teri di <strong>rurali</strong>tà e concentra oltre la metà delle attività agricole liguri, tutti gli altri sono un tassello dellerelative realtà produttive regionali, in cui l’attività primaria si presenta particolarmente specializzata.Quello del Lago Maggiore, pur rappresentando la quasi totalità del comparto floricolo piemontese ed essereestremamente importante per l’economia dell’area è poco rappresentativo in termini di agricolturaregionale.Nel distretto agro-industriale del Vulture, oltre a una intensa attività agricola, si registra una forte concentrazionidi addetti all’industria agro-alimentare (pari al 34% degli occupati regionali). I tre <strong>distretti</strong> ortofrutticoli(Metapontino, Piana di Sibari e provincia di Alessandria) sono caratterizzati da un’alta presenzadi imprese agricole specializzate e di addetti all’agricoltura, vista anche l’intensità di lavoro che prevedequesto comparto. La stessa incidenza sui fattori produttivi è presente anche nel distretto risicolo delPiemonte.Per quanto riguarda i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>, la situazione è assai diversificata tra Regioni e aree in cui essi sonolocalizzati, infatti sia in termini di insediamento umano sia di sviluppo socio-economico presentano innumerevolidifferenze.Nel caso laziale il territorio, prossimo al comune di Roma, risulta ad alta densità insediativa, dipendente intermini economici dalla capitale, l’agricoltura è poco specializzata ma radicata nell’economia locale, inoltreè forte il legame con il paesaggio e le tradizioni delle popolazioni locali.Anche il distretto maremmano, che raccoglie tutti i comuni della Provincia di Grosseto, è un’area a fortevocazione rurale e si distingue dagli altri soprattutto la presenza di un’agricoltura fortemente multifunzionale,diversificata e integrata con il settore turistico ma presenta una bassissima densità della popolazione.Il distretto floricolo-ornamentale della provincia di Pistoia si rivolge ad un territorio poco dipendente dalsettore agricolo ma, nonostante ciò, fortemente specializzata così come il distretto interprovinciale di Luccae Pistoia, anche se l’alta presenza di aziende agricole e agro-alimentari fa pensare più ad un distrettoagro-alimentare che rurale.La normativa nazionale e quelle regionali hanno portato, prevalentemente, al riconoscimento di <strong>distretti</strong>agro-alimentari di qualità, inoltre, come dicevamo, i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> si presentano estremamente eterogenei.Ciò sembra far emergere una certa difficoltà nell’individuazione dei criteri di definizione del distrettorurale e, nel caso essi siano stati stabiliti, nell’individuare realtà produttive territoriali in cui si ritrovino lecaratteristiche previste. Infatti, nonostante più territori abbiano avanzato proposte per l’istituzione di<strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> (Polesine, Pollino, solo per fare qualche esempio), si è notata la difficoltà di Regioni eProvince nell’identificare i criteri di riconoscimento. Per sua natura il modello distrettuale è caratterizzatoprincipalmente da dinamiche economiche (tra produttori, del sistema produttivo prevalente con i settori amonte e a valle, del sistema produttivo con la società civile), le quali sono sicuramente presenti in ambitoagro-alimentare. Il distretto rurale, invece, ha una natura differente, vede coinvolto il sistema produttivoma anche il contesto (naturale, paesaggistico, sociale, culturale, ecc.) in cui tale sistema agisce. Quindi ildistretto rurale più che essere uno strumento di sviluppo locale, è un modello organizzativo, uno strumentodi governance di un’economia che è riuscita a “monetizzare” il proprio contesto e che si organizza perRETE<strong>LEADER</strong> 45
aumentarne la competitività. Il dettato normativo è chiaro nel definire il modello, forse lo è meno il contestorurale italiano che tra problemi di sviluppo e problematiche organizzative necessita di altri strumenti,come per esempio quelli promossi con l’approccio Leader, maggiormente orientati ad innescare dinamichedi sviluppo che, con il tempo, potrebbero trasformarsi in strumenti più complessi, e perché no, in areedistretto come, per esempio, sta succedendo per l’area dei Colli Esini nelle Marche.3. Il ruolo dei <strong>distretti</strong> nella programmazione agricola nazionale eregionaleI <strong>distretti</strong> agricoli vengono proposti, dalla normativa nazionale e regionale, come strumento di sviluppo egestione di un settore produttivo di particolare qualità, nel caso dei <strong>distretti</strong> agro-alimentari, o con peculiaricaratteristiche produttive e culturali, nel caso dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>. In generale, l’individuazione del distrettoavviene con un approccio di tipo bottom up, finalizzato a consolidare e sviluppare ulteriormente larealtà produttiva locale rispetto al contesto in cui si sviluppa.Le Regioni che hanno adottato una legge sui <strong>distretti</strong> agricoli sembrano aver voluto dar loro un ruolo diprimo piano nell’ambito della programmazione economica regionale. I <strong>distretti</strong>, pertanto, sono ritenutiinterlocutori privilegiati nel partenariato socio-economico chiamato a esprimersi su piani e programmi disviluppo economico regionale.I <strong>distretti</strong> agricoli giocano un ruolo primario anche rispetto alla programmazione e all’attuazione dellepolitiche di sviluppo rurale 2007-2013. Le interrelazioni e l’atmosfera cooperativa prevista, nella normativaregionale, per l’ottenimento dello status distrettuale potrebbero favorire processi di sviluppo settorialea livello locale, indirizzando la programmazione regionale verso gli effettivi bisogni del settore produttivo.Inoltre, il nuovo regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale (Reg. (CE) 1698/2005) potrebbe agevolarefortemente il riconoscimento della distrettualità agricola, favorendo la cooperazione e l’integrazione deisoggetti produttivi e degli attori locali. Nell’asse competitività, infatti, è prevista la promozione della cooperazionetra settore primario, industria di trasformazione e altri soggetti (soprattutto mondo della ricerca)al fine di sviluppare nuovi prodotti, processi e tecnologie nei settori agricolo, alimentare e forestale.Pur non facendo riferimento esplicito ai cluster produttivi, il regolamento sembra dar voce alle realtà produttivedi filiera che, nella legislazione italiana, possono configurarsi anche con una dimensione territorialedi sistema produttivo locale. Le Regioni che hanno riconosciuto i sistemi produttivi agricoli potranno,attraverso una specifica misura di finanziamento del PSR, garantire risorse per il consolidamento dellepartnership territoriali finalizzato all’innovazione dei processi e dei prodotti agro-alimentari e forestali.Il ruolo dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>, invece, emerge dalle linee guida comunitarie in materia di politiche di coesione,che prevedono di concentrare l’intervento a favore delle zone <strong>rurali</strong> in poli di sviluppo delle aree <strong>rurali</strong> perdar vita a gruppi economici che associno le risorse locali (…). Anche in questo caso, i <strong>distretti</strong> potrebberocostituire un punto di riferimento per l’introduzione di innovazioni e lo sviluppo locale, facendo leva suprogetti strutturati secondo l’approccio Leader o su strategie integrate di sviluppo locale e finalizzati, nello46 RETE<strong>LEADER</strong>
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