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Manuale di formazione per il governo clinico: Appropriatezza

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interpretazione, valida in assoluto; al contrario, in<strong>di</strong>ca con<strong>di</strong>zioni complesse, contesto-<strong>di</strong>pendenti,<br />

che devono essere <strong>di</strong> volta in volta collocate nel rispettivo ambito <strong>di</strong> riferimento, definite e articolate<br />

in termini o<strong>per</strong>ativi, riferite ai <strong>di</strong>versi soggetti coinvolti e misurate con meto<strong>di</strong> specifici.<br />

Definizioni <strong>di</strong> appropriatezza<br />

Una revisione <strong>di</strong> letteratura pubblicata nel 2008 ed estesa a un <strong>per</strong>iodo <strong>di</strong> osservazione molto<br />

ampio, compreso tra <strong>il</strong> 1966 e <strong>il</strong> 2006, ha identificato quattor<strong>di</strong>ci articoli che proponevano una<br />

definizione <strong>di</strong> appropriatezza, generalmente intesa in termini <strong>di</strong> effetti positivi <strong>per</strong> <strong>il</strong> paziente.<br />

La nozione <strong>di</strong> effetti positivi è stata declinata con maggior precisione dai ricercatori<br />

dell’organizzazione americana RAND, che hanno introdotto i concetti <strong>di</strong> “rischi” e “benefici”. La<br />

definizione proposta dalla RAND è ad oggi la più ampiamente usata a livello internazionale.<br />

Definizione RAND:<br />

una procedura è appropriata se:<br />

<strong>il</strong> beneficio atteso (ad es. un aumento della aspettativa <strong>di</strong> vita, <strong>il</strong> sollievo dal dolore, la riduzione<br />

dell’ansia, <strong>il</strong> miglioramento della capacità funzionale) su<strong>per</strong>a le eventuali conseguenze negative<br />

(ad es. mortalità, morbosità, ansia, dolore, tempo lavorativo <strong>per</strong>so) con un margine<br />

sufficientemente ampio, tale da ritenere che valga la pena effettuarla<br />

Al contrario, viene considerata inappropriata una procedura <strong>il</strong> cui rischio sia su<strong>per</strong>iore ai benefici<br />

attesi.<br />

Robert H. Brook ha enfatizzato la necessità <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> uno strumento capace <strong>di</strong> misurare<br />

l’appropriatezza delle cure e l’ha motivata con “la preoccupazione che la crescente complessità<br />

delle cure me<strong>di</strong>che si traduca, <strong>per</strong> alcuni pazienti, nel mancato go<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> cure necessarie e, in<br />

altri, nel sottoporsi a procedure inut<strong>il</strong>i”.<br />

Queste definizioni, proposte tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90, non tengono in considerazione <strong>il</strong><br />

problema dei costi; con <strong>il</strong> passare del tempo, la necessità <strong>di</strong> contenere <strong>il</strong> peso crescente dei costi in<br />

sanità, ha indotto a considerare la variab<strong>il</strong>e “costi” parte integrante del concetto <strong>di</strong> appropriatezza.<br />

Negli Stati Uniti questo cambiamento <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione è stato descritto da Sharpe.<br />

Prima degli anni ‘80, l’interpretazione del termine “appropriato” era sostanzialmente con<strong>di</strong>visa e<br />

in<strong>di</strong>cava l’insieme <strong>di</strong> cure in grado <strong>di</strong> rispondere adeguatamente ai bisogni del singolo paziente.<br />

In seguito, <strong>il</strong> mutato contesto economico ha richiesto ai third-payer (finanziatori pubblici e<br />

privati delle cure sanitarie) <strong>di</strong> porre un freno al rimborso dei servizi e delle prestazioni fornite.<br />

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