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Obiettivo 2. Il Corpo. Anatomia dei diritti<br />
tativo consentito dalla legge (nella parte in cui non<br />
sembra considerare necessario l’«adeguamento dei<br />
caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento<br />
medico-chirurgico» 63 ), è pervenuta ad una interpretazione<br />
costituzionalmente e convenzionalmente<br />
orientata della l. n. 164 del 1982, in modo da riconoscere<br />
il diritto del soggetto istante alla rettificazione<br />
anagrafica della propria identità sessuale (da uomo a<br />
donna), come espressione del suo diritto all’autodeterminazione,<br />
pur non avendo previamente acceduto<br />
ad un intervento modificativo dei suoi caratteri sessuali<br />
primari e secondari 64 .<br />
Nonostante la permanenza, nell’art. 1 della l. n.<br />
164 cit., della previsione di «intervenute modificazioni<br />
dei (..) caratteri sessuali», come presupposto<br />
per il riconoscimento da parte del Tribunale di una<br />
diversa attribuzione del sesso, il «progressivo sviluppo<br />
della scienza medica e degli approdi della psicologia<br />
e della psichiatria» inducevano questo giudice<br />
a cassare l’interpretazione «“storico-originalista”<br />
di carattere del tutto statico» cui era invece pervenuta<br />
la Corte di appello di Bologna. Per i giudici di<br />
Piazza Cavour la lettura data dal giudice di merito<br />
appariva contraria al principio di proporzionalità<br />
che avrebbe, invece, dovuto condurre ad un «adeguato<br />
bilanciamento» tra «sviluppo della personalità<br />
individuale» e «interesse pubblico alla certezza<br />
delle relazioni giuridiche che costituisce il limite coerentemente<br />
indicato dal nostro ordinamento al suo<br />
riconoscimento».<br />
Pure in presenza di una consapevolezza sulla<br />
«assoluta novità della questione» e sulla permanenza<br />
di «opinioni non univoche della dottrina e della<br />
giurisprudenza di merito» circa la portata del disposto<br />
legislativo, che avrebbero probabilmente dovuto<br />
indurre a sollevare la questione di legittimità costituzionale<br />
65 , la Suprema Corte perveniva ad accogliere<br />
la domanda proposta dal soggetto interessato<br />
alla rettificazione del sesso da maschile a femminile,<br />
disponendo le consequenziali annotazioni anagrafiche.<br />
4. Considerazioni conclusive<br />
sulla problematica tenuta<br />
della certezza del diritto<br />
e della divisione dei poteri<br />
Pur essendo certamente apprezzabile lo sforzo<br />
ermeneutico che consente al giudice di ricavare,<br />
attraverso un’interpretazione costituzionalmente e<br />
convenzionalmente orientata, la norma da applicare<br />
al caso di specie, indiscutibili sono le preoccupazioni,<br />
per la stessa certezza del diritto e per l’eguaglianza<br />
di trattamento di situazioni similari, di una eccessiva<br />
frammentazione interpretativa cui potrebbe<br />
invece condurre una giurisprudenza incurante dei<br />
limiti posti dalla legge. L’opportunità pure riconosciuta<br />
a questa autorità giudicante di enucleare dalla<br />
norma da applicare i significati più coerenti con il<br />
disposto costituzionale, entro i margini ermeneutici<br />
da quest’ultimo consentiti, non dovrebbe così<br />
indurla, in presenza di una prescrizione legislativa<br />
giudicata illegittima, ad assumere una decisione<br />
di segno opposto. Nel porre in discussione uno dei<br />
principi cardine dello Stato di diritto, quale è certamente<br />
quello basato sulla divisione tra i poteri, tale<br />
disattivazione del contenuto dispositivo della legge<br />
verrebbe ad eludere il sistema accentrato di costituzionalità<br />
cui è riconosciuto il compito di risolvere in<br />
modo definitivo le possibili antinomie determinatesi<br />
tra queste fonti, poste all’interno di un rapporto di<br />
gerarchia.<br />
Pur auspicando in un settore delle conoscenze<br />
umane, come quello qui considerato, una maggiore<br />
attenzione da parte del legislatore, così da evitare i<br />
63. Art. 31, n. 4 del d.lgs n. 150 del 2011 che abrogava l’art. 3 della l. n. 164 del 1982.<br />
64. In analoga direzione si erano, peraltro, già inoltrati il Trib. Rovereto, sent. n. 194 del 3 maggio 2013, in www.west-info.eu e il Trib.<br />
Messina, sez. I civ., 4 novembre 2014, in www.dirittocivilecontemporaneo.com. Per quest’ultimo giudice, nonostante la previsione contenuta<br />
nella l. 164/1982, bisognava riconoscere il diritto al mutamento anagrafico del sesso ad un individuo, che avesse ricevuto una terapia<br />
ormonale femminizzante, «anche in assenza di un intervento chirurgico demolitivo dei caratteri sessuali primari». Ciò avrebbe consentito<br />
al soggetto interessato di raggiungere «un assetto dei caratteri secondari e dei valori ormonali compatibili con un aspetto ed un quadro<br />
ormonale femminile». Per A. Ruggeri, L’interpretazione conforme a Cedu: i lineamenti del modello costituzionale, i suoi più rilevanti<br />
scostamenti registrati nell’esperienza, gli auspicabili rimedi, 20 maggio 2015, in www.federalismi.it, p. 22, tali casi giurisprudenziali<br />
dimostrerebbero, «ancora una volta», come «l’interpretazione conforme si dimostra in grado di sostituirsi al giudizio accentrato di costituzionalità».<br />
Il suo impiego dovrebbe, al contrario, «concorrere a ricucire ciò che è a tutt’oggi separato, strappato: a condizione, appunto, che<br />
non se ne faccia un uso strumentale da parte di chi reputi di potere nel suo nome piegare norme ed indirizzi giurisprudenziali alle proprie<br />
norme ed indirizzi, facendo i primi oggetto di impropri adattamenti interpretativi».<br />
65. Come invece è stato fatto dal Trib. Trento, sez. civ., ord. n. 228 del 20 agosto 2014, in G.U. n. 52 del 17 dicembre 2014. Con la recente<br />
sent. 221/2015, la Consulta, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della l. n. 164 del 1982,<br />
rileva comunque come «la prevalenza della tutela della salute dell’individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico»<br />
debba portare «a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione – come prospettato<br />
dal rimettente −, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico».<br />
Questione Giustizia 2/<strong>2016</strong><br />
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