svizzero Norberto Bottani, incuriosito dalla lentezza e dalle contraddizioni con cuiesso procede, o non procede affatto, nel suo affrancamento dal regime burocraticoamministrativo.Tra i suoi giudizi scegliamo quello più sintetico:, in Insegnanti altimone? Fatti e parole dell'autonomia scolastica, Il Mulino, Bologna, 2002. Ilvolume è una rassegna delle più recenti fasi di evoluzione dei sistemi scolasticioccidentali.Bottani, già direttore di ricerca dell'OCSE, e ora al Centro di ricerca dell'istruzionedi Ginevra, giudica negativamente le applicazioni dell’autonomia nelle scuole, epertanto la sua valutazione del sistema scolastico italiano fuoriesce dalle polemichetra fautori dell’autonomia e quelli che, come lui, non ritengono del tutto superato ilmodello del centralismo, che in altri sistemi scolastici non tocca i nostri livelli diburocratizzazione. E infatti negli altri casi in cui il termine “burocrazia” assumevalenze negative occorre chiedersi se queste ultime riguardino il concetto stesso diburocrazia, evidentemente non accetto per ragioni soggettive, o se invece sianodeterminate dalle modalità con cui esso viene utilizzato nella gestione <strong>della</strong> cosapubblica. La burocrazia non è infatti di per sé un istituto superfluo: è funzionale allo“Stato di diritto”, che in quanto tale deve imporre la correttezza legale <strong>della</strong> suaamministrazione (è d’obbligo citare Max Weber come massimo teorico in materia).Altro significato hanno invece le reazioni polemiche agli eccessi di regolamentazioneche la burocrazia talvolta infligge, magari a causa <strong>della</strong> persistenza di procedure untempo essenziali e oggi ridotte a rituali, e/o a causa dell’incompatibilità tra i suoiprincipi e la particolare natura del settore in cui essa opera. E queste due causerientrano entrambe nel caso specifiche del sistema italiano di istruzione, comepotremo constatare quando parleremo di autonomia didattica, il cui esercizio èpraticamente impossibile se il più importante dei principi <strong>della</strong> burocrazia, quello diimparzialità, non viene applicato in termini del tutto diversi da quelli codificati pertutti i settori governati dalla Pubblica Amministrazione, <strong>scuola</strong> compresa.Particolarmente severi sono i giudizi degli esperti italiani di “Politiche pubbliche”,soprattutto di quelli interessati, in quanto studiosi di sistemi comparati, a comel'amministrazione scolastica <strong>italiana</strong> si sia connotata rispetto a quelle di altri paesi.Eccone due: (Sofia Ventura La politica scolastica,Il Mulino, Bologna, 1998). Queste carenze sono imputabili ad una
Non possiamo però trascurare il fatto che la responsabilità dell'immobilismo <strong>della</strong>politica scolastica <strong>italiana</strong> <strong>della</strong> seconda metà del Novecento spetta, prima ancora chealla Pubblica Amministrazione, al governo e al parlamento (maggioranze eminoranze a parità di demerito), che per ben trent’anni del secondo novecento hannocompletamente isolato la <strong>scuola</strong> <strong>italiana</strong> dal continente. I paesi europei aindustrializzazione avanzata sono infatti divenuti teatro, nel frattempo, di due cicli diriforme degli ordinamenti scolastici (quelle iniziali di quantità e quelle successivequalità) e di ampie ridistribuzioni dei poteri decisionali all’interno dei sistemiscolastici. Dal 1965 al 1995, grossomodo, il n ostro Parlamento si è occupato di<strong>scuola</strong> pressoché esclusivamente per legiferare sul reclutamento degli insegnanti.Governo e Parlamento non sono stati capaci per troppo tempo di individuare, perquanto riguarda la gestione del sistema, una struttura di funzionamento che risultassealternativa almeno in parte alla pubblica amministrazione. Si sono infatti lasciaticogliere di sorpresa dall’avvento <strong>della</strong> <strong>scuola</strong> di massa, determinato dall’aumentospontaneo <strong>della</strong> richiesta di istruzione, a sua volta prodotta dal “boom” <strong>della</strong>ricostruzione post-bellica e dalla conseguente espansione del benessere. Così, difronte ad un servizio di istruzione che moltiplicava e rimoltiplicava tutti gli indicidelle sue dimensioni, invece di progettare e creare strutture più moderne, più snelle epiù vicine alle nuove logiche educative, non hanno trovato di meglio che moltiplicaree rimoltiplicare le vecchie strutture burocratiche.Sui motivi politici del ritardo delle riforme delle strutture di funzionamento, laVentura, con riferimento al “ripiegamento” da lei descritto nel brano sopra citato,dice che esso