1. IntroduzioneA differenza di tutta una serie di modelli e strumenti tesi ad organizzare ed accompagnare i processi disviluppo locale messi a punto per affrontare specifiche problematiche ed esigenze del territorio o dellapolitica d’intervento, il modello distrettuale agricolo ha seguito un iter inverso. Le caratteristiche del sistemaproduttivo italiano, fortemente organizzato e ancorato ai territori, l’esperienza maturata con i <strong>distretti</strong>industriali, le esigenze di organizzazione di alcuni comparti agro-alimentari, hanno sviluppato, a fine anni’90, un forte dibattito scientifico intorno la possibilità di “distrettualizzare” il settore agricolo. Nello stessoperiodo, la Provincia di Grosseto decideva di sperimentare il modello istituendo il distretto Rurale dellaMaremma.Il riconoscimento normativo è arrivato solo più tardi con il decreto legislativo n. 228/01 "Orientamento emodernizzazione del settore agricolo a norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57", la cui finalitàera quella di dare alle Regione la possibilità di individuare e, successivamente, promuovere l’organizzazionedi sistemi locali e produttivi particolarmente caratterizzati dalla presenza di attività agro-alimentarie da un territorio con forti elementi di <strong>rurali</strong>tà sia nelle dinamiche socio-economiche sia nella strutturapaesaggistica.Il citato decreto legislativo definisce i <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e quelli agro-alimentari di qualità:i primi, quali i sistemi produttivi caratterizzati da un'identità storica e territoriale omogenea derivantedall'integrazione fra attività agricole e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi diparticolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali;- i secondi, come aree produttive caratterizzate da significativa presenza economica e da interrelazionee interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agro-alimentari, nonché da una o più produzionicertificate e tutelate ai sensi della vigente normativa comunitaria o nazionale, oppure da produzionitradizionali o tipiche.La definizione di distretto agro-alimentare corrisponde in linea di massima a quella dei <strong>distretti</strong> industrialiistituiti dalla legge n. 317/91 (art. 36 modificato dall’art. 6 della legge n. 114/99), che attribuisce lostato di distretto ai territori in cui si riscontra:- una elevata concentrazione di imprese, prevalentemente, di dimensioni medio-piccole;- una peculiare organizzazione interna del sistema produttivo;- la specializzazione produttiva del sistema di imprese.Il distretto agro-alimentare coinvolge anche le imprese di produzione agricola e ne prevede il riconoscimentosolo nel caso in cui il sistema produttivo di riferimento sia incentrato su prodotti di qualità riconosciutidalla normativa comunitaria e nazionale, fortemente radicati al territorio di produzione e che abbianogià dato vita a un processo di relazione e integrazione delle attività produttive.Del tutto originale è, invece, la definizione di distretto rurale, il cui riconoscimento implica l’integrazionetra attività primarie e altre attività locali, la produzione di beni specifici, la dimensione territoriale omogenea,l’identità storica comune e un contesto produttivo e istituzionale fortemente integrato e interdipen-RETE<strong>LEADER</strong> 39
dente, tutti elementi difficilmente misurabili e non definibili univocamente. È certo che il distretto ruralenasce per dare “voce e vita” alle tante realtà <strong>rurali</strong> italiane lontane dai circuiti produttivi competitivi e chepossono contare esclusivamente sulle risorse endogene per innescare processi di sviluppo.Gli elementi per l’individuazione del distretto rurale sono multipli e multisettoriali, basati oltremodo suun’organizzazione ben precisa sia in termini economici sia sociali del contesto in cui si andrebbe a calare.Il dettato normativo, però, non va oltre la definizione delle due tipologie di distretto, demandando alleRegioni le modalità di individuazione e di istituzione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimentari di qualità.Ad oggi, le Regioni che hanno emanato una specifica normativa per il riconoscimento dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> eagro-alimentari di qualità sono otto.Leggi regionali relative ai <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> ed agro-alimentari di qualitàRegione NormativaLazio LR n. 3/06 Istituzione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimentari di qualitàSicilia LR n. 20/05 Misure per la competitività del sistema produttivoAbruzzo LR n. 18/05 Istituzione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>Calabria LR n. 21/04 Istituzione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimentari di qualitàPiemonte LR n. 26/03 Istituzione dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong> e agro-alimentari di qualitàToscana LR n. 21/04 Disciplina dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>Veneto LR n. 40/03 Nuove norme per gli interventi in agricoltura. Titolo III - Distretti <strong>rurali</strong> e agro-alimentaridi qualitàBasilicata LR n. 1/01 Riconoscimento ed istituzione dei <strong>distretti</strong> industriali e dei sistemi produttivi localiDGR n. 1931/03 Distretti <strong>rurali</strong> e agro-alimentari di qualità – Procedure per la loro individuazioneCalabria, Lazio, Piemonte e Veneto hanno recepito a pieno le disposizioni del decreto legislativo 228/01,prevedendo sia <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>, sia <strong>distretti</strong> agro-alimentari di qualità. La Liguria si è limitata all’individuazionedei <strong>distretti</strong> con legge regionale facendo riferimento diretto al decreto legislativo nazionale. LaRegione Basilicata, invece, ha esteso, con DGR n. 1931/03, la pre-esistente normativa per il riconoscimentoe l’istituzione dei <strong>distretti</strong> industriali al settore primario, affermando un concetto essenzialmente produttivisticodelle realtà distrettuali agricole, diversamente dalle altre Regioni che, sposando la disciplina nazionale,hanno di fatto legato il concetto, soprattutto quello di distretto rurale, alle vocazioni dei territori piuttostoche alla realtà produttiva e ai rapporti tra imprese nelle aree 7 . La normativa di Abruzzo e Toscanaprevede solo il riconoscimento dei <strong>distretti</strong> <strong>rurali</strong>, mentre quella siciliana riconosce esclusivamente <strong>distretti</strong>agro-alimentari.7 I requisiti del modello distrettuale marshalliano, utilizzato in Italia per l’identificazione dei <strong>distretti</strong> industriali, sono i seguenti: concentrazione di impresedi piccole dimensioni specializzate nelle stesse produzioni o in attività ad esse complementari, scomposizione del ciclo produttivo, esistenza di rapportifiduciari tra imprese, ambiente socio-culturale omogeneo, dinamicità imprenditoriale e mobilità del lavoro, know how produttivo diffuso e specialistico,interazione tra sistema delle imprese e istituzioni locali.40 RETE<strong>LEADER</strong>
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