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Obiettivo 1. Verso il referendum costituzionale<br />
L’autonomia politica delle Regioni ordinarie<br />
e il riparto della funzione legislativa<br />
nel disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi<br />
di Marco Bignami<br />
Il testo si occupa della proposta di riforma costituzionale del Titolo V, Parte II, della Costituzione.<br />
Dopo aver dato conto degli obiettivi sottesi alla forma di Stato regionale e aver esaminato lo stato<br />
attuale della giurisprudenza costituzionale, ci si sofferma sul riparto della potestà legislativa, con<br />
particolare riguardo alla nozione di “disposizioni generali e comuni”.<br />
Attenzione è dedicata infine alla cd clausola di supremazia.<br />
1. Introduzione<br />
«Tentare di nuovo. Fallire di nuovo. Fallire meglio»<br />
1 . Lo scetticismo a cui Samuel Beckett affidava<br />
le capacità euristiche della letteratura può facilmente<br />
essere trasposto agli affanni con cui il legislatore della<br />
revisione costituzionale pone mano, oramai periodicamente,<br />
allo sfortunato regionalismo italiano.<br />
La Costituzione ha consegnato, nel quadro della<br />
unità e indivisibilità della Repubblica, un modello regionalista<br />
polivalente, la cui “pagina bianca”, secondo<br />
la celebre definizione di Paladin 2 , avrebbe potuto essere<br />
vergata con più di una tonalità di inchiostro.<br />
Vi era la potestà legislativa, e, in base al principio<br />
del parallelismo, ad essa seguiva la funzione amministrativa.<br />
Novità, la prima, senza dubbio animata<br />
dall’influsso del modello spagnolo e di quello tedesco<br />
3 , ma ugualmente rivoluzionaria, specie se letta<br />
alla luce della seconda. Non si inganni il disincantato<br />
lettore del <strong>2016</strong>: nel 1948 la legge non era divenuta<br />
quel simulacro di se stessa, cui è stata oramai consegnata<br />
dal degrado del parlamentarismo, ma piuttosto<br />
fulcro e spirito identificativo dell’Ordinamento. La<br />
Regione conquistava così le chiavi della politica, e ne<br />
veniva di conseguenza che si spalancassero le porte<br />
dell’ancillare attività amministrativa. Prima il legislatore,<br />
e solo a rimorchio l’amministratore!<br />
Al contempo, non vi era spazio aperto al regionalismo<br />
che non fosse attentamente vigilato dallo Stato,<br />
né potestà legislativa che potesse scrollarsi di dosso<br />
le briglie dei principi fondamentali enunciati dalla<br />
normativa statale. Uno stato di minorità in perenne<br />
attesa di evolvere in età matura, secondo tempi scanditi<br />
dall’evoluzione sociale e regolati dalle cure del legislatore<br />
nazionale.<br />
Ma la prima necessita di correzioni ortopediche,<br />
che raddrizzino le storture della disgregazione localistica<br />
tipicamente italiana; le seconde sono dosate con<br />
parsimonia da una maggioranza di Governo così stabile,<br />
nella formula politica, da avere in sospetto forme<br />
di concorrenza alternative cullate dalla dimensione<br />
regionale.<br />
Si attende, infatti, fino agli anni 70’. Le carte della<br />
politica nazionale vengono ridistribuite, mentre la<br />
linea di divisione sociale corre sul crinale della ideologia,<br />
piuttosto che del localismo. Ne emergono le<br />
1. S. Beckett, Worstward Ho 1983, ed. it. In nessun modo ancora, 2008, p. 66.<br />
2. L. Paladin, Problemi legislativi e interpretativi nella definizione delle materie di competenza regionale, in Foro amm. 1971, p. 36.<br />
3. S. Mangiameli, Le Regioni e le riforme: questioni risolte e problemi aperti, in S. Mangiameli (a cura di), Il regionalismo italiano tra<br />
tradizioni unitarie e processi di federalismo, 2012, pp. 1 ss.; A. D’Atena, Tra Spagna e Germania. I modelli storici del regionalismo italiano,<br />
ivi, pp. 81 ss.<br />
Questione Giustizia 2/<strong>2016</strong><br />
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