quanto detto in precedenza, questo processo non funziona a ritroso, in quanto anche in questa<br />

43


seconda fase i sistemi <strong>di</strong> input restano impermeabili a ciò che avviene a livello <strong>di</strong><br />

elaborazione centrale della mente. Ciò implica anche che la presa in esame dei desideri, o<br />

delle preferenze secondo il linguaggio degli economisti, da parte degli in<strong>di</strong>vidui è un<br />

processo che avviene dopo, e non durante, la fase <strong>di</strong> integrazione percettiva.<br />

Da questa ricostruzione emergono <strong>di</strong>fferenze sostanziali tra i processi percettivi e quelli<br />

cognitivi. I processi percettivi sono rapi<strong>di</strong>, involontari, superficiali e isolati dalle conoscenze<br />

generali dell’in<strong>di</strong>viduo. Inoltre essi sono innati e specifici, nel senso che ogni sistema <strong>di</strong> input<br />

usa un linguaggio e simboli <strong>di</strong>versi. I processi cognitivi, che si collocano nel terzo sta<strong>di</strong>o del<br />

processo descritto da Fodor, sono lenti, approfon<strong>di</strong>ti, sotto il controllo volontario degli<br />

in<strong>di</strong>vidui e si caratterizzano per essere non incapsulati e quin<strong>di</strong> generali.<br />

Non è <strong>di</strong>fficile cogliere le implicazioni critiche <strong>di</strong> questa rappresentazione per la teoria della<br />

scelta razionale. Le decisioni non sono più l’oggetto <strong>di</strong> una deliberazione consapevole e<br />

ponderata delle informazioni esistenti, ma piuttosto l’esito finale <strong>di</strong> una procedura in più<br />

sta<strong>di</strong>, in cui gli stimoli esterni, raccolti e co<strong>di</strong>ficati separatamente dai molteplici sistemi <strong>di</strong><br />

input, sono trasmessi attraverso impulsi elettrici da un neurone all’altro e subiscono una serie<br />

<strong>di</strong> adattamenti, in gran parte in<strong>di</strong>pendenti dalla volontà dell’in<strong>di</strong>viduo. Queste trasformazioni<br />

<strong>di</strong>pendono dalla struttura del nostro apparato cerebrale, che è il risultato sia dell’ere<strong>di</strong>tà<br />

genetica sia dell’esperienza. In questo senso, uno degli obiettivi principali delle scienze<br />

cognitive <strong>di</strong>venta proprio quello <strong>di</strong> comprendere come questi sistemi interagiscono e<br />

s’influenzano reciprocamente.<br />

Una delle proposte più suggestive in questa <strong>di</strong>rezione è quella offerta da Antonio Damasio.<br />

Nel suo principale libro, L’errore <strong>di</strong> Cartesio (1994), Damasio propone la fondazione <strong>di</strong> una<br />

vera e propria neurobiologia della razionalità. L’argomento centrale del suo ragionamento è<br />

che, in una mente strutturata in moduli o sistemi <strong>di</strong> input, i processi che conducono alle<br />

decisioni non coincidono necessariamente con quelli connessi alla regolazione biologica e<br />

44


all’emotività, che rivestono un ruolo ugualmente importante per la sopravvivenza<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo. In particolare, nelle decisioni <strong>di</strong> tipo economico, che richiedono <strong>di</strong> tenere<br />

conto <strong>di</strong> complessi e molteplici fattori ambientali, la razionalità strumentale non<br />

consentirebbe <strong>di</strong> prendere alcuna decisione. Nella maggior parte dei casi, essa finirebbe per<br />

annullare la capacità decisionale dell’in<strong>di</strong>viduo, che non sarebbe in grado <strong>di</strong> svolgere tutti i<br />

calcoli richiesti e avrebbe in ogni caso tempi <strong>di</strong> risposta troppo lunghi. Concorrono a questo<br />

esito non solo l’effetto cornice e gli errori sistematici evidenziati da Kahneman e Tversky,<br />

ma anche le carenze <strong>di</strong> attenzione o le limitazioni della capacità della memoria operativa, che<br />

non è in grado <strong>di</strong> immagazzinare tutti i passaggi interme<strong>di</strong> richiesti dalla soluzione <strong>di</strong><br />

problemi anche elementari.<br />

Al contrario, il nostro cervello è in grado <strong>di</strong> prendere decisioni, anche molto complesse, in<br />

pochi secon<strong>di</strong> e in situazioni <strong>di</strong> pressione psicologica. Quali processi permettono queste<br />

reazioni imme<strong>di</strong>ate senza che gli in<strong>di</strong>vidui commettano errori marchiani? La risposta <strong>di</strong><br />

Damasio è rappresentata dal concetto <strong>di</strong> “marcatore somatico”, che è un meccanismo <strong>di</strong><br />

risposta automatica della nostra mente. Il marcatore somatico ha il compito <strong>di</strong> in<strong>di</strong>rizzare<br />

imme<strong>di</strong>atamente l’attenzione dell’in<strong>di</strong>viduo sugli esiti negativi delle sue decisioni, rendendo<br />

evidenti i pericoli associati a tali esiti. In questo modo, le azioni più dannose sono<br />

automaticamente escluse e la procedura <strong>di</strong> scelta viene ristretta tra le rimanenti opzioni, che<br />

possono essere valutate e ponderate con attenzione.<br />

Questo meccanismo è quin<strong>di</strong> completamente <strong>di</strong>verso da quello postulato dalla teoria della<br />

scelta razionale, nel quale tutte le alternative a <strong>di</strong>sposizione vengono valutate e pesate per<br />

costruire e massimizzare la funzione <strong>di</strong> utilità. Nonostante ciò, la regione cerebrale più<br />

coinvolta nell’acquisizione dei marcatori somatici si trova proprio nella corteccia prefrontale,<br />

sede dei processi <strong>di</strong> tipo razionale, ma anche delle regioni dove si formano le immagini che<br />

costituiscono i nostri pensieri, comprese le cortecce somato-sensitive nelle quali restano<br />

45


impressi gli stati corporali presenti e futuri. L’utilizzo <strong>di</strong> questi ricor<strong>di</strong> per costruire le<br />

valutazioni che precedono le scelte viene definito da Slovic et al. (2002) con il termine <strong>di</strong><br />

affect heuristic. Secondo questo modello, i giu<strong>di</strong>zi sono guidati da “immagini”, marcate in<br />

modo positivo o negativo. Questo contrassegno <strong>di</strong>pende dalle esperienze passate, che<br />

vengono immagazzinate dal cervello in una sorta <strong>di</strong> serbatoio, a cui si attinge sulla base del<br />

potere evocativo o della similarità degli stimoli esterni osservati.<br />

Il processo automatico dei marcatori somatici è quin<strong>di</strong> prevalentemente, anche se non<br />

esclusivamente, il risultato delle esperienze personali e, in particolare, del processo<br />

d’istruzione e <strong>di</strong> socializzazione. La conseguenza più importante è che i processi cognitivi<br />

<strong>di</strong>ventano funzionalmente <strong>di</strong>pendenti dai processi emotivi. Infatti, quando la rete <strong>di</strong> neuroni<br />

che sostiene il funzionamento dei marcatori somatici viene danneggiata o menomata, il<br />

comportamento si mo<strong>di</strong>fica non solo dal punto <strong>di</strong> vista delle manifestazioni emotive, ma<br />

anche rispetto alla capacità <strong>di</strong> raccogliere informazioni e prendere decisioni coerenti in<br />

situazioni <strong>di</strong> scelta anche non complesse. È stata proprio l’osservazione <strong>di</strong> pazienti affetti da<br />

menomazioni delle aree del cervello attive nei processi emotivi a convincere Damasio della<br />

vali<strong>di</strong>tà della sua teoria. E proprio all’investigazione del funzionamento <strong>di</strong> aree come queste è<br />

finalizzato lo sviluppo più recente dell’economia <strong>cognitiva</strong>, la neuroeconomia.<br />

3.3. La neuroeconomia Il termine neuroeconomia identifica quel settore dell’economia<br />

<strong>cognitiva</strong> che indaga quali meccanismi neuronali si attivano nel cervello quando gli in<strong>di</strong>vidui<br />

prendono decisioni <strong>di</strong> tipo economico. La fondazione <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>sciplina è dovuta alla<br />

recente messa a punto <strong>di</strong> alcune tecniche delle neuroscienze che permettono <strong>di</strong> rilevare in<br />

laboratorio, me<strong>di</strong>ante procedure <strong>di</strong> scansione cerebrale, le reazioni delle aree del cervello agli<br />

stimoli esterni. Nell’ambito dell’economia <strong>cognitiva</strong>, questi nuovi strumenti <strong>di</strong> indagine<br />

consentono <strong>di</strong> compiere ulteriori progressi nel processo <strong>di</strong> apertura della scatola nera delle<br />

46


preferenze rivelate. In questo senso, gli obiettivi della neuroeconomia non possono essere<br />

considerati in continuità con la teoria della scelta razionale, rispetto alla quale implica un<br />

sostanziale cambiamento dei meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> indagine e <strong>di</strong> interpretazione teorica.<br />

Mentre i processi mentali razionali, <strong>di</strong> cui siamo largamente coscienti, possono essere<br />

ricostruiti attraverso l’introspezione, tutti i processi mentali automatici e inconsapevoli<br />

evidenziati dalle teorie <strong>di</strong>scusse in precedenza possono essere indagati solo stu<strong>di</strong>ando<br />

<strong>di</strong>rettamente il funzionamento del cervello. Gli stessi marcatori somatici sono collocati da<br />

Damasio in aree cerebrali nelle quali i neuroni si attivano in modo rapido e automatico.<br />

L’attività mentale <strong>di</strong> tipo razionale è confinata in regioni ristrette del cervello, che si attivano<br />

in parallelo ad altre aree deputate all’elaborazione automatica degli input sensoriali. Ma,<br />

come messo in evidenza dalla teoria della mente modulare, il sistema razionale non ha<br />

accesso al linguaggio simbolico e alle elaborazioni dei vari sistemi <strong>di</strong> input presenti nella<br />

nostra mente. Se il comportamento degli agenti economici emerge quin<strong>di</strong> dall’interazione tra<br />

processi deliberativi e processi automatici, dalla combinazione <strong>di</strong> sistemi percettivi e dei<br />

sistemi cognitivi, i processi decisionali devono essere stu<strong>di</strong>ati nello stesso modo in cui si<br />

analizzano i processi naturali e biologici.<br />

Per svolgere questo compito, la neuroeconomia usa strumenti <strong>di</strong> rilevazione sia <strong>di</strong>retta sia<br />

in<strong>di</strong>retta dell’attività cerebrale. Gli strumenti <strong>di</strong> rilevazione <strong>di</strong>retta comprendono la<br />

tomografia ad emissione <strong>di</strong> protoni (PET), la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e le<br />

tecniche <strong>di</strong> analisi dei potenziali evento-correlati me<strong>di</strong>ante elettroencefalogramma (EEG/ERP).<br />

La PET viene utilizzata per la prima volta sugli esseri umani agli inizi degli anni settanta. Ai<br />

soggetti sperimentali viene iniettata una sostanza ra<strong>di</strong>oattiva che emette elettroni caricati<br />

positivamente. I soggetti vengono poi sistemati in un macchinario in cui è installato un<br />

rilevatore <strong>di</strong> raggi gamma. Quando i neuroni si attivano <strong>di</strong>struggono glucosio e ossigeno e<br />

47


ichiedono un flusso ad<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> sangue per ricostituire le riserve <strong>di</strong> queste sostanze. Il<br />

flusso sanguigno rappresenta quin<strong>di</strong> una misura approssimata del tasso <strong>di</strong> attivazione della<br />

regione cerebrale analizzata: la PET misura l’accumulazione <strong>di</strong> tracce ra<strong>di</strong>oattive in queste<br />

regioni, che, metabolizzando glucosio più velocemente, ricevono più sangue e quin<strong>di</strong><br />

emettono più raggi gamma.<br />

La fMRI è invece utilizzata per la prima volta sugli esseri umani nel 1992 e produce immagini<br />

tri<strong>di</strong>mensionali dell’attività neuronale del cervello. I dati ottenuti attraverso la fMRI sono<br />

segnali che misurano l’attività cerebrale esaminando la quantità <strong>di</strong> sangue ossigenato e<br />

deossigenato. L’attivazione dei neuroni incrementa la domanda <strong>di</strong> sangue ossigenato, mentre<br />

il sangue deossigenato produce un segnale misurabile relativamente più grande rispetto al<br />

sangue ossigenato quando viene perturbato da un breve impulso elettrico. Misurando queste<br />

<strong>di</strong>fferenze con un magnete molto sensibile è possibile valutare i <strong>di</strong>fferenziali <strong>di</strong> attivazione<br />

delle aree investigate, producendo mappe <strong>di</strong> attività del cervello durante lo svolgimento <strong>di</strong> un<br />

compito cognitivo. Questa tecnica è stata anche applicata contemporaneamente a due o più<br />

soggetti sperimentali, con la tecnica dell’iperscanning, che permette <strong>di</strong> sincronizzare gli<br />

stimoli e l’acquisizione dei segnali anche in locazioni <strong>di</strong>verse.<br />

Le tecniche EEG/ERP utilizzano elettro<strong>di</strong> applicati sulla cute per determinare la variazione<br />

dell’attività cerebrale. L’EEG è impiegata normalmente per <strong>di</strong>agnosticare i <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni<br />

neurologici esaminando la frequenza e l’ampiezza delle onde elettriche emesse dal cervello.<br />

L'ERP si <strong>di</strong>fferenzia dalla EEP perché prevede che il soggetto sperimentale svolga un compito<br />

specifico <strong>di</strong> cui si misura l’effetto <strong>di</strong>retto sull’attività cerebrale.<br />

Esiste infine anche uno strumento relativamente più recente, la stimolazione magnetica<br />

transcraniale (TMS), che impiega stimoli elettrici <strong>di</strong>rezionali per creare un campo magnetico<br />

che interrompe temporaneamente l’attività dell’area cerebrale sotto indagine. Questi stimoli<br />

sono creati da un’apparecchiatura costituita da un generatore <strong>di</strong> corrente ad alta intensità e da<br />

48


una sonda mobile che viene posta a <strong>di</strong>retto contatto dello scalpo del soggetto sperimentale. Il<br />

generatore produce un campo magnetico che passa attraverso lo scalpo del soggetto senza<br />

<strong>di</strong>spersione e in modo indolore, raggiungendo le strutture cerebrali sottostanti e<br />

mo<strong>di</strong>ficandone l’attività elettrica. Le conseguenze comportamentali causate da questa<br />

interruzione consentono <strong>di</strong> inferire le funzioni svolte dell’area indagata.<br />

L’utilizzo <strong>di</strong> questo insieme <strong>di</strong> strumenti ha permesso negli ultimi anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare che il<br />

cervello è caratterizzato dalla specializzazione delle <strong>di</strong>verse aree che lo compongono in<br />

funzioni <strong>di</strong>stinte tra loro. Il nostro cervello è <strong>di</strong>viso in due metà detti “emisferi”, che sono in<br />

comunicazione tra loro attraverso un fascio <strong>di</strong> fibre nervose detto “corpo calloso”. Ogni<br />

emisfero è <strong>di</strong>viso in quattro macroaree o lobi: frontale, parietale, occipitale e temporale (cfr.<br />

fig. 4). ATT. L’IMMAGINE è DI CATTIVA QUALITÀ. NE POTRESTI INVIARE<br />

UN’ALTRA?<br />

Figura 4 Gli emisferi cerebrali<br />

Una prima forma <strong>di</strong> specializzazione riguarda i due emisferi, che hanno funzioni <strong>di</strong>stinte tra<br />

loro. L’emisfero sinistro è coinvolto prevalentemente nelle attività <strong>di</strong> elaborazione analitica,<br />

come il calcolo, il linguaggio, la percezione dell’or<strong>di</strong>ne temporale e il coor<strong>di</strong>namento<br />

49


motorio, mentre l’emisfero destro ha una specializzazione <strong>di</strong> tipo olistico, rivolta alle abilità<br />

spaziali e all’orientamento, al riconoscimento dei volti e dei suoni non linguistici.<br />

Una forma <strong>di</strong> specializzazione ancora più pronunciata riguarda i quattro lobi, o macroaree,<br />

collocati in entrambi gli emisferi. Il lobo frontale è specializzato nell’attività razionale e<br />

<strong>cognitiva</strong> consapevole, nonché in quella deputata al linguaggio e al controllo del movimento<br />

degli occhi e del corpo. Nel lobo parietale sono invece concentrate le attività sensoriali <strong>di</strong><br />

contatto e dolore, si integrano le informazioni sensoriali con la percezione e il linguaggio, il<br />

pensiero matematico e la conoscenza video-spaziale. Nel lobo occipitale è invece collocata la<br />

corteccia visiva primaria. Infine nel lobo temporale sono concentrate le funzioni sensitive e<br />

quelle <strong>di</strong> fissazione della memoria e delle emozioni, nonché la corteccia u<strong>di</strong>tiva primaria.<br />

Questa associazione tra regioni cerebrali e funzioni è necessariamente generica per due<br />

motivi. Il primo è che le aree comprese all’interno <strong>di</strong> ognuno dei quattro lobi cerebrali hanno<br />

anch’esse funzioni e specializzazioni <strong>di</strong>stinte, la cui in<strong>di</strong>viduazione è ancora oggetto <strong>di</strong><br />

approfon<strong>di</strong>mento. Il secondo è che ogni singolo compito svolto dal cervello prevede<br />

l’attivazione contemporanea <strong>di</strong> aree poste in lobi <strong>di</strong>versi. In questo senso, il più importante<br />

programma <strong>di</strong> ricerca per il futuro delle neuroscienze è proprio quello <strong>di</strong> investigare le<br />

complementarietà e le interazioni tra queste <strong>di</strong>verse aree.<br />

Oltre ai mezzi <strong>di</strong> rilevazione <strong>di</strong>retta dell’attività cerebrale, l’economia <strong>cognitiva</strong> utilizza<br />

anche un’altra serie <strong>di</strong> strumenti che consentono una rilevazione in<strong>di</strong>retta dei processi<br />

mentali. Una prima tecnica è rappresentata dagli strumenti <strong>di</strong> rilevazione della <strong>di</strong>rezione dello<br />

sguardo (eyetracking), che registrano, attraverso i movimenti oculari, la <strong>di</strong>rezione dello<br />

sguardo del soggetto esaminato. Più in dettaglio, l’eyetracking è un insieme <strong>di</strong> metodologie e<br />

<strong>di</strong> tecniche per la generazione <strong>di</strong> stimoli visivi, l’acquisizione <strong>di</strong> dati sulla <strong>di</strong>rezione dello<br />

sguardo del soggetto sperimentale e per la sincronizzazione dei dati acquisiti con gli stimoli<br />

visivi. Tale sistema è impiegato già da tempo nelle ricerche sugli effetti della pubblicità per<br />

50


verificare il grado <strong>di</strong> attenzione ai <strong>di</strong>versi stimoli visivi. È comunque evidente la sua utilità<br />

nel ricostruire i processi <strong>di</strong> raccolta ed elaborazione delle informazioni che provengono da<br />

questi stimoli visivi.<br />

Un altro strumento utilizzato con frequenza è la misurazione della conduttanza cutanea<br />

(galvanic skin response) o del potenziale <strong>di</strong> eccitazione delle ghiandole sudoripare (skin<br />

potential response). L’attività elettrodermica e del sudore è infatti strettamente collegata con<br />

i processi psicologici <strong>di</strong> attenzione e delle emozioni. Questi valori possono quin<strong>di</strong> essere<br />

utilizzati per misurare lo stato <strong>di</strong> coinvolgimento e <strong>di</strong> attivazione <strong>cognitiva</strong> dell’in<strong>di</strong>viduo.<br />

Per comprendere meglio l’utilità e le potenzialità degli strumenti <strong>di</strong> indagine della<br />

neuroeconomia, il prossimo capitolo <strong>di</strong>scute alcune applicazioni, che hanno già ottenuto<br />

risultati rilevanti per la comprensione e l’interpretazione dei comportamenti economici.<br />

51


4. Le applicazioni<br />

4.1. È possibile prevedere che cosa acquisterò? Le decisioni <strong>di</strong> acquisto dei consumatori<br />

sono oggetto delle indagini <strong>di</strong> marketing, che vengono utilizzate dai produttori per impostare<br />

le proprie <strong>di</strong> strategie <strong>di</strong> mercato. Esiste infatti un’ampia letteratura che stu<strong>di</strong>a le preferenze<br />

dei consumatori, i quali vengono prima sottoposti a test <strong>di</strong> gra<strong>di</strong>mento o <strong>di</strong> acquisto e poi a<br />

questionari dettagliati per comprendere le motivazioni che hanno determinato le loro scelte. È<br />

un risultato ricorrente <strong>di</strong> queste indagini l’osservazione che, in<strong>di</strong>pendentemente dalle<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> acquisto (la presenza o meno <strong>di</strong> suggestioni pubblicitarie, l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

presentazione dei beni, il tempo a <strong>di</strong>sposizione per la scelta), gli in<strong>di</strong>vidui non sono in grado<br />

<strong>di</strong> chiarire con precisione i motivi delle loro scelte; quando lo fanno, gli intervistati adducono<br />

spesso motivi inconsistenti e contrad<strong>di</strong>ttori. Come <strong>di</strong>scusso nel capitolo 2, la teoria<br />

economica evita <strong>di</strong> indagare i processi mentali che conducono alle decisioni <strong>di</strong> acquisto e<br />

assume che le determinanti della scelta possano essere ricostruite sulla base delle preferenze<br />

rivelate dai consumatori. Solo l’acquisto <strong>di</strong> un bene “rivela” che il prezzo massimo che il<br />

consumatore sarebbe <strong>di</strong>sposto a pagare per quel bene è maggiore <strong>di</strong> quello richiesto dal<br />

ven<strong>di</strong>tore. L’avvenuto acquisto è quin<strong>di</strong> associato, per definizione, a un incremento<br />

dell’utilità del compratore. È evidente che in questo modo è possibile definire le preferenze<br />

del consumatore solo ex post, ma non si è in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>re ex ante che cosa egli acquisterà. La<br />

stessa legge economica fondamentale che prevede che a un incremento del prezzo <strong>di</strong> un bene<br />

corrisponda la <strong>di</strong>minuzione della domanda <strong>di</strong> quel bene non è applicabile a tutte le tipologie<br />

<strong>di</strong> preferenze ed è soggetta in ogni caso alla con<strong>di</strong>zione che le preferenze del consumatore<br />

siano stabili nel tempo.<br />

L’economia <strong>cognitiva</strong> ha compiuto alcuni significativi progressi nella ricerca dei fattori che<br />

determinano le decisioni <strong>di</strong> acquisto. Il punto <strong>di</strong> partenza <strong>di</strong> questa linea <strong>di</strong> ricerca è che ogni<br />

52


decisione <strong>di</strong> acquisto è preceduta da un processo <strong>di</strong> tipo emotivo, che si attiva<br />

automaticamente e inconsapevolmente nella mente del consumatore. Ogni volta che si valuta<br />

un possibile acquisto, si attivano automaticamente due circuiti neuronali separati: il primo è<br />

legato alla prospettiva <strong>di</strong> un consumo piacevole, il secondo alla previsione del sacrificio<br />

conseguente al pagamento del prezzo.<br />

L’evidenza sperimentale raccolta attraverso la risonanza magnetica funzionale <strong>di</strong>mostra che<br />

una regione del cervello detta nucleus accumbens, collocata sotto la corteccia prefrontale nel<br />

cosiddetto sistema limbico, ha un ruolo chiave nel sistema nervoso <strong>di</strong> gratificazione.<br />

Quest’area cerebrale presenta un’alta concentrazione <strong>di</strong> neuroni che rilasciano dopamina. La<br />

produzione <strong>di</strong> questo neuro-modulatore induce i soggetti ad associare una sensazione <strong>di</strong><br />

piacere a un determinato atto <strong>di</strong> acquisto. Se in un momento successivo la stessa occasione <strong>di</strong><br />

acquisto si ripresenta, il rilascio <strong>di</strong> dopamina consente <strong>di</strong> anticipare l’esperienza positiva già<br />

provata in passato.<br />

Un'altra regione del cervello, l’insula, si attiva invece quando si anticipa un evento che ha<br />

provocato in passato una sensazione dolorosa. È stato <strong>di</strong>mostrato in laboratorio che<br />

l’attivazione dei circuiti neuronali posti in queste due aree è correlata anche con le scelte <strong>di</strong><br />

investimento finanziario.<br />

Un esperimento (Knutson et al., 2007) ha indagato come i processi cerebrali attivi in queste<br />

due aree si combinino nella fase precedente a una decisione <strong>di</strong> acquisto. Un gruppo <strong>di</strong><br />

ventisei in<strong>di</strong>vidui, sotto risonanza magnetica funzionale, è stato sottoposto ad una procedura<br />

<strong>di</strong> acquisto. Sullo schermo <strong>di</strong> fronte a loro è stato proiettato un prodotto da acquistare per<br />

quattro secon<strong>di</strong>, poi per altri quattro secon<strong>di</strong> il prezzo <strong>di</strong> acquisto del bene e, infine, ai<br />

soggetti sono stati dati altri quattro secon<strong>di</strong> per decidere se acquistare o non acquistare quel<br />

prodotto. La sequenza temporale era congegnata in modo da evidenziare se nella prima fase<br />

<strong>di</strong> valutazione del prodotto erano attivi circuiti neuronali <strong>di</strong>stinti da quelli coinvolti nella<br />

53


stima della congruità del prezzo e se esistevano altre regioni cerebrali rilevanti per il<br />

confronto delle due <strong>di</strong>verse attività. I risultati mostrano che gli in<strong>di</strong>vidui acquistano il bene se<br />

si attiva il nucleus accumbens nel periodo in cui si valuta il prodotto e se si <strong>di</strong>sattiva l’insula<br />

nel periodo in cui si viene informati del prezzo. In questa seconda fase, la decisione <strong>di</strong><br />

acquistare è correlata significativamente anche con l’attivazione della regione me<strong>di</strong>ale del<br />

lobo frontale. È stato <strong>di</strong>mostrato, anche dal lavoro <strong>di</strong> Damasio (1994), che quest’area<br />

cerebrale funge da interfaccia tra i processi emotivi e quelli cognitivi. Le persone che hanno<br />

subito una lesione <strong>di</strong> questa regione cerebrale sono <strong>di</strong> solito incapaci <strong>di</strong> anticipare le<br />

conseguenze future, sia positive sia negative, <strong>di</strong> decisioni <strong>di</strong> tipo economico.<br />

Come può essere interpretato questo risultato? In primo luogo, l’esperimento consente <strong>di</strong><br />

definire un metodo affidabile per prevedere le scelte dei consumatori. L’attivazione del<br />

nucleus accumbens e la <strong>di</strong>sattivazione dell’insula implicano che il prodotto osservato sarà<br />

acquistato, senza <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> genere o tra le tipologie <strong>di</strong> prodotto. Questa evidenza consente<br />

anche <strong>di</strong> tracciare una rappresentazione del processo mentale con cui si determina un<br />

acquisto, che è in chiaro contrasto con quella postulata dalla teoria della scelta razionale.<br />

Piuttosto che l’esito <strong>di</strong> una ponderazione dell’utilità associata all’acquisto del bene e della<br />

<strong>di</strong>sutilità del prezzo pagato, la decisione <strong>di</strong> acquisto è l’esito finale <strong>di</strong> una rapida sequenza <strong>di</strong><br />

reazioni cerebrali automatiche.<br />

Nella prima fase il bene viene identificato. Se questo riconoscimento associa il bene a passate<br />

esperienze positive <strong>di</strong> consumo, l’attivazione del nucleus accumbens provoca un’imme<strong>di</strong>ata<br />

sensazione <strong>di</strong> piacere, dovuta al rilascio <strong>di</strong> dopamina. Nello sta<strong>di</strong>o seguente, in cui si mettono<br />

in azione anche aree cerebrali più “razionali” come la regione me<strong>di</strong>ale del lobo frontale, si<br />

valuta il prezzo. Se in questa fase si attiva l’insula, il consumatore prova uno stato emotivo<br />

negativo, che segnala imme<strong>di</strong>atamente come il prezzo sia stato percepito come troppo alto.<br />

La decisione sarà quin<strong>di</strong> quella <strong>di</strong> non acquistare il prodotto. Se invece questa reazione non si<br />

54


verifica, la regione me<strong>di</strong>ale del lobo frontale entra in azione deliberando l’acquisto. Ciò che<br />

caratterizza questo processo è la sua forte componente emotiva, che prevale su quella<br />

computativa e razionale, fornendo una motivazione ad alcune deviazioni assai <strong>di</strong>ffuse dalle<br />

pre<strong>di</strong>zioni della teoria della scelta razionale. Per esempio, la presenza <strong>di</strong> questi meccanismi <strong>di</strong><br />

risposta automatica consente <strong>di</strong> spiegare l’eccessivo indebitamento degli utilizzatori delle<br />

carte <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to. Pagando senza denaro contante e in modo <strong>di</strong>fferito gli acquisti, l’intensità dei<br />

segnali lanciati dall’insula <strong>di</strong> fronte ai prezzi <strong>di</strong> acquisto si attenuerebbe e i consumatori<br />

tenderebbero a spendere oltre le loro <strong>di</strong>sponibilità. Oppure giustifica la pratica molto <strong>di</strong>ffusa<br />

<strong>di</strong> offrire in omaggio, o a prezzi ridotti, beni i cui costi sono <strong>di</strong>fferiti nel tempo, come<br />

avviene, per esempio, per le stampanti offerte in ven<strong>di</strong>ta a prezzi relativamente bassi in<br />

relazione all’alto costo delle ricariche d’inchiostro.<br />

L’economia <strong>cognitiva</strong> permette quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> spiegare fatti che non potrebbero emergere dalle<br />

indagini <strong>di</strong> marketing o dalle impressioni soggettive raccolte attraverso la somministrazione<br />

<strong>di</strong> questionari post-ven<strong>di</strong>ta. La <strong>di</strong>mensione cosciente e deliberativa del processo decisionale,<br />

più che determinare le scelte, sembra infatti avere il compito <strong>di</strong> razionalizzare ex post l’esito<br />

<strong>di</strong> decisioni, che sono principalmente il frutto <strong>di</strong> reazioni emotive. Può questa stessa<br />

rappresentazione essere estesa anche agli investimenti finanziari che, almeno<br />

apparentemente, sembrano essere il frutto <strong>di</strong> una decisione razionale e consapevole?<br />

4.2. Investire in borsa è una decisione razionale? Le scelte rischiose, come gli<br />

investimenti <strong>di</strong> borsa, possono essere considerate il principale campo <strong>di</strong> ispirazione e <strong>di</strong><br />

applicazione della teoria della scelta razionale. Nonostante ciò, la ricerca <strong>di</strong> laboratorio ha<br />

offerto ampia evidenza che anche gli investitori finanziari professionali deviano<br />

sistematicamente dal comportamento razionale. Ciò che questa attività sperimentale non<br />

rivela sono i motivi che spiegano tali deviazioni.<br />

55


Uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> qualche anno fa (Kuhnen, Knutson, 2005) ha esteso il design sperimentale<br />

illustrato nella sezione precedente alle scelte d’investimento. In questo esperimento, i<br />

soggetti dovevano effettuare più volte un singolo investimento scegliendo in un paniere<br />

composto <strong>di</strong> due azioni e un’obbligazione. L’obbligazione aveva un ren<strong>di</strong>mento certo <strong>di</strong> un<br />

dollaro, mentre le due azioni avevano ren<strong>di</strong>menti incerti <strong>di</strong>versi. L’azione “buona” offriva un<br />

guadagno <strong>di</strong> 10 dollari con probabilità 50%, un ren<strong>di</strong>mento nullo con probabilità 25% e una<br />

per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> 10 dollari con probabilità 25%, con un ren<strong>di</strong>mento atteso pari a +2,5. L’azione<br />

“cattiva” offriva un ren<strong>di</strong>mento positivo <strong>di</strong> 10 dollari con probabilità 25%, un ren<strong>di</strong>mento<br />

nullo con probabilità 25% e una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> 10 dollari con probabilità 50%, con un ren<strong>di</strong>mento<br />

atteso uguale a -2,5 dollari. I soggetti, pur conoscendo le due <strong>di</strong>stribuzioni <strong>di</strong> probabilità,<br />

dovevano decidere il proprio investimento senza sapere quale delle due azioni offerte era<br />

quella buona e quella cattiva. Dopo avere scelto, i soggetti venivano informati non solo del<br />

guadagno ottenuto, ma anche dei guadagni che avrebbero ottenuto con le alternative non<br />

scelte.<br />

I risultati ottenuti in laboratorio mostrano che prima dell’investimento in un’azione si attiva il<br />

nucleus accumbens, mentre prima dell’investimento in un’obbligazione si attiva l’insula.<br />

Inoltre, dopo una scelta a cui è associato un guadagno relativo, dato da una <strong>di</strong>fferenza<br />

positiva tra il guadagno effettivamente ottenuto rispetto a quello ottenibile con le alternative<br />

non scelte, si attiva il nucleus accumbens, mentre dopo una scelta a cui è associata una<br />

per<strong>di</strong>ta relativa si attiva l’insula.<br />

Così come avviene per le decisioni <strong>di</strong> acquisto <strong>di</strong> un consumatore, è quin<strong>di</strong> possibile,<br />

osservando l’attivazione delle aree cerebrali, pre<strong>di</strong>re quali saranno le scelte <strong>di</strong> un investitore<br />

finanziario. Inoltre, i dati sperimentali permettono <strong>di</strong> stabilire che questa relazione <strong>di</strong> causa<br />

ed effetto è strettamente legata alle esperienze passate. L’attivazione del nucleus accumbens<br />

incrementa infatti la probabilità <strong>di</strong> scegliere un’azione al turno successivo, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> optare<br />

56


per una decisione rischiosa, solo se la scelta precedente è stata un’obbligazione, mentre<br />

l’attivazione dell’insula incrementa la probabilità <strong>di</strong> scegliere un’obbligazione solo se<br />

l’investimento precedente è stato un’azione. L’effetto <strong>di</strong> rinforzo delle reazioni <strong>di</strong> queste aree<br />

cerebrali è quin<strong>di</strong> confermato anche dalle variazioni nelle scelte, a prova del fatto che i due<br />

circuiti neuronali dell’insula e del nucleus accumbens operano in modo separato, senza<br />

un’effettiva interazione o composizione. Questa scissione spiega perché, per esempio, nei<br />

casinò agli scommettitori vengono spesso offerti gratuitamente cibo e liquori, nella<br />

prospettiva <strong>di</strong> attivare la produzione <strong>di</strong> dopamina e quin<strong>di</strong>, il sistema nervoso <strong>di</strong><br />

gratificazione del nucleus accumbens, descritto nel caso della pre<strong>di</strong>zioni degli acquisti del<br />

consumatore. La sensazione <strong>di</strong> piacere così provocata aumenta la probabilità che lo<br />

scommettitore <strong>di</strong>venti più <strong>di</strong>sponibile a rischiare e incrementi quin<strong>di</strong> le sue scommesse. O<br />

ancora, al contrario, perché le strategie <strong>di</strong> marketing delle compagnie <strong>di</strong> assicurazione<br />

pongano particolare enfasi nel prospettare ai propri clienti eventi futuri particolarmente<br />

negativi ma altamente improbabili.<br />

Questo risultato ha anche importanti implicazioni per l’osservazione che gli in<strong>di</strong>vidui<br />

valutano in modo <strong>di</strong>fferente per<strong>di</strong>te e guadagni negli scambi <strong>di</strong> borsa. Questa <strong>di</strong>storsione<br />

<strong>cognitiva</strong>, evidenziata anche da Kahneman e Tversky (1979), ha una conseguenza<br />

paradossale. Alcuni stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> finanza comportamentale evidenziano che gli investitori<br />

finanziari mostrano una tendenza a vendere le azioni che si stanno apprezzando, mentre sono<br />

più restii a cedere quelle la cui quotazione sta scendendo. Gli investitori vendono quin<strong>di</strong><br />

troppo presto le azioni che avrebbero dovuto tenere in portafoglio e tengono troppo a lungo le<br />

azioni che invece dovrebbero vendere prima. La causa <strong>di</strong> questo duplice errore è che i due<br />

circuiti neuronali che si attivano, rispettivamente, nel caso del guadagno e della per<strong>di</strong>ta<br />

seguono modalità <strong>di</strong> attivazione e tempi <strong>di</strong>stinti. Se l’azione ha una quotazione superiore a<br />

quella a cui è stata acquistata, la mente tende a considerare il guadagno ottenuto come una<br />

57


vincita certa. Di fronte a tale risultato, il soggetto opta per la decisione meno rischiosa e<br />

vende quin<strong>di</strong> l’azione in cambio <strong>di</strong> denaro. Se invece il prezzo dell’azione è in calo, il<br />

circuito neurale attivato è quello che amplifica la <strong>di</strong>sutilità della per<strong>di</strong>ta subita, che a sua<br />

volta attiva un meccanismo che spinge a prendere ulteriori rischi per rinviare la realizzazione<br />

della per<strong>di</strong>ta.<br />

La componente emotiva riveste quin<strong>di</strong> un ruolo fondamentale anche nelle scelte finanziarie,<br />

che sono <strong>di</strong> tipo speculativo e quin<strong>di</strong> apparentemente non influenzate dalle preferenze<br />

personali. La teoria della decisione economica evidenzia però che queste decisioni<br />

rappresentano comunque una scelta intertemporale, che alloca nel tempo una decisione <strong>di</strong><br />

spesa. E in questa <strong>di</strong>rezione l’economia <strong>cognitiva</strong> ha offerto altre interessanti applicazioni.<br />

4.3. Autocontrollo e scelta intertemporale La scelta fra atti <strong>di</strong> consumo in <strong>di</strong>fferenti istanti<br />

nel tempo è descritta formalmente dalla teoria economica utilizzando il concetto <strong>di</strong> “sconto<br />

intertemporale”. Ogni somma futura è resa equivalente a una somma <strong>di</strong>sponibile<br />

imme<strong>di</strong>atamente moltiplicandola per un coefficiente, il valore <strong>di</strong> sconto, che rappresenta il<br />

costo associato al <strong>di</strong>fferimento <strong>di</strong> un atto imme<strong>di</strong>ato <strong>di</strong> consumo. Con questa semplificazione,<br />

l’economia riduce alla definizione <strong>di</strong> un singolo coefficiente il problema, assai complesso,<br />

della relazione degli in<strong>di</strong>vidui con il tempo. In realtà, le decisioni che hanno effetti futuri<br />

sono l’esito <strong>di</strong> considerazioni <strong>di</strong> natura emotiva piuttosto che <strong>di</strong> calcoli matematici.<br />

L’effetto del tempo è <strong>di</strong> rendere mutevole e impreve<strong>di</strong>bile il comportamento: gli in<strong>di</strong>vidui<br />

fanno spesso scelte incoerenti, mo<strong>di</strong>ficando piani e programmi adottati in passato, ed<br />

esibiscono forme <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza psicologica, che incrementano la probabilità che una certa<br />

decisione sia presa per il solo fatto <strong>di</strong> averla già adottata in passato. Uno stratagemma teorico<br />

utilizzato per descrivere questi comportamenti è <strong>di</strong> considerare un in<strong>di</strong>viduo come se fosse<br />

dotato <strong>di</strong> due o più Sé, che si alternano nel determinare le decisioni (Elster, 1985). In questo<br />

58


modo, le tecniche psicologiche <strong>di</strong> autocontrollo e <strong>di</strong> auto<strong>di</strong>sciplina <strong>di</strong>ventano trattabili come<br />

se fossero processi <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>namento o <strong>di</strong> competizione tra due o più persone.<br />

Sono evidenti le conseguenze negative dell’ipotesi dell'io multiplo per la teoria della scelta<br />

razionale. La sua ipotesi centrale <strong>di</strong> massimizzazione dell’utilità in<strong>di</strong>viduale viene privata del<br />

soggetto <strong>di</strong> riferimento, rendendo indefinito ogni suo risultato. Com’è, infatti, possibile agire<br />

in base al proprio interesse personale se in ogni in<strong>di</strong>viduo esistono due o più interessi<br />

confliggenti, ciascuno dei quali può prendere il sopravvento sugli altri in momenti <strong>di</strong>fferenti?<br />

L’economia <strong>cognitiva</strong> offre una soluzione a questo problema spostando all’interno del<br />

cervello il processo <strong>di</strong> frammentazione dell’identità, che la letteratura sull’io multiplo proietta<br />

nel tempo. Sia l’idea <strong>di</strong> mente modulare <strong>di</strong> Fodor sia la scissione emozione/ragione <strong>di</strong><br />

Damasio possono essere utilizzate per spiegare le forme <strong>di</strong> incoerenza intertemporale e<br />

trovano applicazione in una linea <strong>di</strong> ricerca sperimentale in veloce evoluzione all’interno<br />

dell’economia <strong>cognitiva</strong>.<br />

In particolare, un esperimento <strong>di</strong> McClure et al. (2004) mostra come il concetto <strong>di</strong> sconto<br />

intertemporale possa essere ricondotto al funzionamento <strong>di</strong> due processi neurali, che si<br />

attivano in aree <strong>di</strong>stinte del cervello. La prima è una regione inclusa nel cosiddetto sistema<br />

limbico, che è collocato tra la base del cervello e la corteccia cerebrale e che si attiva in caso<br />

<strong>di</strong> decisioni che prevedono una ricompensa imme<strong>di</strong>ata; la seconda è collocata nella corteccia<br />

prefrontale laterale e nella corteccia parietale posteriore, che si attivano in caso <strong>di</strong> scelte le<br />

cui ricompense sono <strong>di</strong>fferite nel tempo. Il design sperimentale <strong>di</strong> McClure et al. prevedeva<br />

che i partecipanti all’esperimento potessero scegliere tra una somma <strong>di</strong> denaro<br />

imme<strong>di</strong>atamente <strong>di</strong>sponibile R e una somma <strong>di</strong> denaro più grande, R’, <strong>di</strong>sponibile dopo un<br />

certo periodo <strong>di</strong> tempo. Le somme <strong>di</strong> denaro offerte variavano tra 5 e 40 dollari e il ritardo<br />

temporale che le separava tra due e sei settimane.<br />

59


I risultati ottenuti mostrano che l’attivazione delle due aree analizzate consente <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>re<br />

esattamente quali scelte sta per compiere l’in<strong>di</strong>viduo. Se si attiva il sistema limbico, i soggetti<br />

scelgono una ricompensa imme<strong>di</strong>ata, mentre se si attiva la corteccia prefrontale laterale, i<br />

soggetti tendono a preferire le ricompense <strong>di</strong>fferite nel tempo. Anche in questo caso, le<br />

decisioni economiche sono il frutto dell’attivazione <strong>di</strong> sistemi cerebrali che si attivano in<br />

modo alternato. Il sistema limbico è la sede dei processi <strong>di</strong> reazione automatica <strong>di</strong> tipo<br />

impulsivo, mentre la neocorteccia induce il soggetto a prendere decisioni più razionali<br />

pianificando un flusso <strong>di</strong> guadagni futuri.<br />

La <strong>di</strong>fferenza delle funzioni delle due aree può essere interpretata anche dal punto <strong>di</strong> vista dei<br />

processi evolutivi. Nei primati, il sistema limbico si è formato prima della neocorteccia e<br />

rappresenta quin<strong>di</strong> la parte del cervello in cui più sono ra<strong>di</strong>cati gli effetti dell’evoluzione.<br />

Esso include l’ippocampo, l’amigdala e l’ipotalamo. L’ippocampo controlla i meccanismi <strong>di</strong><br />

molte funzioni vitali (fame, sete, sonno, produzione <strong>di</strong> ormoni) e regola il sistema endocrino.<br />

L’amigdala ha il ruolo <strong>di</strong> valutare il significato emotivo degli eventi attraverso l’associazione<br />

a esperienze passate e attiva le principali reazioni emotive in situazioni <strong>di</strong> pericolo.<br />

L’ipotalamo regola gran parte dei processi biochimici in atto all’interno dell’organismo. La<br />

neocorteccia è un’area cerebrale <strong>di</strong> più recente formazione e <strong>di</strong>stingue i mammiferi dal resto<br />

delle altre specie. Essa è molto più grande e <strong>di</strong>fferenziata negli esseri umani che negli altri<br />

animali. Il suo ruolo appare quello <strong>di</strong> permettere <strong>di</strong> pianificare in modo razionale quelle<br />

scelte il cui esito futuro è incerto e in<strong>di</strong>vidualmente specifico.<br />

Il funzionamento parallelo <strong>di</strong> questi due circuiti neurali riflette quin<strong>di</strong> sia l’adattamento<br />

evolutivo alle situazioni ambientali sia la capacità tipicamente umana, formatasi più<br />

recentemente, <strong>di</strong> pensare in termini astratti e generali e <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuire nel tempo il consumo<br />

delle risorse <strong>di</strong>sponibili. In ogni in<strong>di</strong>viduo sarebbero all’opera, secondo meccanismi<br />

eterogenei tra gli in<strong>di</strong>vidui, <strong>di</strong>namiche che non sono né unificate né regolate internamente.<br />

60


Questa rappresentazione consente anche <strong>di</strong> formulare ipotesi originali sulle forme <strong>di</strong><br />

consumo che prevedono <strong>di</strong>pendenza fisica e psicologica, che non sono limitate ai casi<br />

patologici <strong>di</strong> shopping compulsivo o della <strong>di</strong>pendenza da alcool o droghe, ma riguardano la<br />

maggior parte delle scelte <strong>di</strong> consumo ripetute nel tempo. In una serie <strong>di</strong> esperimenti<br />

effettuati sulle scimmie e sugli uomini negli anni novanta, è stato mostrato che la dopamina<br />

svolge una funzione centrale in questo tipo <strong>di</strong> decisioni. Come già evidenziato nel caso delle<br />

decisioni <strong>di</strong> acquisto e d’investimento, la dopamina viene prodotta quando gli in<strong>di</strong>vidui<br />

ricevono una ricompensa o provano piacere. Inoltre, dopo alcune ripetizioni <strong>di</strong> una stessa<br />

scelta e della ricompensa a essa associata, il rilascio <strong>di</strong> dopamina tende a verificarsi anche<br />

quando la decisione non è ancora presa ma solo anticipata. Con l’incremento del numero<br />

delle ripetizioni, il rilascio <strong>di</strong> dopamina tende ad<strong>di</strong>rittura a scomparire nella fase della<br />

ricompensa e a crescere proporzionalmente nella fase <strong>di</strong> anticipazione della gratificazione.<br />

Poiché quin<strong>di</strong> la dopamina è prodotta prima del consumo <strong>di</strong> un bene, i suoi effetti non<br />

possono essere spiegati esclusivamente in termini edonistici, ma essa <strong>di</strong>venta più una fonte<br />

che una manifestazione <strong>di</strong> piacere. In effetti, il lavoro <strong>di</strong> Berridge e Robinson (2003) supporta<br />

l’ipotesi che il cervello sia dotato <strong>di</strong> due sistemi cerebrali <strong>di</strong>stinti, uno che regola il desiderio<br />

e l’altro che regola il piacere. La produzione <strong>di</strong> dopamina sarebbe quin<strong>di</strong> strettamente<br />

correlata all’apparato che regola il desiderio, causando una sensazione piacevole in presenza<br />

dei segnali che anticipano una determinata esperienza <strong>di</strong> consumo. Per esempio, la vista del<br />

cibo può creare un impulso imme<strong>di</strong>ato a mangiare, anche se poi possono attivarsi aree<br />

cerebrali <strong>cognitiva</strong>mente più evolute, come quelle della neocorteccia, che controllano e<br />

reprimono l’impulso iniziale, prendendo in considerazione altre alternative <strong>di</strong> consumo o le<br />

sue conseguenze future negative. È chiaro però che tanto più è intenso il rilascio della<br />

dopamina, tanto più questo processo d’inibizione non si verifica. La produzione della<br />

dopamina, in quanto processo veloce e automatico, indurrebbe decisioni tanto più rapide<br />

61


quanto più l’ambiente in cui viene presa la decisione è stabile e indurrebbe a ignorare le<br />

conseguenze negative <strong>di</strong>fferite nel tempo o, ad<strong>di</strong>rittura, a evitare <strong>di</strong> raccogliere ulteriori<br />

informazioni in presenza <strong>di</strong> decisioni ine<strong>di</strong>te. Sarebbe quin<strong>di</strong> la competizione tra il sistema<br />

cerebrale <strong>di</strong> reazione automatica e quello più lento della neocorteccia a determinare le<br />

decisioni <strong>di</strong> consumo. Nel caso del consumo <strong>di</strong> sostanze come la nicotina o la cocaina, questa<br />

competizione è viziata dal fatto che la dopamina rilasciata in sede <strong>di</strong> anticipazione dell’atto <strong>di</strong><br />

consumo perde ogni relazione con il grado <strong>di</strong> piacere provato in seguito, che viene quin<strong>di</strong><br />

sistematicamente sopravvalutato, <strong>di</strong>sabilitando le capacità inibitorie nella neocorteccia.<br />

Bernheim e Rangel (2006) applicano questa ricostruzione dei processi <strong>di</strong> scelta a un modello<br />

teorico che ha importanti implicazioni <strong>di</strong> politica economica. La loro premessa è che i<br />

processi <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza sono la conseguenza degli stimoli ambientali ricevuti dai soggetti che<br />

li subiscono e che questi stimoli sono attivi solo in ambiti limitati, in cui le stesse decisioni si<br />

ripetono secondo modalità stabili. Ne consegue che, se un in<strong>di</strong>viduo è esposto a determinati<br />

stimoli, è possibile che egli compia un “errore”, entrando in uno stato che lo spinge a<br />

consumare la sostanza in<strong>di</strong>pendentemente dalle sue preferenze. L’uso <strong>di</strong> questa sostanza<br />

rende l’in<strong>di</strong>viduo più sensibile agli stessi stimoli ambientali che rendono in seguito più<br />

attraente l’uso della stessa sostanza secondo il meccanismo <strong>di</strong> produzione della dopamina già<br />

illustrato.<br />

Rispetto alla teoria della scelta razionale, il modello <strong>di</strong> Bernheim e Rangel indebolisce il<br />

principio delle preferenze rivelate, rendendo possibile che in presenza <strong>di</strong> un “errore” iniziale<br />

le decisioni prese siano contrarie alle preferenze in<strong>di</strong>viduali sottostanti. Questa<br />

consapevolezza può essere utilizzata per <strong>di</strong>minuire la probabilità che l’errore si verifichi. In<br />

primo luogo, può essere utile aumentare il prezzo dei consumi che possono indurre<br />

<strong>di</strong>pendenza, attraverso l’imposizione <strong>di</strong> imposte e sussi<strong>di</strong> da parte dello Stato. In questo<br />

modo s’incrementa per ogni potenziale consumatore il costo monetario dell’errore che<br />

62


provoca la <strong>di</strong>pendenza e s’innesca la reazione della neocorteccia, che pondera con maggiore<br />

attenzione gli impieghi alternativi e futuri del denaro necessario per accedere alle esperienze<br />

<strong>di</strong> consumo. In secondo luogo, è necessario creare le con<strong>di</strong>zioni che riducono la probabilità<br />

che il processo decisionale dell’in<strong>di</strong>viduo cada in errore. Poiché questo errore <strong>di</strong>pende più<br />

dagli stimoli che anticipano l’esperienza <strong>di</strong> consumo che dal consumo stesso, può essere utile<br />

<strong>di</strong>minuire i messaggi pubblicitari che sostengono quelle forme <strong>di</strong> consumo o <strong>di</strong>ffondere<br />

controstimoli, come avviene apponendo immagini che evocano la morte sui pacchetti <strong>di</strong><br />

sigarette, con il fine <strong>di</strong> sollecitare il controllo cognitivo della neocorteccia.<br />

Queste implicazioni, che derivano dalla fondazione <strong>cognitiva</strong> del modello, <strong>di</strong>scendono dalla<br />

rimozione dell’ipotesi che gli in<strong>di</strong>vidui prendano sempre le loro decisioni in base alle<br />

preferenze che prevalgono nel momento della scelta. Nell’approccio <strong>di</strong> Bernheim e Rangel, la<br />

<strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong>venta la conseguenza <strong>di</strong> una progressiva sensibilità agli stimoli esterni, che<br />

sono osservati in modo causale e che possono indurre errori <strong>di</strong> scelta persistenti nel tempo. Il<br />

comportamento del soggetto <strong>di</strong>pendente non è quin<strong>di</strong> il risultato <strong>di</strong> un cambiamento delle sue<br />

preferenze nel tempo, ma l’esito <strong>di</strong> una reazione automatica non controllabile dalle aree del<br />

cervello <strong>cognitiva</strong>mente più evolute.<br />

Questo indebolimento dell’assunto dell’in<strong>di</strong>vidualismo metodologico ha conseguenze<br />

rilevanti anche sul piano delle scelte sociali, che rappresentano un altro fertile campo <strong>di</strong><br />

applicazione dell’economia <strong>cognitiva</strong>.<br />

4.4. Quanto contano gli altri nelle mie decisioni? Molte decisioni economiche sono prese<br />

in con<strong>di</strong>zioni d’interazione strategica, che sono situazioni in cui le conseguenze delle nostre<br />

scelte <strong>di</strong>pendono dalle decisioni prese dagli altri in<strong>di</strong>vidui con cui entriamo in relazione. Lo<br />

strumento matematico utilizzato per descrivere queste situazioni è la teoria dei giochi, che<br />

impiega due principali modalità <strong>di</strong> rappresentazione. La prima è la forma strategica o<br />

63


normale, che è definita da tre elementi: una lista degli in<strong>di</strong>vidui che prendono decisioni, i<br />

giocatori; un elenco delle decisioni possibili per ogni giocatore, le strategie; l’insieme dei<br />

pagamenti associati a ciascuna strategia e a ciascun giocatore. Nel caso in cui i giocatori<br />

siano due, questo insieme d’informazioni è rappresentato graficamente attraverso una matrice<br />

come quella rappresentata in figura 5.<br />

Figura 5 La forma strategica (o normale) del gioco<br />

DARE TITOLETTO<br />

Giocatore <strong>di</strong> colonna<br />

Strategia C<br />

Strategia D<br />

Giocatore<br />

<strong>di</strong> riga<br />

Strategia A 0, 2 0, 2<br />

Strategia B 1, 1 -1, -1<br />

In questo gioco, i due giocatori <strong>di</strong> riga e <strong>di</strong> colonna hanno ciascuno, rispettivamente, a<br />

<strong>di</strong>sposizione 2 strategie, A, B e C, D. Le caselle della matrice in<strong>di</strong>cano i pagamenti ottenuti,<br />

rispettivamente, dal giocatore <strong>di</strong> riga e dal giocatore <strong>di</strong> colonna per ognuna delle possibili<br />

coppie <strong>di</strong> strategie, o esiti del gioco. Se, per esempio, il giocatore <strong>di</strong> riga gioca la strategia A<br />

e il giocatore <strong>di</strong> colonna la strategia D, l’esito del gioco assegna al giocatore <strong>di</strong> riga un<br />

pagamento uguale a 0 e al giocatore <strong>di</strong> colonna un pagamento uguale a 2.<br />

La seconda modalità <strong>di</strong> rappresentazione <strong>di</strong> un gioco è la forma estesa, che sostituisce alla<br />

matrice della forma normale un grafico a forma <strong>di</strong> albero, che include tutte le strategie<br />

possibili, or<strong>di</strong>nate dall’alto verso il basso, come nella figura 6.<br />

Figura 6 La forma estesa del gioco<br />

64


In questo gioco, il giocatore I deve prima decidere la propria strategia scegliendo tra T e B,<br />

mentre il giocatore II deve poi scegliere tra L 1 e R 1 o tra L 2 e R 2 . Per ognuna delle quattro<br />

combinazioni <strong>di</strong> strategie possibili, la forma estesa in<strong>di</strong>ca i relativi pagamenti per i due<br />

giocatori. Se per esempio il giocatore I opta per la strategia T e il giocatore II per la strategia<br />

R 1 , il giocatore I otterrà un pagamento uguale a 0 e il giocatore II un pagamento uguale a 3.<br />

A queste strutture formali vengono applicati due principali meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> soluzione, che si<br />

conformano alla teoria della scelta razionale. Il primo è quello <strong>di</strong> dominanza: qualunque<br />

scelta faccia l’altro giocatore, per un giocatore una strategia è dominante se a essa è associato<br />

un pagamento sempre maggiore rispetto alle altre strategie a sua <strong>di</strong>sposizione. Il secondo<br />

metodo <strong>di</strong> soluzione è l’equilibrio <strong>di</strong> Nash, che tiene invece <strong>di</strong>rettamente conto<br />

dell’interazione strategica e che è composto da tutte quelle strategie, una per ogni giocatore,<br />

tali che nessun giocatore ha interesse a deviare da quelle a lui assegnate.<br />

Un gioco, che può essere risolto per dominanza, è il noto <strong>di</strong>lemma del prigioniero, che è<br />

rappresentato nella tabella 3, in cui i pagamenti in negativo corrispondono ad anni <strong>di</strong> carcere.<br />

65


Tabella 3 Il gioco del <strong>di</strong>lemma del prigioniero<br />

DARE TITOLETTO<br />

Giocatore <strong>di</strong> colonna<br />

Tace<br />

Collabora con la polizia<br />

Giocatore<br />

<strong>di</strong> riga<br />

Tace -1, -1 -5, 0<br />

Collabora<br />

con la<br />

polizia<br />

0, -5 -3, -3<br />

La soluzione per dominanza è la coppia <strong>di</strong> strategie in cui entrambi i giocatori collaborano<br />

con la polizia, perché in questo modo entrambi ottengono un pagamento maggiore <strong>di</strong> quello<br />

ottenibile dall’unica strategia alternativa, tacere, in<strong>di</strong>pendentemente da ciò che sceglie l’altro<br />

giocatore. Se infatti il giocatore <strong>di</strong> riga tace, il suo pagamento sarà sempre inferiore a quello<br />

ottenibile se collabora, sia se il giocatore <strong>di</strong> colonna tace (-1 invece <strong>di</strong> 0), sia se il giocatore <strong>di</strong><br />

colonna collabora con la polizia (-5 invece <strong>di</strong> -3). E la stessa considerazione vale anche per il<br />

giocatore <strong>di</strong> colonna. Questa soluzione, in cui entrambi i giocatori ottengono un pagamento<br />

uguale a -3, rappresenta però un risultato inefficiente, perché se entrambi i giocatori tacessero<br />

otterrebbero un risultato migliore (-1, -1). Affinché questa soluzione si verifichi è però<br />

necessario che ogni giocatore scelga una soluzione che è, dal punto <strong>di</strong> vista egoistico, sempre<br />

peggiore qualunque scelta faccia l’avversario, ma questo comportamento è escluso nella<br />

teoria della scelta razionale dal principio <strong>di</strong> massimizzazione dell’utilità.<br />

Un altro gioco molto utilizzato in laboratorio è il gioco dell’ultimatum, che rappresenta, in<br />

maniera stilizzata, una comune situazione <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> un bene in cui il prezzo stabilisce il<br />

guadagno ottenuto dal compratore e dal ven<strong>di</strong>tore. In questo gioco, due giocatori devono<br />

66


spartirsi una somma <strong>di</strong> denaro predeterminata. Uno dei due giocatori, il proponente, deve<br />

proporre una <strong>di</strong>visione <strong>di</strong> questa somma, mentre l’altro giocatore, il rispondente, può<br />

accettare o rifiutare la <strong>di</strong>visione proposta. Se il rispondente accetta, la somma viene <strong>di</strong>visa in<br />

base all’offerta del proponente, se rifiuta, entrambi i giocatori non guadagnano niente.<br />

L’equilibrio <strong>di</strong> Nash del gioco prevede che il ricevente accetti ogni offerta del proponente<br />

maggiore <strong>di</strong> zero e che il proponente, anticipando questa scelta, offra al rispondente un<br />

ammontare appena maggiore <strong>di</strong> zero, tenendo per sé tutto il resto della somma.<br />

Un esempio numerico del gioco dell’ultimatum è riportato nella figura 7.<br />

Figura 7 Il gioco dell’ultimatum<br />

In questa versione sono possibili solo due esiti. Se il giocatore 1 opta per la strategia F, il<br />

giocatore 2 può scegliere la strategia A, a cui è associata la coppia <strong>di</strong> pagamenti che assegna<br />

il pagamento <strong>di</strong> 5 ad entrambi, oppure rifiutare la <strong>di</strong>visione proposta scegliendo la strategia R.<br />

Se invece il giocatore 1 sceglie U, il giocatore 2 può, scegliendo A, determinare l’esito che<br />

assegna 8 al giocatore 1 e 2 a sé stesso oppure, scegliendo R, determinare il risultato (0,0).<br />

Gli equilibri <strong>di</strong> Nash sono, in questo caso, rappresentati dalle due coppie <strong>di</strong> strategie (F, A) e<br />

(U, A), dalle quali entrambi i giocatori non hanno interesse a deviare.<br />

67


L’evidenza raccolta negli ultimi venti anni <strong>di</strong> ricerca sperimentale mostra che le soluzioni<br />

previste dalla teoria della scelta razionale per questi due giochi non vengono confermate in<br />

laboratorio. Le verifiche effettuate sul <strong>di</strong>lemma del prigioniero mostrano che la soluzione<br />

socialmente ottimale, in cui entrambi i soggetti tacciono, si verifica nel 50% dei casi. Nel<br />

gioco dell’ultimatum, l’offerta che si verifica con maggiore probabilità (70% circa) è la<br />

<strong>di</strong>visione 50/50 e le offerte che prevedono per il rispondente meno del 20% della dotazione<br />

vengono quasi sempre respinte (Camerer, 2003).<br />

I soggetti sperimentali si comportano quin<strong>di</strong> in modo non strettamente egoistico e sembrano<br />

tenere conto dell’utilità degli altri in<strong>di</strong>vidui, conformandosi spontaneamente a un principio <strong>di</strong><br />

equità, che contrad<strong>di</strong>ce le assunzioni della teoria della scelta razionale. Nel gioco<br />

dell’ultimatum, più che a un generico principio <strong>di</strong> altruismo, ogni giocatore sembra tenere<br />

conto della <strong>di</strong>fferenza tra il pagamento ottenuto e quello dell’altro giocatore o almeno del<br />

pagamento che viene considerato equo. Se la <strong>di</strong>visione della dotazione è eccessivamente<br />

sbilanciata a favore del proponente, il rispondente preferisce rinunciare ad una fetta troppo<br />

piccola della torta per “punire” il proponente.<br />

Per ricostruire le motivazioni <strong>di</strong> questi comportamenti, l’economia <strong>cognitiva</strong> ricorre alla<br />

rappresentazione duale dei processi mentali, richiamata più volte nei capitoli precedenti.<br />

Anche le interazioni sociali sono il risultato <strong>di</strong> una competizione tra un livello emotivo, che si<br />

attiva rapidamente e in modo largamente inconscio, e un livello razionale e deliberativo, che<br />

si attiva più lentamente e che si conforma ai principi <strong>di</strong> razionalità e <strong>di</strong> consistenza logica. Un<br />

esempio, più volte menzionato, <strong>di</strong> questa scissione è il fatto che molti in<strong>di</strong>vidui sono colpiti<br />

emotivamente dalle vicende vissute dagli attori che recitano in un film, mentre restano spesso<br />

in<strong>di</strong>fferenti <strong>di</strong> fronte a notizie <strong>di</strong> calamità che colpiscono intere popolazioni, pur essendo<br />

consapevoli della gravità delle loro con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita. Questo paradosso è spiegato da<br />

Loewenstein e Small (2007) assumendo che il sistema emotivo si fon<strong>di</strong> su stimoli superficiali<br />

68


e <strong>cognitiva</strong>mente immaturi, mentre il sistema deliberativo sia più sofisticato ma<br />

sostanzialmente egoistico. Su questa contrapposizione tra un desiderio impulsivo <strong>di</strong> equità e<br />

un calcolo razionale prevalentemente egoistico si è concentrata molta della ricerca <strong>cognitiva</strong><br />

sulle preferenze sociali in economia. Una tesi largamente con<strong>di</strong>visa è che, nelle interazioni<br />

sociali, un ruolo essenziale è svolto dal sistema mesolimbico, che produce dopamina con<br />

un’intensità <strong>di</strong>rettamente proporzionale alla cooperazione degli altri giocatori. Analogamente<br />

a quanto avviene per le sostanze che producono <strong>di</strong>pendenza, questa regione cerebrale si attiva<br />

con crescente intensità con la ripetizione delle interazioni sociali. In particolare, l’area<br />

cerebrale detta striatum ventrale si attiva quando un giocatore che partecipa al <strong>di</strong>lemma del<br />

prigioniero osserva scelte cooperative da parte dell’altro giocatore. A quest’attivazione<br />

corrisponde una probabilità crescente <strong>di</strong> cooperazione nelle ripetizioni successive. Al<br />

contrario, se l’altro giocatore si comporta in modo non cooperativo, lo striatum si attiva con<br />

intensità decrescente.<br />

Anche il rifiuto <strong>di</strong> offerte non eque da parte del rispondente nel gioco dell’ultimatum è la<br />

conseguenza <strong>di</strong> stati emotivi che s’innescano in modo automatico. Sanfey et al. (2003)<br />

mostrano che l’area dell’insula anteriore, specializzata nelle reazioni <strong>di</strong> tipo emotivo, si attiva<br />

con intensità crescente in proporzione alla non equità della <strong>di</strong>visione offerta dal proponente.<br />

Inoltre quest’attivazione permette anche <strong>di</strong> prevedere quali saranno le scelte successive, in<br />

linea con il meccanismo <strong>di</strong> anticipazione già evidenziato per le forme <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza<br />

psicologica.<br />

Un altro esperimento (Rilling et al., 2004) <strong>di</strong>mostra che questa stessa area cerebrale svolge<br />

un ruolo centrale nella versione ripetuta del <strong>di</strong>lemma del prigioniero, attivandosi in risposta a<br />

mosse non cooperative dall’altro giocatore e causando un aumento della probabilità <strong>di</strong><br />

cooperazione nelle ripetizioni successive. L’osservazione che l’insula anteriore ha una<br />

funzione essenziale nella reazione imme<strong>di</strong>ata a odori sgradevoli o alla visione <strong>di</strong> facce<br />

69


<strong>di</strong>sgustate, renderebbe quin<strong>di</strong> le interazioni sociali <strong>di</strong>pendenti da un’area cerebrale la cui<br />

attivazione è in<strong>di</strong>pendente dal controllo consapevole dell’in<strong>di</strong>viduo.<br />

Per verificare la vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> queste conclusioni, sono stati utilizzati anche strumenti d’indagine<br />

<strong>di</strong>versi dalla risonanza magnetica funzionale. In un altro esperimento sul gioco<br />

dell’ultimatum (Van 't Wout et al., 2006), è stata rilevata la reazione dei giocatori in termini<br />

<strong>di</strong> capacità <strong>di</strong> conduttanza cutanea (galvanic skin response), che è considerata uno dei meto<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> misurazione più rapi<strong>di</strong> e affidabili del livello <strong>di</strong> eccitazione emotiva. I risultati mostrano<br />

una più intensa conduttività della pelle a fronte <strong>di</strong> offerte non eque, secondo meccanismi<br />

analoghi a quelli che regolano l'attivazione dell’insula anteriore.<br />

Un altro gruppo <strong>di</strong> ricercatori (Knoch et al., 2006) ha utilizzato la stimolazione magnetica<br />

transcraniale (TMS) per analizzare l’effetto sul comportamento dei giocatori nel gioco<br />

dell’ultimatum <strong>di</strong> un’interruzione dell’operatività della corteccia prefrontale dorso-laterale<br />

destra, una regione importante per l’autocontrollo e la pianificazione razionale <strong>di</strong> lungo<br />

periodo. Il design sperimentale prevedeva che il proponente potesse offrire qualsiasi somma<br />

compresa tra 0 e la metà della sua dotazione. I rispondenti sottoposti alla TMS accettavano<br />

con maggiore probabilità le offerte non eque rispetto ai soggetti sottoposti al trattamento<br />

placebo. L’indebolimento dell’attività “razionale” della corteccia prefrontale rendeva quin<strong>di</strong> i<br />

rispondenti, allo stesso tempo, più altruisti, facendo venire meno il desiderio <strong>di</strong> punire il<br />

comportamento egoistico del proponente, e più egoisti, facendo accettare una <strong>di</strong>visione<br />

svantaggiosa ma comunque maggiore <strong>di</strong> ciò che sarebbe stato ottenuto in caso <strong>di</strong> rifiuto.<br />

Questa scissione tra le aree deputate alla promozione degli interessi puramente egoistici e<br />

quelle coinvolte nell’avversione alla <strong>di</strong>suguaglianza è importante anche per spiegare un'altra<br />

componente essenziale del funzionamento dei sistemi economici, la fiducia.<br />

70


4.5. Perché ci fi<strong>di</strong>amo degli altri? La teoria dei giochi offre un modello stilizzato per<br />

rispondere a questa domanda, il gioco dell’investimento. In questo gioco, due giocatori sono<br />

accoppiati anonimamente e vengono loro assegnati, rispettivamente, i ruoli <strong>di</strong> decisore e <strong>di</strong><br />

rispondente. Il decisore riceve dallo sperimentatore una dotazione <strong>di</strong> denaro e deve decidere<br />

se trattenere tutta la somma o inviarla in parte o per intero al rispondente. La quantità <strong>di</strong><br />

denaro inviata dal decisore al rispondente è triplicata dallo sperimentatore e poi consegnata al<br />

rispondente. Il rispondente deve quin<strong>di</strong> decidere se trattenere quanto ricevuto o restituirlo<br />

tutto o in parte al decisore. Quando il decisore riceve il denaro eventualmente restituito dal<br />

rispondente il gioco finisce.<br />

Lo svolgimento <strong>di</strong> questo gioco permette <strong>di</strong> ottenere un in<strong>di</strong>catore della propensione a fidarsi,<br />

rappresentato dal rapporto tra la somma inviata e la dotazione ricevuta dal decisore, e un<br />

in<strong>di</strong>catore <strong>di</strong> reciprocità, dato dal rapporto tra la somma restituita e la somma ricevuta dal<br />

rispondente. La soluzione razionale è che, se il rispondente massimizza la sua utilità, non<br />

restituirà niente al decisore qualunque sia la somma inviata, e quin<strong>di</strong> il decisore, prevedendo<br />

questo comportamento, non invierà niente al rispondente e tratterrà per sé l’intera dotazione.<br />

Ancora una volta, i risultati ottenuti in laboratorio contrad<strong>di</strong>cono questa previsione. I decisori<br />

inviano ai rispondenti circa la metà della dotazione ricevuta e i rispondenti restituiscono ai<br />

decisori circa un terzo <strong>di</strong> quanto hanno ricevuto (<strong>Innocenti</strong>, Pazienza, 2008). Inoltre emerge<br />

una spiccata eterogeneità tra i comportamenti in<strong>di</strong>viduali: vi sono soggetti che si comportano<br />

in modo puramente egoistico, trattenendo l’intera dotazione e non restituendo niente <strong>di</strong><br />

quanto ricevuto, e altri che esibiscono un totale altruismo, inviando o restituendo tutto ciò che<br />

ricevono. È quin<strong>di</strong> evidente che, anche in una decisione stilizzata come questa, le scelte sono<br />

la conseguenza <strong>di</strong> processi mentali non riconducibili al modello della scelta razionale e in<br />

ogni caso tutt’altro che deterministici.<br />

71


L’indagine dei meccanismi cognitivi che stimolano la fiducia ha infatti messo in evidenza<br />

come essa sia determinata prevalentemente da processi che si attivano in modo automatico<br />

nel nostro cervello. L’esperimento <strong>di</strong> Kosfeld et al. (2005) ha analizzato gli effetti della<br />

produzione nel cervello <strong>di</strong> una specifica sostanza chimica, l’ossitocina. La produzione <strong>di</strong><br />

ossitocina avviene con maggiore intensità nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> maternità e durante le relazioni<br />

sessuali ed è, in generale, associata all’emergere <strong>di</strong> comportamenti pro-sociali. L’esperimento<br />

<strong>di</strong> Kosfeld et al. ha sottoposto ad alcuni studenti universitari la versione mo<strong>di</strong>ficata del gioco<br />

dell’investimento illustrata nella figura 8.<br />

Figura 8 IL gioco dell’investimento mo<strong>di</strong>ficato<br />

,TRADURRE LE SCRITTE Investor: Decisore , Trustee: Rispondente, Transfer (MU):<br />

Trasferimento, Back Transfer (MU): Restituzione<br />

Il decisore (investor) aveva la possibilità <strong>di</strong> inviare 0, 4, 8 e 12 unità <strong>di</strong> moneta (MU) e il<br />

rispondente (trustee) poteva restituire ogni unità <strong>di</strong> moneta compresa tra 0 e, rispettivamente,<br />

12, 24, 36 e 48 unità <strong>di</strong> moneta. L’esperimento prevedeva due <strong>di</strong>fferenti trattamenti. Nel<br />

primo trattamento con interazione sociale, i decisori venivano accoppiati anonimamente a<br />

rispondenti umani, mentre nel secondo trattamento il ruolo del rispondente era assegnato ad<br />

72


un computer, che determinava in base ad un’estrazione casuale la somma restituita. In<br />

entrambi i trattamenti, a metà dei soggetti sperimentali veniva inalata l’ossitocina, mentre<br />

all’altra metà veniva inalato un placebo.<br />

I risultati <strong>di</strong> laboratorio mostrano che, nel trattamento con interazione sociale, i decisori<br />

sottoposti all’ossitocina inviavano una somma significativamente più alta (10 unità <strong>di</strong><br />

moneta) dei decisori sottoposti al placebo (8 unità <strong>di</strong> moneta). Questa <strong>di</strong>fferenza tra i due<br />

gruppi si annullava nel trattamento computerizzato, in cui le somme inviate erano pressoché<br />

uguali (7,5 unità <strong>di</strong> moneta). La <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> comportamento tra chi riceveva l’ossitocina e il<br />

placebo non si verificava tra i rispondenti. L’effetto dell’inalazione <strong>di</strong> ossitocina era <strong>di</strong><br />

incrementare la propensione ad accordare fiducia ad altri esseri umani, ma non quello <strong>di</strong><br />

favorire la reciprocità. In ogni caso, senza interazione sociale l’effetto scompariva.<br />

L’inclinazione a fidarsi degli altri in un contesto <strong>di</strong> perfetta anonimità <strong>di</strong>pende, quin<strong>di</strong>, in<br />

modo significativo dalla produzione <strong>di</strong> una sostanza chimica che il cervello produce<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dal controllo del decisore, e che può essere anche somministrata<br />

dall’esterno, mo<strong>di</strong>ficando l’attitu<strong>di</strong>ne pro o antisociale in<strong>di</strong>viduale.<br />

Questo esperimento conferma la vali<strong>di</strong>tà della concezione duale dei processi cerebrali, ma<br />

non consente però <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare quali aree cerebrali si attivano quando un soggetto si fida <strong>di</strong><br />

un altro in<strong>di</strong>viduo. Una risposta a questa domanda è proposta dall’esperimento <strong>di</strong> McCabe et<br />

al. (2001), che hanno sottoposto a risonanza magnetica funzionale alcuni soggetti che<br />

giocavano la seguente versione semplificata del gioco dell’investimento:<br />

73


Il decisore (X 1 ) deve decidere se uscire dal gioco ottenendo la stessa quantità <strong>di</strong> moneta [45,<br />

45] sia per lui sia per il rispondente (X 2 ), oppure può fidarsi del rispondente e consentirgli <strong>di</strong><br />

giocare, sperando che scelga la coppia <strong>di</strong> pagamenti [180, 205] e non la soluzione non equa<br />

[0, 405]. L’esperimento <strong>di</strong> McCabe et al. prevedeva che lo stesso gioco fosse ripetuto sia con<br />

un rispondente umano sia con un rispondente computerizzato, la cui scelta era determinata da<br />

un processo <strong>di</strong> estrazione casuale da una <strong>di</strong>stribuzione nota e predeterminata. Nel momento<br />

esatto in cui facevano la propria scelta, i decisori erano sottoposti a risonanza magnetica<br />

funzionale.<br />

I risultati sperimentali mostrano che i soggetti decisori tendono a fidarsi maggiormente<br />

quando sono contrapposti a rispondenti umani piuttosto che al computer ed evidenziano<br />

attivazioni cerebrali <strong>di</strong>fferenti nelle due con<strong>di</strong>zioni. In particolare, i soggetti che si fidano<br />

nelle interazioni uomo-uomo mostrano attivazioni significativamente maggiori delle regioni<br />

della corteccia prefrontale rispetto alle interazioni uomo-computer. La fiducia appare quin<strong>di</strong><br />

innescata dall’area “razionale” del cervello, che presumibilmente focalizza l’attenzione del<br />

decisore sui guadagni congiunti ottenibili accordando fiducia al rispondente e rende meno<br />

attraente il minore pagamento <strong>di</strong>sponibile imme<strong>di</strong>atamente. Nei soggetti che mostrano questa<br />

reazione cerebrale si evidenzia anche una più pronunciata attivazione delle aree dei lobi<br />

74


occipitali e parietali deputate all’elaborazione degli stimoli visivi, a <strong>di</strong>mostrazione del fatto<br />

che il gioco era analizzato con maggiore attenzione.<br />

Queste osservazioni, che confermano come la fiducia <strong>di</strong>penda dalle modalità <strong>di</strong> relazione tra<br />

gli in<strong>di</strong>vidui piuttosto che dal mero calcolo in<strong>di</strong>viduale, permettono <strong>di</strong> formulare l’ipotesi che<br />

la fiducia sia associata all’esistenza <strong>di</strong> aree del cervello che interpretano e cercano <strong>di</strong><br />

rappresentare gli stati mentali degli altri in<strong>di</strong>vidui. Questa ipotesi è l’oggetto <strong>di</strong> una linea <strong>di</strong><br />

ricerca nota come teoria della mente.<br />

4.6. È razionale imitare? Il ragionamento necessario per scegliere una strategia in un gioco<br />

è fondato su congetture del tipo “io penso che tu pensi che io pensi che tu pensi…”.<br />

L’opportunità <strong>di</strong> ogni decisione <strong>di</strong>pende infatti da congetture sulle intenzioni degli altri<br />

giocatori e da congetture sulle congetture fatte dagli altri giocatori. Questa specifica attività<br />

mentale è stata collocata da alcuni stu<strong>di</strong> all’interno della corteccia me<strong>di</strong>ale prefrontale<br />

(Gallagher, Frith, 2003). Quest’area si attiva solo in presenza <strong>di</strong> un altro in<strong>di</strong>viduo e sembra<br />

quin<strong>di</strong> utilizzata nell’interpretazione delle credenze e delle intenzioni degli altri. Sulla base <strong>di</strong><br />

quest'osservazione empirica sono state costruite alcune ipotesi sui processi evolutivi che<br />

hanno condotto alla formazione del cervello. In particolare, l’idea su cui si fonda la Teoria<br />

della mente o del cervello sociale è che l’espansione della corteccia prefrontale, propria degli<br />

esseri umani e che li <strong>di</strong>stingue dagli altri mammiferi, sia strettamente correlata con la<br />

complessità dei sistemi sociali umani, nei quali è necessario elaborare un grande numero<br />

d’informazioni, assai <strong>di</strong>versificate tra loro. Sarebbe stato quin<strong>di</strong> l’ambiente sociale, e non<br />

quello fisico o naturale, a determinare i principali mutamenti del nostro cervello, che sarebbe<br />

progressivamente <strong>di</strong>ventato un apparato molto evoluto per elaborare previsioni sul<br />

comportamento degli altri in<strong>di</strong>vidui e per influenzarne le decisioni (Dunbar, 1993). Ogni<br />

75


in<strong>di</strong>viduo, per muoversi in ambito sociale, dovrebbe quin<strong>di</strong> dotarsi <strong>di</strong> una rappresentazione<br />

dell’altro come entità dotata <strong>di</strong> stati mentali quali credenze, intenzioni e desideri.<br />

Nel processo <strong>di</strong> crescita infantile, l’ottenimento <strong>di</strong> questa capacità <strong>di</strong> rappresentazione viene<br />

identificato con la raggiunta comprensione della falsa credenza, che consiste nella capacità <strong>di</strong><br />

accettare la possibilità che un altro in<strong>di</strong>viduo abbia una credenza che egli ritiene vera, anche<br />

se ci è noto che essa è falsa. L’evidenza sperimentale mostra che questa capacità si sviluppa<br />

nei bambini non prima dei tre o quattro anni <strong>di</strong> età (cfr. riquadro <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento),<br />

quando <strong>di</strong>ventano consapevoli del fatto che gli stati mentali sono legati da un rapporto <strong>di</strong><br />

causa ed effetto con gli eventi del mondo fisico e sono quin<strong>di</strong> in grado <strong>di</strong> comprendere e<br />

prevedere il comportamento degli altri in base ai meccanismi <strong>di</strong> funzionamento della propria<br />

mente. Il processo <strong>di</strong> costruzione <strong>di</strong> questa capacità è stato collocato dai neuroscienziati in<br />

alcune aree cerebrali, come la corteccia me<strong>di</strong>ana prefrontale e, in particolare, l’a<strong>di</strong>acente<br />

corteccia paracingolata, che si attivano quando un in<strong>di</strong>viduo cerca <strong>di</strong> crearsi una propria<br />

rappresentazione dello stato mentale degli altri.<br />

Il test della falsa credenza<br />

Il test della falsa credenza viene effettuato con varie procedure sperimentali. Le due<br />

principali sono il Maxi task e lo Smarties task. Nella forma più semplice, il Maxi task prevede<br />

che un collaboratore dello sperimentatore e il bambino osservino lo sperimentatore mentre<br />

mette in un cassetto una tavoletta <strong>di</strong> cioccolata. Dopo avere osservato questa azione, il<br />

collaboratore esce dalla stanza. In sua assenza, lo sperimentatore apre il cassetto, estrae la<br />

tavoletta <strong>di</strong> cioccolata e la nasconde in una scatola. In questo modo solo lo sperimentatore e il<br />

bambino che hanno osservato tutta la sequenza delle azioni sanno dov’è realmente nascosto il<br />

cioccolato. Al bambino viene quin<strong>di</strong> chiesto <strong>di</strong> indovinare dove il collaboratore cercherà la<br />

76


tavoletta quando rientrerà nella stanza. Se il bambino risponde che la cercherà nel cassetto il<br />

test della falsa credenza ha esito positivo. Nella seconda procedura, lo Smarties task, il<br />

bambino riceve una scatola chiusa delle caramelle Smarties e gli viene chiesto <strong>di</strong> indovinare<br />

il suo contenuto. Dopo che il bambino ha risposto che nella scatola sono contenute le<br />

Smarties, gli viene mostrato che realtà contiene alcune matite. La scatola viene quin<strong>di</strong><br />

richiusa senza mutarne il contenuto e al bambino viene chiesto <strong>di</strong> prevedere quale risposta<br />

darà un altro bambino che non abbia assistito alla scena, quando gli verrà chiesto che cosa<br />

contiene la scatola <strong>di</strong> Smarties. Il bambino supera il test se prevede che l’altro bambino<br />

risponda le caramelle Smarties.<br />

In uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> risonanza magnetica funzionale, Tomlin et al. (2006) hanno <strong>di</strong>mostrato che<br />

la corteccia paracingolata è in grado <strong>di</strong> costruire una rappresentazione dell’altro, che<br />

corrisponde a una vera e propria capacità d’immedesimazione. L’esperimento <strong>di</strong> Tomlin et<br />

al. sottoponeva i soggetti al gioco dell’investimento ripetuto <strong>di</strong>eci volte. In un primo<br />

trattamento “personale”, il decisore e il rispondente s’incontravano prima e dopo<br />

l’esperimento e potevano osservare l’uno la foto dell’altro durante l’intero svolgimento del<br />

gioco. Nel secondo trattamento “impersonale”, il decisore e il rispondente non potevano<br />

incontrarsi né osservarsi prima, durante e dopo l’esperimento. Infine nel terzo trattamento <strong>di</strong><br />

controllo, il partner era sostituito da un computer le cui risposte erano estratte casualmente.<br />

Nei primi due trattamenti, la corteccia paracingolata si attivava, sia per il decisore sia per il<br />

rispondente, quando ogni soggetto prendeva la propria decisione e quando a ogni soggetto<br />

veniva rivelata la decisione del partner. Queste attivazioni erano osservate solo in presenza <strong>di</strong><br />

un partner e non nel trattamento <strong>di</strong> controllo senza interazione sociale.<br />

Esistono quin<strong>di</strong> aree cerebrali specializzate nell’interpretazione delle scelte altrui che hanno<br />

anche un ruolo importante nel determinare le proprie scelte. In questa <strong>di</strong>rezione, ha suscitato<br />

77


un ampio <strong>di</strong>battito nelle scienze cognitive la teoria dei neuroni specchio, proposta all’inizio<br />

degli anni novanta dal gruppo <strong>di</strong> ricercatori guidato da Giacomo Rizzolati (Rizzolati,<br />

Sinigallia, 2006). La loro attività <strong>di</strong> laboratorio ha <strong>di</strong>mostrato che alcuni neuroni <strong>di</strong>ffusi nella<br />

corteccia ventrale delle scimmie si attivano sia se una scimmia compie azioni come afferrare,<br />

tenere o manipolare un oggetto, sia se osserva un’altra scimmia compiere le stesse azioni. La<br />

ricerca successiva ha raccolto conferma in<strong>di</strong>retta che attivazioni dello stesso tipo si verificano<br />

anche nel cervello umano e che coinvolgono anche le sensazioni e le reazioni emotive<br />

(Singer et al., 2004). Per questa sovrapposizione tra aree cerebrali che hanno il ruolo <strong>di</strong><br />

osservare e quelle che hanno il ruolo <strong>di</strong> eseguire, questi neuroni sono stati definiti “neuroni<br />

specchio”. È evidente che questa ipotesi, se confermata pienamente, può assumere<br />

un’importanza fondamentale nella comprensione delle modalità d’interazione sociale. Se la<br />

simpatia è il processo attraverso cui un soggetto, osservando un’altra persona, può riprodurre<br />

internamente i processi mentali dell’altro, l’attività dei neuroni specchio potrebbe permettere<br />

<strong>di</strong> estrarre informazioni sugli altri, e sulle emozioni che provano, semplicemente osservandoli<br />

e imitandoli (Gallese, Goldman, 1998). Anche lo stu<strong>di</strong>o sui comportamenti infantili ha<br />

<strong>di</strong>mostrato che i bambini sono in grado <strong>di</strong> imitare gesti e movimenti del corpo fin dai<br />

primissimi istanti <strong>di</strong> vita (Meltzoff, Moore, 1983). Già in questa fase si creerebbe quin<strong>di</strong> un<br />

legame intersoggettivo con gli altri che permetterebbe forme <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento fondate su<br />

meccanismi <strong>di</strong> identificazione-simulazione. Gli in<strong>di</strong>vidui potrebbero quin<strong>di</strong> provare le<br />

sensazioni altrui anche senza doverle personalmente sperimentare. Sarebbe proprio questo<br />

“spazio intersoggettivo con<strong>di</strong>viso” a facilitare l’instaurarsi <strong>di</strong> relazioni <strong>di</strong> fiducia e<br />

reciprocità, che sono essenziali per la stessa esistenza dei sistemi economici.<br />

In prospettive <strong>di</strong> ricerche ambiziose e affascinanti come questa si concretizza l’intero<br />

progetto <strong>di</strong> ricerca dell’economia <strong>cognitiva</strong>. Nelle Conclusioni si propone una prima<br />

78


valutazione sintetica dei risultati raggiunti e <strong>di</strong> alcuni importanti passi da seguire per<br />

proseguire questo percorso.<br />

79


Conclusioni<br />

Se è certamente prematuro trarre un bilancio della svolta impressa dall’economia <strong>cognitiva</strong><br />

alle scienze economiche, è comunque possibile affermare che finora il suo effetto principale è<br />

stato quello <strong>di</strong> mettere in <strong>di</strong>scussione, se non in qualche caso confutare, le principali<br />

assunzioni della teoria della decisione economica. Sono già state più volte messe in luce nei<br />

capitoli precedenti le implicazioni metodologiche della creazione <strong>di</strong> questa nuova <strong>di</strong>sciplina,<br />

che consistono nella piena accettazione del metodo sperimentale <strong>di</strong> laboratorio come<br />

principale strumento <strong>di</strong> ricerca e nell’estensione dell’oggetto <strong>di</strong> indagine dell’economia ai<br />

processi mentali e cognitivi che precedono e formano le decisioni economiche. Su questa<br />

vera e propria rivoluzione metodologica si appuntano peraltro molte delle critiche degli<br />

economisti teorici e matematici verso la nuova <strong>di</strong>sciplina. A questo recente <strong>di</strong>battito è<br />

de<strong>di</strong>cata la parte finale <strong>di</strong> queste Conclusioni, in cui si cercherà <strong>di</strong> tratteggiare i principali<br />

punti critici che possono ostacolare lo sviluppo futuro dell’economia <strong>cognitiva</strong>. Prima è utile<br />

riassumere in modo schematico, e forse anche un po’ provocatorio, quali sono le assunzioni<br />

fondamentali dell’economia pre<strong>cognitiva</strong> confutate dalla rivoluzione avviata negli anni<br />

settanta da Kahneman e Tversky.<br />

A Le decisioni economiche sono l’esito <strong>di</strong> un processo unitario riconducibile alla<br />

massimizzazione dell’utilità in<strong>di</strong>viduale. La frammentazione dell’identità dell’agente<br />

economico è la conseguenza <strong>di</strong> due risultati consolidati all’interno delle scienze cognitive. Il<br />

primo riguarda le modalità in cui il cervello raccoglie ed elabora l’informazione, il secondo è<br />

relativo alle caratteristiche del processo decisionale. Sul primo aspetto, la teoria della mente<br />

modulare <strong>di</strong> Fodor, descritta nel capitolo 3, ha argomentato efficacemente come i vari<br />

“sistemi <strong>di</strong> input”, attraverso i quali il cervello raccoglie informazioni, siano “impermeabili”<br />

80


l’uno rispetto l’altro. Damasio, nel suo libro L’errore <strong>di</strong> Cartesio, rinforza in questo modo<br />

l’argomento <strong>di</strong> Fodor (Damasio, 1994 trad. it p. 134):<br />

Per il modo in cui è fatto il cervello, l’estesa conoscenza necessaria <strong>di</strong>pende da numerosi sistemi che si<br />

trovano in regioni cerebrali relativamente separate, piuttosto che in un’unica regione. Larga parte <strong>di</strong> tale<br />

conoscenza viene richiamata sotto forma <strong>di</strong> immagini in molti siti cerebrali anziché in uno solo. Anche<br />

se è comune l’illusione che ogni cosa confluisca in un unico teatro anatomico, recenti risultati<br />

suggeriscono che non è così. Probabilmente, lo svolgersi relativamente simultaneo delle attività in siti<br />

<strong>di</strong>versi lega assieme le parti separate della mente.<br />

Questa <strong>di</strong>spersione cerebrale delle immagini e dei processi mnemonici su cui viene costruita<br />

la conoscenza è un fondamento dei processi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento finora totalmente ignorato dai<br />

modelli economici. L’altra fonte <strong>di</strong> non unitarietà del processo decisionale è collocata nella<br />

transizione tra le preferenze e le decisioni. Questo passaggio non rispetta la coerenza o la<br />

consistenza postulata dagli assiomi della teoria della scelta razionale né il principio <strong>di</strong><br />

massimizzazione dell’utilità in<strong>di</strong>viduale. Le decisioni sono piuttosto l’esito finale<br />

dell’interazione, caratterizzata più dalla competizione che dal coor<strong>di</strong>namento, tra i processi<br />

cerebrali automatici e intuitivi del Sistema 1 e i processi controllati e razionali del Sistema 2,<br />

teorizzati da Kahneman e Frederick. In questo modo viene meno il perno della teoria della<br />

scelta razionale, l’io unitario a cui commisurare non solo la coerenza e la consistenza delle<br />

decisioni, ma la stessa corrispondenza delle scelte alle preferenze sottostanti. Questo primo<br />

elemento costitutivo dell’economia <strong>cognitiva</strong> ha importanti implicazioni per la scelta<br />

intertemporale. L’io come entità unica è essenziale per definire la <strong>di</strong>stribuzione ottimale dei<br />

piani in<strong>di</strong>viduali <strong>di</strong> consumo e <strong>di</strong> risparmio futuri. Frammentando l’identità in<strong>di</strong>viduale in un<br />

singolo istante nel tempo, l’economia <strong>cognitiva</strong> rende incerta anche la definizione <strong>di</strong><br />

81


consistenza delle decisioni in momenti <strong>di</strong>versi nel tempo. In questo modo, le scelte<br />

intertemporali possono essere analizzate solo risolvendo il problema, già sollevato nel<br />

Settecento dal filosofo scozzese David Hume, della re-identificazione, che consiste nel<br />

ridefinire nel tempo l’identità in<strong>di</strong>viduale in continuo cambiamento. E questo è un altro<br />

problema praticamente ine<strong>di</strong>to per gli economisti.<br />

B La razionalità è l’unico fondamento delle decisioni economiche. Le decisioni economiche<br />

possono essere previste o rese efficienti solo tenendo conto dell’influenza dei fattori emotivi,<br />

che si collocano tipicamente nel Sistema 1. Queste motivazioni non sono necessariamente in<br />

accordo con quelle razionali che sono la conseguenza dell’attivazione del Sistema 2, con le<br />

quali anzi entrano frequentemente in competizione. Ogni volta che assistiamo ad una delle<br />

anomalie decisionali messe in luce da Kahneman e Tversky, e <strong>di</strong>scusse nel capitolo 2, si ha<br />

una <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>ssociazione. Entrambi i sistemi sono comunque il frutto<br />

dell’ere<strong>di</strong>tà evolutiva, che cambia lentamente e secondo modalità conservative. È chiaro dal<br />

contributo <strong>di</strong> molti lavori recenti sull’evoluzione che questo adattamento evolutivo è un<br />

processo efficiente ma anche opportunistico, nel senso che non è necessariamente funzionale<br />

agli interessi perseguiti dagli in<strong>di</strong>vidui. I processi evolutivi sono efficienti perché producono<br />

soluzioni che, date le risorse <strong>di</strong>sponibili, servono in modo efficace, e talvolta anche ottimale,<br />

i bisogni dell’organismo. Ma sono anche opportunistici, nel senso che le soluzioni adottate<br />

sono strettamente <strong>di</strong>pendenti sia dalle con<strong>di</strong>zioni specifiche e dai vincoli presenti<br />

nell’ambiente in un dato momento, sia dai precedenti adattamenti evolutivi. L’evoluzione<br />

può quin<strong>di</strong> essere ottimale localmente ma sub-ottimale globalmente, nel senso che i<br />

meccanismi <strong>di</strong> adattamento ere<strong>di</strong>tati dal passato possono persistere e continuare ad operare<br />

anche se la loro efficacia è <strong>di</strong>minuita. Questi processi riguardano in modo particolare le<br />

emozioni, che sono solitamente modulate su esigenze primor<strong>di</strong>ali con l’obiettivo <strong>di</strong> assicurare<br />

la sopravvivenza come specie, ma che non sono necessariamente le reazioni più utili nelle<br />

82


con<strong>di</strong>zioni attuali. A questo proposito, è utile citare <strong>di</strong> nuovo Damasio (1994. trad. it. pp.<br />

268-9):<br />

Riflettendo sulle ricerche <strong>di</strong> Kahneman e Tversky, vedo alcuni fallimenti della razionalità come dovuti<br />

non solo a una fondamentale debolezza <strong>di</strong> calcolo, ma anche all’influenza <strong>di</strong> impulsi biologici quali<br />

obbe<strong>di</strong>enza, acquiescenza, il desiderio <strong>di</strong> preservare la stima <strong>di</strong> sé, che spesso si manifestano come<br />

emozioni e sentimenti. Ad esempio, la maggior parte delle persone ha più paura <strong>di</strong> volare che <strong>di</strong> andare<br />

in auto, a <strong>di</strong>spetto <strong>di</strong> ogni calcolo razionale del rischio, da cui risulta in modo inequivocabile come sia<br />

<strong>di</strong> gran lunga più probabile sopravvivere ad un volo anziché a un viaggio in auto tra le due medesime<br />

città: c’è una <strong>di</strong>fferenza, a favore del volo, <strong>di</strong> svariati or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> grandezza, e tuttavia la maggioranza si<br />

sente più sicura facendo quel viaggio in auto piuttosto che in aereo. Il ragionamento cade in <strong>di</strong>fetto per<br />

quello che si chiama “errore <strong>di</strong> <strong>di</strong>sponibilità” che, secondo il mio punto <strong>di</strong> vista, consiste nel permettere<br />

che l’immagine <strong>di</strong> un <strong>di</strong>sastro aereo, con tutto il suo carico emotivo, domini il paesaggio del<br />

ragionamento, generando un’inclinazione negativa verso quella che è la scelta corretta. Questo esempio<br />

può sembrare in contrasto con il mio argomento principale: ma non è così. Esso mostra che emozioni e<br />

pulsioni biologiche possono, chiaramente, influenzare la decisione, e suggerisce che l’influenza<br />

“negativa” basata sul corpo, per quanto in <strong>di</strong>saccordo con le statistiche, è comunque orientata alla<br />

sopravvivenza: infatti, è pur vero che ogni tanto qualche aereo precipita, e agli incidenti aerei<br />

sopravvivono meno persone che agli incidenti d’auto.<br />

C Le preferenze e il benessere sono concetti equivalenti. La sod<strong>di</strong>sfazione delle preferenze<br />

in<strong>di</strong>viduali non incrementa necessariamente il benessere in<strong>di</strong>viduale. La concezione duale<br />

della mente implica l’esistenza <strong>di</strong> sistemi motivazionali <strong>di</strong>stinti tra loro e non<br />

necessariamente integrati. Le scelte possono non coincidere con nessuno dei suoi multipli<br />

sistemi <strong>di</strong> preferenze. Quin<strong>di</strong> un soggetto può prendere decisioni che sono <strong>di</strong>stanti da tutte le<br />

sue, anche contrad<strong>di</strong>ttorie, motivazioni e il suo benessere non ne risulta necessariamente<br />

83


migliorato. La molteplicità dei sistemi motivazionali del cervello implica quin<strong>di</strong> che non vi<br />

siano relazioni necessarie tra ciò che si preferisce, e perciò si desidera, e ciò che dà<br />

benessere. Al contrario, assumere, in linea con l’ipotesi <strong>di</strong> preferenze rivelate, che un<br />

in<strong>di</strong>viduo stia meglio con un’alternativa rispetto ad un’altra solo perché l’ha scelta,<br />

corrisponde ad ipotizzare che tutta l’attività cerebrale sia finalizzata all’ottenimento del<br />

benessere in<strong>di</strong>viduale. È chiaro dall’evidenza <strong>di</strong> laboratorio che non esiste invece una netta<br />

separazione tra l’attività neuronale rilevante per il benessere e altre forme <strong>di</strong> attività<br />

neuronale. I circuiti che stimolano o memorizzano il piacere possono anche essere<br />

contemporaneamente utilizzati in altre funzioni, come quelle <strong>di</strong> elaborazione<br />

dell’informazione o <strong>di</strong> accesso alla memoria. Questa commistione implica che non si possa<br />

risalire dalle scelte all’attività neuronale e viceversa. L’economia <strong>cognitiva</strong> deve quin<strong>di</strong><br />

ricorrere ad un puntuale e progressivo percorso <strong>di</strong> indagine sulle correlazioni tra le decisioni<br />

e i sottostanti processi cerebrali per capire come questi ultimi determinano le scelte e, in<br />

ultima analisi, il benessere in<strong>di</strong>viduale.<br />

D Le decisioni economiche sono in<strong>di</strong>pendenti dal contesto sociale. Secondo l’in<strong>di</strong>vidualismo<br />

metodologico su cui è fondata la teoria della scelta razionale, i fenomeni sociali possono<br />

essere descritti e spiegati efficacemente a partire dagli in<strong>di</strong>vidui che formano la società e che<br />

perseguono i loro interessi in<strong>di</strong>viduali, creando in maniera non intenzionale le istituzioni<br />

economiche. L’economia sperimentale, prima, e l’economia <strong>cognitiva</strong>, più recentemente,<br />

hanno <strong>di</strong>mostrato che i giu<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> equità e <strong>di</strong> correttezza, la percezione dell’appartenenza ad<br />

una comunità hanno correlazioni precise con l’attività cerebrale, che quin<strong>di</strong> determina le<br />

decisioni economiche anche sulla base <strong>di</strong> questi valori morali e <strong>di</strong> questi principi collettivi.<br />

Questa relazione riguarda, per esempio, i comportamenti punitivi verso atteggiamenti sociali<br />

inadeguati. È comune rilevare nell’apparato emotivo dei soggetti sperimentali il bisogno <strong>di</strong><br />

punire chi viola le norme sociali, anche se ciò non comporta un guadagno <strong>di</strong>retto. Queste<br />

84


eazioni automatiche sono imputabili all’attivazione <strong>di</strong> ben precise aree cerebrali, come il<br />

nucleo caudato e il talamo, che sono connesse con il sistema limbico. Osservazioni come<br />

queste impongono <strong>di</strong> focalizzare l’attenzione degli economisti sui correlati neurali dei<br />

processi cognitivi <strong>di</strong> gestione delle interazioni sociali. In particolare richiedono <strong>di</strong><br />

approfon<strong>di</strong>re la cognizione sociale, definita come la capacità dell’in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> costruire<br />

rappresentazioni mentali delle relazioni esistenti fra sé stesso e gli altri in<strong>di</strong>vidui. Questa<br />

prospettiva permette anche <strong>di</strong> mettere in <strong>di</strong>scussione l’ipotesi che le congetture degli<br />

in<strong>di</strong>vidui sulle azioni degli altri, che determinano le soluzioni <strong>di</strong> un gioco, siano in<strong>di</strong>pendenti<br />

dalle preferenze. In realtà, l’economia <strong>cognitiva</strong> ha <strong>di</strong>mostrato che esistono meccanismi<br />

neurali ed emotivi che rendono tali congetture <strong>di</strong>pendenti dalle preferenze, e viceversa.<br />

Emerge da questo quadro un progetto complessivo dell’economia <strong>cognitiva</strong> che, più che porsi<br />

al servizio delle scienze economiche per aggiornare e integrare i modelli preesistenti, implica<br />

una revisione delle principali assunzioni teoriche dell’economia tra<strong>di</strong>zionale. A questo<br />

contributo analitico si affianca un altrettanto ra<strong>di</strong>cale sovvertimento metodologico. Sono già<br />

stati evidenziati nei capitoli precedenti gli aspetti positivi <strong>di</strong> queste innovazioni <strong>di</strong> metodo,<br />

che possono essere ricondotte, in sintesi, alla centralità della ricerca sperimentale <strong>di</strong><br />

laboratorio, alla multi<strong>di</strong>sciplinarietà dell’approccio <strong>di</strong> ricerca e al perseguimento<br />

dell’obiettivo <strong>di</strong> aprire la scatola nera delle preferenze rivelate.<br />

È proprio su queste tre questioni che si appuntano i principali rilievi critici sulla capacità<br />

dell’economia <strong>cognitiva</strong> <strong>di</strong> rifondare l’economia basata sulla teoria della scelta razionale.<br />

Il primo elemento è relativo alla stretta <strong>di</strong>pendenza dell’economia <strong>cognitiva</strong> dai meto<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

laboratorio. A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto avviene normalmente nell’economia sperimentale, in cui<br />

l’economista è solitamente in grado <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>sporre, condurre e analizzare da solo un test <strong>di</strong><br />

laboratorio, in economia <strong>cognitiva</strong> l’evidenza sperimentale deve essere raccolta da un team <strong>di</strong><br />

specialisti. Sia nell’ambito della neuroeconomia sia in quello dei test psicologici, l’attività<br />

85


sperimentale richiede l’intervento attivo <strong>di</strong> ricercatori specializzati in <strong>di</strong>scipline e tecniche<br />

<strong>di</strong>verse. Questa natura collettiva del lavoro <strong>di</strong> ricerca implica anche che l’economista cessa <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ventare l’unico <strong>di</strong>retto responsabile della vali<strong>di</strong>tà e della cre<strong>di</strong>bilità scientifica dei dati<br />

raccolti. Questa <strong>di</strong>versa organizzazione non rappresenta <strong>di</strong> per sé un fattore negativo, se non<br />

fosse per la natura autoreferenziale e refrattaria alle fertilizzazioni inter<strong>di</strong>sciplinari che<br />

caratterizza storicamente la comunità degli economisti.<br />

Nell’articolo più citato tra quelli che si oppongono alla svolta <strong>cognitiva</strong> in economia (Gul,<br />

Pesendorfer, 2005), l’argomento centrale in sostegno della tesi che l’economia non ha<br />

bisogno della psicologia e delle neuroscienze è che queste <strong>di</strong>scipline <strong>di</strong>fferiscono tra loro<br />

nelle questioni che indagano. Secondo Gul e Pesendorfer, la definizione <strong>di</strong> scelta razionale si<br />

è rivelata utile per il progresso della teoria economica senza fare alcuna ipotesi delle cause<br />

fisiologiche e psicologiche del comportamento. Per questa <strong>di</strong>visione <strong>di</strong> campo, l’economia<br />

<strong>cognitiva</strong> non può confutare i modelli economici tra<strong>di</strong>zionali, né può fare luce sull’ipotesi che<br />

una certa scelta sia razionale o no. Questa separazione viene naturalmente a cadere in un<br />

progetto <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> economia <strong>cognitiva</strong>, in cui la con<strong>di</strong>visione non solo dei meto<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

indagine, ma anche del linguaggio e dei principi teorici è preliminare e non successiva alla<br />

verifica <strong>di</strong> laboratorio.<br />

Questo problema si complica ulteriormente se si prendono in considerazione le peculiarità del<br />

metodo sperimentale. È evidente, per esempio, che la semplificazione dei modelli teorici,<br />

necessaria per costruire un design sperimentale, è spesso il risultato <strong>di</strong> una revisione critica,<br />

in cui il potere esplicativo del modello <strong>di</strong> riferimento viene indebolito. Oppure, che le teorie<br />

sulla vali<strong>di</strong>tà delle scelte <strong>di</strong> laboratorio per la pre<strong>di</strong>zione delle decisioni reali <strong>di</strong>fferiscono<br />

nettamente tra economisti, psicologi e neuroscienziati. Un esempio ricorrente <strong>di</strong> questa<br />

<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> comunicazione tra <strong>di</strong>scipline è rappresentato dalla centralità degli incentivi<br />

86


monetari in economia sperimentale, che è in contrasto con il frequente ricorso degli psicologi<br />

alle rilevazioni soggettive, tramite questionario, delle preferenze.<br />

Una questione più generale sull’utilità del metodo sperimentale in economia <strong>cognitiva</strong> è poi<br />

legata all’artificiosità delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> laboratorio, che è enormemente amplificata dall’uso<br />

<strong>di</strong> strumenti come la risonanza magnetica funzionale. I soggetti sottoposti a questa tecnica <strong>di</strong><br />

indagine prendono le proprie decisioni all’interno <strong>di</strong> una macchina che impone loro una<br />

posizione scomoda e innaturale e tempi <strong>di</strong> reazione artificiali. In questo modo il principio <strong>di</strong><br />

ceteris paribus, proposto dal Nobel Vernon Smith per definire la vali<strong>di</strong>tà dei risultati in<br />

economia sperimentale, risulta <strong>di</strong> ancora più <strong>di</strong>fficile applicazione. Un contributo al<br />

superamento <strong>di</strong> questo problema può provenire dallo sviluppo tecnologico che può<br />

permettere in futuro <strong>di</strong> approntare veri e propri laboratori portatili, in grado <strong>di</strong> verificare<br />

scelte e attivazioni cerebrali, in simulazioni e in esperimenti sul campo.<br />

Ma quello che sembra, ad oggi, l’ostacolo principale ad un’affermazione definitiva<br />

dell’economia <strong>cognitiva</strong> come approccio dominante in economia è proprio lo stato attuale<br />

della psicologia <strong>cognitiva</strong> e delle neuroscienze. È chiaro, infatti, che il quesito fondamentale<br />

che si pongono entrambe queste <strong>di</strong>scipline, come interagiscono tra loro le <strong>di</strong>verse aree<br />

cerebrali attivate durante lo svolgimento <strong>di</strong> un compito cognitivo, non riceve ancora risposte<br />

sod<strong>di</strong>sfacenti. Tutti gli strumenti <strong>di</strong> indagine utilizzati in laboratorio sono infatti <strong>di</strong> tipo<br />

correlativo: rivelano cioè una correlazione fra l’attività del cervello, la <strong>di</strong>rezione dello<br />

sguardo, o la sudorazione, e una risposta comportamentale. I risultati sperimentali non sono<br />

quin<strong>di</strong> in grado <strong>di</strong> stabilire quale rapporto <strong>di</strong> causalità lega questi eventi, a meno che non si<br />

<strong>di</strong>sponga <strong>di</strong> un modello unitario <strong>di</strong> funzionamento del sistema nervoso umano che ad oggi<br />

non è <strong>di</strong>sponibile.<br />

La conseguenza è che molto <strong>di</strong> ciò che si può affermare sul cervello in un articolo scientifico<br />

rientra nella categoria delle ipotesi <strong>di</strong> lavoro, piuttosto che in quello delle tesi <strong>di</strong>mostrate.<br />

87


Questa situazione è certamente dovuta alla complessità dei fenomeni stu<strong>di</strong>ati. Il solo fatto che<br />

nel cervello si contino me<strong>di</strong>amente 100 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> neuroni, ognuno dei quali è connesso ad<br />

un numero <strong>di</strong> altri neuroni che varia da 1.000 a 10.000, dà una <strong>di</strong>mensione rozza ma efficace<br />

delle <strong>di</strong>fficoltà da affrontare. Se si può <strong>di</strong>re che i risultati, comunque significativi, raggiunti in<br />

pochi decenni sono imputabili proprio alla <strong>di</strong>sponibilità delle nuove tecniche <strong>di</strong> indagine, si<br />

può anche prevedere, con ragionevole fiducia, che gli sviluppi futuri più importanti potranno<br />

provenire proprio dagli ulteriori progressi nell’allestimento e nel perfezionamento nelle<br />

tecniche <strong>di</strong> indagine. Gli effetti positivi <strong>di</strong> questa variabile tecnologica <strong>di</strong>penderanno però<br />

sempre dalla consapevolezza che giu<strong>di</strong>care la vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> una nuova area <strong>di</strong> ricerca<br />

sull’ottenimento imme<strong>di</strong>ato <strong>di</strong> risposte definite e compiute non è necessariamente la strategia<br />

più appropriata per migliorare l’efficacia futura <strong>di</strong> un programma <strong>di</strong> ricerca.<br />

88


Bibliografia<br />

Letture consigliate<br />

I lavori in lingua italiana che offrono un quadro complessivo dell’economia <strong>cognitiva</strong> e delle<br />

sue relazioni con l’economia sperimentale sono ancora poco numerosi e tutti molto recenti.<br />

Per questo motivo, gran parte delle letture consigliate nelle pagine successive per<br />

approfon<strong>di</strong>re i temi trattati in questo libro sono in lingua inglese.<br />

I primi autori che hanno tracciato un quadro complessivo dell’economia <strong>cognitiva</strong> in italiano<br />

sono M. EGIDI, S. RIZZELLO, Economia Cognitiva: fondamenti ed evoluzione storica, in<br />

“Sistemi Intelligenti”, XV, 2, pp. 221-46; M. NOVARESE, S. RIZZELLO, Economia sperimentale,<br />

Bruno Mondadori, Milano 2004; M. MOTTERLINI, F. GUALA che nel 2005 hanno curato per<br />

l’Università Bocconi E<strong>di</strong>tore la raccolta <strong>di</strong> saggi Economia <strong>cognitiva</strong> e sperimentale, che<br />

contiene anche un’ampia introduzione scritta dai curatori.<br />

M. MOTTERLINI, con la collaborazione <strong>di</strong> C. SOMAJNI, ha pubblicato Economia <strong>cognitiva</strong>. Che<br />

cosa si nasconde <strong>di</strong>etro i nostri conti quoti<strong>di</strong>ani, Rizzoli, Milano 2006, che offre<br />

un’introduzione all’argomento ricca <strong>di</strong> esempi e citazioni. Infine, gli psicologi A. ANTONIETTI<br />

e M. BALCONI hanno curato la raccolta Mente ed economia. Come psicologia e neuroscienze<br />

spiegano il comportamento economico, il Mulino, Bologna 2008, che include contributi sia <strong>di</strong><br />

psicologi sia <strong>di</strong> economisti cognitivi.<br />

Capitolo 1<br />

La fondazione dell’economia come scienza deduttiva e assiomatica si deve alla pubblicazione<br />

nel 1954 dell’articolo <strong>di</strong> K. J. ARROW e G. DEBREU, Existence of a Competitive Equilibrium for<br />

a Competitive Economy, in “Econometrica”, vol. 22, pp. 265-90. Un quadro complessivo <strong>di</strong><br />

89


questo approccio si trova in K. ARROW, F. H. HAHN, General Competitive Analysis, Holden<br />

Day, San Francisco 1971. Una valutazione storica delle conseguenze dell’assiomatizzazione<br />

dell’economia è tracciata in E. R. WEINTRAUB, How Economics Became a Mathematical<br />

Science, Duke University Press, Durham-London 2002. Mentre una stimolante<br />

interpretazione critica è offerta da M. BLAUG, The Methodology of Economics. Or How<br />

Economists Explain, Cambridge University Press, Cambridge 2000.<br />

La <strong>di</strong>stinzione tra behavioral e cognitive economics è oggetto dell’articolo Cognitive<br />

Economics: Foundations and Historical Evolution, scritto da M. EGIDI e S. RIZZELLO e incluso<br />

nel libro Cognitive Economics, Edward Elgar, Cheltenham 2003. Un quadro dell’economia<br />

comportamentale, ricco <strong>di</strong> applicazioni e <strong>di</strong> riferimenti bibliografici, è offerto da CAMERER<br />

(2003).<br />

La metodologia su cui si fonda l’uso degli esperimenti in economia viene presentata in modo<br />

chiaro e esauriente da DAVIS e HOLT (1992) e da FRIEDMAN e SUNDER (1994). Una raccolta<br />

più recente <strong>di</strong> istruzioni per l’uso è il volume curato da D. FRIEDMAN e A. CASSAR, Economics<br />

Lab. An Intensive Course in Experimental Economics, Routledge, London 2004.<br />

La collezione dei lavori che hanno portato il primo economista sperimentale, VERNON SMITH,<br />

ad ottenere il premio Nobel è stata pubblicata nel 1991 da Cambridge University Press con il<br />

titolo Papers in Experimental Economics. In particolare, il suo articolo Economics in the<br />

Laboratory, apparso sulla rivista “Journal of Economic Perspectives”, vol. 8, n. 1, pp. 113-31<br />

nel 1994, offre un quadro della sua visione metodologica.<br />

Capitolo 2<br />

La definizione assiomatica della teoria della scelta razionale è presentata in modo dettagliato<br />

in ogni manuale <strong>di</strong> microeconomia. Un buon esempio è D. M. KREPS, Corso <strong>di</strong><br />

microeconomia, il Mulino, Bologna 1993. Dello stesso autore è <strong>di</strong>sponibile una trattazione<br />

90


più avanzata in Notes on the Theory of Choice, Westview Press, London-Boulder 1988. Un<br />

quadro analitico del concetto <strong>di</strong> razionalità in economia è offerto da A. MONTESANO, La<br />

nozione <strong>di</strong> razionalità in economia, in “Rivista italiana degli economisti”, 10, 2005, pp. 23-<br />

42. Una lettura epistemologica del metodo deduttivo in economia è l’oggetto del volume <strong>di</strong> F.<br />

GUALA, Filosofia dell’economia. Modelli, casualità, previsione, il Mulino, Bologna 2006.<br />

La formulazione del principio delle preferenze rivelate si deve ai due articoli <strong>di</strong> P.<br />

SAMUELSON, A Note on the Pure Theory of Consumer’s Behavior, in “Economica”, 5, 1938,<br />

pp. 61-71, e Consumption Theory in Terms of Revealed Preference, in “Economica”, 15,<br />

1948, pp. 243-53. La prima trattazione formale rigorosa è nell’articolo <strong>di</strong> H. S. HOUTHAKKER,<br />

Revealed Preference and the Utility Function, in “Economica”, n.s., 17, 1950, pp. 159-74.<br />

Per avere una visione complessiva del lavoro <strong>di</strong> D. KAHNEMAN e A. TVERSKY è utile il loro<br />

libro Choices, Values and Frames, Cambridge University Press, Cambridge 2000. Una fonte<br />

ricca <strong>di</strong> informazioni e <strong>di</strong> riferimenti bibliografici su Daniel Kahneman è il sito del premio<br />

Nobel (http://nobelprize.org/), dal quale è possibile anche scaricare materiale su VERNON<br />

SMITH, che <strong>di</strong>vise con Kahneman questo importante riconoscimento nel 2002. L’altro grande<br />

fondatore della storia dell’economia <strong>cognitiva</strong>, Amos Tversky, morì prematuramente pochi<br />

anni prima il 2 giugno 1996, all’età <strong>di</strong> 59 anni. La Nobel lecture <strong>di</strong> D. KAHNEMAN è<br />

<strong>di</strong>sponibile anche in lingua italiana con il titolo Mappe <strong>di</strong> razionalità limitata. Indagine sui<br />

giu<strong>di</strong>zi e le scelte intuitivi, nel libro curato da M. MOTTERLINI e M. PIATTELLI PALMERINI,<br />

Critica della ragione economica, Il Saggiatore, Milano 2005, che contiene anche un<br />

interessante saggio critico dei due curatori.<br />

L’attività sperimentale degli psicologi Kahneman e Tversky non sarebbe stata pienamente<br />

apprezzata dagli economisti senza il lavoro <strong>di</strong> sistematizzazione compiuto da Richard Thaler<br />

(THALER, 1980 e ID., Quasi Rational economics, Sage, New York 1991).<br />

91


Un altro importante collaboratore <strong>di</strong> Daniel Kahneman è SH. FREDERICK, che è il co-autore <strong>di</strong><br />

Representativeness revisited: Attribute substitution in intuitive judgment (KAHNEMAN,<br />

FREDERICK, 2002) e <strong>di</strong> Frames and Brains: Elicitation and Control of Response Tendencies,<br />

in “Trends in Cognitive Sciences”, vol. 11, n. 2, 2007, pp. 45-6.<br />

L’altro lavoro utilizzato come riferimento utile per definire la razionalità dell’agente<br />

cognitivo è l’articolo <strong>di</strong> CAMERER, LOEWENSTEIN, PRELEC (2004 CONTR. VEDI<br />

RIFERIMENTI BIBL.).<br />

Capitolo 3<br />

La teoria dei prospetti fu proposta in un articolo da KAHNEMAN e TVERSKY (1979). Nel 1981<br />

gli stessi autori presentarono il loro modello ad un pubblico più ampio, pubblicando sulla<br />

rivista “Science”, 211, pp. 453-8, il paper The Framing of Decisions and Psychology of<br />

Choice, in cui le premesse cognitive del loro modello sono ancora più esplicite.<br />

L’affascinante storia della macchina <strong>di</strong> Turing e della vita del suo inventore è raccontata nel<br />

volume <strong>di</strong> A. HODGES tradotto in italiano con il titolo Alan Turing. Una biografia, Bollati<br />

Boringhieri, Torino 2006. Il connessionismo e il concetto <strong>di</strong> reti neurali sono <strong>di</strong>scussi nel<br />

libro <strong>di</strong> N. J. NILLSON, Intelligenza Artificiale, pubblicato da Apogeo nel 2002.<br />

Una buona introduzione al funzionamento del cervello è il libro <strong>di</strong> A. OLIVIERO, La mente.<br />

Istruzioni per l’uso, Rizzoli, Milano 2001. Dello stesso autore è uscito anche Come nasce<br />

un'idea. Intelligenza, creatività, genio nell'era della <strong>di</strong>strazione, Rizzoli, Milano 2006.<br />

I due libri <strong>di</strong> FODOR (1983) e DAMASIO (1994) <strong>di</strong>scussi nel testo sono entrambi <strong>di</strong>sponibili in<br />

versione italiana. Di FODOR si veda anche Concepts: Where Cognitive Science Went Wrong,<br />

Oxford University Press, Oxford 1998, un’opera critica verso le scienze cognitive, che ha<br />

provocato un ampio <strong>di</strong>battito e che è stato anche tradotto in italiano (Concetti. Dove sbaglia<br />

la scienza <strong>cognitiva</strong>, McGraw-Hill, Milano 1999).<br />

92


L’attività <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> DAMASIO è proseguita in una serie <strong>di</strong> volumi tutti tradotti in lingua<br />

italiana. In particolare, Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000, rappresenta un<br />

complemento essenziale a L’errore <strong>di</strong> Cartesio.<br />

I fondamenti della neuroeconomia sono l’oggetto, oltre che dell’articolo <strong>di</strong> CAMERER,<br />

LOEWENSTEIN e PRELEC già citato, anche <strong>di</strong> un volume <strong>di</strong> P. GLIMCHER, Decision,<br />

Uncertainty, and the Brain. The Science of Neuroeconomics, MIT Press, Cambridge (MA)<br />

2003. Più recentemente GLIMCHER ha curato il volume Neuroeconomics: Decision Making<br />

and the Brain, che raccoglie gli interventi presentati ad una conferenza svoltasi a New York<br />

nel gennaio 2008, alla quale hanno partecipato tutti i maggiori ricercatori attivi in questa<br />

<strong>di</strong>sciplina.<br />

93


Capitolo 4<br />

Recentemente sono comparsi i primi lavori che offrono un quadro sistematico delle numerose<br />

applicazioni dell’economia <strong>cognitiva</strong> e della neuroeconomia. Una delle prime rassegne è stata<br />

quella <strong>di</strong> P. GLIMCHER e A. RUSTICHINI, Neuroeconomics: The Consilience of Brain and<br />

Decision, in “Science”, 306, 2004, pp. 447-52. Nel 2006 A. RUSTICHINI ha pubblicato<br />

Neuroeconomics: Present and Future, in “Games and Economic Behavior”, 52, 2, pp. 201-<br />

12, che tratta in particolare le applicazioni strategiche della neuroeconomia. Un’altra<br />

rassegna centrata sulle relazioni sociali è quella <strong>di</strong> A. SANFEY, Social Decision-Making:<br />

Insights from Game Theory and Neuroscience, in “Science”, 318, 2007, pp. 598-602. Infine,<br />

un quadro aggiornato al 2008 è quello <strong>di</strong> Neuroeconomics, scritto da G. LOEWENSTEIN, RICK e<br />

J. D. COHEN e pubblicato su “Annual Review of Psychology”, 59, pp. 647-72.<br />

Un’interpretazione europea dell’economia <strong>cognitiva</strong> è quella dell’economista francese B.<br />

WALLISER, Cognitive Economics, Springer, Berlin 2008.<br />

Un’introduzione elementare alla teoria dei giochi è F. COLOMBO, Introduzione alla teoria dei<br />

giochi, <strong>Carocci</strong>, Roma 2003. Un altro buon manuale è R. GIBBONS, Teoria dei giochi, il<br />

Mulino, Bologna 1994. Per una lettura critica del contributo della teoria dei giochi<br />

all’economia è sempre molto attuale D. M. KREPS, Teoria dei giochi e modelli economici, il<br />

Mulino, Bologna 1992.<br />

La storia della scoperta dei neuroni specchio è raccontata da G. RIZZOLATI e C. SINIGAGLIA in<br />

So quel che fai, Raffaello Cortina, Milano 2006.<br />

Infine, un’introduzione alla teoria della mente è la raccolta <strong>di</strong> saggi curata da L. CAMAIONI,<br />

La Teoria della Mente. Origini, sviluppo e patologia, Laterza, Roma-Bari 2003. Un quadro<br />

filosofico aggiornato è contenuto in A. GOLDMAN, Simulating Minds: The Philosophy,<br />

Psychology, and Neuroscience of Mindrea<strong>di</strong>ng, Oxford University Press, New York 2006.<br />

94


Riferimenti bibliografici<br />

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postulats et axiomes de l'école américaine, in “Econometrica”, 21, pp. 503-46.<br />

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CAMERER C. (1999), Behavioral economics: Reunifying Psychology and Economics, in “Proc.<br />

Natl. Acad. Sci. USA”, 96, pp. 10575-7.<br />

ID. (2003), Behavioral Game Theory. Experiments in Strategic Interaction, Princeton<br />

University Press, Princeton.<br />

CAMERER C., LOEWENSTEIN G., PRELEC D. (2005), Neuroeconomics: How Neuroscience can<br />

Inform Economics, in “Journal of Economic Literature, 43, pp. 9-64 (trad. it. Neuroeconomia,<br />

ovvero come le scienze possono dare nuova forma all’economia, in “Sistemi intelligenti”, n.<br />

3, 2004). ATT: non è possibile che la traduzione italiana segua l’e<strong>di</strong>zione originale<br />

DAMASIO A. (1994), Descartes’ Error. Emotion, Reason, and the Human Brain, Harper<br />

Collins, New York (trad. it. L’errore <strong>di</strong> Cartesio. Emozione, ragione e cervello<br />

umano, Adelphi, Milano 1995).<br />

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Princeton.<br />

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University Press, Cambridge (trad. it. Red<strong>di</strong>to, risparmio e la teoria del<br />

comportamento del consumatore, Etas Kompass, Milano 1969).<br />

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