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La pace - Campo de'fiori

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<strong>Campo</strong> de’ fiori 9, figure, personaggidi Riccardo Consolibetta trita de campagna, / tu devi dasgamà che se le magna / e dimme si nunpare soddisfatto… “…se succhia er deto,smove er montarozzo / de cocce vòte,cerca, rismucina / ringrazzia San Giovannie va in cucina / p’empì la panza infino argargarozzo…”Un’antica leggenda collegata a questafesta raccontava che nella notte di SanGiovanni il fantasma di Erodiade, moglieadultera di Erode Antipa, che aveva fattodecapitare il Battista, chiamava a raccoltale streghe sui prati del <strong>La</strong>terano e queste,arrivando a cavallo di scope, iniziavanouna sarabanda che durava fino all’alba.I romani accorrevano da tutte le parti,suonando campanelli e campanacci,tenendo in alto le lanterne per guardare lestreghe volare al buio, ma stando benattenti per non svegliare er Nocchilia, unaterrificante figura apocalittica che dormesotto la Scala Santa. Intanto, tra SantaCroce in Gerusalemme e la Basilica<strong>La</strong>terana, si accendevano i fuochi di SanGiovanni, allo scopo di opporre la luce alletenebre della notte delle tragedie, quinditutti i partecipanti andavano fuori porta,presso la Salita degli Spiriti, dove si compivail rito fondamentale della festa, ossiaquello di mangiare le lumache in umido,poiché la notte di San Giovanni tutte lepersone che durante l’anno avevano avutodelle divergenze qui si ritrovavano perriconciliarsi. E’ sempre Giggi Zanazzo che,con un articolo apparso in un numero specialedi Rugantino, ci informa che nell’anno1891, in occasione della ricorrenza di SanGiovanni, sotto lo stimolo dello straordinariosuccesso ottenuto dalla Piedigrottanapoletana, era sorta anche una Rassegnadi Canzoni, che mobilitò musicisti e parolieriromani:“…se Napoli ha le sue canzoni,Venezia le sue serenate, Firenze i suoistornelli, perché mai Roma non deve averela sua parte in quest’orgia di canti popolari?...”Naturalmente non poteva che essereuna Osteria ad ospitare il nuovoConcorso Musicale, segnatamente,l’Osteria Faccia Fresca, ubicata appenafuori Porta San Giovanni, le cui stanze, perl’occasione, furono addobbate con unagrande quantità di fiori. A questa nuovamanifestazione popolare, il 25 giugno1893, Trilussa dedicò il sonetto dal titolo Lecanzonette de San Giovanni:Mèttece San Giovanni, “Facciafresca”, / laspighetta, er garofano coll’ajo, / er bacetto,le streghe, quarche sbajo, / e fai la canzonettaromanesca. Doppo ce vò la musica:se pesca / uno che te combini quarcherajo / e fa ‘na ninna nanna còr ritajo / d’unpezzo d’una musica todesca.Quanno le canti pare che te lagni, / e limaestri, doppo ‘ste canzone, / diventenopiù Verdi de… Ma scagni.Forse sarà che cianno poca pratica: /dipenne tutto da la vocazione / de musicàli sbaji de grammatica. Il Concorso generòun notevole, bellissimo repertorio dicanzoni romane, delle quali è sufficienteaccennare un qualsiasi ritornello per rendersiconto di come queste siano rimastevive nella memoria della gente. Ancoraoggi, nei suoi spettacoli, Giggi Proietti,molto spesso su richiesta, ne riproponequalcuna:“…me feci un bell’insogno, l’antranotte / che annamio tutt’e dua a SanGiovanni…” I romani esercitarono unasorta di commiato festoso dalle nostalgieper le indimenticabili carissime feste chefurono celebrate sempre e comunque,nonostante il freddo dell’inverno e il caldo,quasi torrido, dell’estate, in aperta polemicacon chi voleva la città immersa nei miasmidella malaria e i romani tutti febbricitantiA tal proposito, come non ricordare,ancora una volta, Giuseppe GioachinoBelli, che ironicamente scriveva:“…pe piùfraggello poi, la gente morta / sèguita amagnà e beve, pe sta male / e morì l’anno’appressoun’artra vorta…”E nei sonetti del Belli ritorna il terminemagnà di cui si è già detto in altra occasione,appare peraltro opportuno ritornaresu questa parola che, voltata in romanesco,grava sulla tavola dei romani o meglioancora sull’atmosfera di quella tavola chequesto popolo si porta dietro da tempoimmemorabile. Quasi un rafforzativo linguisticodi un bisogno primordiale, miraggioper i meno abbienti, è una parolaaccentata, sonora che al pronunciarlariesce a fare arrotolare la lingua nel palato.Il popolano del Belli ci stava come acasa in quel termine dialettale e quelmagnà, sognato e goduto, lo attirava tantoda non sembrargli vero, una necessitàperenne in buona sostanza, troppo spessoinsoddisfatta, ma che, tuttavia, lo stessopopolano l’avverte come una felicità esaltante.

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