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C R I T I C A • C U L T U R A • C I N E M A - Cine Circolo Romano

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La Stampa - Gianni RondolinoChe “Le donne del 6° piano” - ultimo film di Philippe Le Guay conl’eccellente Fabrice Luchini - abbia avuto in Francia un grande successodi pubblico è facilmente comprensibile. La storia di un riccoagente di cambio di mezza età alle prese con una moglie vanitosa econ una bella cameriera spagnola, ambientata a Parigi nel 1962, narratacon uno stile leggero e una caratterizzazione simpatica dei personaggi,non può che suscitare un piacevole interesse e una divertenteadesione. Ma ovviamente anche fuori dalla Francia, in Italia e altrove,quella storia possiede una serie di elementi che possono coinvolgerelo spettatore. A partire, come si è detto, dalla caratterizzazionedei personaggi, che si presentano sullo schermo a poco a poco, arricchendosid’un sottile fascino psicologico da una sequenza all’altra.Tutto si svolge con grande semplicità, di giorno in giorno, come se ilfilm fosse una sorta di documentarlo che registra la vita quotidiana diun gruppo di persone e di due diverse e contrapposte classi sociali:da un lato la borghesia, impersonata dall’agente di cambio e dalla suafamiglia, dall’altro il proletariato che si identifica col gruppo di camerierespagnole che vivono al sesto piano del bel palazzo pariginoabitato dai borghesi. Ed è questo contrasto a costituire il filo conduttoredella storia. Ma non si pensi a un conflitto sociale dichiarato, omeglio a un film ‘politico’ che voglia contrapporre polemicamente idue gruppi e prenda una posizione ideologica dichiarata. Philippe LeGuay è un narratore ‘apolitico’, che si limita a rappresentare una differenterealtà umana e sociale nei toni di una commedia di costume.La Francia e la Spagna di cinquant’anni fa, contrapposte l’una all’altraattraverso le situazioni differenti dei singoli personaggi, con vaghissimiaccenni a De Gaulle e a Franco, non sono altro che lo sfondoambientale su cui si svolgono i piccoli conflitti personali. L’amoreche a poco a poco coinvolge Jean-Louis Joubert, l’agente di cambiofrancese, e Maria Gonzales, la donna di servizio spagnola, è unasorta di filo rosso che lega fra loro le diverse condizioni sociali. Maciò che conta, e che il film vuole mettere in luce, è la leggerezza dellostile narrativo, attraverso il quale tutti i problemi di varia naturache coinvolgono i personaggi devono rimanere sullo sfondo, perchésono i rapporti umani, sentimentali, a costituire il contenuto reale dell’opera.E non v’è dubbio che Le Guay sia riuscito nell’impresa. Sebbene,ad essere severi, si corre il rischio che lo svuotamento ideologicodella storia appiattisca un po’ la bellezza della rappresentazione,così delicata e per molti versi attraente e piacevolissima.Famiglia Cristiana - Enzo NattaIl senso della solidarietà é una scoperta tardiva per monsieur Joubert(uno splendido Fabrice Luchini), irreprensibile agente di cambio e rigidopadre di famiglia, coinvolto dalla schiettezza di un gruppo di domestichespagnole che vive nelle soffitte del suo palazzo. Fra questec’è Maria, una dolce creatura che schiude a monsieur Joubert l’orizzontedi un mondo sconosciuto... ‘La verità di un testo non è ciò chedice, ma la sua forma’, ammonisce Roland Barthes, e qui la forma èperfetta. Raffinato, elegante, pervaso da una delicata ironia, “Le donnedel 6° piano” di Phitippe Le Guay rispolvera il concetto di interclassismo,categoria che sembrava scomparsa, sostituita dalla voceomologazione. La differenza di classe esiste tuttora, ma si superaquando c’è la conoscenza reciproca, la buona volontà di relazionarsiall’altro e il dialogo.Un’ottima sceneggiatura, sostenuta e impreziositada un’altrettanto valida interpretazione di gruppo (le domestichespagnole non sono figure di contorno, nemmeno il coro, ma tanti personaggia sé) e da una regia leggera e delicata, fa del film un preziosogioiellino tutto da ammirare: risveglio di primavera e presa di coscienzadi un uomo che non ha rimorsi o sensi di colpa per la suascelta di vita, ma che scopre d’un tratto qualcosa di nuovo e di irrinunciabile.Frasottigliezze gustose e moniti privi di pedanteria, l’operadi Philippe Le Guay dispensa a piene mani ameni siparietti. Unoper tutti: i figli di Fabrice Luchini, frutto e ritratto di un’educazioneborghese che preludono a un futuro già tracciato. Siamo nel 1962 e illoro è un destino annunciato. Uno, con tutte le premesse da sessantottino,ha in sé la vocazione del sanculotto incipriato; l’altro nonsfuggirà alla sorte del funzionario statale. Entrambi vittime di un percorsoobbligato che il padre è riuscito a evitare.SCHEDE FILMOGRAFICHEIl Corriere Della Sera - Paolo MereghettiLa particolare configurazione architettonica, a Parigi, dei condominiborghesi costruiti a cavallo tra Ottocento e Novecento aveva favoritouna rigida divisione sociale: nel sottotetto, la cui altezza permetteva diricavare stanze abitabili, era alloggiata la servitù mentre nei piani sottostantistavano le famiglie presso cui prestavano servizio. Una separazioneche si è imposta anche nel linguaggio quotidiano se ancora oggiquei ‘monolocali’, spesso affittati a studenti stranieri e non più alledomestiche, vengono indicati come ‘chambres des bonnes’. Una definizioneche unisce connotazioni di censo e insieme di classe e a cui ilcinema francese aveva fatto spesso ricorso, da quando Robert Lamoureuxvi trovava la fidanzata ideale in “Papà, mamma, la camerierae io” (perché naturalmente per farla accettare al genitori, non trovavadi meglio che assumerla in casa come domestica... tanto già abitavanel sottotetto!) fino ai rifugi di tanta Nouvelle Vague che in quellestanze sotto il cielo si consumava di fantasie e di amori.Nel film di Philippe Le Guay, presentato fuori concorso all’ultimo festivaldi Berlino, le stanze del sesto piano tornano ad essere occupatedalle ‘bonnes’, dalle domestiche. E siccome siamo nei primissimianni Cinquanta, quelle del film sono tutte spagnole, venute da oltrepirenei,per rimpiazzare le donne bretoni che l’età o il nuovo benesserefa allontanare da questo servizio (come in Italia era successo conle venete: ricordate la Gravina dei “Soliti ignoti”?).Il film cominciaproprio con questo ‘traumatico’ cambio della guardia: la vecchia domesticadei Joubert lascia il posto e su consiglio delle amiche, la signoraSuzanne (Sandrine Kimberlain perfetta nel restituire l’aria tral’altezzoso e l’odioso tipica di certa piccola borghesia arricchita) sidecide ad assumere una cameriera spagnola, Maria (Natalia Verbeke).Tanto, come le hanno fatto notare, l’unica loro esigenza è quelladi andare a messa la domenica, ‘alla funzione delle sei del mattino!’.Perfettanell’assolvere ai propri doveri, irreprensibile nel cuocerel’uovo alla coque del padrone di casa solo tre minuti e mezzo (‘unuovo troppo cotto o duro ti fotte la giornata’, sentenzia), inattaccabiledal punto di vista della pulizia personale (questa invece è la fissazionedi madame), Maria conquista ben presto la fiducia dei Joubert.E soprattutto quella di monsieur Jean-Louis (Fabrice Luchini), titolaredi una rispettata agenzia di investimenti borsistici, meticoloso, pignolo,metodico ma soprattutto vulnerabile di fronte al calore umanoe alla contagiosa allegria che si respira al sesto piano, dove oltre aMaria vivono la zia Concepción (Carmen Maura), la ‘militante’ Carmen(Lola Duenas), la pia Dolores (Berta Ojea), la platinata Teresa(Nuria Sole) e, quando il marito la maltratta troppo, anche la remissivaPilar (Concha Galán). Una comunità chiassosa e variegata, dovesi litiga, si balla, ci si prende In giro ma soprattutto ci si aiuta scambievolmente.Dove cioè ci sono tutte quelle virtù e anche quei piccolidifetti che mancano totalmente nella famiglia Joubert. Ed è qui cheil film trova la sua energia e il suo divertimento, in questo ritratto adue toni e due tinte, tra i bridge di madame Suzanne e le uscite domenicalidelle cameriere spagnole, tra le ambizioni ‘letterarie’ dellapadrona di casa e la rassicurante concretezza di Maria, tra l’asetticomondo della borghesia parigina (il ritorno a casa dei due figli dal collegioè un piccolo gioiello di satira classista) e la calda solidarietà delle‘donne del sesto piano’. Un contrasto che la sceneggiatura (del registae di Jéróme Tonnerre) ingigantisce con abile ironia, come quandoaffida a Carmen una breve ma efficace lezione sulla guerra civilespagnola o quando accende in Jean-Louis i segni di una ‘gelosia’ dicui neppure lui sa bene spiegare la ragione.Perché naturalmente Marianon è solo efficiente e premurosa, è anche piuttosto carina e se lasignora Joubert vede le nemiche del suo menage nelle facoltose e intraprendenticlienti del marito, lo spettatore non impiega molto a capireche la vera tentazione per il signor Joubert potrebbe venire solodal sesto piano. Ma attraverso un percorso che è prima di tutto ‘esistenziale’.L’idea vincente di questa commedia piacevole e simpatica,infatti, è nella sua capacità di raccontare il confronto tra due mondiche si incontrano ogni giorno ma che sembrano incapaci di capirsie di parlarsi: lo scontro tra due culture sostanzialmente opposte,una accogliente e aperta, l’altra sospettosa e chiusa. Raccontato conaffetto ma anche senza dimenticare la voglia di lasciare il segno diqualche bella e profonda unghiata.43

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