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C R I T I C A • C U L T U R A • C I N E M A - Cine Circolo Romano

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Film Tv - Boris SollazzoKen Loach è un maestro del cinema. A volte anche didascalicocome un docente dev’essere e con allievi molto devoti. Ci siamodissetati alla fonte rabbiosa delle sue storie proletarie e proditorie,lo abbiamo seguito dalla Spagna al Nicaragua. Ora peròper molti è più difficile: il trotzkista vede crollare le ideologie emantiene saldo il suo idealismo. Da quando il mondo è cambiato,se si esclude l’irresistibile, onirico e meravigliosamente onanisticoIl mio amico Eric, Loach è sorprendentemente nichilistanella rappresentazione del presente. E “L’altra verità” fa allaguerra quello che “In questo mondo libero” fece al precariato: laspoglia dalle ipocrisie, dalle divisioni tra buoni e cattivi. Il sistemaha cambiato e sopraffatto il mondo, i padroni hanno serviche sono usciti dalle fabbriche e percorrono la Route Irish (daqui il titolo originale) che porta dall’aeroporto di Baghdad allaGreen Zone. A 10 mila sterline al mese. Due ragazzi di Liverpoolci hanno perso l’anima là, dove è cresciuto il cinema dellaguerra moderna, senza eroi ma pieno di vittime colpevoli: Mendes,Haggis, De Palma e altri ce l’hanno mostrato con spietatavarietà di stili e angolazioni. Segreti e bugie: l’Iraq per “L’altraverità” è quello che fu il Nicaragua per “La canzone di Carla”,una lente d’ingrandimento. Ma questo è un revenge movie, Kennon ci crede più, si fa giustizia da solo. Con un noir psicologicoed emotivo ci dà una lezione di cinema e di stile. Non solo estetico- sta cambiando - ma anche etico, onesto fino a tradirsi,Loach, come solo i grandi maestri.SCHEDE FILMOGRAFICHEL’eco Di Bergamo - Achille FrezzatoAnche in “L’altra verità l’inglese Ken Loach, (alcuni titoli: “FamilyLife”, “Ladybird Ladybird”, “Terra e libertà”, “Paul Micke gli altri”, “Sweet Sixteen”, “In questo mondo libero...” ), nonrinuncia alla sua spesso puntigliosa analisi politica e sociale epalesa ed argomenta la sua simpatia per esistenze finite negli ingranaggidì un mondo ingiusto: le racconta, le rappresenta nellacifra stilistica che gli è propria, in cui fonde una sicura presa sullarealtà degli ambienti e dei personaggi con un solido impiantodrammaturgico.In “L’altra verità” egli narra la storia d’amicizia, d’amore e dimorte (una storia toccante, cruda, senza speranza) di due trentennidi Liverpool, inseparabili da sempre, Frankie (John Bishop)e Fergus (Mark Womack), il quale convince l’amico a ‘lavorare’a Bagdad come ‘contractor’ nella sua squadra, assoldata,senza limiti d’azione e nella totale impunità, da una ditta privata.Fankie, sfortunatamente, perde la vita in un attentato sulla“Route Irish” (titolo originale), la strada che collega il quartiereinternazionale della capitale, la Green Zone, con l’aeroporto.Fergus ne è sconvolto: egli si sente in parte colpevole dell’accadutoe, nutrendo dubbi sempre più fondati sulla versione ufficialedei fatti, aiutato da Rachel (Andrea Lowe), la vedova diFrankie (un tempo ne era innamorato), decide di indagare perconoscere la verità, non esitando ad agire spietatamente nei confrontidelle persone per cui aveva ‘lavorato’, convinto, come giànotato, ‘di poter privatizzare la giustizia così come quelli avevanoreso un affare privato la guerra’. In questa opera, presentatain concorso a Cannes 2010, Loach (classe 1936), sullo sfondodi una Liverpool piovosa e malinconica ed una Bagdad bruciatadal sole e sconvolta da esplosioni ed eccidi, si mostra comesempre attento alla psicologia dei personaggi, persone comunifagocitate da ed annientate in una società non a misurad’uomo. Fra filmati amatoriali, flashback ricchi di controllatanostalgia (vi si sovrappongono immagini delle atrocità consumatein Iraq) ed un presente (di dolore, di vendetta) di una umanitàferita nel fisico e nell’animo, egli alterna pagine drammatichead altre segnate da cadenze tipiche del thriller, impegnandosiin una denuncia, pacata e perentoria, degli affari, del ‘business’,resi possibili da una guerra privatizzata e all’origine diviolenze e di stragi. Una denuncia animata da intenti civili, incui ribadisce che nelle guerre spesso si annida la logica del profittonel dispregio di qualsiasi norma etica.Filmup.Com - Donata FerrarioÈ definita la strada più pericolosa del mondo. È la Route Irish,quella che collega l’aeroporto di Baghdad alla Green Zone. Suquesta strada, nel settembre del 2007, trova la morte Frankie,un contractor di Liverpool, ex paracadutista. Noi iniziamo ilviaggio di Route Irish seguendo Fergus che si avvia, con Rachel,la giovane vedova, al funerale. Fergus è il migliore amicodi Frankie: un’amicizia nata da bambini, consolidata nell’adolescenza,quando i due decidevano che nulla avrebbe potuto separarele loro esistenze e che avrebbero condiviso ogni cosa.Sognavano sulle rive del Mersey, a Liverpool, viaggi e avventurestraordinarie: Frankie si era poi sposato, mentre Fergus,che portava Rachel nel cuore, si era arruolato nel SAS, le forzearmate speciali britanniche e, una volta congedato, aveva convintol’amico a diventare un contractor in Iraq: cioè un mercenario,pagato diecimila sterline al mese per proteggere dei privati,senza alcun limite di azione. Quando un contractor muore,non vi sono echi o notizie sui giornali: il funerale è veloce eprivato, il rischio è parte del contratto. Fergus è ora oppressodal dolore, misto al senso di colpa: un cellulare che gli arrivadall’Iraq gli mostra un video che getta molti dubbi sulla mortedell’amico. Fergus vuole andare a fondo, superando ogni limite.Neppure l’amore (ricambiato) per Rachel riuscirà a fermarela sete di sangue.Ken Loach nel 2009 si prese una pausa, proponendo a Cannesquel gioiello dolceamaro che è Il mio amico Eric: al festival ilregista inglese ritorna ‘last minute’, a film appena ultimato, e siributta nella mischia, affrontando di petto un aspetto a moltiignoto, la presenza in Iraq (ma anche in altre guerre) dei contractor,coloro che per denaro proteggono i privati e alimentanola propria sete di violenza o l’abitudine a essa. Si parlava di circa160mila soldati privati in Iraq, che fino al 2009 poterono avvalersidell’immunità della legge irachena, grazie al decreto 17del 2003, ora revocato. Questo ha significato un accumulo nonquantificabile di uccisioni, violenze di ogni tipo, a uomini, donnee bambini, di torture e sciacallaggio: una realtà poco sottolineata,che Loach vuole denunciare con il suo tipico stile asciutto,animato da intenti civili, forte della sceneggiatura del fidoPaul Laverty. Il film parte dal piccolo mondo che ruota attornoa due amici per parlare dell’universo che sta loro attorno, e procedelineare, afferrando lo spettatore per le spalle, per scuoterloe chiedergli di prendere posizione. Per far questo Loach sembrapiegarsi un poco verso una logica da spy thriller, con i suoi cliché.Il cellulare come deus ex machina ricorda molto certe trovateda prodotti mainstream, così molti atteggiamenti del protagonista,vendicatore fai da te alla Sylvester Stallone. Ma è veroche il messaggio deve arrivare a più persone possibili: la logicadel profitto che sta dietro alla guerra, le speculazioni dei privati…perché dalla guerra non si esce, diventa una forma mentis,una malattia che ammorba ogni cosa. Il limite morale – cheFrankie e Fergus credevano di possedere – è carta straccia, ilsangue chiama altro sangue.37

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