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LEADER e distretti rurali - Inea

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Rete Nazionale per lo Sviluppo Rurale<strong>LEADER</strong> e <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>sinergie e complementarietà


Il quaderno è stato prodotto nell’ambito delle attività previste nella misura3.1 del Programma “Creazione di una Rete Nazionale per lo SviluppoRurale” del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali(Decisione della Commissione europea n. C(2002) 251 del 19/02/02).Le attività della Rete sono state affidate dal Mipaaf all’ATI composta daINEA e Agriconsulting SpA.La stesura dei singoli capitoli si deve ai seguenti autori:IntroduzioneCapitolo 1 -Capitolo 2 -Capitolo 3 -Capitolo 4 -Raffaella Di Napoli (INEA)Giovanni Belletti e Andrea Marescotti (Dipartimento di scienzeeconomiche, Università di Firenze)Serena Tarangioli (INEA)Laura Aguglia (INEA)Par. 1 Laura Aguglia (INEA)Par. 2 Raffaella Di Napoli (INEA)Par. 3 Giovanni Belletti e Andrea Marescotti (Dipartimento discienze economiche, Università di Firenze)Composizione grafica: Sofia Mannozzi


INDICEINTRODUZIONE: Leader e <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>: sinergie e complementarità..................................................... pag. 7CAPITOLO IIL DISTRETTO COME STRUMENTO DI GOVERNANCE PER LO SVILUPPO RURALE .......................... pag. 131. Introduzione ........................................................................................................................................................................................ pag. 152. I cambiamenti del mondo rurale e delle politiche .............................................................................................. pag. 152.1 La trasformazione dell’agricoltura e della <strong>rurali</strong>tà ........................................................................................ pag. 152.2 Agricoltura mltifunzionale e politiche di sviluppo rurale............................................................................. pag. 173. I processi di sviluppo rurale alla luce dei fattori distrettuali................................................................... pag. 194. La governance rurale ................................................................................................................................................................. pag. 224.1. Distrettualità e governance ................................................................................................................................................. pag. 224.2 Dal governo alla governance .............................................................................................................................................. pag. 235. Le prospettive dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>: quali ruoli? .................................................................................................... pag. 255.1 La traduzione operativa del distretto rurale: alcuni possibili approcci............................................ pag. 255.2 La traduzione operativa del distretto rurale: alcuni problemi da risolvere................................. pag. 275.3 Distretti <strong>rurali</strong> e Leader: alcune riflessioni.............................................................................................................. pag. 306. Conclusioni.......................................................................................................................................................................................... pag. 31Bibliografia .................................................................................................................................................................................................... pag. 32CAPITOLO IILA NORMATIVA DI RIFERIMENTO DEL DISTRETTO RURALE E AGRO-ALIMENTAREDI QUALITÀ E LO STATO DELL’ARTE NELLE REGIONI ITALIANE ....................................................................... pag. 371. Introduzione .................................................................................................................................................................................... pag. 392. I <strong>distretti</strong> riconosciuti ................................................................................................................................................................ pag. 423. Il ruolo dei <strong>distretti</strong> nella programmazione agricola nazionale e regionale .............................. pag. 46Bibliografia .................................................................................................................................................................................................... pag. 48RETE<strong>LEADER</strong> 3


Introduzione*<strong>LEADER</strong> E DISTRETTI RURALI: SINERGIE E COMPLEMENTARITÀIl working paper riporta le relazioni presentate in occasione del seminario della Rete Nazionale per loSviluppo Rurale sul tema “Promuovere lo Sviluppo Locale: esperienze Leader e <strong>distretti</strong> a confronto”.L’incontro è stato organizzato dall’ATI INEA – Agriconsulting con la collaborazione della Regione Siciliana edel GAL Terre del Gattopardo a Sambuca di Sicilia, nel mese di ottobre 2006.Tutti i contributi pubblicati sono stati arricchiti e rielaborati dagli autori sulla base anche del dibattito che siè sviluppato in occasione del seminario che ha offerto numerosi spunti di riflessione sul ruolo e sul rapportofra politiche di sviluppo promosse a diverso livello nazionale, comunitario, regionale e locale. Si ringraziano,perciò, tutti i partecipanti e i GAL siciliani presenti per la partecipazione attiva alla discussione.In maniera particolare si ringraziano per l’ospitalità e gli utili suggerimenti dati all’impostazione dell’incontroSergio Pellerito (Regione Siciliana) e Nino Sutera (Regione Siciliana); Calogero Impastato eGiuseppe Vetrano (Presidente e Direttore del GAL Terre del Gattopardo).Si ringrazia il GAL Terre del Gattopardo che ha ospitato il seminario e Giacchino Lanza Tomasi Direttorescientifico del Parco Letterario “Giuseppe Tomasi di Lampedusa” che ha accolto e accompagnato i partecipantial seminario nella visita presso il Parco Letterario.Nel corso degli ultimi anni, anche in seguito all’emanazione del decreto legislativo n. 228 del 2001, “diorientamento e modernizzazione in agricoltura”, il tema dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimentari è oggetto diuna crescente attenzione sia da parte del mondo della ricerca accademica sia da parte di molte pubblicheamministrazioni e istituzioni in numerose parti d’Italia.Il Decreto (art. 13) definisce i “<strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>” come "sistemi produttivi locali caratterizzati da un'identitàstorica e territoriale omogenea derivante dall'integrazione fra attività agricole ed altre attività locali, nonchédalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioninaturali e territoriali".Secondo questa definizione, parlare di distretto rurale implica la necessità di:- considerare una molteplicità di attività economiche presenti in un territorio, diversificate ma fortemente* Raffaella Di Napoli (INEA).RETE<strong>LEADER</strong> 7


integrate e interdipendenti, individuando il fondamento della competitività nelle loro complementarietàsecondo la logica delle economie di scopo, viene evidenziato come sia necessario rafforzare il senso diidentità e appartenenza fra gli attori locali;- di concepire il territorio nella sua integrità, dunque non solo come luogo che “ospita” attività economiche(sia pure ad esso fortemente collegate, come nel caso delle attività agricole) ma come supporto a uninsieme articolato e complesso di funzioni di tipo sociale e ambientale cui concorrono non solo impresema anche “non imprese”.In questa prospettiva il distretto diventa un nuovo modello di organizzazione economica che, in linea conla strategia di sviluppo locale sostenuta dall’UE per il nuovo periodo di programmazione 2007-2013, rappresentauno strumento di pianificazione realizzata secondo un approccio bottom up. Con esso, infatti, sicrea un “luogo” di confronto in cui possano essere valorizzate le peculiarità locali e in cui le produzioni dibeni e servizi agricoli ma anche la cultura, la tradizione e le risorse naturali e paesaggistiche diventino ifattori di uno sviluppo concertato e sostenibile.Una definizione così ampia dell’idea di distretto rurale pone non pochi quesiti per la loro stessa individuazionee, soprattutto, per la determinazione delle funzioni che dovrebbe svolgere a livello locale.Siamo di fronte ad un nuovo strumento di governance locale? E se si, quali elementi lo caratterizzanorispetto ad altri che, già nel corso degli ultimi quindici anni, hanno contribuito progressivamente ad immetterenella pianificazione centralizzata la progettualità proveniente dal territorio, consentendo di coordinarele misure previste dal piano attorno ad obiettivi precisi? 1Gli elementi di contatto con altri strumenti di programmazione partecipata (Leader, Progetti Integrati territoriali)sono molteplici. Ad esempio:- negoziazione e concertazione attorno ad obiettivi e strategie di sviluppo condivise;- creazione di partenariati fra soggetti pubblici-istituzionali e socioeconomici;- definizione di un ambito territoriale locale di intervento;- integrazione fra attività e settori.In questo contesto viene da chiedersi quali obiettivi, compiti e funzioni dovrebbe svolgere un distretto. Sipone come una duplicazione di strumenti già esistenti e consolidati? È un concorrente/antagonista delLeader e dei progetti integrati? Oppure, nei contesti in cui vi sono le condizioni per crearlo, il distretto puòambire a volgere un ruolo di cabina di regia dei progetti di sviluppo in essere in ogni territorio rurale.Non è l’ambizione di questo working paper dare una risposta univoca a questi interrogativi, ma piuttostoriportare il punto di vista di diversi esperti che hanno partecipato al seminario “Promuovere lo SviluppoLocale: esperienze Leader e <strong>distretti</strong> a confronto” (Sambuca di Sicilia, 12 ottobre 2006).In questa occasione è stato presentato un quadro dei contributi teorici provenienti dalla ricerca scientifica edei diversi approcci metodologici utilizzati nelle regioni italiane per definire i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimen-1 A tal proposito si può pensare all’inclusione del metodo Leader nella pianificazione dello sviluppo rurale che apre le prospettive per una estensione atutto il territorio della programmazione partecipata a livello locale.8 RETE<strong>LEADER</strong>


tari rispetto anche alle esperienze realizzate grazie ad altri strumenti di programmazione quali l’IniziativaLeader e i Progetti Integrati.Il primo capitolo, di Giovanni Belletti e Andrea Marescotti (Dipartimento di Scienze Economichedell’Università di Firenze) è dedicato ad approfondire il tema dal punto di vista teorico-scientifico e ponel’accento sulle possibilità offerte dallo “strumento <strong>distretti</strong>” nel facilitare-consolidare processi di governancelocale.Gli autori evidenziano la forte varietà di accezioni e interpretazioni sulle possibili funzioni e relativi modelliorganizzativi che possono essere ricondotte a tre possibili sfere di azione per i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>:a) supporto all’organizzazione dell’economia rurale;b) ambito di territorializzazione delle politiche;c) strumento di governance locale “forte” (tanto verticale quanto orizzontale).Seguendo il terzo approccio sopra menzionato, il distretto rurale è caratterizzato (potenzialmente) da unfondamentale elemento distintivo che lo differenzia dagli altri strumenti: infatti il distretto rurale si ponel’ambizione di identificare attraverso la concertazione un progetto di sviluppo per l’intero territorio ruralee di costituire un partenariato per coordinare ed indirizzare tutte le risorse e gli strumenti (pubblici e privati)in tale direzione, non limitandosi dunque né a dare attuazione a provvedimenti normativi concepitida livelli superiori (come il regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale, o anche il Leader) né a proporreuna tantum pacchetti di progetti destinati al finanziamento (come alcuni strumenti della programmazionenegoziata) né di regolare solo alcuni aspetti e/o tipologie di attività dell’economia rurale (come i piani difiliera).Il distretto rurale si pone dunque nella zona di “alta concertazione”, prevedendo per il suo funzionamentouna struttura di governance ampiamente partecipata, e di “alta autonomia nella definizione degli strumenti”,nel senso che nella sua forma ideale spetta proprio alla collettività locale definire il proprio progettodi sviluppo, dotarsi di una struttura organizzativa e identificare gli strumenti più idonei per raggiungerei propri obiettivi. Alta concertazione e alta autonomia locale nella definizione degli strumenti caratterizzanol’area della governance in opposizione all’area del governo (cfr. Capitolo I par 5.2).Se idealmente il distretto potrebbe svolgere queste funzioni, operativamente le aree <strong>rurali</strong> incontranonotevoli difficoltà a “identificarsi” con l’idea di distretto e nel gestire processi di governance al di fuori deiconfini disegnati dalle politiche comunitarie, nazionali e regionali per lo sviluppo dei territori <strong>rurali</strong>.Il distretto rurale così come disegnato dal Decreto n. 228/01 si scontra, in molti territori <strong>rurali</strong>, con la difficoltàdelle imprese <strong>rurali</strong> ad agire in una logica sistemica, che le veda fortemente integrate e interdipendenti,e di tutti gli attori locali a coordinare nella stessa logica di sviluppo le proprie attività.Il capitolo viene concluso ponendo l’accento proprio sul rapporto-ruolo fra il GAL e lo strumento distretto,sul contributo che questi soggetti possono dare e a quale livello. Non viene proposta una soluzione madiversi spunti di riflessione da considerare nel momento in cui a livello regionale si intendano rafforzare lepolitiche di sostegno per la creazione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>: il GAL, laddove ha ben lavorato nel <strong>LEADER</strong>, è unsoggetto importante nella rete dei soggetti operanti per lo sviluppo delle aree <strong>rurali</strong>. È evidente che il suoRETE<strong>LEADER</strong> 9


patrimonio di relazioni, competenze accumulate e capacità di promuovere la concertazione può essere fondamentaleper l’avvio di un distretto rurale …resta che il distretto, nella sua versione “ideale” e un“forte" strumento di governance, può essere attivato, animato, costruito, realizzato da qualsiasi soggetto:il GAL, la CM, la Provincia, un'associazione di produttori, un'Agenzia di sviluppo, la Camera di commercio,un consorzio creato appositamente (cfr Capitolo I par. 6).Ulteriori elementi per approfondire il rapporto esistente fra i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e le politiche di sviluppo ruraleemergono dalla relazione di Serena Tarangioli (Ricercatrice INEA) che presenta il quadro della normativadi riferimento sui <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimentari nelle regioni italiane.Partendo dalla distinzione proposta dalla normativa nazionale e regionale fra <strong>distretti</strong> agricoli (definiticome strumento di sviluppo e gestione di un settore produttivo di particolare qualità) e <strong>rurali</strong> (definiticome espressione di peculiari caratteristiche produttive e culturali), l’autrice sottolinea come le Regioni chehanno adottato una legge sembrano aver voluto dar loro un ruolo di primo piano nell’ambito della programmazioneeconomica regionale.Il capitolo approfondisce anche il rapporto fra <strong>distretti</strong> e politiche comunitarie per lo sviluppo rurale rispettoalla programmazione e all’attuazione delle politiche di sviluppo rurale 2007-2013. Il nuovo regolamentosul sostegno allo sviluppo rurale (Reg. (CE) 1698/2005) potrebbe agevolare fortemente il riconoscimentodella distrettualità agricola, favorendo la cooperazione e l’integrazione dei soggetti produttivi edegli attori locali. Le Regioni che hanno riconosciuto i sistemi produttivi agricoli potranno, attraverso unaspecifica misura di finanziamento del PSR, garantire risorse per il consolidamento delle partnership territorialifinalizzato all’innovazione dei processi e dei prodotti agro-alimentari e forestali. Inoltre l’integrazionetra imprese è un tema chiave anche del Piano Strategico Nazionale per lo Sviluppo Rurale 2007-2013, chepone l’accento su strumenti capaci di integrare imprese e territorio (filiere, <strong>distretti</strong> produttivi) e crearestrategie di sviluppo attraverso l’utilizzo coordinato delle misure messe a disposizione dalla politica diSviluppo Rurale.A questo aspetto, legato alla relazione con le politiche di sviluppo, si affiancano i problemi che scaturisconodalla necessità di identificare la tipologia di attività economiche e sociali riconducibili al distretto rurale maanche quelli relativi all’identificazione dei confini territoriali.A questo proposito un approfondimento viene dalla relazione di Laura Aguglia (ricercatrice INEA) che esaminadiverse metodologie e i criteri proposti dalle leggi nazionali per l’individuazione dei <strong>distretti</strong>. Questarassegna pone l’attenzione su alcuni elementi che aiutano a chiarire da cosa dovrebbe essere guidato ilprocesso di “scelta” di creazione di un distretto. Il distretto (cfr. Capitolo 3):- consiste nella valorizzazione del capitale territoriale…;- rappresenta uno strumento organizzativo ed agisce in una logica sistemica;- è una nuova opportunità di programmazione per aree fortemente specializzate;- ha una sua ragione di esistere se esiste un chiaro vantaggio da parte dei singoli, operatori economici edella collettività a perseguire strategie di sviluppo consapevolmente condivise;- non dipende solo da fattori strutturali territoriali…ma è soprattutto frutto di un originale sistema di10 RETE<strong>LEADER</strong>


offerta;- rappresenta un elemento di continuità (nel tempo) della programmazione territoriale.Il Capitolo IV raccoglie tre esperienze concrete ognuna delle quali contribuisce ad osservare concretamentei diversi processi che possono contribuire a individuare, creare e gestire un distretto rurale. I casi evidenzianocome sia difficile per un territorio rurale identificarsi in termini distrettuali. La presenza di un tessutodi PMI locali fortemente radicate nel territorio e ancorate, nella costruzione della propria produzione, allerisorse locali, non sembra essere una condizione sufficiente per creare un distretto rurale se non si agiscein una logica sistemica capace di renderle fortemente integrate e interdipendenti. Così come la creazionedi un partenariato capace di coinvolgere il più ampio spettro di attori locali (pubblici e privati) non è unacondizione sufficiente per affermare il distretto come strumento di governance locale se non viene realizzatoun pieno coordinamento fra le diverse iniziative/azioni di sviluppo poste in essere in un territoriorurale.Queste esperienze evidenziano come il rapporto Leader/<strong>distretti</strong> non sia immediatamente mutuabile marichiede:- l’esistenza e/o la creazione di precondizioni per sostenere il processo di creazione del distretto e,quindi, il suo riconoscimento;- l’individuazione, attraverso criteri ad hoc, delle aree distretto che, pur interessando lo stesso territoriodi un progetto di sviluppo territoriale integrato, possano coinvolgerne una parte o viceversa essere piùampie;- la necessità di individuare (e in loro assenza di creare) strutture di gestione consolidate capaci di realizzarele attività di coordinamento, supporto/assistenza tecnica e animazione;- dotare il distretto, almeno nei primi anni di avvio, di un progetto di sviluppo e gestione dotato di risorsefinanziarie certe.RETE<strong>LEADER</strong> 11


CAPITOLO IIL DISTRETTO COME STRUMENTODI GOVERNANCE PER LO SVILUPPORURALE 22 Giovanni Belletti, Andrea Marescotti (Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Firenze).RETE<strong>LEADER</strong> 13


1. IntroduzioneNegli ultimi anni sono numerose le esperienze condotte nelle aree <strong>rurali</strong> del nostro paese che, anche sull’ondadell’applicazione delle politiche nazionali e comunitarie, hanno sollecitato da una parte la riflessionesui percorsi di sviluppo locale e l’elaborazione di appropriate strategie territoriali, dall’altra hannofavorito il crescere di una cultura della governance territoriale.In questo contesto si è inserita la previsione normativa, contenuta nella Legge di orientamento agricola del2001, dei Distretti agro-alimentari di qualità e dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>, e il crescente interesse rivolto in numerositerritori all’«idea» del distretto come strumento in grado di sostenere la competitività delle filiere territorialie/o delle aree <strong>rurali</strong>.Il presente contributo si concentra sul distretto rurale e sui ruoli che questo può rivestire a supporto deiprocessi di sviluppo delle aree <strong>rurali</strong>. Dopo aver richiamato brevemente i principali cambiamenti delle aree<strong>rurali</strong>, e quelli delle politiche agricole e di sviluppo rurale che li hanno accompagnati (par. 2), viene propostauna lettura dei processi di sviluppo rurale alla luce dei fenomeni distrettuali (par. 3), e una riflessionesul tema della governance dello sviluppo rurale (par. 4). Alla luce di ciò vengono tratte alcune indicazionisui possibili ruoli che possono essere attribuiti al distretto rurale, anche in relazione ad altri strumenti digovernance dello sviluppo rurale già operativi (par. 5). Il paragrafo finale contiene alcune considerazioniconclusive e prospettiche.2. I cambiamenti del mondo rurale e delle politiche2.1. La trasformazione dell’agricoltura e della <strong>rurali</strong>tàI cambiamenti dell’agricoltura e delle aree <strong>rurali</strong> negli ultimi decenni concorrono a spiegare sia il successo– quanto meno del concetto – del distretto rurale ai giorni nostri, sia anche alcune difficoltà interpretativee di concreta traduzione operativa. In questo periodo l’agricoltura ha attraversato un rapido e profondoprocesso di trasformazione dei propri caratteri strutturali e assetti organizzativi, sia a livello di impresache di settore, nonché delle modalità di articolazione delle relazioni con gli altri settori dell’economia edella società a livello globale e locale. Nel corso di questo processo l’agricoltura ha perso il predominioeconomico e sociale nelle aree <strong>rurali</strong>, le configurazioni di questi territori si sono sempre più diversificate, econtemporaneamente sono mutate le funzioni svolte dall’agricoltura sulla base dell’evoluzione delle esigenzemanifestate dalla società.Fino agli anni ’60 dello scorso secolo l’agricoltura era il settore dominante delle aree <strong>rurali</strong>, mentre eranelle città che risiedevano le basi per la crescita e lo sviluppo del sistema economico e sociale, grazie allaconcentrazione delle attività industriali e a quelle del settore terziario. Il rapido processo di crescita industrialedi quegli anni accentua questo dualismo territoriale: le risorse impiegate in agricoltura vengonoprogressivamente drenate dalla grande industria delle città del Nord, inducendo diffusi fenomeni diabbandono e desertificazione sociale delle aree <strong>rurali</strong>, soprattutto quelle svantaggiate dalla ridotta entità eRETE<strong>LEADER</strong> 15


scarsa qualità delle risorse ambientali.È in questo periodo che si consolida l’identità rurale-arretrato: nonostante il fatto che alcune aree agricolesiano beneficiate dalla diffusione della “modernizzazione” (Van der Ploeg, 2006), e che qui le aziendeagricole facciano registrare impensabili incrementi di produttività dei fattori e di reddito, ben poche sonole aree <strong>rurali</strong> accreditate di un futuro di sviluppo.L’intervento pubblico in questo periodo si sposta sempre più sul sostegno del modello della modernizzazioneattraverso politiche di mercato e, seppure con minore intensità, sulla risoluzione di specifici problemi diadattamento e di coerenza rispetto al modello di crescita industriale, attraverso politiche delle strutture.Venivano di conseguenza pensati e implementati interventi di natura soprattutto “settoriale” (agricola),che non richiedevano un particolare adattamento alle specificità territoriali assunte dalle attività agricole,né tanto meno una partecipazione delle collettività locali alla definizione degli interventi. Un intervento,quindi, di tipo top-down, cioè concepito e realizzato dai livelli decisionali più alti e portatore di un'unicachiave di sviluppo per tutto il territorio, poco flessibile ad adattarsi a specificità locali se non attraverso lapredisposizione di un bagaglio di strumenti di “correzione” di situazioni di particolare squilibrio, ma dautilizzare ex-post e comunque con risorse perlopiù limitate.È soltanto negli anni ’70 che emergono nuove forze di cambiamento e si rompe la monoliticità degliassetti economici e sociali delle aree <strong>rurali</strong>, col manifestarsi di nuove tipologie di sviluppo più o menolontane dal modello di crescita industriale e di sviluppo sociale fino ad allora dominante (Basile e Cecchi,2001).Il successo dei modelli di industrializzazione diffusa, e dei <strong>distretti</strong> industriali in particolare, indica in questianni che esiste un’alternativa (nella cosiddetta Terza Italia) al modello della grande industria fordista e“urbana”, sia dal punto di vista delle modalità di organizzazione delle produzione, che da quello dellalocalizzazione delle attività sul territorio. La (grande) città cessa di essere l’unico polo di attrazione delleattività manifatturiere, e le aree <strong>rurali</strong> si popolano di attività non agricole, dando origine a sistemi produttivilocali differenziati. Parallelamente si assiste anche – in alcuni territori – ad un’inversione di tendenzanei movimenti della popolazione, che per la prima volta tornano ad essere diretti dalle città verso le aree<strong>rurali</strong>.L’economia delle aree <strong>rurali</strong> quindi si diversifica: permangono sì aree <strong>rurali</strong> escluse dalla crescita economicae dallo sviluppo, ma ad esse si affiancano aree a sviluppo agricolo intermedio integrate nel sistema economicolocale, aree di “campagna urbanizzata” come luogo di residenza, e aree di industrializzazione diffusa.Ovvero, le aree <strong>rurali</strong> non sono più soltanto luoghi in cui si svolgono le attività agricole, ma ancheluoghi di insediamenti produttivi di altri settori economici, nonché luoghi di insediamenti abitativi e infineluoghi di “consumo” del tempo libero.Questa nuova articolazione dello sviluppo economico mette in crisi i tradizionali criteri impiegati per identificaree definire “il rurale” come categoria concettuale a sé; una difficoltà tramandatasi fino ai giorninostri. Se infatti fino agli anni ’70 era automatico identificare le aree <strong>rurali</strong> in relazione alla presenzadominante del settore agricolo, o alla bassa densità della popolazione, o all’arretratezza e povertà – crite-16 RETE<strong>LEADER</strong>


i perlopiù interscambiabili data la configurazione assunta dallo sviluppo economico – oggi la pluralitàdelle configurazioni dello sviluppo dei territori <strong>rurali</strong> mette in dubbio perfino l’utilità della stessa categoriaconcettuale (Blanc, 1997; Montresor, 2003; Senni, 2002), al punto che si propone di riportare le problematichedelle aree <strong>rurali</strong>, private di specificità, alla più ampia problematica dei rapporti locale-globale(Saraceno, 1993 e 1994) e in quella dei fattori di competitività dei sistemi produttivi territoriali (Brunori,2003).Un cambiamento che del resto ha “spiazzato” anche i decisori di policy, ancora oggi incerti sulla definizioneda assegnare al rurale e, di conseguenza, sui contenuti da assegnare alle politiche. In questo senso ènoto come la Unione Europea abbia per ora soltanto timidamente accennato a fare il passo verso un ruralepiù distante dalla sola agricoltura, che invece rimane ancora centrale nelle politiche etichettate come “disostegno allo sviluppo rurale”.2.2. Agricoltura multifunzionale e politiche di sviluppo ruraleParallelamente al cambiamento degli assetti socio-economici delle aree <strong>rurali</strong>, cambiano anche le funzioniassegnate all’agricoltura dalla società: tutela dell’ambiente (riduzione dell’inquinamento, salvaguardiadella biodiversità, tutela idro-geologica, benessere degli animali), tutela dei sistemi socio-economici marginali,mantenimento della cultura e delle tradizioni, protezione della salute dei cittadini, sono alcune delleespressioni più ricorrenti della cosiddetta multifunzionalità dell’agricoltura (OCSE, 2001), assunta a paradigmadel nuovo modello di sviluppo agricolo anche dall’Unione Europea.Ad un’accezione del rurale come arretrato e tradizionale si sostituisce gradualmente una visione più positiva– spesso ai limiti dell’idillio rurale – della <strong>rurali</strong>tà, e a questo cambiamento di giudizio di valore corrispondeuna rivalutazione delle capacità e potenzialità del settore agricolo e delle aree <strong>rurali</strong> di generaresviluppo sociale ed economico. E ciò accade soprattutto in quei territori in cui è stata preservata una specificacaratterizzazione del paesaggio e dell’ambiente in congiunzione con una vitalità sociale e con unaattenzione per la riscoperta delle vocazioni produttive più specifiche dei territori. Infatti nelle situazioni incui, grazie a un insieme di fattori sia endogeni alla <strong>rurali</strong>tà che esogeni ad essa, tali caratteri di specificitàhanno potuto incontrarsi con le favorevoli evoluzioni degli stili di vita e di consumo, si sono create le condizioniper l’attivazione di dinamiche positive improntate allo sviluppo rurale “di qualità”, caratterizzatocioè dalla creazione di una rete di relazioni tra qualità dei beni e dei servizi, dell’ambiente e del paesaggio,orientato al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni locali.Questo cambiamento, se non ribaltamento in alcuni casi, nel modo di interpretare il rurale segna unimportante passaggio di fase. La “<strong>rurali</strong>tà di qualità”, e al suo interno l’agricoltura di qualità che ne rappresentauna componente essenziale, viene dunque sempre più percepita dalle comunità locali, dalleamministrazioni e dalle imprese come una opportunità di sviluppo. Si rivalutano così le potenzialità dellerisorse interne al territorio rurale, segnando il passaggio da un modello di sviluppo dettato e diretto daforze esogene al territorio e inquadrato su schemi prettamente settoriali, ad un modello di tipo endogeno,RETE<strong>LEADER</strong> 17


che prevede la sollecitazione delle risorse materiali e umane del territorio per garantire la partecipazionedelle collettività locali non solo nella gestione delle politiche ma nella definizione di percorsi di sviluppoorientati all’integrazione tra le attività economiche, alla valorizzazione delle risorse locali e alla sostenibilitàambientale e sociale.Il percorso che sta portando ad una crescente attenzione verso l’agricoltura multifunzionale e contemporaneamenteal “non agricolo” nelle aree <strong>rurali</strong> (e al rafforzamento dell’integrazione agricolo-non agricolo)sposta l’attenzione dal settore al territorio, modificando radicalmente sia le finalità dell’intervento pubblico,sia i suoi protagonisti (Brunori, 2002). L’emergenza del territorio non nella veste di contenitore o diconfine, ma di risorsa specifica su cui far leva per intraprendere nuovi e differenziati percorsi di sviluppo èdel resto, come a tutti noto, pienamente accolto in linea di principio anche nell’evoluzione delle politichecomunitarie (Sotte, 1998), in particolare quelle agricole e di sviluppo rurale, nonché quelle di coesione.Per tenere conto dei cambiamenti delle aree <strong>rurali</strong>, le politiche comunitarie e nazionali hanno intrapresonuove vie e sperimentato nuovi strumenti. Gli stessi interventi di politica agraria, almeno nelle dichiarazionidi intenti anche se non sempre nella traduzione concreta, hanno in parte teso a superare una logicapuramente settoriale, per abbracciarne una più spiccatamente regionale e territoriale.L’affermarsi di questi due elementi ha favorito il diffondersi in maniera crescente, all’interno delle aree<strong>rurali</strong> ma anche nelle istituzioni sovra-locali, della consapevolezza che il “rurale” possa diventare oggettoe soggetto di progresso sociale e di sviluppo economico, creando valore non solo per le popolazioni in essoresidenti ma in generale per tutti i cittadini.L’evoluzione delle politiche per l’agricoltura e le aree <strong>rurali</strong> ha, nel tempo, seguito un duplice indirizzo:- da un lato una nuova politica settoriale per l’agricoltura finalizzata ad aumentarne la competitività sumercati sempre più aperti e globali ma allo stesso tempo accentuandone il carattere multifunzionale(qualità delle produzioni, compatibilità ambientale, diversificazione delle attività agricole in ambito rurale);- dall’altro un più deciso rafforzamento della politica territoriale verso lo sviluppo rurale e la coesione.Uno spostamento che può essere colto sia all’interno di provvedimenti la cui natura appare più o menodichiaratamente settoriale (ad esempio all’interno del regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale), masoprattutto nella politica di coesione e nelle iniziative comunitarie, Leader in particolare.In quest’ottica alcuni passaggi del dibattito degli anni ’90 sul futuro delle politiche agricole e <strong>rurali</strong> appaionoparticolarmente significativi, a partire dalla Conferenza di Cork del 1996, che ha dato origine al noto“decalogo” per la promozione di “una Europa rurale viva” in cui vengono fissati i principi cui una “vera”politica di sviluppo rurale deve ispirarsi. L’enfasi posta sui caratteri della endogenità, della integrazione edella sostenibilità fa sì che il concetto di sviluppo rurale assuma un valore particolare che non risiede solamentesull’esito del processo di sviluppo (il quanto), ma che trova la sua essenza nel come il processo disviluppo si realizza, poiché è dal come che la qualità della vita delle popolazioni <strong>rurali</strong> può effettivamenteconseguire un beneficio, ed è anche grazie al come che il beneficio ritraibile dalle risorse (umane e materiali)locali può essere ottimizzato.18 RETE<strong>LEADER</strong>


Le riflessioni condotte sulle politiche comunitarie sfociano nel documento di Agenda 2000 il quale, sul latodelle politiche di sviluppo rurale più “territoriali”, porta alla approvazione del regolamento sul sostegnocomunitario allo sviluppo rurale (reg. CE 1257/99); lo sviluppo rurale diventa così, almeno nelle dichiarazionidi principio, il “secondo pilastro” della PAC. Inoltre la programmazione dei nuovi Fondi strutturali haconsentito un’accelerazione delle nuove politiche regionali europee, sempre più rivolte a perseguire unosviluppo integrato di tutto il territorio sia urbano che rurale e a sostenere il processo di coesione economicae sociale nell’Unione, segnalando la crescente attenzione delle politiche comunitarie anche verso settori diattività economica diversi da quello agricolo.Gli anni recenti sono caratterizzati da un rafforzamento dell’orientamento verso la multifunzionalità dell’agricolturae lo sviluppo rurale. La Revisione di medio termine ha comportato una profonda riforma dellepolitiche del primo pilastro della PAC nella direzione del disaccoppiamento totale degli aiuti al reddito, e ilnuovo Regolamento ha creato un fondo dedicato alle misure di sviluppo rurale, anche se ha di fatto sganciatotali politiche da quelle di coesione (Mantino, 2006; Hoffmann, 2006).Tutto questo ha reso notevolmente più complesso il governo delle politiche pubbliche, perché sono entratiin gioco più livelli di intervento “verticali” (comunitario, nazionale, regionale, intermedio e locale), moltipiù attori di prima (non solo l’amministrazione pubblica e le tradizionali rappresentanze del mondo agricolo,ma anche rappresentanze dei movimenti ambientalisti e dei consumatori, ad esempio), e strumenti eapprocci di intervento nuovi, non basati sul mero trasferimento di un aiuto puntuale, ma condizionati acriteri di selezione più complessi e/o a programmi di portata più ampia.La differenziazione dei percorsi locali di sviluppo rurale genera una spinta alla differenziazione dellerisposte e ad una maggiore richiesta di partecipazione e di autonomia delle collettività locali parallelamentead una deresponsabilizzazione delle istituzioni centrali, sempre più concentrate su funzioni ritenuteprioritarie, talvolta delegate a livelli istituzionali ancora superiori (UE, WTO). Dall’altro lato la (in parteparallela) trasformazione delle politiche genera dunque una necessità di disporre da un lato di maggioricompetenze a livello territoriale nell’elaborazione e gestione degli interventi, e dall’altro di momenti dicoordinamento di un set di interventi e di attori sempre più complesso e articolato.3. I processi di sviluppo rurale alla luce dei fattori distrettualiL’evoluzione dei ruoli attribuiti all’agricoltura e alle aree <strong>rurali</strong> in considerazione dell’evoluzione dellerichieste della società e degli obiettivi e strumenti delle politiche di sviluppo rurale ha determinato unariflessione sui meccanismi economici e sociali in atto e sulla connessa evoluzione dei fattori di competitività.Grande importanza in questo ambito è stata attribuita nelle analisi teoriche ed empiriche al territorio,inteso secondo una connotazione molto ampia, e alle relazioni che in esso si instaurano tra imprese e altrisoggetti, non solo in una prospettiva sincronica ma anche diacronica.Per questo motivo il paradigma economico del distretto è stato oggetto di grande attenzione sia da unpunto di vista teorico che empirico, come strumento in grado di spiegare il successo tanto dei sistemi agro-RETE<strong>LEADER</strong> 19


alimentari localizzati che dei sistemi locali <strong>rurali</strong>. In particolare l’idea-base dell’approccio distrettuale rilevanteai nostri fini è che i fondamenti dell’innovazione e della competitività non vanno ricercati (soltanto)nella singola impresa, ma in un insieme di fattori di tipo relazionale che proprio nell’ambito di un territoriospecifico trovano la possibilità di esplicarsi.Grazie alla prossimità e alla storia il sistema locale (sia esso rurale o agro-alimentare) genera un insiemedi risorse contestuali che vengono in qualche misura condivise dalle imprese e dagli altri soggetti che operanonel territorio e che risultano legate da un nesso soggettivo, cioè da un campo di caratteri soggettivicondivisi; risorse che non sono accessibili allo stesso modo dai soggetti esterni al territorio e che per questoassumono la natura di beni pubblici locali specifici (Bellandi, 2003).Le principali “risorse distrettuali” di cui le imprese possono godere sono identificabili nella specializzazionesulle singole fasi del processo produttivo o in processi produttivi in qualche misura tra loro complementarie interrelati, nella disponibilità di servizi specifici sul territorio, nella presenza di reti di relazioni sostenuteda un clima di fiducia che agevola le transazioni tra le imprese stesse, nella facilità di circolazione delleinformazioni, nella disponibilità di capitale umano specializzato, nella costituzione di un capitale reputazionaleverso l’esterno goduto dal territorio in quanto tale.Si tratta di fenomeni ampiamente studiati nell’economia industriale e nella stessa economia agraria 3 , eche hanno dato origine a specifici interventi di politica industriale – nella consapevolezza che l’operatorepubblico può in qualche misura intervenire per consolidare, e secondo taluni anche per innescare, questi“effetti-distretto” – a partire dalla L. 317/1991 “Interventi per lo sviluppo delle piccole e medie imprese”,più volte modificata e integrata, con interessanti applicazioni anche nel comparto agro-alimentare.L’estensione del concetto di distretto al “rurale” – dunque a un territorio rurale, andando al di là di specifichefiliere produttive localizzate, sia pure importanti, contenute al suo interno – ha suscitato un grandeinteresse da parte delle istituzioni e delle collettività locali, anche se dal punto di vista concettuale essaimpone alcune riflessioni.Parlare di distretto rurale implica infatti di considerare una molteplicità di attività economiche presenti inun territorio, diversificate ma fortemente integrate e interdipendenti, individuando il fondamento dellacompetitività nelle loro complementarità secondo la logica delle economie di scopo. Altro snodo concettualeè quello di concepire il territorio nella sua integrità, dunque non solo come luogo che “ospita” attività economiche(sia pure ad esso fortemente collegate, come nel caso delle attività agricole) ma come supporto aun insieme articolato e complesso di funzioni di tipo sociale e ambientale cui concorrono non solo impresema anche “non imprese”.Sono proprio queste risorse territoriali che hanno una origine collettiva (si pensi al paesaggio, alla qualitàdell’ambiente, alle tradizioni ivi comprese quelle di tipo gastronomico, alla reputazione condensata nel3 Numerosissimi sono i lavori nel campo dell’economia industriale, si veda per tutti il lavoro seminale di Becattini (a cura di, 1987). Nell’ambito dell’economiaagraria si vedano ad esempio i saggi contenuti in CNEL (2000) e in Basile e Romano (2002), nonché i lavori di Basile e Cecchi (2001), Cecchi(2002), Becattini (2000), Fanfani e Montresor (1991), Iacoponi (1990, 1994, 1997, 2000, 2002), Fabiani (2000), Masini (2001), Pacciani (2002.b),Saraceno (1993); De Rosa (1997 e 2000).20 RETE<strong>LEADER</strong>


“nome” geografico del territorio), e che collettivamente devono essere mantenute e riprodotte, ad essererilevanti per processi di sviluppo rurale “di qualità”, volti alla creazione di valore mediante la esaltazionedegli aspetti che legano i prodotti e i servizi alla qualità del territorio e dunque alla sostenibilità dei processiche in esso si svolgono.Peraltro, la connotazione del distretto rurale deriva dalla sua capacità di offrire un insieme composito eintegrato di beni e servizi che traggono la propria specificità dal contesto di provenienza. Risulta dunquecentrale il carattere relazionale dei beni e dei servizi offerti, in quanto il valore di un bene dipende dallivello dell’offerta e dalla “qualità” degli altri beni e servizi offerti nell’ambito del medesimo territorio(Pecqueur, 2001).Tra i caratteri peculiari di un distretto rurale vi sono quindi (Pacciani, 2003):- struttura produttiva fortemente caratterizzata dalla presenza di un elevato numero di piccole e medieimprese;- assenza di un settore economico e di una produzione dominante, in grado di catalizzare l’interessedegli operatori pubblici e privati (polisettorialità);- forte caratterizzazione agricola dell’uso delle risorse locali e centralità dell’agricoltura negli assetti delterritorio e nella gestione del paesaggio e dell’ambiente, sia pure a fronte di un contributo dell’agricolturaall’occupazione e alla formazione del reddito non necessariamente rilevante;- integrazione e interdipendenza tra agricoltura e altre attività economiche presenti nel territorio (artigianato,turismo, ecc.);- presenza di un paniere (più o meno ampio) di beni e servizi legati al territorio, caratterizzato da unaimmagine positiva verso l’esterno che deriva anche dalla percezione della “qualità” stessa del territorioed è strettamente legata alla <strong>rurali</strong>tà e al carattere multifunzionale dell’agricoltura;- forte senso di identità territoriale posseduto dalle imprese e dagli altri attori presenti nel territorio (ivicompresi i cittadini), il quale è alla base di una visione dello sviluppo locale fortemente dipendentedalla qualità dell’ambiente, del paesaggio, della cultura locale. Ciò – pur non escludendo la presenzadi interessi diversi e di visioni contrastanti sui percorsi di sviluppo e sulle scelte da intraprendere – puòfacilitare la composizione dei conflitti intorno a una visione condivisa, la quale deve essere promossadall’operatore pubblico.Il vantaggio competitivo di cui possono godere le imprese del distretto rurale ha le sue basi in elementi ditipo contestuale e nella particolare struttura relazionale e reticolare che si viene a creare tra diversi agentidel distretto stesso, non solo appartenenti al medesimo settore produttivo ma tipicamente a settori diversi:una impresa decontestualizzata dal distretto è destinata a perdere gran parte della sua capacità competitiva.Al distretto rurale si applica perfettamente questa sottolineatura di Garofoli (2001, p. 213) circa il ruolodel territorio per il distretto industriale: “Il territorio dei <strong>distretti</strong> industriali consente di utilizzare vantaggicompetitivi dinamici alle imprese che vi sono localizzate. Il territorio, come luogo dell’interazione dellerelazioni sociali, come luogo di riproduzione delle conoscenze, come luogo di produzione di specifiche com-RETE<strong>LEADER</strong> 21


petenze e risorse altrove non utilizzabili, consente l’utilizzo di economie esterne all’impresa, ma interne alsistema locale, come un bene pubblico con accesso indifferenziato ai vari operatori e spesso a «costo zero»per le imprese”.Ciò implica dunque di considerare come essenziale e preliminare la dimensione della riproduzione delcapitale fisico e del capitale sociale in una logica di endogenità e sostenibilità dei percorsi locali di sviluppo:il distretto rurale, sia come soggetto economico che come oggetto di politica economica e più in generale diuna azione pubblica coordinata di supporto, può dunque rappresentare un ambito di riferimento in cuirisulta favorita la realizzazione di processi di sviluppo rurale di tipo endogeno, sostenibile e integrato,secondo la definizione ormai consolidata nell’ambito delle politica comunitaria, mediante una cooperazioneistituzionale tra Stato, Regione ed Enti locali finalizzata ad accompagnare le specifiche dinamiche delsistema produttivo territoriale in questione (Pacciani, 2002).Da qui l’emergere di una “doppia anima” del distretto: quella di peculiare modalità di organizzazione dell’economiarurale e dunque di modello di sviluppo, e quella di strumento di governance dei profondi processidi trasformazione in atto nelle aree <strong>rurali</strong>.4. La governance rurale4.1. Distrettualità e governanceIl tema della governance delle aree <strong>rurali</strong> è emerso con grande forza nell’ultimo decennio anche all’internodello studio dei processi di sviluppo rurale 4 .Il nostro obiettivo è qui quello di proporre alcune brevi riflessioni alla luce delle tematiche distrettualisopra esaminate, tenendo conto che – come argomentato da Bellandi (2003) – “uno sviluppo localedecentralizzato è sostenibile in senso produttivo, ambientale e sociale se accompagnato da un insiemeadeguato di beni e servizi pubblici specifici di varia natura e organizzazione”, e che in tale contesto i meccanismidi governance locale divengono fondamentali quando, mediante il consenso attivo di coloro chepiù direttamente beneficiano della fornitura dei beni specifici locali, diviene possibile la costituzione e lagestione di tali beni specifici locali (caso distinto da quello in cui sono agenzie sovraordinate che operanocon strumenti coercitivi a fornire il bene pubblico) (Bagnasco, 1999).Inoltre, nel processo di sviluppo locale si riconosce oggi agli attori locali la capacità di valorizzare, conazioni innovative, le risorse locali collettive intrattenendo nello stesso tempo rapporti con l’esterno, al finedi produrre benefici che vengono mantenuti all’interno dell’area. Secondo Sivini (2006), si abbandona inquesto modo la logica gerarchica che rende lo Stato regolatore sovraordinato agli altri soggetti (government)e allo stesso tempo si richiede ai vari soggetti di partecipare ai processi di governance in quanto4 Si vedano i numerosi contributi sul tema contenuti in: Cavazzani A., Gaudio G., Sivini S. (2006).22 RETE<strong>LEADER</strong>


tutti dotati di risorse specifiche, di potere da esercitare, di responsabilità da assumere riconoscendo loro lapossibilità di usufruire dei benefici attesi dall’esito delle stesse policies.Lo stesso termine governance invece che governo implica un passaggio di “regime” di regolazione.Governo richiama maggiormente una struttura formale di decisione (Mantino, 2006), mentre il terminegovernance indica il processo di elaborazione, determinazione, realizzazione e implementazione di politichecondotto secondo criteri di concertazione e di partenariato tra soggetti pubblici e soggetti privati, all’internodi un determinato territorio (Sivini, 2006).Seguendo Di Iacovo e Scarpellini (2006), il termine governance indica un modello organizzativo e decisionalecapace di mobilizzare le risorse umane ed istituzionali presenti in un territorio dato, al fine di stimolaremodalità partecipative nei processi di decisione che consentono l’accesso alle risorse locali e la rappresentazionedi interessi molteplici. Esso dunque si oppone a modelli gerarchici di decisione, quali quelliconosciuti nei sistemi democratici occidentali, dove la funzione di guida del governo si confronta con leregole dell’economia di mercato.In questa chiave il sistema locale rurale, di cui il distretto rurale costituisce una delle espressioni più significative,può essere visto – ancora più che per le aree a vocazione industriale o urbana – come “un sistemacomunitario di risorse organizzate collettivamente, ovvero una organizzazione collettiva governata da unacomunità di interessi, in possesso di regole per la gestione e la difesa in comune delle risorse” (Iacoponi,1998, p. 54), risorse da cui derivano benefici localizzati intrasportabili derivanti dalla specificità del capitalefisico (territorio naturale e territorio patrimoniale, inteso come frutto della sedimentazione storica) edel capitale sociale (territorio come espressione della cultura locale) (Dedeire, 1995). Lo sviluppo rurale sicaratterizza per la compresenza di un insieme diversificato di attività agricole e non agricole che presentanoelevati livelli di interdipendenza e che traggono complessivamente beneficio dalla “qualità” complessivadell’ambiente locale e di un insieme di altri beni pubblici locali; in tale contesto devono essere le impresedel distretto, unitamente agli altri soggetti locali portatori di interesse collettivo (dalle amministrazionipubbliche locali alle forme di rappresentanza dei cittadini, alle organizzazioni di imprenditori) che contribuisconocollettivamente a creare e a conservare tali beni pubblici locali, ai quali le stesse imprese attingonoper la realizzazione dei propri processi produttivi e per la qualificazione dei propri prodotti (beni e servizi)(Mollard, 2001; Belletti, Marescotti e Scaramuzzi, 2002).4.2. Dal governo alla governanceNelle aree <strong>rurali</strong> la differenziazione dei modelli di sviluppo e la grande trasformazione delle politichesopra tratteggiate generano una molteplicità di possibili modalità di risposta all’evoluzione del contesto, eaprono dunque la possibilità di strategie alternative che gli attori locali – anche in contrasto gli uni con glialtri – possono adottare per la valorizzazione delle risorse territoriali.La differenziazione delle configurazioni assunte dalla nuova <strong>rurali</strong>tà rende ancora più evidente la necessitàdi studiare e adottare soluzioni tagliate su misura per i nuovi territori <strong>rurali</strong>, sulla base della qualitàRETE<strong>LEADER</strong> 23


delle risorse locali di tipo umano, sociale, economico, ambientale e così via. Mentre in passato il governodelle aree <strong>rurali</strong> (e di “governo” si parlava!) aveva a che fare in sostanza con gli agricoltori e le questioniagricole, oggi si è frammentato in una moltitudine di processi politici che riflettono le diverse istanze suglispazi <strong>rurali</strong> (Marsden e Murdoch, 1990; Murdoch et alii, 2003) lasciati liberi dal ritiro dell’agricoltura dallapropria posizione egemonica.Secondo tale prospettiva gli attori locali (imprese, cittadini, istituzioni) sono chiamati ad elaborare strategiee percorsi di sviluppo che consentano di valorizzare le risorse locali e in particolare le risorse locali specifiche,quelle risorse cioè che meno riescono ad essere riconvertite all’impiego in processi produttivi standardizzatie omologati e che difficilmente possono essere trasferite verso altri settori economici e/o versoaltri territori.Ciò implica la capacità di differenziare il proprio territorio rispetto agli “utilizzatori”, tanto diretti (popolazionelocale, imprese, turisti) che indiretti (consumatori dei prodotti), facendo leva sulle peculiarità siarispetto a ciò che è “indifferenziato” (prodotti di massa, prima di tutto) che rispetto a ciò che è “altrimentidifferenziato” (altri territori). La competitività si sposta in parte dalle imprese ai territori nel loro complesso.Brunori e Rossi (2007) individuano alcune principali condizioni di successo delle strategie di differenziazionerurale: il raggiungimento di un sufficiente grado di consenso tra i gruppi sociali locali rispetto allaindividuazione di una rappresentazione sociale della <strong>rurali</strong>tà (il “nesso soggettivo” richiamato nel par. 3),la capacità della comunità locale di condensare questo consenso in specifiche istituzioni sia formali cheinformali (norme, consuetudini, accordi¸ interventi di politica locale) che favoriscano il perpetuarsi delcoordinamento tra gli attori locali, e la capacità delle forze locali di costruire su questa base condivisa diconsenso sociale e forme istituzionali un adeguato sistema di governance, in grado di coordinare le relazionitra gli attori pubblici e privati all’interno del sistema, e tra questi e l’esterno.Ciò è tanto più necessario quanto più forte è il processo di perdita di uniformità del territorio rurale intornoall’agricoltura, il quale fa emergere elementi di contrasto tra attività economiche diverse oltre che tradiversi modi di rispondere alle sollecitazioni provenienti dall’esterno (ad esempio modelli di agricolturaomologata/standardizzata vs modelli di agricoltura multifunzionale e radicata al territorio).Importanti sollecitazioni alla realizzazione di forme di governance provengono anche dall’evoluzione dellepolitiche. È ormai condivisa l’esigenza di passare dalla politica dei grandi settori a politiche di sviluppointegrate elaborate su scala locale, volte a rendere i territori più caratterizzati e quindi più competitivi(Esposti e Sotte, 2002), da cui deriva una sollecitazione al cambiamento di metodo di definizione, di programmazionee di gestione degli interventi, che tenga in maggior conto le specificità territoriali e i desideratadella popolazione locale. Lo stesso libro bianco sulla Governance (Commissione CE, 2001) ricorda iprincipi alla base della buona governance: apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza,da applicarsi a tutti i livelli di governo: globale, europeo, nazionale, regionale e locale.In effetti, nel tempo il bagaglio degli strumenti di politica strutturale e rurale ha sempre più chiamato incausa i livelli nazionali e locali nella progettazione e (soprattutto) implementazione degli interventi.Questo processo di devolution è tuttavia solo agli inizi: il decentramento degli interventi attuato sinora24 RETE<strong>LEADER</strong>


dall’Unione Europea, pur avendo mosso importanti passi in avanti, si ispira tuttavia più ad una regionalizzazionedegli ambiti operativi e gestionali che non ad un regionalismo in senso pieno (Perraud, 2001),non investendo ancora cioè – se non marginalmente – le capacità di programmazione e di autodeterminazionedegli obiettivi ai livelli territoriali più bassi.Affinché sia realizzabile un pieno regionalismo delle politiche è necessaria la presenza di adeguate strutturedi governance territoriale che siano in grado di attivare e gestire un processo di allineamento degli attori<strong>rurali</strong> attorno ad una visione condivisa sugli obiettivi e sul modello di sviluppo (Iacoponi, 1997; Romano,2000; Di Iacovo, 2002).Un percorso che può essere reso più difficile dalle tensioni che si possono verificare all’interno di comunitàsociali. Infatti i processi di devolution e l’attivazione di meccanismi di governance rurale maggiormenteinclusivi non necessariamente generano effetti positivi, nonostante la retorica prevalente, e talvolta siaccompagnano ad elementi di crisi legati al modo in cui la società locale ed i portatori di interesse definisconogli assetti delle nuove coalizioni.Infatti i processi di devolution e l’attivazione di meccanismi di governance rurale maggiormente inclusivinon necessariamente generano effetti positivi, nonostante la retorica prevalente, e talvolta si accompagnanoad elementi di crisi legati al modo in cui la società locale ed i portatori di interesse definiscono gli assettidelle nuove coalizioni.Come fa rilevare Lucatelli (2006) tuttavia, anche a causa della riduzione delle risorse finanziarie disponibilil’integrazione delle diverse politiche (e la loro razionalizzazione) è ormai una condizione indispensabile,non soltanto tra politica di sviluppo rurale e politica regionale ma anche tra queste e le politiche “ordinarie”(ad esempio quella di welfare, quella per la ricerca e quella ambientale). Ciò implica nell’ambitodei territori un impegno sul lato della governance delle politiche (sia a livello centrale, che soprattutto alivello regionale), come anche sul lato dei meccanismi di trasparenza e di restituzione delle informazionicui sempre di più le politiche saranno chiamate a rendere conto, anche con un approccio territoriale.5. Le prospettive dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>: quali ruoli?5.1. La traduzione operativa del distretto rurale: alcuni possibili approcciÈ nel contesto appena delineato che deve essere collocata la riflessione sui possibili ruoli da attribuire ai<strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>, di cui la Legge di Orientamento agricola (d.lgs. 228 del 18.5.2001) ha posto le basi per laistituzionalizzazione, stabilendo all’art. 12 che i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> sono “sistemi produttivi locali … caratterizzatida un’identità storica e territoriale omogenea derivante dall’integrazione fra attività agricole o dipesca e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti conle tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali”.Si tratta di una definizione del tutto coerente con il modello di agricoltura multifunzionale e con le strategiedi sviluppo rurale di qualità di cui si è detto in precedenza. Lo stesso articolo 12 della Legge diRETE<strong>LEADER</strong> 25


Orientamento stabilisce inoltre che siano le Regioni a provvedere alla individuazione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>,ma esso non precisa però quali siano i compiti che ad essi debbano essere attribuiti né i criteri di delimitazionee di riconoscimento dei <strong>distretti</strong>. La definizione dei ruoli del distretto da parte di ciascuna Regionedovrà avvenire tenendo conto della integrazione di questo nuovo soggetto nella propria struttura istituzionalee di distribuzione delle competenze.La disposizione normativa offre molte opportunità per l’affermazione di strumenti di governance territorialeadatti ai cambiamenti di rotta delle politiche, ma solleva anche alcuni dubbi interpretativi, da risolvereal momento di procedere a dare attuazione concreta a questo strumento nelle singole realtà regionali.In effetti a oggi si riscontra un forte e diffuso interesse per le potenzialità dello strumento del distrettorurale, ma una altrettanto forte varietà di accezioni e interpretazioni sulle possibili funzioni e relativimodelli organizzativi (Belletti e Marescotti, 2005; Tarangioli, 2006).In questo ambito emergono tre possibili sfere di azione per i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>:- supporto all’organizzazione dell’economia rurale;- ambito di territorializzazione delle politiche;- strumento di governance locale “forte” (tanto verticale che orizzontale).Non si tratta di ambiti tra loro alternativi, piuttosto di modelli concentrici dove a) è contenuto in b) e c), edove b) è contenuto in c) (Fig. 1).Fig. 1 - Possibili sfere di azione per i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>Un modello di distretto rurale finalizzato al supporto all’organizzazione dell’economia rurale svolgerebbeun ruolo non solo e non tanto di potenziamento delle singole attività presenti al suo interno, bensì dirafforzamento dei caratteri del funzionamento del modello distrettuale. A differenza del distretto agro-alimentare,il distretto rurale sarebbe rivolto non a una singola filiera, ma alla rete di relazioni tra le diverse26 RETE<strong>LEADER</strong>


componenti dell’economia del territorio rurale, che tipicamente vengono individuate nell’agricoltura diqualità, nell’agriturismo e in altre forme di ospitalità rurale e di servizi alla persona, nell’artigianato, nellaprestazione di servizi ambientali e in generale nella valorizzazione della multifunzionalità, nonché nellafornitura di un insieme di servizi trasversali rivolti al miglioramento della qualità della vita della popolazionelocale.Le attività tipiche di questa tipologia di distretto rurale sarebbero lo svolgimento di attività di animazionelocale, la fornitura di servizi di tipo contestuale (servizi alle imprese, formazione del capitale umano,infrastrutture), la costruzione di panieri di beni e servizi legati al territorio, il supporto alla definizione distandard di qualità interni al sistema, e l’attività di promozione all’esterno. Un insieme di attività simili aquelle previste nell’ambito della L. 317/91 “Interventi per lo sviluppo delle piccole e medie imprese” esuccessive integrazioni, per cui il distretto rurale si verrebbe a configurare come una entità intermedia traun Centro di servizi e una Agenzia locale di sviluppo territoriale (Di Napoli e Vino, 2001).In un’accezione più ampia il distretto rurale può essere interpretato come un ambito di territorializzazionedelle politiche, vale a dire come possibile risposta all’esigenza di adattamento delle politiche di svilupporurale proveniente dai vari livelli istituzionali alle specificità locali.In questa chiave esiste una gradazione dell’intervento del distretto: da semplice attività di gestione di politichedi origine esterna (in grado comunque di generare guadagni di efficienza nel flusso di spesa e di controllo),ad una attività di territorializzazione (ovvero adattamento alle specificità locali) di politiche di origineesterna, che presuppone anche un certo grado di coordinamento dei diversi strumenti.Un terzo possibile approccio, che integra anche i due precedenti in una prospettiva più ampia, attribuisceinvece al distretto rurale un ruolo assai più pervasivo e legato al disegno della strategia di sviluppo complessivadel territorio rurale.Nel momento in cui la <strong>rurali</strong>tà viene riconosciuta dai soggetti locali come (un) “motore” dello sviluppolocale, il distretto da strumento di realizzazione di interventi più o meno puntuali di supporto alle impresediviene uno strumento di governance territoriale a tutto tondo. In questa prospettiva il distretto vieneassunto come il “luogo” in cui i soggetti locali (istituzioni, imprese, ma anche cittadini) possono elaborareun progetto di orientamento verso lo sviluppo rurale di qualità che interessa tutto il territorio (ivi compresitaluni aspetti di pianificazione).Tale percorso si attiva attraverso forme di governance orizzontale che sappiano coinvolgere tutti i soggettiattivi nel territorio mediante l’impiego di meccanismi partecipativi e concertativi. In questa prospettiva ildistretto potrebbe partecipare a pieno titolo anche a processi di governance verticale e confrontarsi conlivelli istituzionali superiori.5.2. La traduzione operativa del distretto rurale: alcuni problemi da risolvereL’ampliamento della rappresentanza all’interno del distretto rurale, e dunque la complessità della forma digovernance da impiegare, è uno degli elementi che differenzia le tre ipotesi di azione sopra elencate.RETE<strong>LEADER</strong> 27


Quanto più al distretto sono riconosciute funzioni di governance forte, e tanto maggiore sarà necessariauna partecipazione ampia e qualificata dei vari soggetti che a diverso titolo non solo sono portatori di interessenel funzionamento del territorio rurale, ma anche gestiscono le politiche e gli strumenti di programmazioneattivi sul territorio.A questo fine il distretto rurale dovrebbe poter orientare strumenti e politiche preesistenti verso le specifichelinee di sviluppo individuate per quello specifico territorio, in modo tale da armonizzare e coordinaretra loro i vari strumenti non solo di spesa, ma anche di pura programmazione. Si pensi, soltanto a titolo diesempio, ai Piani di sviluppo locale elaborati con il metodo Leader in attuazione del Regolamento CE sulsostegno allo sviluppo rurale, agli strumenti relativi all’applicazione dei Fondi strutturali (in particolare aiprogetti integrati che, nelle varie esperienze regionali, assumono denominazioni diverse: PIT, PIAR, PIA,PIAT, PISL, ecc.) e delle Iniziative comunitarie (quali il <strong>LEADER</strong> o l’INTERREG), agli strumenti di programmazionedei parchi e alle aree protette, ai Piani di sviluppo della montagna, ai Piani territoriali di coordinamento,ai Piani di settore e di filiera elaborati a livello regionale e subregionale, agli strumenti dellaprogrammazione negoziata (patti territoriali generalisti e tematici, contratti di programma, ecc.) (Conti,2005).A ben vedere, molti degli strumenti citati presentano caratteristiche analoghe a quelle che le Regioni possonoattribuire ai <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>. Questa almeno apparente analogia contribuisce in parte a spiegare ilmotivo per cui alcune Regioni non sembrano mostrare una particolare urgenza nel dare attuazione allanorma prevista dalla Legge di orientamento. Del resto anche l’interpretazione fornita dalle Regioni chefinora hanno provveduto a legiferare lascia aperti molti dubbi in tal senso, essendo spesso il distretto ruraleinterpretato come progetto pluriennale di sviluppo rurale, più o meno concertato, più o meno agricolo,ma il cui compito essenzialmente si esaurisce nel proporre un pacchetto di progetti attorno ad un’idea disviluppo forse sì condivisa, ma scarsamente innovativa e finalizzata spesso alla (più o meno concreta) speranzadi intercettare nuove risorse finanziarie.Inoltre, al distretto rurale non sono finora esplicitamente riconosciuti dalle Regioni, se non raramente,compiti di programmazione o di attuazione di provvedimenti di livelli gerarchici superiori (ad esempio l’attuazionesu scala locale del Piano di sviluppo rurale regionale) né di interazione con altri strumenti di programmazioneo pianificazione già operanti sul territorio.Tuttavia, seguendo il terzo approccio sopra menzionato che vede il distretto come uno strumento di governanceterritoriale, il distretto rurale (potenzialmente) si differenzia dagli altri strumenti nati per: dareattuazione a provvedimenti normativi concepiti da livelli superiori (come il regolamento sul sostegno allosviluppo rurale, o anche il Leader); proporre una tantum pacchetti di progetti destinati al finanziamento(come alcuni strumenti della programmazione negoziata); regolare solo alcuni aspetti e/o tipologie di attivitàdell’economia rurale (come i piani di filiera).In questa prospettiva il distretto rurale si pone in una zona di “alta concertazione”, prevedendo per il suofunzionamento una struttura di governance ampiamente partecipata, e di “alta autonomia nella definizio-28 RETE<strong>LEADER</strong>


ne degli strumenti”, nel senso che nella sua forma ideale spetta proprio alla collettività locale definire ilproprio progetto di sviluppo, dotarsi di una struttura organizzativa e identificare gli strumenti più idoneiper raggiungere i propri obiettivi. Alta concertazione e alta autonomia locale nella definizione degli strumenticaratterizzano l’area della governance in opposizione all’area del governo (Fig. 2).Fig. 2. Dal governo alla governanceAutonomia locale nella definizione degli strumentiBassa Media AltaBassaOCMConcertazione Media Piano di sviluppo ruraleAlta Patto Territoriale Leader, PIT distretto rurale(accezione “forte”)Il distretto rurale infine, sempre secondo l’approccio che lo vede strumento di governance locale verticale eorizzontale “forte”, si caratterizza per la potenziale “pervasività”, ponendosi l’ambizioso obiettivo digestire lo sviluppo rurale di un territorio. A questo proposito è necessario affrancarsi dall’ambiguità concettualeinsita nel termine stesso di rurale e chiarire la portata e il raggio di azione di cui i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>possono “legittimamente” disporre, strettamente legato poi alla definizione delle rappresentanze dellecategorie economiche e sociali locali cui è legittimamente concesso di partecipare ai processi di concertazionee di decisione degli interventi da prevedereÈ vero che se si considera la “fonte” normativa (un provvedimento cioè essenzialmente agricolo), nonpotremmo che dedurne che il distretto rurale deve occuparsi di agricoltura, e poco altro. Il distretto ruralein questo caso verrebbe interpretato nella sua chiave settoriale, ovvero come un settore agricolo “territorializzato”da indirizzare e gestire in maniera coordinata. Più ambizioso invece, come sta avvenendo nelleproposte di alcune istituzioni territoriali, è sposare il concetto di economia rurale come insieme di attivitànon più esclusivamente agricole, e che quindi estende i confini sull’insieme delle attività economiche di unterritorio avente caratteri specifici. La chiave allora sarebbe territoriale, ovvero il rurale come economiaplurisettoriale, diversificata e integrata sul territorio.Ai problemi di identificazione dei confini che interessano la tipologia di attività economiche e sociali riconducibilial distretto rurale si affiancano quelli relativi all’identificazione dei confini territoriali. AlcuneAmministrazioni regionali stanno predisponendo “zonizzazioni” basate sull’elaborazione di indicatori statisticidestinate a supportare e/o indirizzare il percorso di identificazione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> (e agro-alimentaridi qualità), con il rischio di costringere entro maglie troppo strette l’emergere di processi spontanei didefinizione dal basso. Altre hanno mostrato una maggiore flessibilità in tal senso, limitandosi a richiederel’esistenza di alcuni pre-requisiti e lasciando alle parti sociali il compito di autodefinirsi.RETE<strong>LEADER</strong> 29


5.3. Distretti <strong>rurali</strong> e Leader: alcune riflessioniObiettivi e caratteristiche dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> possono presentare forti collegamenti con il Leader, lo strumentoche negli ultimi anni ha forse più di ogni altro contribuito alla realizzazione di strategie di svilupporurale integrato. A seconda delle scelte che le Regioni faranno in merito alla definizione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>,tenuto conto della propria struttura istituzionale, si potranno in effetti determinare alcune possibili sovrapposizionidi funzioni oppure delle interessanti opportunità per lo sviluppo di sinergie tra i <strong>distretti</strong> e i soggettie gli strumenti già attivi nell’ambito dello sviluppo rurale integrato.Nel momento in cui le Regioni si orientino verso l’attribuzione ai <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> di funzioni non solo di supportoall’organizzazione dell’economia rurale quanto soprattutto di governance locale “forte”, appare evidentela distinzione tra i possibili ruoli del Leader e quelli dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>.In proposito è però fondamentale operare una distinzione tra lo strumento del Leader e il soggetto GALche ne è gestore nei territori <strong>rurali</strong>.Il Leader è infatti uno tra i tanti strumenti per lo sviluppo rurale, sia pure di grande significato per l’innovativitàdel particolare approccio che impiega. Come tale il Leader si deve muovere entro il binario obbligatodelle norme comunitarie e nazionali che ne regolano il funzionamento. Il Leader diviene dunque unodegli strumenti che un distretto rurale dovrebbe orientare e coordinare nel territorio di propria competenza,in funzione del raggiungimento di specifici obiettivi (Pacciani, 2003).Il Gruppo di azione locale può dare un importante contributo alla formazione e al funzionamento di undistretto rurale, anche nella sua accezione più “forte”, soprattutto laddove il GAL abbia maturato positiveesperienze nell’ambito del Leader e sia espressione di una partnership locale forte ed espressiva della molteplicitàdi interessi locali. Il patrimonio di relazioni, competenze e capacità di promuovere la concertazioneaccumulate da un GAL può essere fondamentale per l’avvio di un distretto rurale. In questo caso però ilGAL dovrebbe in parte ampliare le proprie funzioni di gestione di uno specifico intervento, qual è il Leader,per porsi obiettivi più ampi e generali. Dunque la partnership che si esprime nel GAL può essere il soggettoche assume l’iniziativa per la formazione di un distretto rurale, ma non può essere il distretto, almenonella sua accezione di strumento di governance “forte”. Il GAL può anche candidarsi ad essere “soggettogestore” del distretto rurale, anche laddove questo sia maggiormente orientato all’ipotesi di erogazione diservizi reali al sistema distrettuale. Interessanti, anche in questa prospettiva, possono essere le implicazionisui possibili ruoli dei GAL derivanti dall’integrazione dell’approccio Leader nell’ambito dei Piani di svilupporurale nella programmazione 2007-2013.In ogni caso il ruolo di attivazione, animazione e proposta di un distretto rurale può essere svolto da unGruppo di azione locale ma anche da qualsiasi altro soggetto operante per lo sviluppo rurale di un datoterritorio, Comunità montana, Provincia, Associazione di produttori e di imprese, Agenzia di sviluppo,Camera di commercio, Consorzio creato appositamente. La capacità di aggregazione della molteplicità disoggetti economici e istituzionali operanti nel territorio rurale rimane l’elemento chiave per il decollo deldistretto.30 RETE<strong>LEADER</strong>


6. ConclusioniA fronte della diversificazione dei sentieri locali di sviluppo che caratterizzano oggi i territori <strong>rurali</strong>, la formuladistrettuale, nella sua doppia anima di forma di organizzazione dell’economia rurale e di struttura digovernance per lo sviluppo rurale (Belletti e Marescotti, 2004), può contribuire a rafforzare il processo diautodeterminazione dei percorsi intrapresi dalle collettività locali e di valorizzazione delle risorse endogenedei territori, soprattutto se viene evitato il rischio di aumento di conflittualità a livello locale per il prevaleredi categorie di interessi forti a livello locale rispetto a categorie scarsamente rappresentate o abassa contrattualità (Di Iacovo e Scarpellini, 2006).Il distretto rurale infatti in primo luogo può contribuire a consolidare negli attori locali (pubblici e privati) ilsenso di appartenenza al territorio, favorendone per questa via la partecipazione e l’interazione; attraversol’attività di animazione ed informazione interna può creare le condizioni favorevoli all’integrazione sulpiano operativo, ponendosi come momento di aggregazione e confronto tra interessi diversi. L’attività diinformazione esterna permette inoltre di “dare voce alla <strong>rurali</strong>tà” (Brunori e Di Iacovo, 2006).Sulla base di queste premesse gli attori locali possono attivamente prendere parte al processo di decisioneche porta all’identificazione e condivisione di un unico progetto di sviluppo rurale per il territorio, provvedendosuccessivamente alla sua implementazione utilizzando anche (ma non necessariamente) le opportunitàdi finanziamento disponibili e partecipando attivamente al processo di formazione dei documenti diprogrammazione territoriale.La fissazione delle regole per la concreta traduzione operativa del concetto spetta tuttavia alle Regioni e/oagli attori locali interessati a perseguire questa strada 5 . In questo senso è lecito attendersi una certa eterogeneitàdi interpretazioni, come già è possibile evincere dalle prime esperienze regionali: il ruolo da attribuireal distretto rurale dipende infatti dal contesto istituzionale (che varia da Regione e Regione, non soloper quanto riguarda le caratteristiche della legge regionale ove esista, ma anche per quanto riguarda gliassetti istituzionali vigenti, in particolare la ripartizione delle deleghe ai livelli istituzionali più vicini al territorio)e gli obiettivi che concretamente vengono attributi al distretto.Di importanza centrale sarà allora, indipendentemente dalla tipologia di approccio al distretto rurale identificatanei singoli contesti territoriali, evitare duplicazioni di strumenti e metodologie di indirizzo e gestionedell’economia rurale sul territorio già sperimentate e/o attive.5 Non mancano infatti casi di <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> “spontanei”, ovvero realizzati ancora in assenza di un quadro normativo definito (nazionale e regionale). Siveda ad esempio il caso del distretto rurale della Maremma (Toscana) (Pacciani, 1998), o quello dei Colli Esini (Marche), <strong>distretti</strong> tra l’altro nati sullabase di esperienze diverse e seguendo percorsi diversi.RETE<strong>LEADER</strong> 31


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CAPITOLO IILA NORMATIVA DI RIFERIMENTO DELDISTRETTO RURALE EAGRO-ALIMENTARE DI QUALITÀE LO STATO DELL’ARTENELLE REGIONI ITALIANE 66 Serena Tarangioli (INEA). L’autrice ha pubblicato una prima versione del presente lavoro sul Bollettino delle Politiche Strutturali in Agricolturadell’INEA, n. 24/06.RETE<strong>LEADER</strong> 37


1. IntroduzioneA differenza di tutta una serie di modelli e strumenti tesi ad organizzare ed accompagnare i processi disviluppo locale messi a punto per affrontare specifiche problematiche ed esigenze del territorio o dellapolitica d’intervento, il modello distrettuale agricolo ha seguito un iter inverso. Le caratteristiche del sistemaproduttivo italiano, fortemente organizzato e ancorato ai territori, l’esperienza maturata con i <strong>distretti</strong>industriali, le esigenze di organizzazione di alcuni comparti agro-alimentari, hanno sviluppato, a fine anni’90, un forte dibattito scientifico intorno la possibilità di “distrettualizzare” il settore agricolo. Nello stessoperiodo, la Provincia di Grosseto decideva di sperimentare il modello istituendo il distretto Rurale dellaMaremma.Il riconoscimento normativo è arrivato solo più tardi con il decreto legislativo n. 228/01 "Orientamento emodernizzazione del settore agricolo a norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57", la cui finalitàera quella di dare alle Regione la possibilità di individuare e, successivamente, promuovere l’organizzazionedi sistemi locali e produttivi particolarmente caratterizzati dalla presenza di attività agro-alimentarie da un territorio con forti elementi di <strong>rurali</strong>tà sia nelle dinamiche socio-economiche sia nella strutturapaesaggistica.Il citato decreto legislativo definisce i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e quelli agro-alimentari di qualità:i primi, quali i sistemi produttivi caratterizzati da un'identità storica e territoriale omogenea derivantedall'integrazione fra attività agricole e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi diparticolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali;- i secondi, come aree produttive caratterizzate da significativa presenza economica e da interrelazionee interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agro-alimentari, nonché da una o più produzionicertificate e tutelate ai sensi della vigente normativa comunitaria o nazionale, oppure da produzionitradizionali o tipiche.La definizione di distretto agro-alimentare corrisponde in linea di massima a quella dei <strong>distretti</strong> industrialiistituiti dalla legge n. 317/91 (art. 36 modificato dall’art. 6 della legge n. 114/99), che attribuisce lostato di distretto ai territori in cui si riscontra:- una elevata concentrazione di imprese, prevalentemente, di dimensioni medio-piccole;- una peculiare organizzazione interna del sistema produttivo;- la specializzazione produttiva del sistema di imprese.Il distretto agro-alimentare coinvolge anche le imprese di produzione agricola e ne prevede il riconoscimentosolo nel caso in cui il sistema produttivo di riferimento sia incentrato su prodotti di qualità riconosciutidalla normativa comunitaria e nazionale, fortemente radicati al territorio di produzione e che abbianogià dato vita a un processo di relazione e integrazione delle attività produttive.Del tutto originale è, invece, la definizione di distretto rurale, il cui riconoscimento implica l’integrazionetra attività primarie e altre attività locali, la produzione di beni specifici, la dimensione territoriale omogenea,l’identità storica comune e un contesto produttivo e istituzionale fortemente integrato e interdipen-RETE<strong>LEADER</strong> 39


dente, tutti elementi difficilmente misurabili e non definibili univocamente. È certo che il distretto ruralenasce per dare “voce e vita” alle tante realtà <strong>rurali</strong> italiane lontane dai circuiti produttivi competitivi e chepossono contare esclusivamente sulle risorse endogene per innescare processi di sviluppo.Gli elementi per l’individuazione del distretto rurale sono multipli e multisettoriali, basati oltremodo suun’organizzazione ben precisa sia in termini economici sia sociali del contesto in cui si andrebbe a calare.Il dettato normativo, però, non va oltre la definizione delle due tipologie di distretto, demandando alleRegioni le modalità di individuazione e di istituzione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimentari di qualità.Ad oggi, le Regioni che hanno emanato una specifica normativa per il riconoscimento dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> eagro-alimentari di qualità sono otto.Leggi regionali relative ai <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> ed agro-alimentari di qualitàRegione NormativaLazio LR n. 3/06 Istituzione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimentari di qualitàSicilia LR n. 20/05 Misure per la competitività del sistema produttivoAbruzzo LR n. 18/05 Istituzione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>Calabria LR n. 21/04 Istituzione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimentari di qualitàPiemonte LR n. 26/03 Istituzione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimentari di qualitàToscana LR n. 21/04 Disciplina dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>Veneto LR n. 40/03 Nuove norme per gli interventi in agricoltura. Titolo III - Distretti <strong>rurali</strong> e agro-alimentaridi qualitàBasilicata LR n. 1/01 Riconoscimento ed istituzione dei <strong>distretti</strong> industriali e dei sistemi produttivi localiDGR n. 1931/03 Distretti <strong>rurali</strong> e agro-alimentari di qualità – Procedure per la loro individuazioneCalabria, Lazio, Piemonte e Veneto hanno recepito a pieno le disposizioni del decreto legislativo 228/01,prevedendo sia <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>, sia <strong>distretti</strong> agro-alimentari di qualità. La Liguria si è limitata all’individuazionedei <strong>distretti</strong> con legge regionale facendo riferimento diretto al decreto legislativo nazionale. LaRegione Basilicata, invece, ha esteso, con DGR n. 1931/03, la pre-esistente normativa per il riconoscimentoe l’istituzione dei <strong>distretti</strong> industriali al settore primario, affermando un concetto essenzialmente produttivisticodelle realtà distrettuali agricole, diversamente dalle altre Regioni che, sposando la disciplina nazionale,hanno di fatto legato il concetto, soprattutto quello di distretto rurale, alle vocazioni dei territori piuttostoche alla realtà produttiva e ai rapporti tra imprese nelle aree 7 . La normativa di Abruzzo e Toscanaprevede solo il riconoscimento dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>, mentre quella siciliana riconosce esclusivamente <strong>distretti</strong>agro-alimentari.7 I requisiti del modello distrettuale marshalliano, utilizzato in Italia per l’identificazione dei <strong>distretti</strong> industriali, sono i seguenti: concentrazione di impresedi piccole dimensioni specializzate nelle stesse produzioni o in attività ad esse complementari, scomposizione del ciclo produttivo, esistenza di rapportifiduciari tra imprese, ambiente socio-culturale omogeneo, dinamicità imprenditoriale e mobilità del lavoro, know how produttivo diffuso e specialistico,interazione tra sistema delle imprese e istituzioni locali.40 RETE<strong>LEADER</strong>


In tutti i casi, il riconoscimento dei <strong>distretti</strong> è finalizzato a promuovere e sostenere:- la nascita di relazioni tra imprese;- le iniziative di promozione e innovazione dell'immagine del territorio;- la concentrazione dell’offerta in una logica di filiera;- la promozione di attività conoscitive e informative finalizzate allo studio e al monitoraggio delle problematicheterritoriali;- l'aggregazione e il confronto tra gli attori locali;- il mantenimento e la crescita occupazionale;- la gestione integrata e partecipata delle politiche territoriali per migliorare la qualità del territorio;- la partecipazione degli organi distrettuali alla programmazione regionale.La disciplina di riconoscimento e le finalità di individuazione pongono il distretto agricolo come elementodi governo sia territoriale sia produttivo.Per quanto riguarda i criteri di definizione, la normativa regionale rimane vaga. Per i <strong>distretti</strong> agro-alimentaridi qualità, in genere, questa fa riferimento a:- l’omogeneità del contesto produttivo;- una significativa concentrazione di imprese e di PMI;- relazioni consolidate tra imprese e tra sistema produttivo e contesto istituzionale locale;- la presenza sul territorio di centri di ricerca, innovazione e formazione.L’unica eccezione è rappresentata dalla regione Sicilia che, nella legge di istituzione dei <strong>distretti</strong> agro-alimentari,ha definito precisi criteri di tipo quali-quantitativo per il riconoscimento del distretto: almeno 150imprese, 300 addetti e una capacità di commercializzazione pari al 15% dell’intera produzione regionaledel comparto di riferimento.L’identificazione del distretto rurale è meno omogenea. Per Calabria, Piemonte e Basilicata, infatti, gli elementipeculiari del riconoscimento sono maggiormente legati alle dinamiche produttive del territorio e alsistema di governance dei processi di sviluppo locale che possono emergere dall’istituzione di un distrettorurale:- la produzione agricola coerente con le vocazioni territoriali;- le relazioni consolidate tra imprese e tra sistema produttivo e contesto istituzionale locale;- l’integrazione tra l’attività agricola e le altre attività.Toscana e Lazio fanno riferimento anche all’omogeneità dell’identità storica e culturale del territorio candidato,estendendo il concetto di distretto fino a comprendere dinamiche non strettamente economiche chelegano l’attività produttiva alla realtà locale.Le differenze nella normativa regionale sono evidenti anche in termini di gestione del distretto. Nella normativadi Piemonte e Toscana non è specificato chi debba essere il soggetto gestore del distretto, mentre èstabilito che le Province si occupino della programmazione dei sistemi riconosciuti. Anche la normativa siciliananon fa alcun riferimento agli organi di gestione; individua, però, le funzioni e le modalità organizzative,attraverso un patto tra le imprese, approvato dalla Regione che ne verifica la compatibilità economi-RETE<strong>LEADER</strong> 41


ca rispetto agli strumenti di programmazione comunitaria, nazionale e regionale e finanziandone le azionipreviste. Il Lazio si limita a prevedere, nell’ambito del Piano di distretto, la descrizione della forma organizzativa,del soggetto gestore e delle sue funzioni.Basilicata e Liguria prevedono l’istituzione di un Comitato di distretto composto da imprenditori, sindacati,rappresentanti degli Enti locali e rappresentanti delle Camere di commercio (solo Basilicata) e da espertidel settore (solo Liguria).Le legislazioni di Veneto e Abruzzo non specificano né gli elementi per il riconoscimento dei <strong>distretti</strong>, né irelativi organi di gestione, rimandando tali materie ad ulteriore provvedimento normativo.2. I <strong>distretti</strong> riconosciutiA sei anni di distanza dall’emanazione del d.lgs. 228/01 è possibile tracciare una prima mappa dei<strong>distretti</strong> agro-alimentari e <strong>rurali</strong> italiani 8 (tab. 2 e fig. 1).Ad oggi, sono stati ufficialmente riconosciuti sette <strong>distretti</strong> agro-alimentari e quattro <strong>rurali</strong> (tre in Toscana euno nel Lazio).Atto di riconoscimento e denominazione ufficiale <strong>distretti</strong>Regione Riferimento normativo denominazioneBasilicata DGR n. 1444 del 28/07/03 distretto agroindustriale del VultureDGR n. 855 del 12/10/04 distretto agro-alimentare del Metapontino e dei Fondovalle irriguiCalabria LR n .21/05 distretto agro-alimentare di qualità di SibariLazio LR n. 3/06 distretto rurale Monti CiminiLiguria LR 42/01 distretto agricolo florovivaistico del Ponente LigurePiemonte DGR n. 18-12449 del 10/05/04 distretto floricolo del Lago MaggioreDGR n. 35-6184 del 18/06/07 distretto del risoDGR n. 35-6184 del 18/06/08 distretto agro-alimentare orticoloToscana DGR n. 549 del 3/06/03 distretto rurale della MaremmaDec.ass. n. 5001 del 26/10/06 distretto rurale Vivaistico-ornamentale Provincia di PistoiaDec.ass. n. 5002 del 26/10/06 distretto floricolo interprovinciale Lucca-PistoiaGli elementi che hanno portato all’individuazione e al riconoscimento dei <strong>distretti</strong> sono estremamente differentitra Regioni, in quanto non esiste ancora una metodologia univoca di identificazione delle caratteristichedistrettuali. Infatti, se i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> toscani nascono per creare occasioni di sviluppo del territoriodelle Province a forte vocazione rurale, nel Lazio risponde ad esigenze di sviluppo di un territorio ricco distoria e tradizione.8 Come si evince dal presente quaderno, non sempre l’istituzione di un distretto agro-alimentare è dipesa dall’emanazione di una specifica disciplina giuridicaregionale, questo a sottolineare il carattere indipendente e spontaneo del sistema organizzativo in oggetto.42 RETE<strong>LEADER</strong>


Per quanto riguarda quelli agro-alimentari di qualità, tutti sembrano svilupparsi dal forte radicamento territorialedell’attività produttiva di riferimento, l’industria delle bevande (vino e acque minerali) nelVulture, le produzioni ortofrutticole nel Metapontino, nella piana di Sibari e nell’Alessandrino, il florovivaismonei <strong>distretti</strong> del Ponente Ligure e del Lago Maggiore, la tradizionale coltura risicola delle Province piemontesi.Differenti sono però gli schemi di identificazione delle aree distretto, delle imprese e degli occupatidi riferimento, dei soggetti che ne fanno parte.La territorializzazione dei <strong>distretti</strong> riconosciuti a norma dell’art. 7 della legge n. 57/01I <strong>distretti</strong> agro-alimentari di qualità identificati si presentano con caratteristiche estremamente differenti alivello sia territoriale sia produttivo (tab. 3). Infatti, se il distretto del Ponente Ligure presenta forti carat-RETE<strong>LEADER</strong> 43


Le caratteristiche dei <strong>distretti</strong> riconosciutidistretto Popolazione Superficie Aziende SAU Addetti UL Addetti Agriturismiagricoltura agro-aliment. agro-aliment.Agroindustriale del Vulture 82.501 1.137 11.124 73.724 2.634 159 1.565 2su totale Regione 14% 11% 14% 14% 12% 15% 34% 1%Agro-alimentare del Metapontino 89.691 1.225 12.977 74.281 5.994 161 483 91su totale Regione 15% 12% 16% 14% 28% 15% 10% 53%Agro-alimentare di qualità di Sibari 209.309 1.823 27.199 87.131 12.557 397 1.093 34su totale Regione 10% 12% 14% 16% 17% 12% 12% 26%Rurale dei Monti Cimini 175.493 1.404 19.516 77.823 3.984 268 1.060 11su totale Regione 3% 8% 9% 11% 6% 7% 5% 6%Agricolo florovivaisticodel Ponente Ligure 477.766 2.702 25.224 39.120 13.291 943 3.574 53su totale Regione 30% 50% 57% 60% 68% 39% 36% 47%Floricolo del Lago Maggiore 163.953 683 1.190 6.837 1.443 175 752 11su totale Regione 4% 3% 1% 1% 2% 3% 2% 3%Agroalim. di qualità del settore orticolo 339.393 2.101 14.295 136.156 7.095 482 3.347 25su totale Regione 8% 8% 12% 13% 9% 9% 8% 8%distretto del riso 399.258 2.349 5.789 164.214 7.291 503 4.236 9su totale Regione 9% 9% 5% 15% 9% 9% 11% 3%Rurale della Maremma 211.086 4.506 18.015 206.580 9.583 423 2.051 425su totale Regione 6% 20% 13% 24% 16% 10% 9% 19%Rurale vivaistico-ornam. prov. Pistoia 141.878 369 7.310 11.828 3.456 163 766 24su totale Regione 4% 2% 5% 1% 6% 4% 3% 1%Floricolo interprov. Lucca - Pistoia 389.672 1.852 18.197 30.878 6.191 495 2.573 95su totale Regione 11% 8% 13% 4% 11% 12% 11% 4%Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT annate varie44 RETE<strong>LEADER</strong>


teri di <strong>rurali</strong>tà e concentra oltre la metà delle attività agricole liguri, tutti gli altri sono un tassello dellerelative realtà produttive regionali, in cui l’attività primaria si presenta particolarmente specializzata.Quello del Lago Maggiore, pur rappresentando la quasi totalità del comparto floricolo piemontese ed essereestremamente importante per l’economia dell’area è poco rappresentativo in termini di agricolturaregionale.Nel distretto agro-industriale del Vulture, oltre a una intensa attività agricola, si registra una forte concentrazionidi addetti all’industria agro-alimentare (pari al 34% degli occupati regionali). I tre <strong>distretti</strong> ortofrutticoli(Metapontino, Piana di Sibari e provincia di Alessandria) sono caratterizzati da un’alta presenzadi imprese agricole specializzate e di addetti all’agricoltura, vista anche l’intensità di lavoro che prevedequesto comparto. La stessa incidenza sui fattori produttivi è presente anche nel distretto risicolo delPiemonte.Per quanto riguarda i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>, la situazione è assai diversificata tra Regioni e aree in cui essi sonolocalizzati, infatti sia in termini di insediamento umano sia di sviluppo socio-economico presentano innumerevolidifferenze.Nel caso laziale il territorio, prossimo al comune di Roma, risulta ad alta densità insediativa, dipendente intermini economici dalla capitale, l’agricoltura è poco specializzata ma radicata nell’economia locale, inoltreè forte il legame con il paesaggio e le tradizioni delle popolazioni locali.Anche il distretto maremmano, che raccoglie tutti i comuni della Provincia di Grosseto, è un’area a fortevocazione rurale e si distingue dagli altri soprattutto la presenza di un’agricoltura fortemente multifunzionale,diversificata e integrata con il settore turistico ma presenta una bassissima densità della popolazione.Il distretto floricolo-ornamentale della provincia di Pistoia si rivolge ad un territorio poco dipendente dalsettore agricolo ma, nonostante ciò, fortemente specializzata così come il distretto interprovinciale di Luccae Pistoia, anche se l’alta presenza di aziende agricole e agro-alimentari fa pensare più ad un distrettoagro-alimentare che rurale.La normativa nazionale e quelle regionali hanno portato, prevalentemente, al riconoscimento di <strong>distretti</strong>agro-alimentari di qualità, inoltre, come dicevamo, i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> si presentano estremamente eterogenei.Ciò sembra far emergere una certa difficoltà nell’individuazione dei criteri di definizione del distrettorurale e, nel caso essi siano stati stabiliti, nell’individuare realtà produttive territoriali in cui si ritrovino lecaratteristiche previste. Infatti, nonostante più territori abbiano avanzato proposte per l’istituzione di<strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> (Polesine, Pollino, solo per fare qualche esempio), si è notata la difficoltà di Regioni eProvince nell’identificare i criteri di riconoscimento. Per sua natura il modello distrettuale è caratterizzatoprincipalmente da dinamiche economiche (tra produttori, del sistema produttivo prevalente con i settori amonte e a valle, del sistema produttivo con la società civile), le quali sono sicuramente presenti in ambitoagro-alimentare. Il distretto rurale, invece, ha una natura differente, vede coinvolto il sistema produttivoma anche il contesto (naturale, paesaggistico, sociale, culturale, ecc.) in cui tale sistema agisce. Quindi ildistretto rurale più che essere uno strumento di sviluppo locale, è un modello organizzativo, uno strumentodi governance di un’economia che è riuscita a “monetizzare” il proprio contesto e che si organizza perRETE<strong>LEADER</strong> 45


aumentarne la competitività. Il dettato normativo è chiaro nel definire il modello, forse lo è meno il contestorurale italiano che tra problemi di sviluppo e problematiche organizzative necessita di altri strumenti,come per esempio quelli promossi con l’approccio Leader, maggiormente orientati ad innescare dinamichedi sviluppo che, con il tempo, potrebbero trasformarsi in strumenti più complessi, e perché no, in areedistretto come, per esempio, sta succedendo per l’area dei Colli Esini nelle Marche.3. Il ruolo dei <strong>distretti</strong> nella programmazione agricola nazionale eregionaleI <strong>distretti</strong> agricoli vengono proposti, dalla normativa nazionale e regionale, come strumento di sviluppo egestione di un settore produttivo di particolare qualità, nel caso dei <strong>distretti</strong> agro-alimentari, o con peculiaricaratteristiche produttive e culturali, nel caso dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>. In generale, l’individuazione del distrettoavviene con un approccio di tipo bottom up, finalizzato a consolidare e sviluppare ulteriormente larealtà produttiva locale rispetto al contesto in cui si sviluppa.Le Regioni che hanno adottato una legge sui <strong>distretti</strong> agricoli sembrano aver voluto dar loro un ruolo diprimo piano nell’ambito della programmazione economica regionale. I <strong>distretti</strong>, pertanto, sono ritenutiinterlocutori privilegiati nel partenariato socio-economico chiamato a esprimersi su piani e programmi disviluppo economico regionale.I <strong>distretti</strong> agricoli giocano un ruolo primario anche rispetto alla programmazione e all’attuazione dellepolitiche di sviluppo rurale 2007-2013. Le interrelazioni e l’atmosfera cooperativa prevista, nella normativaregionale, per l’ottenimento dello status distrettuale potrebbero favorire processi di sviluppo settorialea livello locale, indirizzando la programmazione regionale verso gli effettivi bisogni del settore produttivo.Inoltre, il nuovo regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale (Reg. (CE) 1698/2005) potrebbe agevolarefortemente il riconoscimento della distrettualità agricola, favorendo la cooperazione e l’integrazione deisoggetti produttivi e degli attori locali. Nell’asse competitività, infatti, è prevista la promozione della cooperazionetra settore primario, industria di trasformazione e altri soggetti (soprattutto mondo della ricerca)al fine di sviluppare nuovi prodotti, processi e tecnologie nei settori agricolo, alimentare e forestale.Pur non facendo riferimento esplicito ai cluster produttivi, il regolamento sembra dar voce alle realtà produttivedi filiera che, nella legislazione italiana, possono configurarsi anche con una dimensione territorialedi sistema produttivo locale. Le Regioni che hanno riconosciuto i sistemi produttivi agricoli potranno,attraverso una specifica misura di finanziamento del PSR, garantire risorse per il consolidamento dellepartnership territoriali finalizzato all’innovazione dei processi e dei prodotti agro-alimentari e forestali.Il ruolo dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>, invece, emerge dalle linee guida comunitarie in materia di politiche di coesione,che prevedono di concentrare l’intervento a favore delle zone <strong>rurali</strong> in poli di sviluppo delle aree <strong>rurali</strong> perdar vita a gruppi economici che associno le risorse locali (…). Anche in questo caso, i <strong>distretti</strong> potrebberocostituire un punto di riferimento per l’introduzione di innovazioni e lo sviluppo locale, facendo leva suprogetti strutturati secondo l’approccio Leader o su strategie integrate di sviluppo locale e finalizzati, nello46 RETE<strong>LEADER</strong>


spirito della definizione del decreto legislativo 228/01, al miglioramento della qualità della vita e alladiversificazione dell’economia delle aree <strong>rurali</strong>.L’integrazione tra imprese è un tema chiave anche del Piano Strategico Nazionale per lo Sviluppo Rurale2007-2013, che pone l’accento su strumenti capaci di integrare imprese e territorio (filiere, <strong>distretti</strong> produttivi)e creare strategie di sviluppo attraverso l’utilizzo coordinato delle misure messe a disposizionedalla politica di Sviluppo Rurale.Rispetto a queste prerogative strategiche della politica di sviluppo rurale i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimentaridi qualità possono giocare un ruolo di rilievo nello sviluppo del settore agricolo e dei territori <strong>rurali</strong> italiani.RETE<strong>LEADER</strong> 47


BibliografiaCNEL, Distretti <strong>rurali</strong> ed agro-alimentari di qualità: il manifesto di Matera alla luce delle nuove politiche disviluppo rurale – Osservazioni e proposte, Assemblea CNEL 29/03/2007CNEL, II Rapporto sull’agricoltura: l’agricoltura tra locale e globale, Distretti e filiere, Roma, 2000.Montresor E., Pecci F., Regioni e <strong>distretti</strong> agro-alimentari e <strong>rurali</strong>, in Agriregionieuropa n.1/05.http://agriregionieuropa.univpm.it/Tarangioli S., I <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimentari di qualità, in Bollettino dell’OPS n. 24/06, INEA Roma.48 RETE<strong>LEADER</strong>


CAPITOLO IIIALCUNE METODOLOGIEDI INDIVIDUAZIONE DELLE AREEDISTRETTUALI 99 Laura Aguglia (INEA).RETE<strong>LEADER</strong> 49


1. IntroduzioneUn contributo dal punto di vista metodologico al processo attraverso il quale si individua, delinea e costruisceun distretto, può provenire da una lettura trasversale della letteratura esistente e della documentazioneprodotta dai vari soggetti che a diverso livello si stanno occupando di questo argomento, dal mondoscientifico, alle Regioni con la normativa emanata a tal fine, ai vari attori locali che più pragmaticamentesi cimentano da tempo con forme di organizzazione del territorio. In particolare, poi, la riflessione propostain questo lavoro intende comprendere anche l’apporto che l’iniziativa comunitaria Leader+ può fornirenell’indirizzare le politiche, le istituzioni locali, gli attori locali verso l’utilizzo di uno strumento di governancedel territorio quale il distretto.In questa ottica, più in dettaglio, si esaminerà il modello di individuazione del distretto rurale propostodall’Istituto Tagliacarne, il quale ha elaborato una metodologia sperimentale per la costruzione di unamappatura nazionale dei <strong>distretti</strong> agro-alimentari e <strong>rurali</strong>; si effettuerà un raffronto tra i principi ed i criterimetodologici presenti nelle leggi delle regioni italiane che fino ad oggi hanno emesso una normativaspecifica dedicata al distretto, in applicazione della normativa di livello nazionale (d.lgs. 228 del 2001);partendo dall’esempio di un distretto “spontaneo”, vale a dire nato in assenza di un quadro normativoregionale di indirizzo e frutto delle attività promosse dal Leader +, verranno proposte alcune riflessionisull’interazione tra aree distrettuali e aree Leader.Attraverso l’analisi di questi contributi metodologici si intendono mettere in luce alcuni concetti ed aspettisignificativi che potrebbero guidare e supportare il processo di costruzione di un distretto rurale, sebbenealla base di ciascun processo vi debba essere la considerazione che ogni territorio presenta problematicheed esigenze del tutto peculiari, ma soprattutto che è fondamentale una domanda prima di tutte, se ènecessario o utile o adatto per il territorio la costituzione di un distretto, domanda sulla quale si ritorneràalla fine del documento.2. Un breve richiamo alla definizione di distretto rurale“Si definiscono <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> i sistemi produttivi locali caratterizzati da identità storica e territoriale omogeneaderivante dall’integrazione tra attività agricole e altre attività locali, nonché dalla produzione dibeni e/o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali”.Questa definizione è quella presente nel d.lgs. 228/01, normativa che a livello nazionale è intervenutaper la prima volta nel chiarire il concetto di distretto rurale, riferimento unico e univoco in materia, le cuinovità essenziali possono essere così sintetizzate:- si riferisce in maniera esplicita alla valorizzazione delle tradizioni culturali e delle vocazioni territorialie focalizza l’attenzione sugli aspetti sociali e di gestione del territorio;- è sottintesa la stretta integrazione tra il settore primario ed altri elementi, quali quelli culturali, sociali,storici, componenti degne della stessa attenzione.RETE<strong>LEADER</strong> 51


Il testo del decreto rappresenta un riferimento importante per caratterizzare il distretto rurale, in quantola metodologia di individuazione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> non è univoca in letteratura e soprattutto non vi è statoun approccio sistematico. Spesso essa è stata mutuata dalle esperienze di distretto industriale o dalla successivaapplicazione di questo al distretto agroindustriale (si veda al proposito Fanfani e Montresor, 1994).Con riferimento alla definizione di distretto agroindustriale, può essere utile riprendere solo brevemente ledeterminanti più significative che, paragonate con la definizione del distretto rurale presente nel Decreto228, fanno emergere, senza alcun bisogno di interpretazione o commento aggiuntivo, le differenze esistentitra i due concetti.Il distretto agro-industriale è, infatti, caratterizzato dalle seguenti componenti:- la specializzazione produttiva (determinato orientamento produttivo) complementare con altre produzionidell’area;- la contiguità spaziale delle aziende e la presenza di un tessuto produttivo compatto;- la scomponibilità e divisibilità dei processi produttivi;- un tessuto produttivo caratterizzato in prevalenza da piccole e medie imprese;- presenza di attività di trasformazione industriale dei beni prodotti dall’agricoltura.3. Un contributo scientifico: i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimentari di qualitàdell’Istituto G. TagliacarneLo studio dell’Istituto Tagliacarne rappresenta un lavoro sperimentale di individuazione di <strong>distretti</strong> siaagro-alimentari sia <strong>rurali</strong> su tutto il territorio nazionale. Si propone come uno strumento di supporto tecnicoalle Regioni e agli attori locali per l’individuazione delle aree, che fornisce “una lettura del mondo agricolo-ruralesia da un punto di vista territoriale che delle relazioni d’impresa, che supera necessariamenteuna chiave interpretativa esclusivamente vocalista”.La ricerca ha portato alla individuazione di 61 <strong>distretti</strong> agro-alimentari e di 28 <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>, ottenuti tramitel’analisi di dati desk di varie fonti e di un programma di cartografia (georeferenziazione) che prevedel’abbinamento tra dati statistici e mappatura delle aree. La mappatura ottenuta intende essere unabase conoscitiva ed un punto di partenza per la riflessione degli attori locali dello sviluppo ed anche unostrumento per i policy makers per la pianificazione delle strategie territoriali.Più in dettaglio, la metodologia si basa sulla costruzione di indicatori che esprimano i caratteri del distrettorurale così come definiti dal d.lgs. 228/01, considerando come unità territoriale minima di riferimento ilComune.52 RETE<strong>LEADER</strong>


Tab. 1 - Rispondenza delle variabili individuate con i concetti del d.lgs. n. 228/2001Tipologia di <strong>distretti</strong> Concetti del Decreto VariabiliDistretti <strong>rurali</strong> Identità storica e territoriale Utilizzo della superficie locale, delle produzioni prevalentie degli allevamenti; struttura abitativa, densitàdemografica; tipologia prevalente dei mezzi diproduzioneIntegrazione fra attività agricole Dinamiche di sviluppo dei settori agricoli, presenzae altre attività localidi agriturismiBeni o servizi coerenti con le Presenza di tradizioni e manifestazioni folkloristichetradizioni e le vocazioni naturali di prodotti tradizionali riconosciuti; presenza nelterritorialipassato di alcune forme contrattuali (latifondo, mezzadria,ecc.)Un primo set di variabili, quindi, si riferisce agli aspetti strutturali ed utilizza alcune variabili prese dalCensimento dell’Agricoltura del 2000. Le principali riguardano la superficie totale, la SAU, le aziende agricole,l’occupazione in agricoltura, i mezzi meccanici utilizzati, l’agriturismo, la densità abitativa e l’utilizzazioneurbana del suolo.A queste si affiancano le variabili che siano legate più strettamente alla vocazione e alle caratteristiche produttivedi un’area, quali la superficie utilizzata, gli allevamenti e coltivazioni, le unità produttive, il lavoro.Fig. 1 - Il percorso metodologico seguito per individuare e perimetrare le aree distrettuali <strong>rurali</strong> e agroalimetariFase preparatoriaPrima faseSeconda faseTerza faseFase conclusivaRaccolta informazioni e costruzione del sistema informativomAnalisi delle componenti principali ed elaborazione dell’indice sisteticomIndividuazione delle aree territoriali “ultra-rappresentative”mCluster analysis ed aggregazione delle aree di primo livellomAggregazione delle aree di secondo livello e perimetrazione del distrettomVerifica fieldDall’insieme delle due tipologie di variabili viene costruito un data-set di indicatori per evidenziare l’integrazionetra attività agricole, le altre attività locali e le vocazioni naturali e territoriali di un’area, composto da:- vocazione produttiva agricola: SAU/ST;- specializzazione agricola: orientamento colturale SAU/SAU totale;RETE<strong>LEADER</strong> 53


- scarsa incidenza di insediamenti urbani: tessuto urbano/ST;- scarsa pressione del tessuto sociale: densità demografica (popolazione residente/ST).La metodologia proponeva poi di scegliere gli indicatori maggiormente correlati al fenomeno preso inesame e tra di loro, che permettessero di individuare il Comune ultra-rappresentativo del distretto, per poiassociare ad esso tutte le altre unità con forte omogeneità, tramite la cluster analysis. Sono stati creatiquindi raggruppamenti di comuni progressivamente più “distanti” rispetto al gruppo iniziale più rappresentativoe ciò ha dato vita alla mappatura che è stata poi anche verificata e validata con una analisi fieldeffettuata con metodi qualitativi (interviste a testimoni privilegiati).Senza entrare ulteriormente nei dettagli della metodologia, è importante evidenziare quali sembranoessere le potenzialità ed i limiti di tale metodologia che, come già specificato, propone un approccio sperimentalee con delle finalità ben precise. Al fine di valutare se un tale processo possa far emergere appropriatamentele caratteristiche salienti di un distretto rurale si sottolinea che, come punti di forza, vi sono ladiagnosi approfondita iniziale delle caratteristiche del territorio basata sui dati strutturali dell’agricoltura edelle altre attività connesse con la <strong>rurali</strong>tà; inoltre, il metodo suggerisce una coerenza all’interno del territorioattraverso l’uso di indici di correlazione e somiglianza.Allo stesso tempo, si possono evidenziare alcuni punti di debolezza per gli aspetti che più profondamentecontribuiscono a delineare il distretto e per i quali è anche più difficile trovare indicatori, data la loro naturanon prettamente quantitativa. Mancano, infatti, adeguati indicatori per:- tradizioni e vocazioni naturali e territoriali;- produzioni tipiche o di nicchia altamente caratterizzanti (non rappresentate dall’indicatore di specializzazioneagricola);- presenza di relazioni sul territorio, presenza di istituzioni;- integrazione tra attività diverse da quella agricola;L’impressione è che, anche se dichiarata nelle intenzioni, la considerazione degli elementi sociali ed economicirisulti comunque limitata. L’uso prevalente di soli indicatori statistici può essere inadatto a descriveretutti i multiformi e complessi aspetti della realtà rurale e, soprattutto, a verificare gli effetti caratterizzantiil concetto di distretto.4. I criteri di individuazione del distretto contenuti nelle leggi regionalie l’esempio della Regione Toscana“Le Regioni provvedono alla individuazione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>”.Dalla rassegna sulle normativa sui <strong>distretti</strong> agro-alimentari e <strong>rurali</strong> emanata dalle Regioni, normativadescritta esaustivamente nel capitolo precedente, risulta che solo 8 Regioni italiane sulle 21 totali hannoemesso una legge di applicazione del d.lgs. n. 228/01. Evidentemente per questo ristretto gruppo diregioni il decreto ha rappresentato un’occasione da cogliere prontamente per l’utilizzo di uno strumento digovernance che rispondesse a delle esigenze locali già maturate. Per alcune Regioni, invece, la possibilità54 RETE<strong>LEADER</strong>


di delineare un distretto e la sua operatività è sembrata una “richiesta” proveniente dall’alto alla quale sideve rispondere.Analizzando le leggi regionali esistenti, emergono degli elementi comuni per la delineazione del distrettorurale che sono ispirati senza dubbio dalla definizione di distretto del decreto e che evidenziano quali sonogli aspetti ritenuti “caratteristici” di un’area distrettuale:a) la specificità delle produzioni locali (omogeneità di produzioni o filiere, certificazioni, tutele) e lorocoerenza con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali.b) l’integrazione tra attività agricole e altre attività economiche.c) la presenza di un sistema consolidato di relazioni tra imprese agricole e non e altri soggetti, quali istituzionilocali, finalizzate alla valorizzazione delle produzioni agricole, del turismo rurale, alla tuteladel territorio e del paesaggio rurale.Oltre a ciò, ciascuna Regione si è poi distinta per dei requisiti specifici sui quali si focalizza l’attenzione,come ad esempio:- la presenza di una offerta locale di servizi (assistenza tecnica e servizi di sviluppo) per soddisfare leesigenze di innovazione tecnologica e di formazione professionale per la valorizzazione del patrimonioagricolo e rurale (Calabria, Lazio, Piemonte);- il possesso, da parte delle imprese agricole, di risorse aziendali per attività di valorizzazione dei prodottiagricoli e del patrimonio rurale e forestale nonché di tutela del territorio e del paesaggio rurale(Calabria);- l’impatto sulle condizioni ambientali, sulla qualità della vita e del lavoro, sulla vitalità economica delterritorio (Toscana);- la memoria storica comune, l’identità storica e la paesaggistica omogenea (Toscana, Lazio).Nel processo di individuazione dei <strong>distretti</strong>, quindi, oltre ai requisiti di base, vengono delineati, da un lato,alcuni strumenti di cui il territorio deve dotarsi, sia di tipo economico che organizzativo, di accompagnamentoal percorso che porta alla costituzione dell’area distretto; dall’altro lato, viene sottolineata l’importanzadella tutela degli elementi ambientali e sociali del territorio.Nel complesso, comunque, la normativa regionale in tema di metodologia di individuazione dei <strong>distretti</strong> forniscetutt’al più un processo logico per le delimitazione dei caratteri del distretto, ma nella gran parte dei casirestano criteri molto generali. Restano perciò dei forti dubbi sulla dotazione, da parte delle regioni, di adeguatistrumenti per valutare le proposte di riconoscimento dei <strong>distretti</strong> provenienti dai singoli territori.In qualche caso le Regioni si sono dotate di una metodologia ben precisa con la quale i territori che si propongonocome distretto devono presentare le domande e di un sistema di indicatori per valutare tali domande.4.1 Il caso del distretto florovivaistico della Regione ToscanaLa delibera della Giunta Regionale Toscana n. 1269 del 13/12/2004 per il riconoscimento dei <strong>distretti</strong><strong>rurali</strong> stabilisce che il riconoscimento dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> è condizionato al possesso. da parte dei territoriRETE<strong>LEADER</strong> 55


candidati, di specifici requisiti distinti in 3 tipologie: necessari, qualificanti, ovvero quei requisiti la cui mancanzadeve essere o giustificata o compensata, e aggiuntivi, ovvero requisiti a supporto della domanda. Lacondizione fondamentale, inoltre, è la presentazione di un programma di lavoro dal quale emerga il progettoeconomico-territoriale sottostante al distretto.Il programma di lavoro deve contenere:a) una diagnosi territoriale, da cui emergano i punti di forza e i punti di debolezza nello sviluppo del territorio,e dalla quale vengano messi in evidenza il condizionamento dall’esterno (dinamiche del territoriocircostante – interazione), il condizionamento dall’interno (dinamiche interne), le componentiambientali e territoriali, economiche, sociali, culturali, politico-istituzionali, la performance del territorioin base ad una analisi SWOT delle componenti e alla valutazione dell’efficacia delle politiche;b) l'indicazione degli obiettivi da raggiungere attraverso l'operato del distretto, definiti sulla base dell'analisieffettuata;c) l'illustrazione del piano di azioni necessarie per il raggiungimento dei suddetti obiettivi (piano pluriennalecon articolazione annuale). L’idea forza alla base è che il piano dovrà contenere le caratteristichedifferenziali del territorio e indicare i principi generali intorno a cui concentrare le azioni progettuali.Inoltre, particolare attenzione è dedicata alla definizione delle priorità, che si traduce nella selezionedel numero di obiettivi e di azioni previste (massimo otto) in modo da garantire la concentrazionedelle azioni e un loro ordinamento secondo la priorità;d) la verifica della coerenza e della integrazione/complementarietà (misure di altri strumenti di programmazionee altri ambiti: sanità, scuola, formazione e lavoro, recupero ambientale, sviluppo economico,turismo, infrastrutture, cultura, sociale, ecc.);e) la descrizione dell'impatto ambientale, economico e sociale delle azioni previste (indicatori specifici).Sebbene progettato ed applicato ad un settore specifico, quello florovivaistico, per cui si configurerebbe unmodello di distretto intermedio tra quello rurale e quello agro-alimentare, ciò che colpisce di questa deliberaè la volontà sottostante di strutturazione di un percorso che supporti la presentazione delle domande diriconoscimento e faciliti allo stesso tempo la valutazione da parte delle amministrazioni. Oltre alla specificadei requisiti iniziali, lo sforzo metodologico compiuto dalla Regione Toscana si traduce in un programma dilavoro articolato su livelli differenti: per ciascuna sezione del piano di lavoro vengono individuati degliaspetti rilevanti che devono essere descritti e per ciascun aspetto sono proposti degli indicatori di tipoquantitativo e qualitativo. Mentre gli indicatori quantitativi sono proposti esplicitamente, quelli qualitativisono suggeriti tramite domande che stimolano l’approfondimento. Inoltre essi nel complesso toccano tuttele componenti del territorio, da quelle fisiche a quelle economiche a quelle socio-culturali a quelle politicoistituzionali.Il valore aggiunto di un processo metodologico simile risiede nell’accurata fase di analisi delle caratteristichee delle esigenze di un territorio, punto di partenza essenziale per valutare l’utilità di costituire undistretto, ma anche nel guidare la costruzione progressiva di una strategia di sviluppo e di valorizzazione,56 RETE<strong>LEADER</strong>


prevedendo anche degli strumenti di verifica e di monitoraggio. Le parole chiave della procedura ruotanointorno alle priorità, alla coerenza e all’impatto.4.2 Il programma Leader e i <strong>distretti</strong> “spontanei”In un'altra regione, le Marche, ormai da circa 10 anni, è presente ed operante un progetto di distretto: ildistretto Rurale di Qualità (DRQ) dei Colli Esini. La Regione non ha ancora emesso una legge di applicazionedel Decreto 228, ma, soprattutto negli ambienti scientifici locali, è vivo il dibattito e la riflessione sullaopportunità di individuazione di alcuni <strong>distretti</strong> nell’ambito del territorio regionale. Il rapportodell’Osservatorio Agro-alimentare delle Marche (OAM) “Strumenti e metodi per l’identificazione dei<strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> nelle Marche” fornisce indicazioni su cosa dovrebbe fare un territorio per verificare l’esistenzadegli prerogative di un distretto rurale e cosa dovrebbe fare la Regione per valutare la proposta dicostituzione del distretto.In questo contesto, si assiste alla creazione del DRQ promosso dal GAL Colli Esini nell’ambito della programmazioneLeader II. Senza entrare nei dettagli (che si trovano nel capitolo dedicato alle esperienze), ildistretto nasce come progetto di marketing territoriale con l’obiettivo di valorizzare le produzioni locali etipiche, le risorse naturali e artigianali, le attività turistiche e imprenditoriali, creando una immagine riconoscibiledel territorio e dei prodotti, attraverso la creazione e la promozione di un marchio territoriale diqualità. L’obiettivo è di creare un modello di sviluppo integrato del territorio che diffonda all’esterno l’identitàdell’area. L’idea del distretto nasce nell’ambito della programmazione Leader II, ma nel Leader+diventa l’asse portante sul quale viene articolato l’intero Piano di Sviluppo Locale del GAL ed il territoriosul quale si estende il distretto coincide con l’area Leader. Attualmente il DRQ di Colli Esini rappresenta unarealtà consolidata di messa a sistema delle diverse componenti del territorio, dalle risorse naturali, ai sistemiproduttivi, all’offerta di servizi. Si tratta di una scelta precisa di utilizzare il valore aggiunto prodottotramite l’applicazione del Leader II, consistente in reti di relazioni, progettualità condivisa, politiche divalorizzazione del territorio, per continuare, nella strategia di sviluppo integrato dell’area, rendendola lastrategia prioritaria.Il caso del successo del distretto dei Colli Esini, in assenza di un quadro normativo di supporto, fa rifletteresulla possibilità da parte dei territori e dei soggetti locali che li amministrano di promuovere delle dinamichedi sviluppo che, una volta individuate le reali esigenze e gli strumenti più efficaci, possono avere unimpatto significativo sul sistema economico e sociale locale.Il Leader ha contribuito fortemente a creare i presupposti per lo sviluppo dell’idea del distretto nella regioneMarche, attraverso l’obiettivo di sostenere strategie originali di sviluppo sostenibile e progetti e partenariatidi qualità. Nei principi alla base del Leader si riconoscono chiaramente alcune linee guida per lapromozione e valorizzazione di sistemi territoriali: l’approccio dal basso, la costruzione di partnership tra idiversi attori locali, la concertazione degli obiettivi e strategie, la messa a sistema delle risorse del territorio,l’integrazione attraverso il concetto di rete.RETE<strong>LEADER</strong> 57


Partendo da ciò, l’interrogativo principale riguarda proprio le modalità dell’interazione tra le due politichedi sviluppo del territorio, il distretto e l’area Leader, sia per quanto riguarda l’individuazione delle areeche potrebbero rientrare più proficuamente nell’uno o nell’altra o anche sovrapporsi, sia per quantoriguarda il ruolo del GAL all’interno del territorio come promotore, animatore o capofila delle strategie.distretto e approccio Leader potrebbero essere due strumenti con i quali si organizza il territorio, animatidalle stesse finalità generali di sviluppo e valorizzazione delle risorse locali; al contrario, potrebbero declinaregli obiettivi generali in azioni differenti o specializzarsi in settori economici diversi.5. ConclusioniSul tema del ruolo del distretto rurale all’interno della programmazione delle strategie territoriali numerosisono, quindi, gli interrogativi e le problematiche aperte, emersi, in parte, anche da questa rassegna piùprettamente metodologica. Alla letteratura sull’argomento vengono affidate anche le conclusioni, attraversoalcuni preziosi elementi che aiutano a chiarire da cosa dovrebbe essere guidato il processo di “scelta” dicreazione di un distretto. Il distretto:- consiste nella valorizzazione del capitale territoriale inteso come competenze professionali, tessutoproduttivo, interessi della collettività, mercati e relazioni economiche, immagine percepita (OAM);- rappresenta uno strumento organizzativo capace di assicurare il miglior sviluppo possibile delle areeinterne, integrando, in una logica sistemica ogni segmento operativo, sociale ed economico (Arzeni);- non può essere concepito come uno strumento da applicare all’intero territorio regionale, ma comeuna nuova opportunità di programmazione per aree fortemente specializzate (Liberto);- ha una sua ragione di esistere se esiste un chiaro vantaggio da parte dei singoli, operatori economici edella collettività a perseguire strategie di sviluppo consapevolmente condivise. Le aree devono evidenziareforze endogene capaci di catalizzare gli interessi economici e sociali di un territorio. Per renderevantaggioso il riconoscimento di un DR occorre che questo termine abbia una valenza economica equindi una sua spendibilità nella competizione tra territori (Arzeni);- in termini di successo competitivo, non dipende solo da fattori strutturali territoriali (bellezza delluogo, qualità della produzione, antiche tradizioni) ma è soprattutto frutto di un originale sistema diofferta costruito da una rete di attori diversi e che deve adeguarsi a precisi standard qualitativi(Zanni);- rappresenta un elemento di continuità (nel tempo) della programmazione territoriale capace di captaretutte le risorse disponibili sia quelle endogene che esogene puntando ad una specializzazione perdivenire punto di riferimento e di attrazione per altre forze umane ed economiche (Liberto).58 RETE<strong>LEADER</strong>


BibliografiaAgriregionieuropa, Anno 1, n. 1 e Anno 2, n. 6Belletti G., Marescotti A., I <strong>distretti</strong>, opportunità di sviluppo del territorio, L’informatore Agrario, 22/2005.EURIS per Comunità Montana della Lessinia – Il distretto rurale della Montagna Veronese – 2005.Fanfani, R. e E. Montresor (1994), Gli strumenti interpretativi del sistema agro-alimentare italiano, in G.P.Cesaretti, A.C. Mariani e V. Sodano (a cura di), “Sistema agro-alimentare e mercati agricoli”. Il Mulino,Bologna.Giunta Regionale Toscana, Delibera n. 1269 del 13/12/2004 per il settore florovivaistico –Riconoscimento dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>.Iacoponi L., Impresa agraria ed ipotesi distrettuale: dai sistemi produttivi agro-alimentari ai sistemi territoriali,Paper, Università di Siena, Siena 2000.Istituto Tagliacarne, I <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimentari di qualità in Italia, 2005.Liberto M., I <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e dell’agricoltura (www.lafrecciaverde.it/n87/articolo2.htm).OAM, Strumenti e metodi per l’identificazione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> nelle Marche, 2005.Petino G., L’identificazione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> per la valorizzazione turistica della Sicilia, Convegno di Studi“Centri storici e identità locale nella progettazione dello sviluppo sostenibile di sistemi del turismo”Catania, 27-29 ottobre 2003.Provincia di Rovigo, Documento di presentazione del distretto rurale del Polesine, 2004.RETE<strong>LEADER</strong> 59


CAPITOLO IV*SINERGIE E COMPLEMENTARITÀ FRA<strong>LEADER</strong> E DISTRETTI RURALI* Laura Aguglia (INEA), Raffaella Di Napoli (INEA), Giovanni Belletti e Andrea Maresotti (Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Firenze.RETE<strong>LEADER</strong> 61


1. IntroduzioneNel capitolo riportiamo tre casi che coinvolgono GAL Leader in misura e modalità differenziate. La primaracconta l’esperienza del GAL Colli Esini (presentata in occasione del seminario dal presidente del GALRiccardo Maderloni) che attraverso il Piano di Sviluppo Locale Leader+ sta promuovendo la creazione diun “distretto Rurale di Qualità”. Si tratta di un progetto di marketing territoriale volto a valorizzare le produzionilocali e tipiche, le risorse naturali e artigianali, le attività turistiche e imprenditoriali, creando unaimmagine riconoscibile del territorio attraverso la creazione e promozione di un marchio territoriale diqualità.Questa idea nasce come la naturale prosecuzione del lavoro svolto dal GAL Colli Esini grazie alle Iniziativecomunitarie Leader I e II che hanno permesso di accreditare il Gruppo come agenzia di sviluppo a livellolocale e di creare le condizioni di base per la creazione di un distretto capace a mettere a sistema le risorseeconomiche locali e la rete di piccole e medie imprese che storicamente connotano il tessuto locale.La creazione di un distretto rurale è stata individuata come la strategia più efficace per superare il principaleostacolo ad uno sviluppo organico ed innovativo del territorio che scaturisce dalla difficoltà degli operatorilocali, pubblici e privati, ad intessere relazioni proficue tra i diversi settori di attività.Il caso evidenzia alcune necessità:- il fattore tempo, la costruzione di un distretto è un processo di medio-lungo termine che si consolidasolo se diviene un fattore di identità condiviso dalla collettività locale;- la capacità di determinare valore aggiunto per gli operatori economici del territorio;- la riconoscibilità verso l’esterno affinché l’area venga identificata come un sistema organizzato;- la base territoriale, zone omogenee per potenzialità, problematiche, risorse, ecc. non necessariamentepresentano i requisiti necessari per proporsi come <strong>distretti</strong> (ad esempio presenza di un reticolo diimprese afferenti a diversi settori fortemente interdipendenti ;- l’esistenza di una massa critica capace di sostenere le iniziative promosse e di garantirne la sostenibilitànel tempo;- l’ideazione di un piano di sviluppo, di durata pluriennale, che attorno all’idea distretto sia capace direalizzare azioni di supporto, assistenza agli operatori coinvolti e comunicazione.La seconda esperienza – presentata da Salvatore Polo (Direttore del GAL Montiferru Barigadu Sinis - relativaall’area dell’Alto Oristanese è in una fase meno avanzata di realizzazione ma è particolarmente significativaperché permette di ripercorrere le fasi che stanno portando all’attuazione delle strategie di svilupporurale regionali attraverso un processo di distrettualizzazione del territorio basato su processi decisionaliinclusivi basati su una forta partecipazione degli attori locali.Il distretto rurale dell’Alto Oristanese nasce come uno degli strumenti operativi di attuazione della strategiaregionale di progettazione integrata per promuovere lo sviluppo locale nel territorio sardo.A partire dal 2005, con la revisione intermedia del Complemento di Programmazione del POR Sardegna,sono state apportate importanti innovazioni al metodo della programmazione economica territoriale e si èRETE<strong>LEADER</strong> 63


aperta una nuova fase di rilancio della Progettazione Integrata.A seguito di questa revisione un gruppo di operatori pubblici e privati dell’area ha aperto una fase di concertazionea livello locale che ha portato alla presentazione e approvazione da parte della RegioneSardegna del Progetto Integrato “ Progetto pilota distretto sostenibile dell’Alto Oristanese.Questa esperienza ha evidenziato l’importanza:- di avere un quadro di riferimento per la programmazione delle azioni locali che lasci al territorio lapossibilità di definire il percorso strategico da perseguire;- della caratterizzazione culturale, geografica e identitaria che ha rafforzato la convinzione nel gruppodi partenariato che esistessero le precondizioni perché l’Alto-Oristanese-Sinis potesse “essere riconosciuto”come territorio dove sperimentare un percorso di distretto rurale sostenibile e condiviso;- di creare una struttura organizzativa capace di rendere permanenti processi partecipativi fra gli attorilocali;- di individuare una struttura operativa con forti competenze nella gestione di progetti di sviluppo integratocofinanziati e nelle attività di animazione territoriale (in questo caso è stato individuato il GALMontiferru Barigadu Sinis);- del ruolo che potrebbe essere svolto dal distretto nel coordinare attorno ad obiettivi generali di sviluppocondivisi i diversi progetti/azioni a favore del territorio realizzati da diversi soggetti pubblici/istituzionalie privati (il distretto si propone come cabina di regia delle politiche di sviluppo a livello locale).La terza esperienza, presentata in occasione del seminario da Catia Segnini (direttore del GAL FarMaremma) si differenzia notevolmente dalle precedenti. A differenza di tutta una serie di modelli e strumentitesi ad organizzare ed accompagnare i processi di sviluppo locale nati nell’ambito di politiche comunitarie,il modello distrettuale della Maremma ha seguito un iter inverso. In questa area le caratteristichedel sistema produttivo fortemente organizzato e ancorato al territorio, l’esperienza maturata con i <strong>distretti</strong>industriali, le esigenze di organizzazione di alcuni comparti agro-alimentari, hanno sviluppato, a fine anni’90, un forte dibattito scientifico intorno alla possibilità di “distrettualizzare” il settore agricolo. Nello stessoperiodo, la Provincia di Grosseto decideva di sperimentare il modello organizzando il distretto Ruraledella Maremma.Questa esperienza è particolarmente significativa perché è nata spontaneamente nel territorio e quinditrae la sua forza e si “scontra” anche con le difficoltà date dall’assenza di una quadro finanziario certoentro il quale programmare le proprie attività.Se consideriamo il progressivo processo di decentramento delle competenze per l’attuazione delle politicheche si sta realizzando nelle Regioni italiane verso unità amministrative più vicine al territorio. I territori<strong>rurali</strong> sembrano ancora incontrare difficoltà nel gestire processi di governance al di fuori dei confini disegnatidalle politiche comunitarie, nazionali e regionali per lo sviluppo dei territori <strong>rurali</strong>.64 RETE<strong>LEADER</strong>


2. Organizzare la aree Leader attraverso la creazione di un distrettoRurale di Qualità: l’esperienza del GAL Colli Esini (Marche) 10Il Distretto Rurale di Qualità Colli Esini nasce nell’ambito di un Piano di Sviluppo Locale Leader+ (PSL) conl’obiettivo di promuovere lo sviluppo di un territorio, in linea con il concetto di “sviluppo rurale” stabilito alivello comunitario ed ai principi ispiratori dei “<strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>” introdotti dalla normativa nazionale (D.Lgs. 228/01).Si tratta di un progetto di marketing territoriale relativo all’area che si estende dall’entroterra del comunedi Jesi alle pendici dell’Appennino, toccando la valle del Misa a nord e quella del Musone a Sud. Il progettointende valorizzare le produzioni locali e tipiche, le risorse naturali e artigianali, le attività turistiche eimprenditoriali, creando una immagine riconoscibile del territorio attraverso la creazione e promozione diun marchio territoriale di qualità.Questa idea nasce coma la naturale prosecuzione del lavoro svolto dal GAL Colli Esini grazie alle Iniziativecomunitarie Leader I e II che hanno permesso di accreditare il Gruppo come agenzia di sviluppo a livellolocale e di creare le condizioni di base per la creazione di un distretto volto a mettere a sistema le risorseeconomiche locali.La creazione di un distretto rurale è stata individuata come la strategia più efficace per superare il principaleostacolo ad uno sviluppo organico ed innovativo del territorio che scaturisce dalla difficoltà degli operatorilocali, pubblici e privati, ad intessere relazioni proficue tra i diversi settori di attività.Il caso è particolarmente significativo perché permette di ripercorrere le diverse fasi necessarie alla creazionedi un distretto rurale ed evidenzia l’importanza dell’esistenza di una massa critica a livello localecapace di sostenere le iniziative promosse e di garantirne la sostenibilità nel tempo.2.1 La nascita dell’iniziativa: il contesto, gli obiettivi, i soggetti coinvoltiIl contesto di riferimento e le motivazioniIl contesto della programmazioneIl PSL individua come obiettivo globale “la valorizzazione delle produzioni locali in particolare agevolandoazioni collettive volte a facilitare l’accesso ai mercati per le piccole aziende e valorizzare le risorse naturalie culturali”. La strategia del Piano è quella di perseguire la ricerca ed il conseguimento di una diffusa qualitàdel territorio, di mettere a sistema le risorse locali attraverso una immagine unica, istituizionalizzatanel DRQ. All’interno di questa finalità generale, il PSL si struttura con un sistema di Assi di intervento, con10 Il Caso è stato elaborato da Laura Aguglia ed estrapolato da “Repertorio Volume I - Le buone prassi per lo sviluppo rurale. Una raccolta di iniziative,esperienze e progetti”, a cura di Alessandra Pesce, Rete Nazionale per lo Sviluppo Rurale, ATI INEA – Agriconsulting, in corso di stampa. Il documentoredatto da Laura Aguglia è stato integrato con alcune informazioni sui risultati conseguiti e le attività realizzate presentate da Riccardo Maderloni(Presidente del GAL Colli Esini in occasione del Seminario della Rete Nazionale per lo Sviluppo Rurale “Promuovere lo Sviluppo Locale: esperienzeLeader e <strong>distretti</strong> a confronto”, Sambuca di Sicilia, 12 ottobre 2006 (atti pubblicati in www.reteleader.it).RETE<strong>LEADER</strong> 65


obiettivi specifici.ASSI DI INTERVENTOOBIETTIVI SPECIFICI1- organizzazione istituzionale del drq Integrare le risorse locali in un sistema organizzato ed organico al finedi migliorarne le potenzialità di accesso ai mercati e promuovernel'immagine unitaria2- interventi per la definizione di Qualificare l'offerta dei servizi e delle produzioni locali rafforzanstandardsdi qualitàdone l'immagine commerciale ed il posizionamento di mercato3- interventi prioritari per l’avvio drq Qualificare il territorio rafforzando e valorizzando il sistema3a- Azioni di supporto a scala territoriale delle reti locali delle istituzioni, dei servizi alla fruizione, della cultura,dei luoghi a valenza ambientale3- interventi prioritari per l’avvio drq Sostenere il sistema produttivo locale nell'azione di qualificazione3b- Azioni di sostegno al miglioramento delle produzioni, miglioramento del rapporto con l'ambiente e laqualitativo delle attività economiche qualità di vita, in un'ottica di qualificazione dell'immagine esternadel distrettoCome si evince da questo schema, tutte le azioni previste sono riconducibili alla costruzione di una immagineunica del territorio con la valorizzazione di tutte le differenti risorse interne, umane, naturali, commerciali,finalità ultima del distretto.L’azione che rappresenta il fulcro dell’intervento per la realizzazione del distretto si trova all’interno dell’asse3 del PSL ed è la seguente:Prog. 3b3 Misura 1 Azione 1.1 Sub azione 1.1.8 “Sostegno alle imprese che aderiscono agli standard qualitatividel distretto”.Il contesto attuale e le motivazioniIl GAL, nato nel 1991 con il <strong>LEADER</strong> I, sta contribuendo a diffondere una vera coscienza locale e una culturacollaborativa, superando la forte e radicata tendenza degli operatori locali, sia pubblici che privati, aduna visione parziale dei problemi dello sviluppo rurale.Infatti, nell’area di intervento del GAL, che presenta una struttura economica piuttosto forte e strettamentelegata alla tradizione agricola e rurale, il principale ostacolo ad uno sviluppo organico ed innovativo delterritorio scaturisce dalla difficoltà degli operatori locali, pubblici e privati, ad intessere relazioni proficuetra i diversi settori di attività.Con il <strong>LEADER</strong> I si è cominciato a diffondere un nuovo modo di concepire lo sviluppo, sempre più caratterizzatoda un’impostazione plurisettoriale frutto di negoziati e concertazioni tra i vari operatori di un’area.Con il <strong>LEADER</strong> II, si è giunti a dotare il territorio di una rete di strutture ed infrastrutture, pubbliche e private,e all’avvio di attività di servizio, in un’ottica di sistema territoriale, rivolte particolarmente allo sviluppoturistico, al miglioramento delle produzioni agricole, agro-alimentari e dell’artigianato, al rafforzamentodel legame tra il territorio, inteso come insieme delle risorse istituzionali, umane, culturali, ambien-66 RETE<strong>LEADER</strong>


tali, storico-artistiche, ed i suoi prodotti. In questo contesto, ed in particolare con l’iniziativa del PaeseAlbergo, si è rafforzata anche l’idea di utilizzare un marchio come lo strumento di promozione e di differenziazionedel territorio del GAL.La creazione di un distretto Rurale di Qualità, si presenta, quindi, come naturale prosecuzione delle attivitàfino ad ora realizzate dal GAL.Il progetto del distretto ha alla base uno studio condotto dall’Università di Macerata tramite il quale si ècercato di capire l’attuabilità del distretto nell’area prescelta e se vi fossero le condizioni economiche,sociali e ambientali. L’intento era quello di creare un distretto che non fosse né industriale né agro-alimentare,ma rurale che unisse tutte le componenti del territorio, dall’agricoltura, al turismo, all’artigianato.Più in dettaglio, dal punto di vista dell’agricoltura, la zona individuata presenta un prodotto trainante, ilvino, sul quale puntare per diffondere e promuovere l’immagine di tutto il territorio. All’interno del settorevitivinicolo, però, sono presenti due tipi di realtà economiche: associazioni di viticoltori di dimensione rilevantee già affermate sul mercato e associazioni più piccole e meno conosciute. La difficoltà prospettataconsisteva nel proporre un marchio unico che fosse veicolato dalle aziende più forti a vantaggio soprattuttodi quelle ancora poco visibili. Più in generale “le analisi territoriali e settoriali hanno evidenziato anche,accanto a debolezze strutturali più o meno accentuate nei diversi settori dell’economia locale, una diffusapresenza di risorse anche di grande pregio, che stentano a trasformarsi in prodotti ed una generale difficoltàdelle imprese a proporre una offerta realmente incentrata sulle potenzialità del territorio e con questoidentificabile”.Il progetto è riuscito ad affermarsi nonostante le difficoltà legate alla complessità dell’iniziativa e allamancanza di interessi economici, grazie ad una impostazione strategica da parte del GAL e alla partecipazioneattiva di vari attori del territorio. Da un lato, infatti, il GAL ha deciso di costruire tutto il PSL sull’ideadel distretto, concentrando su questa idea progettuale la maggior parte delle risorse a disposizione e integrandole attività anche con l’attuazione dei PIT. Dall’altro lato, il GAL è riuscito a promuovere il progettograzie alla credibilità acquisita sul territorio in anni di lavoro, grazie al contributo e all’impegno particolarmenteattivo della Provincia e delle associazioni di imprenditori.Con il Leader+ si vuole contribuire al significativo sforzo di adeguamento che la maggior parte delleimprese attualmente operanti sul territorio dovranno sostenere per poter aderire ai disciplinari di qualitàprevisti dal progetto.Gli obiettivi dell’iniziativaL’obiettivo del progetto è quello di promuovere lo sviluppo di un territorio, in linea con il concetto di “svilupporurale” stabilito a livello comunitario ed ai principi ispiratori dei “<strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>” introdotti dalla normativanazionale (d. lgs. 228/01).“Un innovativo progetto di marketing territoriale relativo all’area che si estende dall’entroterra di Jesialle pendici dell’Appennino, dalle valli del Misa e del Cesano a Nord e quella del Musone a Sud; la diffusionee promozione di un marchio territoriale di qualità, per valorizzare le produzioni locali e tipiche, leRETE<strong>LEADER</strong> 67


isorse naturali e artigianali, le attività turistiche ed imprenditoriali, creando un’immagine riconoscibiledel nostro territorio; un’importante occasione per contribuire alla tutela dell’ambiente, avviare una politicadi sviluppo ed innovazione e sostenere una diffusa qualificazione delle risorse umane “... con queste paroleviene descritto e presentato il progetto dagli stessi soggetti promotori”.L’obiettivo del progetto si focalizza, quindi, su due aspetti: la percezione esterna dell’immagine dell’area ela coesione tra i soggetti e le risorse interne. Infatti, da un lato, si intende rendere il territorio maggiormentecompetitivo dal punto di vista turistico, attraverso l’attuazione di una strategia collettiva di valorizzazionee promozione che esalti il legame tra i prodotti ed il territorio di provenienza, tra la qualità delleproduzioni e le risorse ambientali locali, tra la ricchezza di cultura e di tradizioni e l’identità specifica dell’areada cui nascono; dall’altro lato, si è cercato di rafforzare la capacità di attrazione di investimenti ediniziative utili ad uno sviluppo integrato e sostenibile dell’area, rafforzando le sinergie e le interdipendenzefra i diversi settori di attività e i legami fra gli operatori locali.Le diverse azioni che concorrono alla realizzazione del progetto sono volte a rafforzare l’immagine locale,attraverso un’intensa e coordinata azione di marketing territoriale. Gli strumenti sui quali si punta perraggiungere gli obiettivi prefissati sono:- la creazione di un marchio territoriale che contraddistingua tutti i prodotti e servizi e ne garantisca l’elevataqualità, nell’ambito di regole condivise e riconosciute;- una forte azione di promozione del marchio;- una politica di qualità ambientale, a scala territoriale, relativa sia alle attività produttive industriali edartigianali, sia alle pratiche agricole;- una politica industriale volta all’innovazione, all’internazionalizzazione, allo sviluppo di economie didistretto;- una diffusa qualificazione delle risorse umane.A queste azioni si accompagnano iniziative di sensibilizzazione e animazione utili per poter avviare questoprocesso di messa a sistema del territorio nel suo complesso e capaci di “fare rete”, favorendo la diffusionefra gli operatori locali di valori, norme, modalità di comportamento (fiducia, responsabilità, collaborazione,ecc.) che sostengono lo sviluppo di un'area; consolidando l'aggregazione e il radicamento dellapopolazione nel territorio; diffondendo una maggiore consapevolezza sulle possibilità offerte dall'uso perfinalità economiche delle proprie risorse (know-how, prodotti tipici, artigianato locale, tradizioni).I soggetti coinvoltiIl progetto mira a coinvolgere la rete degli attori locali, vale a dire le istituzioni, le organizzazioni imprenditoriali,gli operatori privati, le reti dei servizi, della ricettività, dei beni culturali ed ambientali e dei trasporti.Il soggetto proponente principale del progetto e responsabile dell’attuazione è il GAL Colli Esini.68 RETE<strong>LEADER</strong>


Il partenariato:La Società Colli Esini San Vicino si è costituita nel 1991 in forma di società consortile mista a responsabilitàlimitata con l’avvio dell’iniziativa Leader, grazie ad una convergenza di interesse di un soggetto pubblico,la Comunità Montana del S. Vicino, ed un’associazione di imprenditori privati, l’ASSIVIP (AssociazioneInterprovinciale Produttori di Vini Pregiati). Nel corso degli anni la Società ha notevolmente ampliato lapropria compagine societaria, da 44 a 92 soci con un conseguente aumento di capitale. Il primo gruppo diSoci comprendeva 44 soggetti (Comunità Montana promotrice dell’iniziativa, 9 Comuni, un ConsorzioIntercomunale, 26 associazioni di categoria e di produttori, in rappresentanza dei settori agricolo, artigiano,cooperativo, ed a carattere culturale, 7 aziende vitivinicole private). Nel corso dell’attuazione del programmaLeader I, si ebbe una prima fase di ampliamento del partenariato e la compagine societaria raggiunsei 57 componenti, i Comuni arrivarono a 15, con l’ingresso di altri Enti locali e di soggetti privati (nel1994 uscirono 7 soci privati; nel 1996 entrarono 10 soci pubblici e 10 soci privati).All’avvio del Leader II nel 1994-95, la Società, intendendo agire su un territorio più ampio, decise di darvita ad una nuova azione di animazione e di sensibilizzazione che si concluse con un nuovo aumento dicapitale. In questa fase aderirono alla Società l’Amministrazione Provinciale di Ancona, la Camera diCommercio, altri Comuni per un numero totale di 24, aziende, associazioni, con un ampliamento del partenariatoad un totale di 70 soci.Nel corso del 2001, dato che il GAL intendeva proseguire l'esperienza avviata anche in occasione diLeader+, vi è stato un ulteriore ampliamento della base societaria (92 soggetti) passando da una maggioranzapubblica a una maggioranza privata. La società è retta da un Consiglio di amministrazione rappresentativodella compagine sociale.La Società Colli Esini S. Vicino, nel corso degli ultimi anni, ha iniziato a ricoprire il ruolo più ampio diAgenzia di Sviluppo Locale svolgendo una funzione di animazione territoriale e di offerta di servizi di assistenzatecnico-professionale. Pertanto, nella veste di soggetto attivo e riconosciuto nella promozione, programmazioneed attuazione di iniziative di sviluppo locale, ha avviato una serie di attività alternative ecomplementari nell’ambito della programmazione negoziata, della pianificazione e programmazione ascala territoriale, di programmi comunitari diversi.Il ruolo dell’AssamIl GAL Colli Esini San Vicino ha conferito all’Agenzia Servizi Settore Agro-alimentare Marche (in seguito,per brevità, ASSAM), l’incarico di collaborazione, consulenza e supporto tecnico per l’istituzione del distrettoRurale di Qualità. L’ASSAM è un ente pubblico economico che dal 1997 sostituisce l’Ente di SviluppoAgricolo delle Marche e rappresenta l’organo operativo dell’Assessorato all’Agricoltura della Regione. Sipropone quale soggetto regionale con ruolo di coordinamento nel panorama delle iniziative di divulgazioneed animazione rurale, in collaborazione con gli enti, le associazioni di categoria e le aziende; realizzaprogrammi di ricerca e di sperimentazione per agricoltura, agro-industria, sviluppo rurale, controlli fitosanitari,qualità delle produzioni e zootecnia.RETE<strong>LEADER</strong> 69


Obiettivo dell'incarico è quello di valorizzare il territorio interessato dall’attuazione del PSL attraverso losviluppo omogeneo delle attività produttive e del turismo e l’applicazione di strumenti utili al coordinamentodelle attività ed al rafforzamento dell’immagine del territorio in un’ottica di futura istituzione deldistretto Rurale dei Colli Esini.Nello specifico l’ASSAM è impegnata nelle seguenti attività:- consulenza per la definizione del Regolamento del distretto e dell’uso del marchio- supporto tecnico all’attività del Comitato del distretto- elaborazione di studi per la definizione degli standards di qualità per la qualificazione dell'offertaturistico-ricettiva, dell'accoglienza e dell'informazione turistica, degli esercizi commerciali di rilevanzaturistica e dei punti di vendita artigiani, tipico, prodotti agroalimentari, compresa la consulenza perrevisioni su richiesta degli interessati.I beneficiariI beneficiari sono le imprese turistiche e agrituristiche, aziende agricole ed agroalimentari, esercizi commercialiinteressati dai flussi turistici e punti vendita delle aziende artigiane che hanno aderito al distrettoRurale di Qualità.Il tipo di finanziamento è un contributo a fondo perduto ed il tipo di interventi ammissibili varia a secondadel tipo di azienda.Graf. 1 - Evoluzione delle adesioni70 RETE<strong>LEADER</strong>


Graf. 2 - Evoluzione delle adesioni per tipologia dio azienda2.2 Dall’ideazione all’attuazioneLa costituzione del DRQ si articola in 4 fasi tra loro coordinate:- istituzione del Comitato Tecnico del distretto (Tavolo di concertazione);- redazione del Regolamento del distretto ed esecuzione di uno studio di impostazione del distretto;- definizione dell’immagine coordinata del distretto;- produzione di materiale promozionale.Un Gruppo promotore costituito da associazioni di categoria (alberghi, B&B, operatori turistici), organizzazioniprofessionali, comuni, province, camere di commercio, hanno eletto dei rappresentanti per la costituzionedel Tavolo di concertazione del distretto (febbraio 2004), con la finalità di riunire periodicamente gliattori locali che fanno parte del progetto, sia nel ruolo di promotori che di beneficiari. Si tratta di un organointerno con la responsabilità di preparare e adottare il regolamento per l’uso del marchio del distretto.Inoltre, è uno strumento utile per coinvolgere in ogni fase di attuazione del progetto i soggetti interessati,per confrontarsi e decidere sulle attività programmate, per sviluppare e condividere idee ed azioni nelrispetto delle esigenze del territorio.Il funzionamento del distretto è basato sull’adesione delle aziende del settore agro-alimentare, del commercio,artigianato, ristorazione e turismo, le quali si impegnano ad attuare dei processi di miglioramentoRETE<strong>LEADER</strong> 71


della qualità dei propri prodotti e, sotto questa condizione, ricevono un finanziamento a fondo perduto,pari al 40% delle attività intraprese e sono autorizzate all’utilizzo del marchio. Gli standard di qualitàsono definiti da disciplinari specifici per ogni tipo di attività. Infatti, poiché il processo di riqualificazione edi adeguamento agli standard qualitativi individuati per le imprese non si può ipotizzare che si compia nelbreve periodo, i regolamenti e i disciplinari hanno la funzione di creare una base formativa e didattica diampia durata e costituire un supporto per l’avvio ed il controllo delle procedure necessari per raggiungerel’obiettivo.I criteri di selezione per l’ammissibilità di una azienda al finanziamento sono:- collocazione dell’azienda all’interno di un’area protetta;- adesione dell’azienda a circuiti interaziendali di commercializzazione e promozione o adesione allealtre attività di promozione e valorizzazione attivate nell’ambito del presente PSL;- inserimento dell’attività in un contenitore di valore storico e /o architettonico;- collocazione della struttura in un centro o nucleo storico;- collegamento dell’iniziativa a progetti di sviluppo aziendale in relazione ai quali è stata presentata osarà presentata richiesta di sostegno nell’ambito del Docup Ob.2 o del PSR o del POR Ob.3.Con l’aiuto dell’Assam sono stati elaborati dei documenti che hanno la funzione di offrire a coloro intendanoaderire al distretto delle procedure chiare, trasparenti, ben definite.Esiste, quindi, una procedura stabilita secondo la quale, attraverso un modulo, il soggetto interessato adaderire al distretto, presenta richiesta di adesione e riceve tutto il materiale informativo e le specifiche tecnicheper l’attività svolta alle quali deve adeguarsi. Se il soggetto ritiene di possedere i requisiti per l’adesioneal distretto presenta una domanda, oltre ad una serie di documentazione in allegato, la quale attestila presenza delle prescrizioni qualitative previste per le singole attività. Il soggetto viene iscritto nel registrorichiedenti l’adesione e viene esaminata la documentazione presentata. Viene effettuata una VerificaIspettiva presso il soggetto per il riconoscimento di tutti i requisiti previsti per l’uso del marchio e, se l’esitoè positivo, il soggetto riceve la Licenza d’Uso del marchio per quel tipo di attività.All’interno dei vari regolamenti del marchio si chiariscono gli obiettivi del marchio, il campo di applicazione,il segno distintivo ed il logo, le prescrizioni per i soggetti che hanno ottenuto il marchio, le procedure dicontrollo, le procedure di autorizzazione, il sistema sanzionatorio e i ricorsi.I prodotti del progetto di tipo “documentale” realizzati, che definiscono il distretto, lo regolamentano e nepromuovono l’immagine, sono:- regolamento del DRQ;- regolamento d’uso del marchio;- procedura di adesione al distretto;- specifiche tecniche per le varie aziende aderenti al distretto: attualmente sono state elaborate le specificheper le aziende agrituristiche, i B&B, le country house, gli alberghi, i ristoranti, le aziende agricole,le fattorie didattiche, gli uffici IAT, i punti vendita;- procedura di controllo di attuazione delle specifiche tecniche.72 RETE<strong>LEADER</strong>


Per la definizione del regolamento e per la redazione degli standard qualitativi non sono stati emessibandi in quanto è stato deciso l’affidamento diretto all’Assam; per lo studio dell’immagine e del logo, peril materiale promozionale e l’attività di diffusione delle informazioni sul DRQ, per studi sui fabbisogni formativie sull’offerta di formazione qualificata sono stati predisposti dei bandi, sono stati pubblicati i bandi,sono stati in seguito selezionati i beneficiari e affidati gli incarichi.Altri bandi sono stati poi emessi per l’offerta di aiuti alle imprese per interventi innovativi inerenti la riduzionedell’impatto ambientale e la sicurezza, per l’accesso a servizi finalizzati all’innovazione di prodotto eprocesso.3) Il distretto deve essere contraddistinto da una propria immagine riconoscibile che identifica sia i prodottidell’area, agricoli, alimentari, artigianali, turistici, sia le strutture commerciali e ricettive, sia glialtri elementi che andranno a formare l’insieme del sistema territoriale: la segnaletica, i punti di informazione,le pubbliche amministrazioni. Il GAL ha incaricato una società specializzata di studiare ilmarchio e gli elementi connessi. Tale marchio è registrato come marchio commerciale di qualità.4) La produzione di materiale informativo, illustrativo e promozionale del distretto consiste in folderscontraddistinti dal marchio del distretto che raccolgano materiali illustrativi e promozionali, guide turistiche,depliants, cartoguide, eventuali materiali multimediali. Tale materiale sarà poi diffuso, qualesupporto alle azioni di promozione del territorio, delle iniziative per l’internazionalizzazione delleimprese, nell’ambito di azioni di promozione infraterritoriale, nonché attraverso canali istituzionali(Regione Marche, Comunità Montane, Parco) in occasione di partecipazioni ad eventi (BIT, ParcoProduce ecc.).2.3 I risultati dell’iniziativaIn termini quantitativi, a febbraio 2004 hanno dato la pre-adesione al distretto 78 soggetti tra enti locali,associazioni e privati. A fine 2005 i soggetti aderenti al distretto sono diventati oltre 90 e altre richieste diadesione continuano ad arrivare. È stato quindi ampiamente superato il numero di 80 partecipanti che erastato posto inizialmente come obiettivo.Gli standard qualitativi, oltre ad essere stati approvati dal Tavolo di Concertazione e dal Consiglio diAmministrazione, sono stati pubblicati. Vi è stato anche un arricchimento degli standard in corso d’opera inquanto sono state fatte delle integrazioni per includere tra i soggetti partecipanti anche le aziende agricoleproduttrici senza punti vendita. Questa integrazione costituisce un esempio di risposta alle esigenze delterritorio poiché le aziende non erano state regolamentate ed invece possono svolgere un ruolo fondamentaleper la valorizzazione e conservazione del territorio. Attualmente ad esse sono affidati compiti ditutela degli elementi costitutivi del paesaggio tipico regionale.RETE<strong>LEADER</strong> 73


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Il Tavolo di concertazione inizialmente creato è stato trasformato in Comitato Tecnico del distretto e si occupadi approvare le domande di adesione al distretto prima dell’approvazione finale da parte del Consigliod’amministrazione.Le domande di adesione sono inizialmente valutate da un nuovo organismo che è il Servizio ispettivo divigilanza, incaricato di verificare il possesso dei requisiti iniziali.Come risultato dell’attività di definizione di una immagine unitaria per il territorio del distretto, è stataaffidata ad un soggetto esterno la redazione di un piano promo-commerciale del DRQ (attivata in cofinanziamentocon le province di Ancona e Macerata, le comunità montane Esino-Frasassi e S. Vicino, ASSIVIP,Comune di Matelica, Camere di Commercio di Ancona e Macerata) nel quale devono essere indicate le strategieda adottare per la valorizzazione del territorio, delle risorse e dei prodotti, per l’organizzazione dieventi in accordo con gli altri comuni aderenti, la partecipazione a fiere e altre manifestazioni.Sempre con riferimento alla costruzione dell’immagine del territorio sono stati acquistati e consegnati aisoggetti aderenti oggetti utili per identificare l’appartenenza al distretto, quali ad esempio targhe, stendardi,espositori per materiale informativo, cartelli stradali.Con riferimento ad altri tipi di risultati quali ad esempio l’impatto socio-economico del distretto non èancora possibile constatare e valutare quanto e cosa sia direttamente attribuibile al progetto del distrettoanche perché il progetto non è ancora stato realizzato compiutamente, ma in termini ancora previsionali cisi aspetta:- un incremento dei flussi turistici dell’area;- un incremento dell’occupazione e lo sviluppo di nuove attività;- un incremento dell’incidenza economica del settore turistico e delle produzioni di qualità nell’area chepotrebbe tradursi in un miglioramento del fatturato delle aziende e del reddito complessivo dellapopolazione locale.Come appena chiarito, il progetto non è ancora terminato e non ha quindi espresso tutte le potenzialità edaspettative attribuite, ma si può tentare di individuare e delineare alcuni aspetti che sono già riconoscibilisul territorio:- si è rilevato un generale aumento della consapevolezza da parte degli operatori sia rispetto allepotenzialità del territorio (produttive, turistiche, ambientali ecc.), sia nei confronti del sistema distrettoche si è creato che offre importanti occasioni per migliorare il posizionamento delle piccole imprese sulmercato;- in un’area già omogenea dal punto di vista storico e culturale, ma non visibile all’esterno, il distrettoporta un rafforzamento dell’identità culturale ed economica sotto il nome Colli Esini;- l’offerta all’esterno di un insieme di attività economiche con una immagine unica può portare beneficieconomici ed una penetrazione e forza sul mercato non confrontabili con l’offerta di singoli imprenditorie singoli prodotti; alcuni operatori di imprese agro-alimentari hanno già rilevato un aumento delfatturato e ritengono che almeno una parte del fenomeno sia attribuibile alla partecipazione aldistretto;RETE<strong>LEADER</strong> 75


- specificamente nell’agro-alimentare, il miglioramento degli aspetti qualitativi ed il conseguente possibileincremento del reddito può costituire un incentivo al ritorno o mantenimento dei giovani in agricoltura;- il rispetto degli standard qualitativi per l’ottenimento e l’uso del marchio porta ad innalzare il livellogenerale dell’offerta commerciale, artigianale, turistica, agro-alimentare, in quanto, oltre a coloro cherientrano volontariamente nel distretto, produce un effetto di “adeguamento” o “imitazione” anche sucoloro che non aderiscono, costituendo appunto uno stimolo o una forzatura al miglioramento;- la partnership all’interno del GAL da prevalentemente pubblica diventa privata, segno di un interesseed un coinvolgimento reale di soggetti diversi e di una adesione non stimolata ed ottenuta unicamentedalla possibilità di usufruire di fondi pubblici.2.4 Analisi della buona praticaIl progetto di costituzione del DRQ presenta in modo evidente alcuni caratteri della buona pratica in quantosi caratterizza come un “progetto di sistema”. In altre parole, l’approccio con il quale è stata sviluppatal’idea del distretto è un approccio di sistema, a partire dalla programmazione, poiché si è deciso di focalizzarel’intero PSL sulla costituzione del distretto, alla sua organizzazione, in quanto sono state previste procedurespecifiche per ogni componente della partnership, fino alla sua realizzazione e promozione.L’insieme delle caratteristiche del progetto che possono essere definite come buona pratica, attualmentericonoscibili nel progetto, sono specificate nella matrice riportata nella pagina successiva.Nel progetto si riconoscono inoltre i principi dell’approccio Leader come un approccio territoriale e del tipobottom up e la modalità di gestione della partnership. Per quanto attiene il primo aspetto, i regolamenti ei disciplinari sono stati elaborati garantendo una gestione delle attività rispondente alla realtà territoriale.I soggetti attuatori del progetto hanno focalizzato il proprio impegno attraverso un continuo confronto coni soggetti interessati alla realizzazione e all’applicazione del progetto, confronto che è stato istituzionalizzatocon la creazione del Tavolo di concertazione. Inoltre, il progetto del distretto si sviluppa in sinergiacon altri strumenti di politica e programmazione: l’intervento trova coerenza con l’impostazione generaledel Docup, che, tra gli obiettivi , individua lo sviluppo di politiche di distretto e la gestione dei progetti inmodo integrato, a livello di sottosistemi locali. Anche rispetto al PSR, l’approccio individuato trova pienacoerenza in relazione alla finalità di migliorare il posizionamento di mercato delle risorse locali.Per quanto riguarda il secondo aspetto, occorre sottolineare che la partnership tra i soggetti locali si èrinforzata in occasione dello sviluppo del progetto del distretto in quanto il territorio vanta legami ed integrazionetra i vari attori locali presenti già da diversi anni ed attribuibili all’attività di animazione del GAL.Inoltre, recentemente la partnership ha incluso nuove tipologie di soggetti, come ad esempio nella fase distudio (ASSAM) e, come accennato in precedenza, si è trasformata da prevalentemente pubblica a prevalentementeprivata.76 RETE<strong>LEADER</strong>


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3. Creare un distretto rurale attraverso la progettazione integrata:l’esperienza del GAL Mbs (Sardegna) 113.1 La nascita dell’Iniziativa: il contesto e i soggetti coinvoltiIl distretto Rurale dell’Alto Oristanese nasce come uno degli strumenti operativi di attuazione della strategiaregionale per promuovere lo sviluppo locale nel territorio sardo.A partire dal 2005, con la revisione intermedia del Complemento di Programmazione del POR, sono stateapportate importanti innovazioni al metodo della programmazione economica territoriale in Sardegna e siè aperta una nuova fase di rilancio della Progettazione Integrata.A seguito di questa revisione, un gruppo di operatori pubblici e privati dell’area ha aperto una fase di concertazionea livello locale, che ha portato alla presentazione e approvazione, da parte della RegioneSardegna, del Progetto Integrato “ Progetto pilota distretto sostenibile dell’Alto Oristanese.Per la realizzazione del percorso di “distretto rurale sostenibile e di qualità per l’Alto Oristanese”, in lineacon quanto promosso dalla Regione, il gruppo promotore sin dal febbraio 2006 si è costituito in Comitatoed ha sottoscritto un “Accordo di Programma” che aveva le seguenti principali funzioni:a) definire le linee strategiche finalizzate alla governance territoriale;b) operare come strumento integratore delle Reti locali presenti o da attivare, e che sono indicate nelpresente Progetto di Partenariato;c) definire modalità attuative per la realizzazione delle specifiche Azioni di Sistema come definite nellaManifestazione di Interesse n. M144 (capofila la Provincia di Oristano, soggetto gestore il GAL MBS).Questa esperienza evidenzia come, a livello locale, grazie all’adozione di metodi partecipativi nella definizionedegli obiettivi generali di sviluppo territoriale, sia possibile coordinare diversi progetti di sviluppointegrati e azioni che mirano ad affrontare simultaneamente diverse facce di un problema che un temposarebbero state gestite separatamente.11 Il caso è stato elaborato da Raffaella Di Napoli sulla base della relazione presentata da Salvatore Polo (Direttore del GAL Montiferru Barigadu Sinis)al Seminario della Rete Nazionale per lo Sviluppo Rurale “Promuovere lo Sviluppo Locale: esperienze Leader e <strong>distretti</strong> a confronto”, Sambuca diSicilia, 12 ottobre 2006 (atti pubblicati in www.reteleader.it) e dei documenti pubblicati dalla Regione Sardegna nel sito http://www.regione.sardegna.it78 RETE<strong>LEADER</strong>


Le fasi del percorso per la presentazione dei progetti integrati della RegioneSardegnaFASE A- Individuazione degli obiettivi, delle strategie e delle azioni prioritarie (territoriali e settoriali)che costituiscono il quadro logico di riferimento per la successiva attuazione dei Progetti IntegratiFASE B - Delibere della Giunta Regionale per il finanziamento delle operazioni, inserite nei ProgettiIntegrati, da attuare con risorse finanziarie diverse dal POR Sardegna 2000-2006(Delibera CIPE n. 20/2004 e n. 35/2005, Fondo per la Programmazione Negoziata, FondiRegionali di cui alla L.R. n.1 del 2006)FASE C - Presentazione, valutazione e approvazione dei Progetti Integrati di Sviluppo che meglioimplementano gli obiettivi, le strategie e le azioni prioritarie (territoriali e settoriali) definiti neirelativi quadri logici di riferimento di cui alla Fase AFASE D - Pubblicazione dei Bandi di Gara per la selezione delle operazioni da ammettere a finanziamentoe inserite nei Progetti Integrati di Sviluppo approvatiRETE<strong>LEADER</strong> 79


Il territorioIl Montiferru Barigadu Sinis Guilcer e Planargia (seguirà con la sigla: MBSGP), è un territorio a cavallo trale aree “a prevalente sviluppo agricolo” e quelle “in ritardo di sviluppo”, le cui caratteristiche salienti sonole seguenti: densità demografica bassa, invecchiamento della popolazione, esodo della popolazione giovanilepiù qualificata, forte rilevanza relativa del settore agricolo nell’economia locale e contemporaneodeclino dell’occupazione e dell’attività agricola, rarefazione di servizi alle imprese e alle persone.Il sistema naturale del MBSGP è compreso in 157.682 ha. per 76.290 abitanti; il 52% del territorio e il45% degli abitanti della Provincia di Oristano. Si tratta di un’area per l’80% omogenea sotto l’aspettoambientale, culturale ed economico. Il restante 20% - riferibile ai Comuni alla destra del fiume Tirso, alSinis e a Bosa – hanno avuto un’economia storicamente complementare a quella dell’Alto Oristanese. Sitratta di un’area con un “capitale territoriale” ricco che, nel suo insieme, rappresenta un microcosmo diSardegna: aree desertiche costiere, stagni e zone umide, lunghe spiagge, alte coste rocciose, agricolturairrigua di pianura (ortofrutteti, risaie, carciofeti, cereali), agricoltura di collina, allevamenti a pascolobrado d’altopiano e di montagna, fiumi e torrenti, dighe e laghi, fitti boschi montani, colline e altopiani diolivi.Nel 2004 nella Provincia di Oristano risultano registrate in totale 16.262 imprese, con 976 nuove iscrizionie 917 cancellazioni (rispetto al 2003 è diminuito il tasso di natalità, aumentato quello di mortalità). Isingoli settori produttivi contribuiscono in modo diversificato a questo risultato, mostrando un diversogrado di vitalità e un andamento abbastanza variabile dei tassi di sviluppo. In particolare le registrazionidi imprese sono state maggiori nei settori agricoltura e commercio, mentre sono più indietro quelle delleattività manifatturiere e delle costruzioni.Nel 2004 sono diminuite le registrazioni in agricoltura, estrazione, trasporti e servizi presso famiglie; sonostate positive quelle nei settori dei servizi (istruzione, intermediazione finanziaria, attività immobiliari enoleggio, sanità e servizi sociali) della pesca, produzione e distribuzione di energia elettrica, costruzioni,estrazione ed attività manifatturiere.I soggetti coinvolti: il Gruppo PromotoreIl Progetto Integrato “DIRSALTO” – distretto rurale Sostenibile Alto Oristanese è stato promosso da un Pre-Partenariato costituitosi già dal febbraio 2006 dal seguente gruppo di Enti e agenzie:- Provincia di Oristano- GAL Montiferru Barigadu Sinis Società Cons s.r.l.- Ersat Sardegna- Comunità Montana del Montiferru- Comunità Montana del Barigadu- CCIAA di Oristano- Centro Servizi LOSA S.r.l.Questo gruppo promotore si è costituto a seguito di riunioni e incontri di animazione nel territorio chehanno coinvolto le aziende del settore agricolo, alimentare, artigianale e dell’accoglienza.80 RETE<strong>LEADER</strong>


Successivamente, il lavoro di animazione è stato organizzato per filiere e ha impegnato, con azioni sul territoriol’Ersat con le sue ramificazioni zonali, il GAL Montiferru Barigadu Sinis e il Centro Servizi LOSA.L’esperienza del gruppo promotore del distrettoNel corso degli ultimi 10 anni, operatori, amministratori e abitanti dell’Alto-Oristanese sono stati protagonistidi iniziative, azioni e progetti di sviluppo locale all’avanguardia nel panorama regionale. A titolo di esempio sipossono citare:- il Piano di Azione Locale Montiferru-Leader II;- il Piano di Sviluppo Locale Leader Plus;- i Piani Socio Economici del Montiferru e Barigadu;- il PIT (OR3);- il PIA Montiferru e Barigadu;- il Progetto pilota Barigadu-Montiferru;- la Rete oasi ecologiche e il sistema di raccolta differenziata (nel Montiferru Guilcer Barigadu);- le Reti ecologiche territoriali;- i Processi di Agenda 21 Locali – “Palos”,“ Ag. 21 Combas”, Ag. 21 ”Percorso”;- le Azioni dimostrative in materia di filiere agro-alimentari (Bue Rosso, Casizolu, Mèlina, Zafferano delBarigadu, Comunità del Pane del Barigadu);- le Azioni pilota sullo spopolamento;- le Azioni pilota sul risparmio energetico e l’utilizzo di energie alternative (Combalos);- le Azioni pilota sul Sistema Accoglienza (Domus & Domos) e sul Marketing territoriale (Ripopolare il territoriocol Marchio d’area “Terre shardana” già individuato e su cui nell’Alto Oristanese si sta già lavorando);Al termine di questa fase di animazione, finalizzata alla presentazione del Progetto Integrato, hanno confermatol’adesione e sottoscritto il Protocollo d’Intesa 435 soggetti con 488 operazioni. Di questi 42 sonoComuni dell’Alto Oristanese, 78 Interventi pubblici, 307 sono le imprese di filiera agricole, agro-alimentarie artigianali, 83 sono le imprese dell’accoglienza (B&B, Alberghi diffusi, Alb. Rurali, Agriturismi, ecc.),mentre le restanti sono Agenzie e organizzazioni a vario titolo interessate allo sviluppo rurale e locale(Università Enti di ricerca, Enti di formazione, Associazioni di agricoltori, Consorzi di produttori).La caratterizzazione culturale, geografica e identitaria ha rafforzato la convinzione nel gruppo diPartenariato che esistono già oggi le precondizioni perché l’Alto-Oristanese-Sinis possa “essere riconosciuto”come territorio dove sperimentare un percorso di distretto rurale sostenibile e condiviso.RETE<strong>LEADER</strong> 81


Ruolo e compiti principali dei partners chiaveDal punto di vista organizzativo-gestionale il distretto si articola in quattro livelli.1° liv.) L’assemblea del partenariato Dirsalto - raggruppa i sottoscrittori e ha il compito di approvare lelinee strategiche che verranno predisposte dalla cabina di regia, sentendo il comitato tecnico scientifico:2° liv.) La cabina di regia - funge da tavolo di concertazione e co-partecipazione locale. Compito dellacabina sarà quello di coordinare, ottimizzare e finalizzare le risorse finanziarie. Armonizzare le iniziativeo i progetti a valenza d’area. Ne fanno parte, con un rappresentante per ogni organismo, le 7 agenziepromotrici del distretto rurale e le organizzazioni di filiera presenti nel territorio: consorzio del bue rosso,consorzio mèlina, associazione produttori zafferano del Barigadu, l’associazione produttori di Casizolu,l’associazione agricoltori custodi dell’Alto Oristanese, 2 rappresentanti delle imprese locali dell’accoglienzae dei servizi. Il tavolo prevede, per singoli argomenti, una composizione allargata alla partecipazione dialtri soggetti esperti.3° liv.) La struttura operativa-organizzativa (individuata nel GAL Montiferru Barigadu Sinis che funzionada: segreteria organizzativa e operativa; supporto tecnico e operativo della cabina di regia, del comitatotecnico scientifico, nei forum; nei tavoli di filiera, strumento di raccolta, messa a sistema degli strumentiinformativi per la raccolta sistematica della progettualità pubblica e privata nel territorio; strumento diattuazione di azioni per l’accompagnamento e assistenza tecnica del percorso di distretto rurale sostenibile).4° liv.) La struttura organizzativa (comprende le agenzie che già esistono nel territorio o che stanno per82 RETE<strong>LEADER</strong>


nascere. Ad esempio il costituendo consorzio per la gestione differenziata dei rifiuti; la costituenda agenziaper il risparmio e le energie rinnovabili che nasce su un progetto SAVE; il costituendo laboratorio territorialedi restauro presso l’ufficio del piano provinciale; il sistema turistico locale della Provincia diOristano coordinato dalla Provincia di Oristano; il laboratorio provinciale per lo sviluppo sostenibile e l’educazioneambientale, ecc.)Inoltre, oltre al tavolo di concertazione (cabina di regia), è stato istituito un “comitato tecnico scientifico”(costituito da 6 esperti provenienti da enti di ricerca, università, enti pubblici o agenzie) quale strumentodi consultazione e monitoraggio costante della rispondenza tra azioni intraprese, linee progettuali e regolecondivise dai soggetti coinvolti. Il comitato tecnico-scientifico ha anche il compito di definire e suggerireproposte da portare al tavolo regionale per il recepimento a livello regionale dell’ art. 13 del decreto legislativo18 maggio 2001, n. 228. (legge sui <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>).RETE<strong>LEADER</strong> 83


Il GALIl G.A.L. MONTIFERRU BARIGADU SINIS (GAL MBS) è stato realizzato nell’ambito del Progetto Leader+ e costituitoin forma di Società Consortile a r. l. senza scopo di lucro nel giugno del 2002. Nato su sollecitazionedelle Comunità Montane XIV e XV - Montiferru e Barigadu - che hanno aggregato su questo Progetto/obiettivoun vasto consenso sia tra i Comuni loro membri che tra quelli limitrofi e diverse organizzazioni di operatoriprivati. Attualmente il GAL sta realizzando le attività presite dal Piano di Sviluppo Locale Leader+ 2000-2006finalizzato a ripopolare il territorio e migliorare la capacità organizzativa della propria comunità locale3.2 Gli obiettivi del ProgettoL’obiettivo generale di distretto è quello di elevare il livello dell’economia e dei redditi in ambito locale.Questo Obiettivo si persegue attraverso 3 Obiettivi specifici :1) lavorare al miglioramento e ampliamento delle Reti quindi del livello di condivisione degli obiettivi traattori locali;2) superare quelle condizioni critiche che comportano il rischio di chiusura di molte micro imprese agricolee artigianali del territorio, attraverso una forte azione sulle filiere produttive e un’azione di sostegnoalla creazione di Reti tra operatori;3) elevare e migliorare la posizione e l’immagine turistica del territorio dell’Alto Oristanese, aumentandola consapevolezza di quanto sia importante “comunicare bene il territorio all’esterno”.Gli obiettivi citati vengono attuati attraverso una strategia che prevede, nell’arco di tempo 2007-2009, larealizzazione di una serie di azioni di sistema a prevalente carattere immateriale, e di azioni/progettipuntuali di carattere strutturale, sia di tipo materiale che di tipo immateriale:- le azioni di sistema a prevalente carattere immateriale, sono orientate agli Enti Pubblici, alle Agenzieterritoriali di sviluppo locale, agli Enti e gli organismi di ricerca e di formazione, alle Associazioni delterritorio comprese le no-profit;- le azioni e i progetti puntuali di tipo strutturale vedono protagonisti diretti gli Enti pubblici e i privatiaderenti. Gli Enti Pubblici sono chiamati a realizzare iniziative finalizzate a migliorare le condizioniper lo sviluppo integrato locale; gli operatori privati dovranno realizzare progetti specifici e potrannoavere sia carattere materiale sia carattere immateriale. Per questi ultimi infatti si tratta di attivare e/opotenziare prodotti e o servizi legati alle filiere produttive del territorio: agricole e dell’allevamento dipiccola scala, dell’artigianato, dell’accoglienza e dei servizi.84 RETE<strong>LEADER</strong>


3.3. Le attività previsteLe attività previste per la realizzazione del Progetto Integrato distretto Rurale Sostenibile Alto Oristaneseprevedono un investimento complessivo di 5.390.000 di Euro, dei quali 4.830.000 di fonte pubblica.(A) Accompagnamento allo sviluppo rurale1) Costruzione e funzionamento struttura del D.R. sostenibile2) Attivazione Piano dei Servizi di sviluppo agricolo e rurale di distretto3) Costruzione e avvio Ufficio Europa territoriale(B) Servizi alla popolazione rurale e alle attività economiche1) Azione di accompagnamento per radicare/rafforzare, estendere il servizio associato Rifiuti e Oasiecologiche2) Azioni pilota, coordinate dall?agenzia provinciale per l’Energia, mirate a fare dell’Alto-Oristaneseun territorio modello sulle energie alternative e il risparmio energetico3) Azioni legate alla mobilità in ambito rurale4) Azioni di rafforzamento/Animazione SUAP territoriale avviata (in raccordo con il coordinamentoprovinciale SUAP)5) Azioni pilota sul microcredito e la finanza locale(C) Protezione e valorizzazione del patrimonio architettonico rurale1) Azioni di animazione e promozione per il recupero e riutilizzo delle tecnologie costruttive tradizionali(pietra e ladiri; definizione disciplinari/regolamenti finalizzati all’utilizzo per Centri storicidei paesi <strong>rurali</strong> di materiali e tecnologie orientate al risparmio e alla sostenibilità)(D) Sviluppo delle microfiliere agro-alimentari tipiche1) Avvio Consorzio per la promozione e monitoraggio filiere agro-alimentari, come piattaforma peril distretto rurale in un quadro di sostenibilità e coesione interna delle attività produttive di filiera2) Servizi di logistica per la microdistribuzione(E) Sviluppo del turismo rurale e valorizzazione degli attrattori ambientali e culturali1) Rafforzamento del Sistema di Prodotto turistico di qualità per l’Alto Oristanese (“Terre Shardana”)2) Animazione e partenariato per la realizzazione del Sistema archeologico territoriale (SAT)(F) Immateriali (Azioni per la formazione operativa, Studi e ricerche, Certificazioni, Servizi)1) Rafforzamento/avvio Progetto pilota per orientamento al lavoro e tirocini per i giovani del territoriorurale2) Avvio di una Scuola pilota nazionale sugli Alberghi diffusi in rete3) Formazione operativa (avvio nel territorio di master applicativi pilota a supporto sviluppo locale)(G) Eventi esemplari a rafforzamento del percorso di distretto rurale sostenibile e di qualitàRETE<strong>LEADER</strong> 85


3.4. Analisi della Buona praticaFra gli elementi qualificanti di questa esperienza vi sono:- il trasferimento e l’applicazione del metodo Leader (approccio bottom-up; partecipazione attiva degliattori locali alla gestione delle attività);- la creazione di una cabina di regia con il compito di coordinare i diversi progetti di sviluppo in esseresul territorio attorno all’idea cardine del progetto integrato “distretto rurale sostenibile”;- l’affidamento della gestione e attuazione delle attività ad una struttura operativa fortemente radicatasul territorio e competente nella gestione di progetti integrati.L’insieme delle caratteristiche del progetto che possono essere definite come Buona pratica, attualmentericonoscibili nel progetto sono specificate nella seguente matrice:86 RETE<strong>LEADER</strong>


4. Creare un distretto rurale attraverso la progettazione integrata:l’esperienza del distretto Rurale della Maremma (Toscana) 124.1 La nascita dell’IniziativaIl contesto di riferimento e le motivazioniAll’inizio degli anni ‘90 l’agricoltura e il mondo rurale della provincia di Grosseto, a causa delle loro caratteristiche,risultavano particolarmente esposti agli effetti negativi della crescente apertura dei mercati edei processi di globalizzazione e ristrutturazione del sistema agroindustriale. Allo stesso tempo la presenzadi sistemi ambientali e paesaggistici molto differenziati, il basso livello di antropizzazione, la scarsa concentrazionedegli insediamenti urbani, residenziali e produttivi, la significativa incidenza delle aree protettee una forte presenza delle attività agricole, rappresentavano potenziali elementi positivi nella chiavedello sviluppo rurale di qualità.Si rendeva quindi sempre più urgente la necessità di elaborare nuovi indirizzi di politica che facesseromaggiormente leva sulle specificità delle risorse del territorio coinvolgendo le imprese, le istituzioni e glialtri attori locali, e parallelamente di individuare nuove forme di governance locale che potessero accompagnareil passaggio dal modello della “modernizzazione” al modello dello “sviluppo rurale di qualità”.La riflessione intorno al concetto di distretto Rurale della Maremma è nata e si è sviluppata su iniziativadell’Amministrazione provinciale di Grosseto, e grazie a un processo partecipato della collettività locale cheha visto il coinvolgimento dei soggetti imprenditoriali, delle associazioni rappresentative del mondo agricoloe di altre attività economiche legate alla <strong>rurali</strong>tà, dei cittadini e delle istituzioni locali.La percezione di poter avviare un percorso di sviluppo dell’economia grossetana partendo dal rilancio dell’agricolturae del mondo rurale, oltre che dalla valorizzazione delle risorse endogene del territorio, trasparechiaramente in alcuni dibattiti e nei relativi documenti di riflessione e programmazione nei primianni ‘90; essa risulta poi fecondata dalle prime esperienze di programmazione dal basso realizzate nell’ambitodel <strong>LEADER</strong> II e nell’adozione della prassi della concertazione, favorita dalla istituzione del TavoloVerde avvenuta nel 1995.Da sottolineare come fin da subito l’idea del distretto sia stata riferita all’intero territorio provinciale, dallazona dell’Amiata fino alla costa, in quanto il carattere rurale che prevale in ognuno dei comuni della provinciapoteva costituire il tratto unificante e consentire di integrare le differenti realtà attraverso la condivisionedello stesso e unico progetto di sviluppo.Il distretto rurale è stato interpretato nell’esperienza della Maremma sia come modello peculiare di orga-12 Il caso è stato redatto da G. Belletti, A. Marescotti e riprende il paragrafo tratto dal volume “L’agricoltura grossetana tra filiere e territorio. Rapporto2006” (a cura di A. Pacciani), Laboratorio di Ricerche Economiche “Dinamiche del Sistema Agro-industriale e del mondo rurale della Maremma”,Grosseto, par. 7.5 “Il distretto Rurale”e la relazione presentata da Catia Segnini (Direttore del GAL Far Maremma) al Seminario della Rete Nazionaleper lo Sviluppo Rurale “Promuovere lo Sviluppo Locale: esperienze Leader e <strong>distretti</strong> a confronto”, Sambuca di Sicilia, 12 ottobre 2006 (atti pubblicatiin www.reteleader.it).RETE<strong>LEADER</strong> 87


nizzazione dell’economia rurale incentrato sullo sviluppo rurale di qualità, che come luogo di elaborazionee gestione degli interventi di politica agricola e rurale.Il distretto rurale della Maremma ha l’obiettivo di favorire l’affermarsi dell’imprenditorialità agricola,della multifunzionalità dell’agricoltura e la valorizzazione del territorio e di tutte le attività che in qualchemodo rientrano nel contesto della <strong>rurali</strong>tà (Pacciani, 2003.b). Assumono dunque rilevanza non solo i settorioperanti a monte e valle dell’agricoltura nell’ambito delle filiere agro-industriali, ma anche il turismo el’artigianato, le risorse ambientali e quelle archeologiche, architettoniche, artistiche e, più in generale, culturali,di cui il territorio provinciale è dotato, grazie anche al fondamentale apporto derivante dalla tradizionecontadina e dall’attività agricola. Questa accezione di sviluppo implica una trasformazione anche daparte degli operatori, imprese e altri soggetti implicati nei percorsi locali di sviluppo, e la maturazione diuna sensibilità per le produzioni e/o servizi di qualità, il rispetto del paesaggio e dell’ambiente, la culturae tradizione locale, e quindi la sensibilità per l’immagine complessiva del territorio.Le linee progettuali del distretto sono state recepite all’interno del documento di programmazione presentatoin occasione della Conferenza provinciale dell’agricoltura del 1996, in cui si individuava nello svilupporurale una delle condizioni di crescita dell'economia grossetana, e si proponeva, anche come provocazioneculturale, la provincia di Grosseto come “distretto rurale d'Europa” caratterizzato dalla realizzazione del“Sistema di qualità Maremma”. L’idea progettuale è stata sviluppata e affinata nell’ambito della secondaConferenza provinciale dell’agricoltura (1998), a seguito della quale l’Amministrazione provinciale hacostituito un gruppo di lavoro di esperti di sviluppo rurale cui è stato affidato il compito di collaborare allaredazione del progetto finale.A seguito della Terza Conferenza provinciale dell’Agricoltura tenutasi a Grosseto nel marzo 2002, dal titolo“Il distretto rurale della Maremma”: dalla proposta alla realizzazione, si è giunti alla formale sottoscrizionedi un Protocollo d’intesa tra i soggetti pubblici e tra le parti sociali che ha sancito la condivisione delprogetto sul distretto rurale che già nei fatti si era andata manifestando negli anni precedenti con una crescenteconsapevolezza e con l’adozione di coerenti prassi e scelte.Gli obiettivi del distretto Rurale della Maremma.L’obiettivo generale del distretto Rurale della Maremma, così come si è venuto progressivamente a definirelungo questo percorso, consiste nell’assumere il modello dello sviluppo rurale di qualità quale leva perfavorire lo sviluppo economico e sociale sostenibile della provincia di Grosseto, e nella conseguente definizionedi un sistema territoriale di qualità (“Sistema Qualità Maremma”) la cui realizzazione viene perseguitaattraverso tre assi strategici di intervento (Pacciani, 2003.a):- il primo asse consiste nel consolidamento delle filiere e delle infrastrutture pubbliche, da realizzarsinella logica del rafforzamento delle peculiarità dei vari elementi che compongono il sistemaMaremma e che sono in linea con la logica dello sviluppo rurale;- il secondo asse è quello del rafforzamento del livello qualitativo delle risorse, delle produzioni, deiservizi, dei processi produttivi e del territorio nel suo complesso, in un’ottica di compatibilità e sosteni-88 RETE<strong>LEADER</strong>


ilità ambientale, con l’obiettivo di far assurgere la qualità a caratteristica distintiva della Maremma;- il terzo asse consiste nel fare della Maremma un sistema: esso sostiene le iniziative volte a rafforzarel’identità unitaria e l’immagine della Maremma, attraverso un supporto all’integrazione tra aree territoriali,settori di attività economica, filiere agro-industriali e imprese.Negli assi strategici del distretto si sono riconosciute un gran numero di imprese della Maremma e, intornoad essi, sono state promosse numerose iniziative individuali e collettive. Anche le istituzioni locali hannoprogressivamente fatto propria la strategia orientando ad essa le proprie azioni.L’individuazione e il perseguimento degli obiettivi individuati nell’ambito degli assi ha come necessariocomplemento l’adozione di un nuovo metodo di governo basato sui principi della concertazione, della promozionedelle relazioni pubblico-privato e della programmazione dal basso, che hanno trovato una dellemanifestazioni più complete nella realizzazione del Patto territoriale agricolo.Il metodo di lavoro del distretto si è basato sul coordinamento dei numerosi e vari strumenti di programmazionee degli strumenti finanziari a disposizione, il che ha richiesto un coordinamento tra gli Enti pubbliciterritoriali in materia di individuazione e supporto al modello di sviluppo rurale del territorio dellaMaremma, anche in considerazione della frammentazione delle competenze amministrative in materia digestione del territorio, di agricoltura e più in generale di “<strong>rurali</strong>tà”, che ad esempio nel territorio provincialevedono quali Enti territorialmente competenti in materia di agricoltura, foreste, caccia e pesca laProvincia di Grosseto e le Comunità Montane dell’Amiata Grossetana, delle Colline Metallifere e delleColline del Fiora.Attraverso il coordinamento dei soggetti e degli strumenti di programmazione è stato possibile ottenere laconvergenza e la finalizzazione delle risorse disponibili, provenienti da fonti diverse, in direzione degli assiprioritari di intervento individuati in sede di concertazione.L’impostazione programmatica assunta dalla Provincia di Grosseto con il distretto rurale è stata poi convalidatadalla Regione Toscana, e nel 2002 il territorio della Provincia di Grosseto nella sua interezza è statoindividuato come “distretto sperimentale” e laboratorio di studio e ricerca per l’acquisizione degli elementie dei parametri tecnici necessari alla definizione della normativa regionale (deliberazione GiuntaRegionale Toscana n. 549 del 3 giugno 2002). I contenuti del progetto hanno trovato un rafforzamentonel progetto A.D.E.P INTERREG IIIC, in quanto la Regione Toscana ha affidato alla provincia di Grosseto iltrasferimento dell’esperienza del distretto rurale a livello europeo.4.2. Dall’ideazione all’attuazione: percorso istituzionale e modalità organizzativeper la realizzazione e gestione del distretto Rurale della MaremmaLa definizione del quadro normativo regionale sui <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>.La “Legge di orientamento agricola” del 2001 (d.lgs. n. 228 del 6 aprile 2001) ha introdotto la figura giuridicadel distretto rurale nell’ordinamento italiano. Lo stesso articolo al terzo comma stabilisce che sianole Regioni a provvedere all’individuazione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>, così come dei <strong>distretti</strong> agro-alimentari. MoltoRETE<strong>LEADER</strong> 89


ampia è dunque l’autonomia lasciata alle Regioni nel definire individuazione, obiettivi, contenuti e funzionidei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>.La Regione Toscana con la Legge regionale 21/2004 ha emanato proprie disposizione in materia di<strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>, con l’obiettivo generale di favorire lo sviluppo rurale e una armonica integrazione tra politicheeconomiche e politiche del territorio, provvedendo alla definizione dei criteri per l’individuazione eper il riconoscimento degli stessi. Con successiva Deliberazione di Giunta (n.1269 del 13.12.2004) sonostate definite modalità di presentazione e criteri di valutazione delle istanze di riconoscimento.La definizione di distretto rurale che risulta dalla LR 21/2004 (art.2) è quella di un sistema economicoterritorialeche presenti le seguenti caratteristiche: a) produzione agricola coerente con le vocazioni naturalidel territorio e significativa per l’economia locale; b) identità storica omogenea; c) consolidata integrazionetra attività <strong>rurali</strong> e altre attività locali; d) produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenticon le tradizioni e le vocazioni naturali del territorio. Si tratta di una definizione che, coerentementecon il contesto in cui è maturata, attribuisce un ruolo centrale all’agricoltura – non solo produttivo, maanche socio-territoriale e ambientale – sia pure nella prospettiva della multifunzionalità e della diversificazionee integrazione economica delle aree <strong>rurali</strong>.La LR 21/2004 prevede che il distretto rurale si costituisca mediante un accordo tra enti locali e soggettiprivati che operano in modo integrato nel sistema produttivo locale. L’approccio utilizzato per la identificazioneè dunque un approccio “dal basso”, che lascia cioè agli stessi soggetti del territorio il compito di definirei confini di operatività del distretto nell’ambito dell’accordo, sia pure dietro motivata giustificazione.L’accordo dovrà avere come finalità generale quella di consolidare e rafforzare l’aggregazione ed il confrontodei diversi interessi locali, per lo sviluppo economico e la valorizzazione delle risorse del territorio,in sintonia con ambiente e tradizione storica. I soggetti che prendono parte all’accordo devono essere rappresentatividell’identità territoriale e del tessuto produttivo, storico e sociale del territorio: la LR 21 stabilisceche all’accordo dovranno aderire le rappresentanze dei soggetti privati operanti nell’ambito distrettuale,delle organizzazioni professionali agricole, sindacali e delle associazioni di rappresentanza della cooperazione,nonché la provincia o le province interessate e la maggioranza degli altri enti locali dell’ambitodistrettuale. Il riconoscimento del distretto è operato dalla Giunta regionale, sentito un apposito comitatodi esperti di sviluppo rurale.Gli accordi di distretto devono prevedere un Progetto economico-territoriale (PET) che definisce processiconcertativi ed azioni integrate per il coordinamento e l’implementazione dei piani e dei programmi delterritorio distrettuale. Il PET persegue obiettivi di sviluppo socio-economico e di valorizzazione delle risorselocali, coerenti con il piano di sviluppo rurale e la tutela dell’ambiente, del paesaggio, della tradizione storicae culturale. Esso deve prevedere un piano di azioni necessarie per il raggiungimento degli obiettivi,garantendo la coerenza rispetto agli ambiti di programmazione esistenti sul territorio.Tra le attività che il distretto rurale può svolgere al fine di consolidare e sviluppare il sistema produttivoche lo caratterizza e le vocazioni naturali del territorio, nonché salvaguardare la tradizione storica e culturale,rientrano le seguenti (art. 6 LR 21/2004):90 RETE<strong>LEADER</strong>


- favorire e rafforzare il dialogo e il confronto tra i diversi soggetti inseriti nel tessuto produttivo, creandocondizioni favorevoli all'integrazione e alla sinergia sul piano operativo;- promuovere, sostenere e coordinare le iniziative di promozione commerciale e l'immagine del territorio;- promuovere attività conoscitive e informative finalizzate allo studio e al monitoraggio di problematichedi carattere economico, sociale, culturale, territoriale, ambientale;- favorire l'aggregazione e il confronto dei diversi interessi locali, gestendo momenti di riflessione e didiscussione, con il coinvolgimento di tutti i soggetti;- promuovere, in una logica di massima valorizzazione delle risorse disponibili e di ampio coinvolgimentodei soggetti e delle aree del distretto, il coordinamento della varie politiche di gestione e di sviluppodel territorio;- favorire un effettivo contributo distrettuale alla formazione dei documenti di programmazione economica,di pianificazione territoriale e agro-ambientale;- favorire le iniziative di programmazione negoziata e di patti d’area interessanti il territorio di competenza.La Regione Toscana ha dunque dato al distretto rurale un forte connotato di strumento di concertazione ecoordinamento per lo sviluppo integrato sostenibile delle aree <strong>rurali</strong>, basato per la sua costituzione su unprocesso di coordinamento dal basso. Esso – perfettamente in linea con la logica seguita in Maremmanella sua esperienza sul campo – non si configura come un'ulteriore sovrastruttura istituzionale, ma comeluogo di promozione permanente dell’integrazione tra soggetti diversi, pubblici e privati, agendo comecatalizzatore di iniziative a carattere cooperativo.Sia pure deputato a svolgere anche attività di comunicazione all’esterno, il distretto rurale non è dunqueun soggetto cui sono semplicemente demandate iniziative di marketing territoriale, e neppure una modalitàprivilegiata di accesso a specifiche risorse finanziarie aggiuntive. Il valore aggiunto derivante dallacostituzione di un distretto è rappresentato invece dai benefici indiretti legati ad un maggiore coordinamentodegli attori locali intorno a idee forza ben definite e strategie di riqualificazione e sviluppo con essecoerenti, che mediante il riconoscimento regionale ottengono una maggiore visibilità sociale e politica.Possibili effetti indotti per le imprese sono la fruizione di un insieme di servizi specifici in grado di aumentarela capacità competitiva territoriale e individuale, ma anche una maggiore capacità del territorio stessodi intercettare flussi di risorse sia nazionali che comunitarie.Relativamente agli aspetti di funzionamento, la LR 21 prevede che con l’accordo venga individuato uncoordinatore con compiti di referente (“di norma in una Provincia”), il quale svolgerà funzioni di ordineorganizzativo avvalendosi delle strutture degli stessi soggetti aderenti, e dunque senza che il distrettocostituisca una sua propria struttura organizzativa.RETE<strong>LEADER</strong> 91


La “formalizzazione” del distretto rurale della Maremma in base alla legge regionaleA seguito della legge regionale, la Provincia di Grosseto – in qualità di soggetto coordinatore – ha avanzatol’istanza di riconoscimento del distretto rurale della Maremma redigendo il relativo Progetto economico-territoriale(PET) in conformità del dettato della LR 21/2004 e della DGR 1269/2004.L’accordo per la costituzione del distretto, che interessa tutto il territorio provinciale, è stato sottoscrittodalla Provincia stessa, dai 28 Comuni e dalle tre Comunità montane in essa presenti oltre che da numerosisoggetti privati 13 .Come specificato nel PET approvato dal Consiglio provinciale il 30.03.2006, “l’obiettivo generale deldistretto Rurale della Maremma consiste nell’assumere il modello dello sviluppo rurale di qualità qualeleva per favorire lo sviluppo economico e sociale sostenibile della provincia di Grosseto, attraverso unincremento dei processi di qualità e innovazione, crescita e integrazione dei diversi motori produttivi,ammodernamento infrastrutturale, aumento dell’occupazione e valorizzazione delle risorse umane,miglioramento del welfare locale. Il distretto rurale è pertanto rivolto alla integrazione dei diversi settorieconomici in una logica di sistema territoriale e investe i problemi complessivi dello sviluppo economicosociale,ponendosi come sede e metodo di una governance che coinvolge tutti gli attori locali”.Il PET si prefigge una estensione dell’ambito di operatività del distretto assumendo lo sviluppo rurale diqualità come strategia generale per lo sviluppo socio-economico della provincia, ampliandone la portata aldi là del settore agricolo e delle attività ad esso maggiormente collegate e identificandolo come asse portantedello sviluppo locale in stretta relazione con il PASL provinciale, di cui il Progetto stesso viene intesocome un momento di attuazione in quanto ne ricomprende alcuni ambiti significativi.Il PET individua tre assi strategici di intervento:- infrastrutture e difesa dell’ambiente;- innovazione e competitività, espansione produttiva, qualità del territorio, dei prodotti, dei servizi evalorizzazione dei beni culturali ed ambientali;- occupazione, orientamento al lavoro, formazione, inclusione sociale, welfare locale.4.3 Le attività previste, risultati attesi e conseguitiGli obiettivi specifici prioritari del distretto e le relative azioni (vedi tabella successiva) sono individuati nell’otticadi privilegiare gli aspetti di tipo trasversale e l’integrazione tra le attività nel territorio nella pro-13 I soggetti privati che hanno sottoscritto l'accordo per il riconoscimento del distretto rurale della Maremma sono i seguenti: Camera di Commercio diGrosseto, Consorzio dell'acquedotto del Fiora, Consorzio di bonifica grossetana, Consorzio di bonifica Osa Albegna, Cgil, Cisl, Uil, Lega regionale Coop.comitato di Grosseto, Confederazione cooperative unione provinciale, Confederazione italiana agricoltori, Unione provinciale agricoltori, Federazioneprovinciale coltivatori diretti, Consorzio agrario provinciale, Confederazione nazionale artigianato, Confesecenti, Confcommercio, Associazione industriali,Associazione albergatori, Associazione imprese edili, Sps consortile a.r.l. F.A.R. Maremma, Associazione esercizi macchine agricole e frantoi.92 RETE<strong>LEADER</strong>


spettiva della multifunzionalità, e ispirandosi ai principi dell’innovazione, della sostenibilità, della concentrazionedelle risorse e del potenziamento delle risorse locali.Obiettivi specifici e azioni previste dal Progetto Economico Territoriale del distrettoRurale della MaremmaIl distretto rurale, così come specificato nel PET, non deve comunque essere ridotto a un semplice insiemedi interventi puntuali, bensì deve rappresentare un ulteriore passaggio verso un modello condiviso dalleAmministrazioni locali e dalle imprese, che intende orientare il generale percorso di sviluppo dellaMaremma attraverso l’elaborazione di progetti e la concreta applicazione di una metodologia di programmazioneche assuma come elementi distintivi e qualificanti i criteri della concertazione, concentrazionedelle risorse, concretezza, credibilità e convergenza.Il PET individua altresì le procedure per la propria attuazione, individuando come propri strumenti i Tavolitematici-settoriali di concertazione e il Comitato di distretto.Ai Tavoli tematici-settoriali di concertazione, cui partecipano associazioni, organizzazioni e soggetti operantinei diversi settori ed ambiti, con la finalità di verificare le problematiche da collocare nel quadro deldistretto, per realizzare la necessaria specificazione dei contenuti ed implementare la concertazione. Oltreal Tavolo Agricoltura (tavolo Verde), sono previsti il Tavolo Economia del Mare (tavolo Blu), il TavoloRETE<strong>LEADER</strong> 93


Manifatturiero, il Tavolo Turismo-commercio-servizi, il Tavolo Servizi Pubblici e il Forum Sociale.Il Comitato di distretto (Cabina di regia), presieduto dal Presidente della Provincia, svolge funzioni di coordinamentoe orientamento generale, di elaborazione, di indirizzo e di gestione, tra cui:- coordinare lo svolgimento della concertazione;- modulare gli obiettivi e le azioni rivolte allo sviluppo qualificato del territorio;- individuare le forme di integrazione e le modalità di coordinamento dei programmi e degli interventi,al fine di garantire il massimo di efficienza e di efficacia;- indirizzare prioritariamente verso gli obiettivi e le azioni adottate le risorse disponibilità dei soggettilocali e quelle provenienti dagli strumenti di programma e di sostegno di carattere regionale, nazionalee comunitario;- sviluppare in modo coordinato assistenza e servizi qualificati verso gli attori e la comunità provinciale,per favorire l’incremento della progettualità ed allargare la base produttiva;- individuare programmi ed azioni rivolti alla diffusione di conoscenza ed innovazione e a valorizzare lerisorse umane;- svolgere le iniziative più adeguate di comunicazione e sensibilizzazione nei confronti della comunitàlocale, rivolte a favorire la conoscenza degli obiettivi e delle attività del distretto e ad alimentare ilprocesso di partecipazione di vari livelli;- svolgere le iniziative occorrenti per la promozione del territorio e del distretto sul piano nazionale einternazionale.Il Comitato tecnico-scientifico, composto da idonei soggetti di carattere scientifico e tecnico, svolge funzionidi consulenza, assistenza e collaborazione al Comitato di distretto e approfondisce i temi dello sviluppodistrettuale, nonché le azioni rivolte all’integrazione settoriale e territoriale e dell’attuazione del programmadi distretto.La “formalizzazione” del distretto mediante il suo riconoscimento in base alla nuova normativa regionalerappresenta il consolidamento di una esperienza positiva, ma presenta il rischio del prevalere degli aspettiprocedurali e burocratici su quelli di sostanza. Inoltre la logica del distretto Rurale della Maremma, cosìcome concepito e definito nel corso degli anni ’90 (prima dunque della legge nazionale di orientamento),viene ad essere in parte “piegata” all’interpretazione della legge regionale, che di fatto non accoglie lavalenza di momento di coordinamento e concertazione delle politiche per lo sviluppo rurale, se non limitatamentead un certo numero di azioni da prevedere all’interno del PET (Belletti et alii, 2007).A livello locale invece, l’allargamento della logica del distretto rurale all’intero sistema economico provinciale,che traspare dal Piano economico territoriale, in particolare dalla estensione degli obiettivi e degliassi strategici e dal coinvolgimento di una pluralità di settori produttivi, rappresenta il riconoscimento dellapositività dell’esperienza condotta fino ad ora e conferma l’importanza che l’agricoltura e il mondo ruraleancora giocano per la Maremma e per le sue strategie di sviluppo.Allo stesso tempo l’allargamento apre numerose sfide per il Comitato di distretto, legate prima di tutto alla94 RETE<strong>LEADER</strong>


possibilità reale di conciliare le posizioni di un insieme di attori molto più ampio del passato e dunque ditrovare un punto di equilibrio che non penalizzi i settori portanti del territorio rurale, agricoltura in primis.Inoltre sarà importante riuscire a mantenere vivo il senso di appartenenza al distretto manifestato danumerosi attori, e fino ad ora reso possibile dal fatto che l’idea dello sviluppo rurale di qualità e degli assiche ne derivavano poteva rappresentare un reale progetto di impresa e di sviluppo dei territori. Se questoera vero soprattutto per gli imprenditori del settore agricolo e per le aree con forte caratterizzazione agricola,stretti dalla necessità di trovare risposte a una evoluzione del contesto sfavorevole, può non esserloaltrettanto per altri segmenti del sistema socio-economico provinciale; anche per questo le previste attivitàdi comunicazione e sensibilizzazione della società locale avranno un ruolo fondamentale.RETE<strong>LEADER</strong> 95


BibliografiaLaura Aguglia, La creazione di un distretto Rurale di Qualità: l’esperienza del GAL Colli Esini, in “Le buoneprassi per lo sviluppo rurale. Una raccolta di iniziative, esperienze e progetti”, Repertorio Volume I, a curadi Alessandra Pesce, Rete Nazionale per lo Sviluppo Rurale, ATI INEA – Agriconsulting, in corso di stampa;Belletti G., Brunori G., Berti G., Marescotti A., Rossi A. (2007), Le metodologie di animazione per lo svilupporurale. L’esperienza del distretto Rurale della Maremma, Laboratorio di ricerche economiche“Dinamiche del sistema agro-industriale e del mondo rurale della Maremma”, Quaderno n.1, GrossetoMaderloni R., Organizzare la aree Leader attraverso la creazione di un distretto Rurale di Qualità.Presentazione del distretto rurale di qualità, relazione presentata al Seminario della Rete Nazionale per loSviluppo Rurale “Promuovere lo Sviluppo Locale: esperienze Leader e <strong>distretti</strong> a confronto”, Sambuca diSicilia, 12 ottobre 2006 (atti pubblicati in www.reteleader.it);Pacciani A. (2003.a), Distretto Rurale della Maremma: dalla proposta alla realizzazione, Attidell’Accademia dei Georgofili, Anno 2002, vol.XLIX, FirenzePacciani A. (2003.b), La Maremma distretto Rurale, Ed. Il Mio Amico, Grosseto.Regione Sardegna http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_95_20071002105837.pdfPolo S., Verso Il distretto rurale Dell’alto Oristanese, relazione presentata al Seminario della ReteNazionale per lo Sviluppo Rurale “Promuovere lo Sviluppo Locale: esperienze Leader e <strong>distretti</strong> a confronto”,Sambuca di Sicilia, 12 ottobre 2006 (atti pubblicati in www.reteleader.it);96 RETE<strong>LEADER</strong>


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Finito di stampare nel mese di dicembre 2007per conto dell’ATI INEA - AgriconsultingBiemmegraf / Macerata98 RETE<strong>LEADER</strong>

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